Enneade III: La Provvidenza*
1. [La provvidenza universale
è la conformità del mondo all’Intelligenza]
Quanto sia assurdo e degno di un uomo
incapace di comprendere e di guardare, l’attribuire al meccanicismo e al caso
l’esistenza e la formazione dell’universo, è chiaro anche prima di ogni
ragionamento; e ci sono d’altronde molti argomenti sufficienti a provare tale
assurdità.
Però è necessario, esaminando il problema dai suoi principi,
considerare quale sia il modo di nascere e di formarsi di tutte le cose, delle quali alcune, essendo non rettamente costituite, ci
fanno dubitare della provvidenza universale, sicché accade che alcuni
addirittura la neghino, altri considerino il mondo come l’opera di un cattivo
Demiurgo. Tralasciamo pure quella provvidenza particolare che è il ragionamento
prima dell’azione, col quale ci chiediamo se occorra compiere o no quell’atto
non necessario, e che cosa ne derivi o non derivi a
noi; consideriamo soltanto la provvidenza universale e, supponendone
l’esistenza, deduciamone le conseguenze.
Se affermiamo che il mondo non è sempre
esistito ma esiste solo da un certo tempo, porremo una provvidenza simile a
quella che abbiamo ora nominata riguardo alle cose
particolari: cioè una previsione e un calcolo di Dio sul come creare il mondo e
renderlo il migliore possibile. Ma poiché noi affermiamo che il mondo esiste
sempre e non v’è momento in cui esso non esista, dobbiamo giustamente concludere che c’è una provvidenza universale e che essa è
la conformità dell’universo all’Intelligenza; che l’Intelligenza gli è
anteriore, non cronologicamente, ma in quanto esso deriva dall’Intelligenza, la
quale gli è anteriore per natura, ne è la causa, l’archetipo e modello, di cui
il mondo è immagine, esistente e sussistente per opera dell’Intelligenza, in questo
modo.
La natura dell’Intelligenza e
dell’Essere, costituiscono il mondo vero e primo, che non esce fuori di se stesso, e non perde la sua forza per divisione, né
diventa incompleto in nessuna delle sue parti, poiché ciascuna di esse non è
separata dal Tutto, ma ogni sua vita e intelligenza vive e intende insieme in
una unità, così che ogni parte diventa un tutto ed è unita a se stessa senza
essere separata da un’altra, ed essendo soltanto differente rispetto alle
altre, non è però estranea: nessuna parte fa torto a un’altra, neanche se è il
suo contrario. Ovunque una e completa, l’Intelligenza è immobile e non accoglie
nessuna alterazione, poiché nessuna parte agisce sull’altra. E perché dovrebbe
agire, se non ha difetti? Perché la Ragione produrrebbe una ragione, e l’Intelligenza un’altra Intelligenza? Il potere di produrre da
sé non è affatto degli esseri perfetti, poiché il
produrre e il muoversi sono in proporzione della [propria] imperfezione. Per
gli esseri del tutto beati basta essere immobili in se stessi ed essere quello
che sono; essi non corrono il rischio di occuparsi di molte cose, perché
sarebbe per loro uscire da se stessi. Ma così è beato
anche quel [mondo]: ed esso è tale che, pur non agendo, fa grandi cose e
rimanendo immobile compie opere non piccole.
2. [L’universo sensibile
partecipa di Intelligenza e ragione]
Da quel mondo vero e uno trae infatti la sua esistenza questo mondo che non è veramente
uno; questo è multiplo e diviso in molte parti separate ed estranee fra loro; e
più non [regna] sola l’amicizia, ma anche l’odio in causa della separazione
spaziale; e così ogni cosa, perché imperfetta, è necessariamente nemica di ogni
altra. Ogni parte infatti non basta a se stessa, ma,
pur abbisognando d’essere conservata da un’altra, è poi nemica di quella da cui
è conservata; [questo mondo] non è sorto per un atto di riflessione
[dell’Intelligenza] sulla necessità di crearlo, ma [deriva] da una necessità
della seconda natura: poiché quel mondo [intelligibile] non era tale da essere
l’ultimo degli esseri. Infatti esso è il primo e ha
molta potenza, anzi tutta: possiede dunque la potenza di produrre un altro
essere senza lo sforzo di produrlo. Se facesse uno sforzo, non da se stesso né
dalla sua essenza trarrebbe tale potere, ma sarebbe simile a un artigiano che
non ha da sé il potere di produrre, ma lo acquista ottenendolo
dall’apprendimento.
L’Intelligenza dando qualcosa di se
stessa alla materia produce tutte le cose serenamente e immobilmente: e ciò
[che essa dà] è la ragione che procede dall’Intelligenza. Dall’Intelligenza infatti procede la ragione e sempre procede fino a che
l’Intelligenza sia presente negli esseri. Come in una ragione seminale tutte le
parti [del vivente] sono insieme in uno stesso punto, senza che l’una contrasti all’altra o la combatta o la impedisca,
mentre [nell’essere] che poi nasce col suo corpo, ogni parte occupa un posto
diverso ostacolando e distruggendo le altre, così dall’Intelligenza una e dalla
ragione che ne deriva nasce questo mondo esteso, nel quale, necessariamente, vi
sono parti amiche tra loro e concordi, altre invece odiose e nemiche, le quali
o volontariamente o involontariamente si danneggiano a vicenda e distruggendosi
originano altre; tra le parti che agiscono e patiscono in tal modo si determina
un’unità armonica poiché ciascuna di esse dà il suo proprio suono, poiché la
ragione che è in esse produce l’armonia e l’ordine nella totalità.
Questo universo non è, come quello
[intelligibile], Intelligenza e ragione, ma partecipa di Intelligenza e di ragione.
Esso ha bisogno di armonia «poiché vi concorrono
l’Intelligenza e la necessità»; questa lo trae verso il male e lo porta verso
l’irrazionalità, essendo essa stessa irrazionale; però, l’Intelligenza domina
sulla necessità. Il mondo intelligibile è soltanto ragione e non potrebbe
nascerne un altro che fosse soltanto ragione; se nasce un’altra cosa, questa
sarà necessariamente inferiore e non [pura] ragione; nemmeno sarà la materia,
poiché essa è priva di ordine; sarà dunque un misto delle due. Il mondo si
risolve dunque in materia e ragione: ne è origine l’Anima che presiede a questo
mescolamento, la quale non si deve credere che si affatichi poiché governa
l’universo molto agevolmente con una certa presenza.
3. [Bisogna guardare
all’universo nella sua totalità]
Nessuno può, se non a torto, disprezzare questo
mondo, quasi non sia bello e il migliore degli esseri corporei, e accusare chi
è causa della sua esistenza. Anzitutto, esso esiste necessariamente e non
deriva da un atto di riflessione, ma da un essere superiore che genera per
natura un essere simile a se stesso; e se anche fosse stato prodotto per un
atto di riflessione, chi l’ha prodotto non avrebbe da vergognarsene: poiché il
tutto che egli ha prodotto è bello e sufficiente a se stesso, unito a sé e a
tutte le sue parti, grandi e piccole, in modo egualmente conveniente. Perciò
chi accusa il tutto guardando alle parti fa un’accusa assurda, poiché bisogna
esaminare le parti in relazione al tutto, [per vedere]
se convengono e armonizzano con esso, ed esaminare il tutto senza fermarsi ai
piccoli dettagli. Non accusa certo il mondo colui che
ne considera separatamente qualche parte; è come se qualcuno considerasse di un
animale intero soltanto un capello o un dito dei piedi trascurando la totalità
dell’uomo che è uno spettacolo divino; o come se si lasciassero da parte, per
Zeus, tutti gli altri viventi per guardare al più abietto o, tralasciando tutta
una specie, ad esempio quella umana, si ponesse al centro solo Tersite.
Ora, poiché ciò che è stato fatto è il
mondo nella sua totalità, chi lo consideri così, forse lo sentirà parlare in
questo modo: «Un Dio mi ha fatto e io che son venuto
da Lui sono perfetto poiché comprendo tutti i viventi, basto a me stesso e non
ho bisogno di nessuno, poiché sono in me tutte le piante e gli animali e gli
esseri tutti che nascono, molti dei e turbe di demoni, anime buone e uomini
felici per virtù. Non soltanto la terra è adorna di piante e di animali di ogni
specie e non soltanto il mare ha ricevuto la potenza vitale; anche l’aria,
l’etere e il cielo sono tutti partecipi di vita, poiché ivi son tutte le anime
buone che danno la vita agli astri e alla sfera eterna
del cielo che, a imitazione dell’Intelligenza, gira saggiamente con moto
circolare sempre intorno al medesimo centro, poiché nulla essa cerca al di
fuori di sé. Tutti gli esseri che sono in me aspirano al bene e ciascuno lo
raggiunge secondo il suo potere. Da Lui dipendono
tutto il cielo, la mia anima intera, gli dei che sono nelle mie parti, tutti
gli animali, le piante e gli esseri apparentemente inanimati che sono in me. Di
questi esseri, alcuni partecipano soltanto dell’esistenza, altri della vita,
altri hanno in più la sensibilità, altri hanno anche la ragione, altri la vita completa. Non bisogna richiedere da questi
esseri diversi effetti eguali; al dito non si può chiedere di vedere, ma
all’occhio; al dito si richiede qualche altra cosa, cioè di essere dito e di
compiere la sua funzione».
4. [I conflitti nell’universo
obbediscono a una legge]
Se il fuoco è spento dall’acqua e se
altra cosa è distrutta dal fuoco, non bisogna stupirsi. Poiché un’altra cosa
l’ha condotto all’esistenza e non s’è prodotto da sé, perciò è distrutto da
un’altra; esso è venuto all’esistenza per la distruzione di un’altra cosa e, se
è così, la sua distruzione non ha in sé nulla di terribile, perché, una volta
distrutto, il fuoco è sostituito da altro fuoco. Nel
cielo incorporeo ogni singola cosa sussiste, nel nostro cielo il tutto vive
sempre insieme con le sue parti più preziose e importanti, ma le anime che
cambiano di corpo rinascono sotto nuovi aspetti e, quando possono, sfuggono
alla nascita e si congiungono all’Anima del mondo. Ci sono poi corpi che vivono
per la loro specie e per il loro gruppo, poiché da essi altri viventi trarranno
esistenza e nutrimento: vita mobile quaggiù, ma lassù immobile.
Il movimento deve venire dall’immobilità;
dalla vita che è in se stessa, una vita diversa, una specie di soffio
infaticabile che è come il respiro della vita immobile. Tra i viventi sono necessari
i conflitti e le distruzioni, poiché essi sono nati e non sono eterni. E sono
nati poiché la ragione occupa tutta la materia e tutti li contiene in sé,
essendo essi lassù nel cielo intelligibile: donde verrebbero se non fossero là?
I torti che gli uomini si fanno reciprocamente hanno
la loro causa nel desiderio del bene; ma per l’incapacità di raggiungerlo essi
escono di cammino e si urtano l’un l’altro. Coloro che agiscono male hanno il
loro castigo poiché le loro anime vengono danneggiate
dalle loro cattive azioni e poste in un luogo inferiore, perché nulla sfugge
all’ordine scritto nella legge dell’universo. L’ordine non nasce dal disordine,
né la legge dall’illegalità, come pensa qualcuno, cosicché le cose migliori
nascano dalle peggiori e per queste vengano all’esistenza, ma per l’ordine che
vi è stato introdotto. Il disordine c’è perché c’è l’ordine; perché c’è la
legge e la ragione c’è l’illegalità e l’irragionevolezza, non perché le cose
migliori producano le peggiori, ma perché le cose che desiderano possedere il
meglio non possono riceverlo o per la loro natura o per varie circostanze o per
altri ostacoli. Ciò che si serve di un ordine estrinseco può non realizzarlo, o
per opera sua o per colpa di altri e spesso patisce danno per colpa di altri
che lo fanno involontariamente nel tendere ad altro scopo.
Gli esseri viventi che hanno il potere di
muoversi da sé spontaneamente inclinano ora verso il meglio, ora verso il
peggio. Forse non merita ricercare da dove derivi l’inclinazione verso il
peggio; nel principio quest’inclinazione è debole, poi aumenta nel suo processo
e rende sempre maggiori e più numerosi gli errori. E poi il corpo è unito
[all’anima] e necessariamente ne deriva il desiderio; infine, un primo e
subitaneo errore che non sia subito represso spinge la volontà verso una
completa caduta. Ma la pena tien dietro; e non è ingiusto che l’anima,
diventata così [cattiva] subisca le conseguenze del suo stato, né bisogna
esigere la felicità per coloro che non hanno fatto
nulla che fosse degno di felicità. Soltanto i buoni sono felici: e perciò gli
dei sono felici.
5. [I mali esistono quaggiù
in funzione del bene]
Se dunque le anime possono essere felici
anche in questo mondo e se alcuni non sono felici, non bisogna accusare il luogo,
ma la loro incapacità a combattere valorosamente dove sono proposti i premi
alla virtù.
Che c’è di strano se coloro
che non sono diventati divini non posseggono una vita divina?
La povertà poi e le malattie sono nulla
per i buoni, mentre sono un male per i cattivi; e poi, per coloro
che posseggono un corpo è necessità ammalarsi. E inoltre, essa non è del
tutto senza utilità per l’ordine e la perfezione dell’universo.
Infatti, come la Ragione del mondo si
serve degli esseri che si corrompono per la generazione di altri – infatti nulla sfugge al suo dominio – così anche
quando il corpo ha un malanno e l’anima che ne soffre viene indebolita, ciò che
è colpito dalle malattie e dal male è subordinato a un altro concatenamento e a
un altro ordine.
Alcuni di questi [mali] servono a coloro
che li subiscono, come ad esempio la povertà e la malattia; il vizio, poi,
produce qualcosa di utile nell’universo, poiché diventa esempio di punizione, e
molti altri vantaggi esso porta ancora. Infatti esso
tien desti, eccita l’intelligenza e la coscienza facendole resistenti sulle vie
della colpa, fa vedere qual bene sia la virtù mediante la comparazione coi mali
che i cattivi subiscono. Certo, non per questo esiste il male; ma anch’esso,
come s’è detto, una volta nato, deve esserci utile. Il più grande potere è quello di saper bene utilizzare il male stesso e di essere
capace di adoperare questa cosa informe per [la produzione di] altre forme.
Insomma, bisogna affermare che il male è
difetto del bene, ed è necessario che quaggiù ci sia difetto di bene, poiché
esso è in altro.
Questo soggetto, in cui è il bene,
essendo differente dal bene, Produce il difetto: e infatti
esso non è buono. Perciò «non si distruggono i mali»,
poiché rispetto al bene ci sono degli esseri inferiori gli uni agli altri ed
essi, pur avendo nel bene, da cui differiscono, la causa della loro esistenza,
divengono ciò che sono allontanandosi [da lui].
6. [Dubbi contro la
provvidenza]
A chi dicesse che, contro il merito, i
buoni ottengono dei mali e i cattivi dei beni, si può giustamente rispondere
che non c’è nessun male per i buoni e nessun bene per
i cattivi. Ma allora, perché al buono accadono cose contro natura, al cattivo cose secondo natura? Come sarebbe buona una
simile ripartizione? Ma se la conformità alla natura
non aggiunge nulla alla felicità, il suo contrario nulla toglie al vizio dei
cattivi; che importa essere così o così? Nulla, come avere un corpo bello o
brutto.
Ma, in quel modo, ci sarebbe convenienza,
ordine, giusta distribuzione, che ora non ci sono: e
questo sarebbe una provvidenza perfetta. Non è certo conveniente che ci siano
schiavi e che i cattivi siano padroni e i capi delle città e i giusti siano
schiavi, anche se questo fatto non aggiunge nulla al possesso del bene e del
male. Se il malvagio è padrone può commettere i più grandi delitti; e se i
malvagi vincono in guerra, quali scelleratezze commettono verso i prigionieri
catturati! Tutte queste cose ci fanno dubitare: come avviene tutto ciò, se c’è una provvidenza? Chi si accinge a produrre qualche opera
deve guardare al tutto, ma deve anche ordinare
ciascuna parte nel luogo che le conviene, specialmente quando si tratta di
esseri animati, viventi o ragionevoli; così la provvidenza [deve] estendersi a
tutto e l’opera sua consiste nel non trascurar nulla. Se dunque noi affermiamo
che questo universo dipende da un’Intelligenza il cui
potere penetra ovunque, bisogna cercare di mostrare come ogni cosa sia come
deve.
7. [Ogni cosa occupa il suo
posto nell’universo]
Anzitutto bisogna comprendere che quando
cerchiamo un bene in un essere misto non dobbiamo richiedere che esso sia così
grande come il bene che è nell’essere non misto, né dobbiamo ricercare qualità
primarie presso gli esseri di secondo ordine; poiché il mondo ha un corpo,
bisogna ammettere che questo gli dia qualche cosa e chiedere al mescolamento
solo quel tanto di ragione che esso può accogliere e [vedere] se questa parte
non sia difettosa. Così, ad esempio, se si esamina l’uomo sensibile più bello,
non si può davvero giudicarlo eguale all’uomo intelligibile, ma approviamo
l’opera del Creatore se questo essere, pur essendo fatto di carni, di nervi e
di ossa, è dominato dalla ragione in modo che essa possa render belle quelle
cose e penetrare la materia.
Ammesso questo, dobbiamo procedere verso
il nostro assunto; forse potremo trovare in questi esseri questa provvidenza e
potenza meravigliosa, da cui dipende il nostro universo.
[Se consideriamo] le azioni delle anime, le
azioni che appartengono alle anime che compiono il male, come ad esempio le
offese che arrecano alle altre e si fanno tra loro, non possiamo chiedere alla
provvidenza – a meno che non si voglia accusarla di averle fatte cattive
– né conto né ragione [di quelle azioni], dal momento che si ammette che
«la colpa è di chi ha scelto». S’è detto infatti che
le anime devono avere un movimento proprio e poiché non sono anime soltanto, ma
viventi [in un corpo], non è da meravigliarsi se esse vivono quella vita che
corrisponde al loro stato. Esse non sono discese [nei corpi], perché il mondo
esisteva, ma già prima del mondo esse gli
appartenevano, si curavano di farlo esistere, di ordinarlo, di fabbricarlo in
tutti i modi, sia dirigendolo sia dandogli qualcosa di se stesse, sia
discendendovi in un modo o in un altro: non di questo dobbiamo ora trattare,
ma, comunque sia, basta perché non si abbia ad accusare la provvidenza.
Ma quando paragoniamo i buoni ai cattivi e
vediamo poveri i buoni e i cattivi ricchi e ben forniti di quei beni che
dovrebbero possedere anche i loro inferiori che pur sono uomini, e li vediamo
dominare i loro popoli e le loro città? Forse che [la provvidenza] non si
estende sino alla terra?
Ma, oltre alle cose che avvengono secondo ragione, c’è
questo che ci prova che essa discende sino alla terra: cioè che le piante e gli
esseri viventi partecipano di ragione, di anima e di vita.
Ma se si estende fin quaggiù, non domina.
Poiché questo
universo è un essere animato unico, è come se qualcuno dicesse che la testa e
il viso dell’uomo derivano dalla natura e dalla ragione dominante e attribuisse
il rimanente [del corpo] ad altre cause, al caso o alla necessità, spiegando
così mediante l’impotenza della natura l’origine delle parti meno importanti. Ma non è santo né pio biasimare la creazione affermando che
queste cose non sono bene disposte.
8. [I malvagi comandano per
la viltà dei loro sudditi]
Resta da cercare come queste cose siano
bene ordinate e come partecipino dell’ordine o, altrimenti, come queste cose
siano un male. In ogni essere vivente le parti superiori, il viso e la testa,
sono le più belle, fra non sono tali le parti mediane e inferiori. Gli uomini
sono nella regione media e inferiore [del mondo], in alto sono il cielo e gli
dei che esso contiene; gli dei e il cielo che circonda
il mondo formano la maggior parte del mondo, la terra sta al centro e non è che
un astro qualunque. Ci stupiamo che negli uomini ci sia l’ingiustizia poiché
giudichiamo che l’uomo sia la cosa più preziosa dell’universo e l’essere più
saggio di tutti. Invece egli sta in mezzo tra gli dei e le bestie e inclina
verso gli uni e verso le altre: alcuni assomigliano agli dei, altri alle
bestie, la maggioranza sta nel mezzo.
Coloro che per la loro corruzione son
vicini agli animali senza ragione e alle fiere, trascinano e maltrattano gli uomini
che sono nel mezzo: e questi, che pur sono superiori a coloro che li
maltrattano, si lasciano dominare dagli inferiori poiché sono in certo modo
inferiori a essi, perché non sono ancora virtuosi e non sono preparati a non
soffrire [quei mali]. Se fanciulli fisicamente
esercitati, ma moralmente inferiori per mancanza di educazione, vincessero
nella lotta altri fanciulli non educati né fisicamente né moralmente e
rubassero loro i cibi e portassero via i loro begli abiti, non sarebbe una cosa
da ridere?
E come non agirebbe bene quel legislatore
che permettesse che essi soffrissero quei danni a castigo della loro ignavia e
inerzia?
Sono stati insegnati loro degli esercizi, ma essi per la loro ignavia e per la
loro vita molle e incurante sono rimasti là inattivi, diventando così agnelli
grassi preda dei lupi. Per quelli poi che fanno il male, il primo castigo
consiste nell’essere lupi e uomini malvagi; esistono
inoltre per loro delle pene convenienti che essi devono subire, perché per
coloro che sono stati cattivi quaggiù tutto non finisce, ma alle loro azioni
antecedenti seguono sempre le conseguenze, secondo ragione e natura, il male
per quelle cattive, il bene per le buone.
Questa [vita] certo non è una palestra, ove si fanno dei giochi.
Quando i fanciulli
sono cresciuti nell’ignoranza, bisognerebbe che essi, d’ambo le parti,
cingessero le spade e prendessero le armi: il loro spettacolo sarebbe superiore
a un esercizio ginnastico; invece alcuni sono disarmati, altri sono armati e li
vincono. Non tocca a Dio combattere per i pacifici: la legge vuole che alla
guerra si salvi colui che è valoroso, non colui che
prega, perché raccolgono frutti non quelli che pregano, ma quelli che coltivano
la terra, né sono sani coloro che non si prendono cura della loro salute; e non
bisogna brontolare se i cattivi hanno un raccolto più abbondante, o se a loro
riesca meglio la coltivazione. E poi sarebbe ridicolo compiere a proprio
capriccio tutto ciò che riguarda la vita e, benché queste azioni non siano come
piace agli dei, esigere la salvezza propria dagli dei
senza fare quanto gli dei comandano per la nostra salvezza. La morte è migliore
della vita per coloro che vivono contro il volere
delle leggi dell’universo; sicché quando i nemici sopravvengono, se la pace
fosse loro conservata malgrado le loro follie e i loro vizi, la provvidenza
sarebbe troppo negligente a lasciar dominare i più deboli. I cattivi comandano
per la viltà dei loro sudditi: ed è giusto così, non il contrario.
9. [L’uomo occupa
nell’universo il posto che ha scelto]
La provvidenza non dev’essere tale da
ridurci a nulla; se la provvidenza fosse tutto e fosse
sola, sarebbe come non fosse: di che sarebbe infatti provvidenza? Esisterebbe
solo l’essere divino. E questo esiste davvero, ma esso si diffonde a un altro
essere non per distruggerlo, ma si avvicina, per esempio, all’uomo per
conservargli il suo essere di uomo, cioè una vita secondo
la legge della provvidenza, o meglio, una condotta fedele a quanto la legge
prescrive.
Essa prescrive che coloro
che diventano buoni avranno una vita buona, la quale sarà loro riservata
anche più tardi e che i cattivi avranno il contrario. Coloro che son diventati
cattivi e domandano che altri dimenticando se stessi li salvino, fanno voti
impossibili; nemmeno gli dei possono trascurare la loro vita per regolare le
nostre cose e nemmeno ai buoni che vivono una vita superiore a ogni potenza umana conviene assumere il governo [dei cattivi]; costoro
poi non si sono mai curati di aver dei buoni governanti né di cercare per sé
chi li diriga, ma provano rabbia se sorge qualche uomo di buona indole; poiché
sarebbero di più i governanti buoni, se essi li prendessero come capi.
[L’uomo] non è il migliore degli esseri
viventi, ma occupa quel posto medio che ha scelto e nel luogo dove egli si
trova la provvidenza non lo lascia perire; il genere umano, sempre ricondotto
all’alto da diversi mezzi di cui si serve l’essere divino per far trionfare la
virtù, non perde la sua essenza razionale, ma partecipa, anche se non del
tutto, di saggezza, d’intelligenza, d’arte e di giustizia, che gli uomini
[esercitano] tra loro – infatti quando fanno un torto a qualcuno credono
di agire giustamente e di trattarlo secondo il suo merito –; così l’uomo
è una bella creatura, tanto bella quanto può essere, ed è posto nell’universo
in modo da avere una sorte migliore di tutti gli esseri che vivono sulla terra.
Nessuno che abbia senno potrà rimproverare [alla provvidenza] l’esistenza di
altri animali inferiori che sono l’ornamento della terra. E
infatti sarebbe ridicolo lamentarsi perché essi mordono gli uomini, come
se gli uomini dovessero vivere sempre nel sonno. E necessario che anche questi
[animali] esistano: alcuni sono manifestamente utili, altri svelano per lo più
col tempo la loro utilità, poiché nessuno è inutile né per sé né agli uomini.
Obiettare che fra essi ci sono molte fiere selvagge è
ridicolo, dal momento che anche alcuni uomini diventano bestie; e se esse non
si fidano degli uomini, ma diffidano e si difendono, che c’è da meravigliarsi?
10. [L’uomo si muove
liberamente nel mondo delle azioni]
Ma se gli uomini sono cattivi contro il
loro stesso volere e involontariamente, nessuno potrà accusare né coloro che offendono, né coloro che soffrono l’offesa, come
se questi soffrissero per causa di quelli. E se è fatale che essi diventino
cattivi o per causa del movimento del cielo o perché l’avvenimento susseguente
si collega all’antecedente, avviene così per natura. E se la ragione stessa è
quella che produce [la natura], come non produrrebbe
anche le cose ingiuste?
Sì, gli uomini sono cattivi
involontariamente, poiché l’errore è involontario; ma ciò non impedisce che
essi siano esseri che agiscono da se stessi: di conseguenza, siccome agiscono
di per sé, anche per ciò errano e non errerebbero affatto
se non fossero loro ad agire. Il principio della fatalità [della colpa] non è
esterno a loro, se non in un senso generale. Il movimento del cielo poi non è
tale da far sì che nulla dipenda da noi: perché se il tutto venisse da fuori,
esso sarebbe come hanno voluto coloro che lo hanno
fatto; e gli uomini, anche se empi, non potrebbero opporsi a quanto hanno fatto
gli dei; ora, questa opposizione viene proprio dagli uomini.
E poi, dato il
principio ne segue la conseguenza, purché per spiegare la conseguenza si
considerino tutti i principi; ora, anche gli uomini sono principi. Essi infatti si muovono verso le cose oneste, per loro natura, e
questo è il principio indipendente.
11. [L’universo è, nella sua
struttura, pluralistico]
È forse per necessità naturali e per
concatenazione [di eventi] che ogni cosa è quella che
è ed è bella quanto è possibile?
No, ma è la Ragione che fa tutto da
sovrana e secondo la sua volontà e quando fa gli
esseri detti cattivi agisce conforme a se stessa non volendo che tutto sia
buono; come un pittore non fa soltanto occhi in un animale, così la Ragione non
fa soltanto esseri divini, ma fa gli dei, i demoni che sono al secondo posto,
poi gli uomini e infine gli animali, non per invidia ma per mezzo della ragione
formale che contiene in sé tutta la varietà degli intelligibili. E noi siamo
come quegli ignoranti che criticano il pittore perché non ha messo ovunque i
suoi bei colori, mentre ha messo in ogni parte i colori che convenivano. Le
città ben governate non sono composte di eguali. È come se si biasimasse un
dramma, perché in esso tutti non sono eroi, ma c’è un
servitore, o un rusticone dalla voce rozza; il dramma non è più bello se si
sopprimono queste parti secondarie, anzi è completato da queste.
12. [Ogni anima occupa il
posto che le è dovuto]
Se dunque la Ragione stessa ha prodotto
questi esseri adattandosi alla materia, poiché essa ha la proprietà di essere
composta di parti dissimili e trae queste proprietà dall’[Intelligenza] che è
prima di lei, l’opera sua, così com’è, non potrebbe essere più bella. La
ragione non è composta di parti tutte simili ed eguali, e di ciò non la si deve biasimare, poiché essa è tutti gli esseri e
ciascuno particolarmente in modo diverso. Se essa avesse introdotto [nel mondo]
esseri estranei a sé, per esempio delle anime, e poi ne avesse
forzate parecchie a contrastare alla loro natura per accordarle con la
creazione, come [avrebbe agito] rettamente? Ma bisogna
affermare che anche le anime sono come parti della ragione e che questa non le
rende peggiori per accomodarle [alla creazione], ma pone ciascuna secondo il
merito nel luogo che le conviene.
13. [Gli eventi nel tempo
accadono secondo giustizia]
E poi non bisogna rigettare quel
ragionamento per il quale si deve guardare per ciascun essere non [solo] al suo
stato presente, ma ai suoi periodi passati e anche al suo avvenire, sicché di
qui si deve partire per distribuire [le sorti] secondo il merito: di quelli che
sono stati prima padroni, farne degli schiavi se sono
stati cattivi padroni; e questo è un vantaggio per loro; rendere poveri coloro
che hanno adoperato male le loro ricchezze, poiché non è svantaggiosa ai buoni
la povertà. Coloro che hanno ucciso ingiustamente vengono a loro volta uccisi,
ingiustamente per chi commette [il delitto], ma giustamente per colui che ne è vittima: colui che dovrà essere vittima
incontrerà l’uomo pronto a fargli subire il trattamento che egli deve soffrire.
Non per caso si è schiavi o prigionieri o si subiscono delle violenze, ma
perché si sono compiuti una volta quegli atti che ora si devono subire. Chi ha
ucciso la propria madre rinascerà donna per essere
ucciso dal figlio, chi ha violentato una donna rinascerà donna per essere
violentata; di qui la divina formula Adrastea; questo è ordine veramente
inevitabile, vera giustizia, ammirabile saggezza.
Bisogna ammettere che l’ordine
dell’universo è tale da estendersi a tutte le cose che vediamo, e che esso si
estende anche alle più piccole; quest’arte ammirabile non regna soltanto nelle
cose divine ma anche in quegli esseri che potremmo credere disprezzati dalla
provvidenza per la loro esiguità: e veramente meravigliosa è la varietà in
qualsiasi essere vivente, fino alle piante stesse che son tanto belle nei loro
frutti e fronde, coi loro fiori appena sbocciati, coi
rami agili e multiformi; tutte queste cose non sono state create una volta per
poi cessare, ma son create continuamente sotto l’influsso degli astri che non
mantengono sempre, rispetto a esse, le loro posizioni. Tutti gli esseri che
così cambiano e si trasformano non si mutano per caso, ma secondo le norme
della bellezza e come conviene agiscano le potenze divine. Il divino infatti agisce sempre secondo la sua natura e la sua
natura, dipende dalla sua essenza, e la sua essenza esplica nelle sue azioni la
bellezza e la giustizia. Se queste non fossero lassù, dove si troverebbero?
14. [Soltanto nel mondo
dell’Intelligenza ogni essere è tutti gli esseri]
Quest’ordine dunque è conforme
all’Intelligenza, pur non derivando da un atto di riflessione; ed esso è tale
che, se si fosse potuta adoperare la migliore riflessione, questa non avrebbe
trovato da creare, oh meraviglia!, se non ciò che noi
conosciamo; e anche nelle singole cose esso deriva eternamente
dall’Intelligenza piuttosto che da un ordine [escogitato] dalla riflessione. In
ognuno dei generi di cose che incessantemente divengono, non c’è da accusare la
Ragione creatrice, purché taluno non pensi che esse dovrebbero essere come gli
esseri immobili ed eterni che sono nel mondo intelligibile o in quello
sensibile, chiedendo così un’aggiunta di bene e giudicando insufficiente la
forma data a ciascun essere; per esempio [si criticherà] perché non [siano
state date] le corna a un qualche animale, poiché non si pensa che è impossibile che la ragione si estenda a tutto, che il più
grande deve contenere il più piccolo, che il tutto deve contenere le parti, le
quali non possono essere eguali, se no, non sarebbero parti. Nel mondo
intelligibile ogni essere è tutti gli esseri, quaggiù
ogni cosa non è tutte le cose. Anche l’uomo singolo in quanto
è una parte [del mondo] non è tutto. Ma se in alcune
parti c’è un essere che non sia una parte, anche quelle parti sono delle
totalità. Non si deve richiedere all’essere particolare in
quanto tale di raggiungere in perfezione la vetta della virtù;
altrimenti non sarebbe una parte.
Certamente l’universo non lesina per
gelosia nell’adornare le sue parti per aumentarne il pregio: difatti esso fa
più bello il Tutto, se le parti sono meglio adornate. E queste parti diventano
tali in quanto si fanno simili al Tutto e possono
imitarlo e conformarsi a lui, affinché ci sia, anche nella regione degli
uomini, qualcosa che brilli, come gli astri nel cielo divino; di qui noi lo
contempliamo come una grande e bella statua animata e prodotta dall’arte di
Efesto; sulla sua fronte splendono stelle, altre sul suo petto e ovunque
occorrerà che esse siano collocate a risplendere.
15. [Significato dei conflitti
nel mondo sensibile]
Così sono le cose considerate
singolarmente. Ma il loro reciproco legame, sia che
esse siano state generate nel passato o siano generate in ogni istante, suscita
obiezioni e difficoltà, sia per la voracità degli animali nel divorarsi tra
loro, sia per i conflitti reciproci degli uomini, sia per la guerra che continua
perenne e non ha pace né tregua; e soprattutto quando si dica che la Ragione ha
fatto tutto questo e che così va bene. Contro coloro
che parlano così non vale il precedente ragionamento, secondo il quale tutto è
nel miglior modo possibile, la materia è la causa per cui le cose si trovano a
essere in una condizione inferiore, il male non può sparire se le cose devono
essere come sono, e perciò bene, la materia non è apparsa per dominare, ma è
stata introdotta, perché si raggiungesse tale ordine o, per dir meglio, essa si
trova così per causa della Ragione. In tal modo la ragione è principio ed è
tutto; e tutto ciò che diviene diviene e si ordina in
modo conforme alla Ragione. Ma da dove deriva allora
la necessità dell’implacabile guerra tra gli animali e tra gli uomini?
È necessario che gli animali si divorino
tra loro; è questo uno scambio [di vita] tra esseri che non potrebbero, anche
se nessuno li uccidesse, sussistere eternamente. Se nel tempo in cui essi
devono morire, la loro morte può essere utile ad altri, che cosa si dovrebbe
obiettare? Che cosa [obietteremo], dal momento che gli
esseri divorati nascono sotto altre forme? Similmente, l’attore ucciso sulla
scena cambia aspetto e riappare sotto altre spoglie,
ma non è morto veramente. Se anche il morire è un cambiare di corpo, come
l’attore cambia di abito, o anche per alcuni è abbandonare il corpo, come un
attore che avendo fatto la sua parte esce per sempre dal teatro per non
riapparire più sulla scena, che ha di terribile questo cangiamento degli animali
gli uni negli altri? Per loro non è migliore questa sorte piuttosto che il non
essere mai nati? Se essi fossero privi di vita non
potrebbero certo aver relazione con quella di altri. Ma c’è nell’universo una
vita multiforme che produce tutti gli esseri e li foggia
nelle loro varie forme di vita e non cessa mai di produrre questi belli e
graziosi giocattoli viventi. Gli uomini si armano gli uni contro gli altri
perché sono mortali; e i loro ordinati combattimenti, che assomigliano a danze
pirriche, ci mostrano che gli affari degli uomini sono semplicemente dei giochi
e che la morte non è nulla di terribile; che morire nelle guerre e nei
combattimenti è anticipare un po’ il termine della vecchiezza, è partire più
presto per ritornare poi nuovamente. Ma se rimanendo vivi
perdono i loro beni, conosceranno così che quei beni non appartenevano a loro e
che è un risibile possesso per gli stessi ladri quello che può essere tolto
anche a loro da altri; e anche per coloro che non ne vengono spogliati il
possesso diventa peggiore della spoliazione.
Come sulle scene del teatro, così
dobbiamo contemplare anche [nella vita] le stragi, le morti, la conquista e il
saccheggio delle città come fossero tutti cambiamenti di scena e di costume,
lamenti e gemiti teatrali. Infatti, in tutti i casi della vita, non è la vera
anima interiore, ma un’ombra dell’uomo esteriore quella che si lamenta e geme e
sostiene tutte le sue parti su questo vario teatro che è la terra tutta. Tali
sono le azioni dell’uomo che sa vivere soltanto una vita inferiore ed esteriore
e non sa che le sue lacrime e i suoi affari sono un puro gioco. Soltanto con la
parte saggia [della sua anima] l’uomo deve prendere sul serio le cose serie,
ogni altra parte di lui è un giocattolo, ma coloro che non
conoscono ciò che è serio prendono sul serio i loro giochi e sono
giocattoli essi stessi. Se qualcuno fa le stesse cose giocando con costoro
sappia che si è imbattuto in un gioco di ragazzi e ha perduto la sua dignità. E
se anche Socrate gioca, egli gioca con ciò che v’è in
lui di esteriore. E bisogna anche pensare che le lacrime e i lamenti non sono necessariamente indizi di mali reali: infatti anche
i fanciulli piangono e si lamentano per cose che non sono mali.
16. [L’unità della Ragione
cosmica deriva dai contrari]
Ma se è vero
quanto s’è detto, come potrà esistere ancora la malvagità? Dove saranno
l’ingiustizia e la colpa? E come, se tutto è bene, coloro che
agiscono potranno essere ingiusti e colpevoli? E perché ci sono degli
infelici, se non commettono ingiustizie né colpe? Come distingueremo azioni
secondo natura e azioni contro natura se tutto ciò che si fa è
secondo natura? Com’è possibile l’empietà verso il divino, se la sua opera è
così buona? Sarebbe allora come se un poeta drammatico ponesse sulla scena un
personaggio che l’oltraggi e l’offenda.
Diciamo dunque di nuovo e con maggiore chiarezza che cosa è la Ragione e come è giusto che essa sia tale. Questa Ragione – si
abbia audacia, perché così forse arriveremo allo scopo – non è la pura
Intelligenza o l’Intelligenza in sé, nemmeno è l’anima pura, ma ne dipende ed è
come un raggio luminoso uscito da l’una e da l’altra:
l’Intelligenza e l’anima che si conforma all’Intelligenza generano questa
Ragione che è una vita la quale possiede segretamente una ragione. Ogni vita,
anche la più vile, è un atto: questo atto non è come
quello del fuoco poiché esso è un movimento che non avviene per caso, anche se
non c’è alcuna percezione. Le cose che non hanno coscienza e che in qualche
modo partecipano [della vita], sono immediatamente sottomesse alla Ragione,
cioè ricevono una forma, poiché l’atto [della Ragione] è capace di informarle
conforme alla sua vita e di muoverle in modo da dar loro una forma. Il suo atto
dunque è artistico, paragonabile al movimento di un danzatore; il danzatore infatti assomiglia a questa vita che procede
artisticamente; l’arte lo muove e lo guida così come procede la vita negli
esseri. E tutto ciò sia detto perché si capisca meglio che cosa debba essere
ogni vita.
Dunque questa Ragione procedente
dall’Intelligenza una e dalla Vita una, ambedue
perfette, non è in sé una Vita una né un’Intelligenza una, non è del tutto
perfetta né si dà tutt’intera alle cose alle quali dà. Ma opponendo fra loro le
parti, e creandole perciò difettose, produce un motivo e un principio di guerra
e di lotta; e così essa è un tutt’uno pur non essendo
un’unità [indivisibile].
Pur essendo nemica a se stessa nelle sue
parti, essa è egualmente una e armonica quanto il soggetto di un dramma che è
uno pur contenendo in sé molti conflitti. Il dramma accorda e armonizza questi
conflitti mettendo innanzi il quadro completo dei
protagonisti in lotta; così dall’unica Ragione deriva il conflitto tra le parti
separate. Perciò è meglio paragonare quest’armonia a quella che [risulta] dai
contrari e cercare perché ci siano dei contrari nelle ragioni delle cose. E
come, nella musica, acuto e grave formano un rapporto musicale e cospirano, in quanto elementi dell’armonia, all’unità, cioè a
un’armonia che è un rapporto più grande, del quale quelli sono le parti più
piccole, così nell’universo noi vediamo dei contrari: il bianco e il nero, il
caldo e il freddo, l’animale alato e il privo d’ali, quello che ha piedi e
quello che non li ha, il ragionevole e l’irragionevole; tutte queste son parti
di un unico vivente che è l’universo, e l’universo è d’accordo con se stesso
anche se le parti sono spesso in lotta tra loro, poiché l’universo è secondo
Ragione; ed è necessario poi che quest’unità della Ragione derivi dai contrari,
poiché questa contrarietà dà a essa la sua consistenza e quasi l’essere suo.
Se essa non fosse molteplice
non sarebbe né un tutto né una ragione; in quanto è Ragione, è differenziata in
sé, e la massima delle differenze è la contrarietà. Cosicché, se ci sono in
genere degli esseri differenti e se la Ragione li rende tali, essa li farà
differenti più che è possibile, non meno; sicché facendoli
estremamente differenti li farà necessariamente anche contrari; ed essa sarà
perfetta se li farà non soltanto differenti, ma anche contrari.
17. [La parte delle anime nel
dramma dell’universo]
Essendo dunque tale [la Ragione] nella
sua complessa attività, essa produrrà le cose tanto più contrarie quanto più esse sono disperse [nello spazio]: perciò il mondo sensibile
ha meno unità della sua ragione ed è perciò più molteplice; maggiore vi è la
contrarietà e in ogni individuo c’è un maggior desiderio di vivere e un più
ardente amore dell’unità. Spesso l’amante che tende al suo
proprio bene distrugge l’amato, quando questo è perituro; l’aspirazione
di ciascuna parte all’universo attrae a sé ciò che può. E così ci sono i buoni
e i cattivi, così come le due parti di un coro, [obbedendo] a una stessa arte,
si muovono in senso opposto l’una all’altra; noi diremo che una parte è buona e
l’altra è cattiva, e così va bene.
Ma allora non ci sono più cattivi!
Non si nega che i cattivi esistano, ma
solo che essi non sono tali per se stessi.
Ma forse bisogna perdonare i cattivi;
purché questo compito di perdonare o no non tocchi alla Ragione; ma la Ragione
vuole che non si perdoni ai cattivi.
Ma se quaggiù da una parte ci sono i
buoni e dall’altra i cattivi – e questi sono in numero maggiore –
avviene come nei drammi in cui il poeta assegna agli attori la loro parte e si
serve di quelli che ci sono; e non è lui che dà agli attori
la prima o la seconda o la terza parte, ma assegna a ciascuno la parte
conveniente e il posto in cui deve stare. Similmente, [nel mondo] c’è un posto
per ciascuno, quello che conviene al buono e quello che conviene
al cattivo. E l’uno e l’altro, conforme alla natura e alla Ragione, vanno in
questo o quel luogo e occupano il posto conveniente, che essi hanno scelto. Poi
ambedue parlano e agiscono: l’uno parla e agisce empiamente, l’altro fa il
contrario: infatti gli attori sono quello che erano
già prima del dramma e si presentano come sono. Nei drammi umani il poeta
assegna le parti; gli attori poi devono pensarci loro a fare bene o male; la
loro opera comincia dopo l’assegnazione fatta dal poeta. Nel dramma vero,
imitato in parte da quegli uomini che hanno natura poetica, l’anima è l’attore:
la sua parte essa la riceve dal Poeta [dell’universo]; e come i nostri attori
ricevono le maschere, i costumi, una gialla tunica o uno straccio di vestito,
l’anima riceve la sua sorte e non a caso, ma anch’essa secondo ragione: [l’anima] vi si adatta e si conforma al dramma e alla Ragione
dell’universo, poi si esprime nelle sue azioni e in ogni altra cosa che compie
secondo il suo carattere, come in un motivo musicale. La voce e il
comportamento son belli o brutti per se stessi ed evidentemente o aggiungono
decoro al dramma o vi introducono la stonatura della
voce, non mutando così affatto il valore del dramma, poiché è l’attore che se
comportato male; allora l’autore del dramma lo licenzia giudicandolo secondo il
suo merito e agisce così da buon giudice, mentre innalza a maggiori onori [il
bravo attore] e lo riserva, eventualmente, per drammi più importanti e
all’altro assegna, caso mai, le parti minori. Nello stesso modo [l’anima], entrata nel poema di questo mondo, vi fa la sua
parte come l’attore di un dramma portando con sé il suo bene o il suo male;
appena giunta viene messa al suo posto e riceve ogni altra cosa, ma non però il
suo essere e le sue proprie azioni, per le quali poi ottiene castighi o premi.
Ma questi attori hanno qualcosa di più in quanto rappresentano la loro parte sopra un teatro più
vasto delle nostre scene; il Poeta [dell’universo] li fa padroni di questo
mondo ed essi hanno la maggiore possibilità di andare in molti e diversi luoghi
e di separare onore da infamia contribuendo, essi stessi, al proprio onore o
alla propria infamia, ciascuno nel luogo che conviene ai suoi costumi: in
questo modo si accordano con la Ragione dell’universo, per il fatto che
ciascuno si adatta, secondo giustizia, al posto che lo accoglierà, così come
[in una lira] ciascuna corda è collocata in un posto particolare e conveniente
alla natura del suono che essa è capace di produrre.
Nel mondo vi saranno ordine e bellezza,
se ciascuno è messo dove deve stare e se chi dà un suono cattivo
è gettato nel tenebroso Tartaro; perché là è bello un tal suono. Questo mondo
non sarebbe bello se ogni essere fosse una pietra, ma se con la sua voce
concorre a un’unica armonia: e anche la sua voce è una vita, anche se fievole,
o mediocre, o imperfetta; neanche il suono del flauto è unico, ma esso dà
ancora suoni leggeri e deboli che concorrono all’armonia totale; infatti l’armonia si divide in parti non eguali e tutti i
toni sono dissimili, ma il suono perfetto è quello unico formato da tutti gli
altri.
Anche la Ragione universale è una, però è divisa in parti non eguali: perciò nell’universo ci
sono regioni, buone e cattive; e le anime ineguali corrispondono così ai luoghi
non eguali. Ne consegue che le regioni del nostro mondo sono dissimili
proprio come le anime e che queste, dissimili, occupano luoghi
dissimili, come nel flauto o in un altro strumento c’è la diversa lunghezza
[delle canne]; [le anime] occupano ciascuna un luogo diverso e ciascuna nel suo
proprio luogo dà il suono che s’accorda con la sua posizione e col tutto. Anche
il cattivo suono delle anime ha il suo posto nella bellezza dell’universo e
ciò, che [in esse] è contro natura, è secondo natura
per l’universo; nondimeno quel suono è più debole. Tuttavia esso non rende per
questo l’universo peggiore, come il boia, che è un male – se vogliamo
adoperare un’altra immagine –, non rende peggiore una città ben
governata. Anch’egli è necessario in una città e di tali uomini c’è spesso bisogno
e perciò è bene che anche egli ci sia.
18. [Tutte le anime,
nell’universo, sono parti della Ragione]
Alcune anime diventano migliori o
peggiori per diversi motivi, altre invece non sono sin da principio tutte
eguali e sono tali in rapporto con la Ragione di cui sono le parti, le quali sono ineguali perché sono separate. Dobbiamo
pensare che ci sono [nell’anima] parti di secondo e di terzo ordine e che
un’anima non agisce sempre secondo le stesse parti. Ma
siccome l’argomento richiede ancora molto per essere chiarito, bisogna dire di
nuovo così: non si devono ammettere certi attori che recitino un altro lavoro
che non sia quello del poeta; quasi che il suo dramma sia imperfetto, essi
aggiungono ciò che manca, come se il poeta avesse lasciato qua e là delle
lacune: in tal modo questi attori non sarebbero più attori, ma una parte del
poeta, e saprebbero prima ciò che diranno così da poter collegare
convenientemente ciò che segue col principio [del dramma]. Infatti
nell’universo le conseguenze e i risultati delle cattive azioni sono o Ragione
o conformi a Ragione; così da un adulterio o da un assalto armato possono
provenire figli di buona indole e uomini e nuove città migliori di quelle che
sono state saccheggiate da uomini malvagi.
Se è dunque assurdo introdurre [nel
mondo] delle anime che abbiano l’iniziativa le une del bene e
le altre del male – in tal modo noi priveremmo la Ragione anche delle
buone azioni se le togliessimo quelle cattive – che cosa impedisce che il
bene e il male dell’universo siano parti della Ragione universale come sulla
scena le azioni degli attori sono parti del dramma? E così ciascun attore si
comporta secondo Ragione quanto più completo è il dramma e quanto più ogni cosa
[dipende] dalla Ragione. Ma a quale scopo produrre il
male? Le anime, anche le più divine, non sono nell’universo che parti della
Ragione: e le ragioni sono tutte anime. Ma perché alcune saranno anime, altre
soltanto ragioni, dal momento che ogni ragione è
un’anima?
Plotino (Licopoli, Egitto 204-Campania 270 ca.). Allievo di Ammonio Sacca (Alessandria 175-242), l’iniziatore del neoplatonismo, insegnamento che fondeva platonismo e pitagorismo sulle tracce di Numenio di Apamea (Grecia, sec. II a.C.). Autore delle Enneadi, Plotino arrivò con la sua dottrina a influenzare autori quali Scoto Eriugena, Meister Eckart, Nicola Cusano, Avicenna e Maimonide.
* Estratti da Enneade
III, Trattato II, La Provvidenza, libro I (cfr. Plotino, Enneadi,
a cura di Giuseppe Faggin, Rusconi, Milano, 1992).
Tratto da: https://letteraespirito.wordpress.com
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