"…la dottrina è infallibile, è a causa del fatto che essa è un’espressione della verità, la quale, in se stessa, è assolutamente indipendente dagli individui che la ricevono e che la comprendono. La garanzia della dottrina risiede in definitiva nel suo carattere «non-umano»". René Guénon, Considerazioni sull’iniziazione, cap. "Sull’infallibilità tradizionale"

giovedì 28 settembre 2017

Plotino, Enneade III: La Provvidenza

Plotino
Enneade III: La Provvidenza*

1. [La provvidenza universale è la conformità del mondo all’Intelligenza]
Quanto sia assurdo e degno di un uomo incapace di comprendere e di guardare, l’attribuire al meccanicismo e al caso l’esistenza e la formazione dell’universo, è chiaro anche prima di ogni ragionamento; e ci sono d’altronde molti argomenti sufficienti a provare tale assurdità.
Però è necessario, esaminando il problema dai suoi principi, considerare quale sia il modo di nascere e di formarsi di tutte le cose, delle quali alcune, essendo non rettamente costituite, ci fanno dubitare della provvidenza universale, sicché accade che alcuni addirittura la neghino, altri considerino il mondo come l’opera di un cattivo Demiurgo. Tralasciamo pure quella provvidenza particolare che è il ragionamento prima dell’azione, col quale ci chiediamo se occorra compiere o no quell’atto non necessario, e che cosa ne derivi o non derivi a noi; consideriamo soltanto la provvidenza universale e, supponendone l’esistenza, deduciamone le conseguenze.
Se affermiamo che il mondo non è sempre esistito ma esiste solo da un certo tempo, porremo una provvidenza simile a quella che abbiamo ora nominata riguardo alle cose particolari: cioè una previsione e un calcolo di Dio sul come creare il mondo e renderlo il migliore possibile. Ma poiché noi affermiamo che il mondo esiste sempre e non v’è momento in cui esso non esista, dobbiamo giustamente concludere che c’è una provvidenza universale e che essa è la conformità dell’universo all’Intelligenza; che l’Intelligenza gli è anteriore, non cronologicamente, ma in quanto esso deriva dall’Intelligenza, la quale gli è anteriore per natura, ne è la causa, l’archetipo e modello, di cui il mondo è immagine, esistente e sussistente per opera dell’Intelligenza, in questo modo.
La natura dell’Intelligenza e dell’Essere, costituiscono il mondo vero e primo, che non esce fuori di se stesso, e non perde la sua forza per divisione, né diventa incompleto in nessuna delle sue parti, poiché ciascuna di esse non è separata dal Tutto, ma ogni sua vita e intelligenza vive e intende insieme in una unità, così che ogni parte diventa un tutto ed è unita a se stessa senza essere separata da un’altra, ed essendo soltanto differente rispetto alle altre, non è però estranea: nessuna parte fa torto a un’altra, neanche se è il suo contrario. Ovunque una e completa, l’Intelligenza è immobile e non accoglie nessuna alterazione, poiché nessuna parte agisce sull’altra. E perché dovrebbe agire, se non ha difetti? Perché la Ragione produrrebbe una ragione, e l’Intelligenza un’altra Intelligenza? Il potere di produrre da sé non è affatto degli esseri perfetti, poiché il produrre e il muoversi sono in proporzione della [propria] imperfezione. Per gli esseri del tutto beati basta essere immobili in se stessi ed essere quello che sono; essi non corrono il rischio di occuparsi di molte cose, perché sarebbe per loro uscire da se stessi. Ma così è beato anche quel [mondo]: ed esso è tale che, pur non agendo, fa grandi cose e rimanendo immobile compie opere non piccole.

2. [L’universo sensibile partecipa di Intelligenza e ragione]
Da quel mondo vero e uno trae infatti la sua esistenza questo mondo che non è veramente uno; questo è multiplo e diviso in molte parti separate ed estranee fra loro; e più non [regna] sola l’amicizia, ma anche l’odio in causa della separazione spaziale; e così ogni cosa, perché imperfetta, è necessariamente nemica di ogni altra. Ogni parte infatti non basta a se stessa, ma, pur abbisognando d’essere conservata da un’altra, è poi nemica di quella da cui è conservata; [questo mondo] non è sorto per un atto di riflessione [dell’Intelligenza] sulla necessità di crearlo, ma [deriva] da una necessità della seconda natura: poiché quel mondo [intelligibile] non era tale da essere l’ultimo degli esseri. Infatti esso è il primo e ha molta potenza, anzi tutta: possiede dunque la potenza di produrre un altro essere senza lo sforzo di produrlo. Se facesse uno sforzo, non da se stesso né dalla sua essenza trarrebbe tale potere, ma sarebbe simile a un artigiano che non ha da sé il potere di produrre, ma lo acquista ottenendolo dall’apprendimento.
L’Intelligenza dando qualcosa di se stessa alla materia produce tutte le cose serenamente e immobilmente: e ciò [che essa dà] è la ragione che procede dall’Intelligenza. Dall’Intelligenza infatti procede la ragione e sempre procede fino a che l’Intelligenza sia presente negli esseri. Come in una ragione seminale tutte le parti [del vivente] sono insieme in uno stesso punto, senza che l’una contrasti all’altra o la combatta o la impedisca, mentre [nell’essere] che poi nasce col suo corpo, ogni parte occupa un posto diverso ostacolando e distruggendo le altre, così dall’Intelligenza una e dalla ragione che ne deriva nasce questo mondo esteso, nel quale, necessariamente, vi sono parti amiche tra loro e concordi, altre invece odiose e nemiche, le quali o volontariamente o involontariamente si danneggiano a vicenda e distruggendosi originano altre; tra le parti che agiscono e patiscono in tal modo si determina un’unità armonica poiché ciascuna di esse dà il suo proprio suono, poiché la ragione che è in esse produce l’armonia e l’ordine nella totalità.
Questo universo non è, come quello [intelligibile], Intelligenza e ragione, ma partecipa di Intelligenza e di ragione. Esso ha bisogno di armonia «poiché vi concorrono l’Intelligenza e la necessità»; questa lo trae verso il male e lo porta verso l’irrazionalità, essendo essa stessa irrazionale; però, l’Intelligenza domina sulla necessità. Il mondo intelligibile è soltanto ragione e non potrebbe nascerne un altro che fosse soltanto ragione; se nasce un’altra cosa, questa sarà necessariamente inferiore e non [pura] ragione; nemmeno sarà la materia, poiché essa è priva di ordine; sarà dunque un misto delle due. Il mondo si risolve dunque in materia e ragione: ne è origine l’Anima che presiede a questo mescolamento, la quale non si deve credere che si affatichi poiché governa l’universo molto agevolmente con una certa presenza.

3. [Bisogna guardare all’universo nella sua totalità]
Nessuno può, se non a torto, disprezzare questo mondo, quasi non sia bello e il migliore degli esseri corporei, e accusare chi è causa della sua esistenza. Anzitutto, esso esiste necessariamente e non deriva da un atto di riflessione, ma da un essere superiore che genera per natura un essere simile a se stesso; e se anche fosse stato prodotto per un atto di riflessione, chi l’ha prodotto non avrebbe da vergognarsene: poiché il tutto che egli ha prodotto è bello e sufficiente a se stesso, unito a sé e a tutte le sue parti, grandi e piccole, in modo egualmente conveniente. Perciò chi accusa il tutto guardando alle parti fa un’accusa assurda, poiché bisogna esaminare le parti in relazione al tutto, [per vedere] se convengono e armonizzano con esso, ed esaminare il tutto senza fermarsi ai piccoli dettagli. Non accusa certo il mondo colui che ne considera separatamente qualche parte; è come se qualcuno considerasse di un animale intero soltanto un capello o un dito dei piedi trascurando la totalità dell’uomo che è uno spettacolo divino; o come se si lasciassero da parte, per Zeus, tutti gli altri viventi per guardare al più abietto o, tralasciando tutta una specie, ad esempio quella umana, si ponesse al centro solo Tersite.
Ora, poiché ciò che è stato fatto è il mondo nella sua totalità, chi lo consideri così, forse lo sentirà parlare in questo modo: «Un Dio mi ha fatto e io che son venuto da Lui sono perfetto poiché comprendo tutti i viventi, basto a me stesso e non ho bisogno di nessuno, poiché sono in me tutte le piante e gli animali e gli esseri tutti che nascono, molti dei e turbe di demoni, anime buone e uomini felici per virtù. Non soltanto la terra è adorna di piante e di animali di ogni specie e non soltanto il mare ha ricevuto la potenza vitale; anche l’aria, l’etere e il cielo sono tutti partecipi di vita, poiché ivi son tutte le anime buone che danno la vita agli astri e alla sfera eterna del cielo che, a imitazione dell’Intelligenza, gira saggiamente con moto circolare sempre intorno al medesimo centro, poiché nulla essa cerca al di fuori di sé. Tutti gli esseri che sono in me aspirano al bene e ciascuno lo raggiunge secondo il suo potere. Da Lui dipendono tutto il cielo, la mia anima intera, gli dei che sono nelle mie parti, tutti gli animali, le piante e gli esseri apparentemente inanimati che sono in me. Di questi esseri, alcuni partecipano soltanto dell’esistenza, altri della vita, altri hanno in più la sensibilità, altri hanno anche la ragione, altri la vita completa. Non bisogna richiedere da questi esseri diversi effetti eguali; al dito non si può chiedere di vedere, ma all’occhio; al dito si richiede qualche altra cosa, cioè di essere dito e di compiere la sua funzione».

4. [I conflitti nell’universo obbediscono a una legge]
Se il fuoco è spento dall’acqua e se altra cosa è distrutta dal fuoco, non bisogna stupirsi. Poiché un’altra cosa l’ha condotto all’esistenza e non s’è prodotto da sé, perciò è distrutto da un’altra; esso è venuto all’esistenza per la distruzione di un’altra cosa e, se è così, la sua distruzione non ha in sé nulla di terribile, perché, una volta distrutto, il fuoco è sostituito da altro fuoco. Nel cielo incorporeo ogni singola cosa sussiste, nel nostro cielo il tutto vive sempre insieme con le sue parti più preziose e importanti, ma le anime che cambiano di corpo rinascono sotto nuovi aspetti e, quando possono, sfuggono alla nascita e si congiungono all’Anima del mondo. Ci sono poi corpi che vivono per la loro specie e per il loro gruppo, poiché da essi altri viventi trarranno esistenza e nutrimento: vita mobile quaggiù, ma lassù immobile.
Il movimento deve venire dall’immobilità; dalla vita che è in se stessa, una vita diversa, una specie di soffio infaticabile che è come il respiro della vita immobile. Tra i viventi sono necessari i conflitti e le distruzioni, poiché essi sono nati e non sono eterni. E sono nati poiché la ragione occupa tutta la materia e tutti li contiene in sé, essendo essi lassù nel cielo intelligibile: donde verrebbero se non fossero là? I torti che gli uomini si fanno reciprocamente hanno la loro causa nel desiderio del bene; ma per l’incapacità di raggiungerlo essi escono di cammino e si urtano l’un l’altro. Coloro che agiscono male hanno il loro castigo poiché le loro anime vengono danneggiate dalle loro cattive azioni e poste in un luogo inferiore, perché nulla sfugge all’ordine scritto nella legge dell’universo. L’ordine non nasce dal disordine, né la legge dall’illegalità, come pensa qualcuno, cosicché le cose migliori nascano dalle peggiori e per queste vengano all’esistenza, ma per l’ordine che vi è stato introdotto. Il disordine c’è perché c’è l’ordine; perché c’è la legge e la ragione c’è l’illegalità e l’irragionevolezza, non perché le cose migliori producano le peggiori, ma perché le cose che desiderano possedere il meglio non possono riceverlo o per la loro natura o per varie circostanze o per altri ostacoli. Ciò che si serve di un ordine estrinseco può non realizzarlo, o per opera sua o per colpa di altri e spesso patisce danno per colpa di altri che lo fanno involontariamente nel tendere ad altro scopo.
Gli esseri viventi che hanno il potere di muoversi da sé spontaneamente inclinano ora verso il meglio, ora verso il peggio. Forse non merita ricercare da dove derivi l’inclinazione verso il peggio; nel principio quest’inclinazione è debole, poi aumenta nel suo processo e rende sempre maggiori e più numerosi gli errori. E poi il corpo è unito [all’anima] e necessariamente ne deriva il desiderio; infine, un primo e subitaneo errore che non sia subito represso spinge la volontà verso una completa caduta. Ma la pena tien dietro; e non è ingiusto che l’anima, diventata così [cattiva] subisca le conseguenze del suo stato, né bisogna esigere la felicità per coloro che non hanno fatto nulla che fosse degno di felicità. Soltanto i buoni sono felici: e perciò gli dei sono felici.

5. [I mali esistono quaggiù in funzione del bene]
Se dunque le anime possono essere felici anche in questo mondo e se alcuni non sono felici, non bisogna accusare il luogo, ma la loro incapacità a combattere valorosamente dove sono proposti i premi alla virtù.
Che c’è di strano se coloro che non sono diventati divini non posseggono una vita divina?
La povertà poi e le malattie sono nulla per i buoni, mentre sono un male per i cattivi; e poi, per coloro che posseggono un corpo è necessità ammalarsi. E inoltre, essa non è del tutto senza utilità per l’ordine e la perfezione dell’universo.
Infatti, come la Ragione del mondo si serve degli esseri che si corrompono per la generazione di altri – infatti nulla sfugge al suo dominio – così anche quando il corpo ha un malanno e l’anima che ne soffre viene indebolita, ciò che è colpito dalle malattie e dal male è subordinato a un altro concatenamento e a un altro ordine.
Alcuni di questi [mali] servono a coloro che li subiscono, come ad esempio la povertà e la malattia; il vizio, poi, produce qualcosa di utile nell’universo, poiché diventa esempio di punizione, e molti altri vantaggi esso porta ancora. Infatti esso tien desti, eccita l’intelligenza e la coscienza facendole resistenti sulle vie della colpa, fa vedere qual bene sia la virtù mediante la comparazione coi mali che i cattivi subiscono. Certo, non per questo esiste il male; ma anch’esso, come s’è detto, una volta nato, deve esserci utile. Il più grande potere è quello di saper bene utilizzare il male stesso e di essere capace di adoperare questa cosa informe per [la produzione di] altre forme.
Insomma, bisogna affermare che il male è difetto del bene, ed è necessario che quaggiù ci sia difetto di bene, poiché esso è in altro.
Questo soggetto, in cui è il bene, essendo differente dal bene, Produce il difetto: e infatti esso non è buono. Perciò «non si distruggono i mali», poiché rispetto al bene ci sono degli esseri inferiori gli uni agli altri ed essi, pur avendo nel bene, da cui differiscono, la causa della loro esistenza, divengono ciò che sono allontanandosi [da lui].

6. [Dubbi contro la provvidenza]
A chi dicesse che, contro il merito, i buoni ottengono dei mali e i cattivi dei beni, si può giustamente rispondere che non c’è nessun male per i buoni e nessun bene per i cattivi. Ma allora, perché al buono accadono cose contro natura, al cattivo cose secondo natura? Come sarebbe buona una simile ripartizione? Ma se la conformità alla natura non aggiunge nulla alla felicità, il suo contrario nulla toglie al vizio dei cattivi; che importa essere così o così? Nulla, come avere un corpo bello o brutto.
Ma, in quel modo, ci sarebbe convenienza, ordine, giusta distribuzione, che ora non ci sono: e questo sarebbe una provvidenza perfetta. Non è certo conveniente che ci siano schiavi e che i cattivi siano padroni e i capi delle città e i giusti siano schiavi, anche se questo fatto non aggiunge nulla al possesso del bene e del male. Se il malvagio è padrone può commettere i più grandi delitti; e se i malvagi vincono in guerra, quali scelleratezze commettono verso i prigionieri catturati! Tutte queste cose ci fanno dubitare: come avviene tutto ciò, se c’è una provvidenza? Chi si accinge a produrre qualche opera deve guardare al tutto, ma deve anche ordinare ciascuna parte nel luogo che le conviene, specialmente quando si tratta di esseri animati, viventi o ragionevoli; così la provvidenza [deve] estendersi a tutto e l’opera sua consiste nel non trascurar nulla. Se dunque noi affermiamo che questo universo dipende da un’Intelligenza il cui potere penetra ovunque, bisogna cercare di mostrare come ogni cosa sia come deve.

7. [Ogni cosa occupa il suo posto nell’universo]
Anzitutto bisogna comprendere che quando cerchiamo un bene in un essere misto non dobbiamo richiedere che esso sia così grande come il bene che è nell’essere non misto, né dobbiamo ricercare qualità primarie presso gli esseri di secondo ordine; poiché il mondo ha un corpo, bisogna ammettere che questo gli dia qualche cosa e chiedere al mescolamento solo quel tanto di ragione che esso può accogliere e [vedere] se questa parte non sia difettosa. Così, ad esempio, se si esamina l’uomo sensibile più bello, non si può davvero giudicarlo eguale all’uomo intelligibile, ma approviamo l’opera del Creatore se questo essere, pur essendo fatto di carni, di nervi e di ossa, è dominato dalla ragione in modo che essa possa render belle quelle cose e penetrare la materia.
Ammesso questo, dobbiamo procedere verso il nostro assunto; forse potremo trovare in questi esseri questa provvidenza e potenza meravigliosa, da cui dipende il nostro universo.
[Se consideriamo] le azioni delle anime, le azioni che appartengono alle anime che compiono il male, come ad esempio le offese che arrecano alle altre e si fanno tra loro, non possiamo chiedere alla provvidenza – a meno che non si voglia accusarla di averle fatte cattive – né conto né ragione [di quelle azioni], dal momento che si ammette che «la colpa è di chi ha scelto». S’è detto infatti che le anime devono avere un movimento proprio e poiché non sono anime soltanto, ma viventi [in un corpo], non è da meravigliarsi se esse vivono quella vita che corrisponde al loro stato. Esse non sono discese [nei corpi], perché il mondo esisteva, ma già prima del mondo esse gli appartenevano, si curavano di farlo esistere, di ordinarlo, di fabbricarlo in tutti i modi, sia dirigendolo sia dandogli qualcosa di se stesse, sia discendendovi in un modo o in un altro: non di questo dobbiamo ora trattare, ma, comunque sia, basta perché non si abbia ad accusare la provvidenza.
Ma quando paragoniamo i buoni ai cattivi e vediamo poveri i buoni e i cattivi ricchi e ben forniti di quei beni che dovrebbero possedere anche i loro inferiori che pur sono uomini, e li vediamo dominare i loro popoli e le loro città? Forse che [la provvidenza] non si estende sino alla terra? Ma, oltre alle cose che avvengono secondo ragione, c’è questo che ci prova che essa discende sino alla terra: cioè che le piante e gli esseri viventi partecipano di ragione, di anima e di vita. Ma se si estende fin quaggiù, non domina.
Poiché questo universo è un essere animato unico, è come se qualcuno dicesse che la testa e il viso dell’uomo derivano dalla natura e dalla ragione dominante e attribuisse il rimanente [del corpo] ad altre cause, al caso o alla necessità, spiegando così mediante l’impotenza della natura l’origine delle parti meno importanti. Ma non è santo né pio biasimare la creazione affermando che queste cose non sono bene disposte.

8. [I malvagi comandano per la viltà dei loro sudditi]
Resta da cercare come queste cose siano bene ordinate e come partecipino dell’ordine o, altrimenti, come queste cose siano un male. In ogni essere vivente le parti superiori, il viso e la testa, sono le più belle, fra non sono tali le parti mediane e inferiori. Gli uomini sono nella regione media e inferiore [del mondo], in alto sono il cielo e gli dei che esso contiene; gli dei e il cielo che circonda il mondo formano la maggior parte del mondo, la terra sta al centro e non è che un astro qualunque. Ci stupiamo che negli uomini ci sia l’ingiustizia poiché giudichiamo che l’uomo sia la cosa più preziosa dell’universo e l’essere più saggio di tutti. Invece egli sta in mezzo tra gli dei e le bestie e inclina verso gli uni e verso le altre: alcuni assomigliano agli dei, altri alle bestie, la maggioranza sta nel mezzo.
Coloro che per la loro corruzione son vicini agli animali senza ragione e alle fiere, trascinano e maltrattano gli uomini che sono nel mezzo: e questi, che pur sono superiori a coloro che li maltrattano, si lasciano dominare dagli inferiori poiché sono in certo modo inferiori a essi, perché non sono ancora virtuosi e non sono preparati a non soffrire [quei mali]. Se fanciulli fisicamente esercitati, ma moralmente inferiori per mancanza di educazione, vincessero nella lotta altri fanciulli non educati né fisicamente né moralmente e rubassero loro i cibi e portassero via i loro begli abiti, non sarebbe una cosa da ridere?

E come non agirebbe bene quel legislatore che permettesse che essi soffrissero quei danni a castigo della loro ignavia e inerzia?
Sono stati insegnati loro degli esercizi, ma essi per la loro ignavia e per la loro vita molle e incurante sono rimasti là inattivi, diventando così agnelli grassi preda dei lupi. Per quelli poi che fanno il male, il primo castigo consiste nell’essere lupi e uomini malvagi; esistono inoltre per loro delle pene convenienti che essi devono subire, perché per coloro che sono stati cattivi quaggiù tutto non finisce, ma alle loro azioni antecedenti seguono sempre le conseguenze, secondo ragione e natura, il male per quelle cattive, il bene per le buone.
Questa [vita] certo non è una palestra, ove si fanno dei giochi.
Quando i fanciulli sono cresciuti nell’ignoranza, bisognerebbe che essi, d’ambo le parti, cingessero le spade e prendessero le armi: il loro spettacolo sarebbe superiore a un esercizio ginnastico; invece alcuni sono disarmati, altri sono armati e li vincono. Non tocca a Dio combattere per i pacifici: la legge vuole che alla guerra si salvi colui che è valoroso, non colui che prega, perché raccolgono frutti non quelli che pregano, ma quelli che coltivano la terra, né sono sani coloro che non si prendono cura della loro salute; e non bisogna brontolare se i cattivi hanno un raccolto più abbondante, o se a loro riesca meglio la coltivazione. E poi sarebbe ridicolo compiere a proprio capriccio tutto ciò che riguarda la vita e, benché queste azioni non siano come piace agli dei, esigere la salvezza propria dagli dei senza fare quanto gli dei comandano per la nostra salvezza. La morte è migliore della vita per coloro che vivono contro il volere delle leggi dell’universo; sicché quando i nemici sopravvengono, se la pace fosse loro conservata malgrado le loro follie e i loro vizi, la provvidenza sarebbe troppo negligente a lasciar dominare i più deboli. I cattivi comandano per la viltà dei loro sudditi: ed è giusto così, non il contrario.

9. [L’uomo occupa nell’universo il posto che ha scelto]
La provvidenza non dev’essere tale da ridurci a nulla; se la provvidenza fosse tutto e fosse sola, sarebbe come non fosse: di che sarebbe infatti provvidenza? Esisterebbe solo l’essere divino. E questo esiste davvero, ma esso si diffonde a un altro essere non per distruggerlo, ma si avvicina, per esempio, all’uomo per conservargli il suo essere di uomo, cioè una vita secondo la legge della provvidenza, o meglio, una condotta fedele a quanto la legge prescrive.
Essa prescrive che coloro che diventano buoni avranno una vita buona, la quale sarà loro riservata anche più tardi e che i cattivi avranno il contrario. Coloro che son diventati cattivi e domandano che altri dimenticando se stessi li salvino, fanno voti impossibili; nemmeno gli dei possono trascurare la loro vita per regolare le nostre cose e nemmeno ai buoni che vivono una vita superiore a ogni potenza umana conviene assumere il governo [dei cattivi]; costoro poi non si sono mai curati di aver dei buoni governanti né di cercare per sé chi li diriga, ma provano rabbia se sorge qualche uomo di buona indole; poiché sarebbero di più i governanti buoni, se essi li prendessero come capi.
[L’uomo] non è il migliore degli esseri viventi, ma occupa quel posto medio che ha scelto e nel luogo dove egli si trova la provvidenza non lo lascia perire; il genere umano, sempre ricondotto all’alto da diversi mezzi di cui si serve l’essere divino per far trionfare la virtù, non perde la sua essenza razionale, ma partecipa, anche se non del tutto, di saggezza, d’intelligenza, d’arte e di giustizia, che gli uomini [esercitano] tra loro – infatti quando fanno un torto a qualcuno credono di agire giustamente e di trattarlo secondo il suo merito –; così l’uomo è una bella creatura, tanto bella quanto può essere, ed è posto nell’universo in modo da avere una sorte migliore di tutti gli esseri che vivono sulla terra. Nessuno che abbia senno potrà rimproverare [alla provvidenza] l’esistenza di altri animali inferiori che sono l’ornamento della terra. E infatti sarebbe ridicolo lamentarsi perché essi mordono gli uomini, come se gli uomini dovessero vivere sempre nel sonno. E necessario che anche questi [animali] esistano: alcuni sono manifestamente utili, altri svelano per lo più col tempo la loro utilità, poiché nessuno è inutile né per sé né agli uomini. Obiettare che fra essi ci sono molte fiere selvagge è ridicolo, dal momento che anche alcuni uomini diventano bestie; e se esse non si fidano degli uomini, ma diffidano e si difendono, che c’è da meravigliarsi?

10. [L’uomo si muove liberamente nel mondo delle azioni]
Ma se gli uomini sono cattivi contro il loro stesso volere e involontariamente, nessuno potrà accusare né coloro che offendono, né coloro che soffrono l’offesa, come se questi soffrissero per causa di quelli. E se è fatale che essi diventino cattivi o per causa del movimento del cielo o perché l’avvenimento susseguente si collega all’antecedente, avviene così per natura. E se la ragione stessa è quella che produce [la natura], come non produrrebbe anche le cose ingiuste?
Sì, gli uomini sono cattivi involontariamente, poiché l’errore è involontario; ma ciò non impedisce che essi siano esseri che agiscono da se stessi: di conseguenza, siccome agiscono di per sé, anche per ciò errano e non errerebbero affatto se non fossero loro ad agire. Il principio della fatalità [della colpa] non è esterno a loro, se non in un senso generale. Il movimento del cielo poi non è tale da far sì che nulla dipenda da noi: perché se il tutto venisse da fuori, esso sarebbe come hanno voluto coloro che lo hanno fatto; e gli uomini, anche se empi, non potrebbero opporsi a quanto hanno fatto gli dei; ora, questa opposizione viene proprio dagli uomini.
E poi, dato il principio ne segue la conseguenza, purché per spiegare la conseguenza si considerino tutti i principi; ora, anche gli uomini sono principi. Essi infatti si muovono verso le cose oneste, per loro natura, e questo è il principio indipendente.

11. [L’universo è, nella sua struttura, pluralistico]
È forse per necessità naturali e per concatenazione [di eventi] che ogni cosa è quella che è ed è bella quanto è possibile?
No, ma è la Ragione che fa tutto da sovrana e secondo la sua volontà e quando fa gli esseri detti cattivi agisce conforme a se stessa non volendo che tutto sia buono; come un pittore non fa soltanto occhi in un animale, così la Ragione non fa soltanto esseri divini, ma fa gli dei, i demoni che sono al secondo posto, poi gli uomini e infine gli animali, non per invidia ma per mezzo della ragione formale che contiene in sé tutta la varietà degli intelligibili. E noi siamo come quegli ignoranti che criticano il pittore perché non ha messo ovunque i suoi bei colori, mentre ha messo in ogni parte i colori che convenivano. Le città ben governate non sono composte di eguali. È come se si biasimasse un dramma, perché in esso tutti non sono eroi, ma c’è un servitore, o un rusticone dalla voce rozza; il dramma non è più bello se si sopprimono queste parti secondarie, anzi è completato da queste.

12. [Ogni anima occupa il posto che le è dovuto]
Se dunque la Ragione stessa ha prodotto questi esseri adattandosi alla materia, poiché essa ha la proprietà di essere composta di parti dissimili e trae queste proprietà dall’[Intelligenza] che è prima di lei, l’opera sua, così com’è, non potrebbe essere più bella. La ragione non è composta di parti tutte simili ed eguali, e di ciò non la si deve biasimare, poiché essa è tutti gli esseri e ciascuno particolarmente in modo diverso. Se essa avesse introdotto [nel mondo] esseri estranei a sé, per esempio delle anime, e poi ne avesse forzate parecchie a contrastare alla loro natura per accordarle con la creazione, come [avrebbe agito] rettamente? Ma bisogna affermare che anche le anime sono come parti della ragione e che questa non le rende peggiori per accomodarle [alla creazione], ma pone ciascuna secondo il merito nel luogo che le conviene.

13. [Gli eventi nel tempo accadono secondo giustizia]
E poi non bisogna rigettare quel ragionamento per il quale si deve guardare per ciascun essere non [solo] al suo stato presente, ma ai suoi periodi passati e anche al suo avvenire, sicché di qui si deve partire per distribuire [le sorti] secondo il merito: di quelli che sono stati prima padroni, farne degli schiavi se sono stati cattivi padroni; e questo è un vantaggio per loro; rendere poveri coloro che hanno adoperato male le loro ricchezze, poiché non è svantaggiosa ai buoni la povertà. Coloro che hanno ucciso ingiustamente vengono a loro volta uccisi, ingiustamente per chi commette [il delitto], ma giustamente per colui che ne è vittima: colui che dovrà essere vittima incontrerà l’uomo pronto a fargli subire il trattamento che egli deve soffrire. Non per caso si è schiavi o prigionieri o si subiscono delle violenze, ma perché si sono compiuti una volta quegli atti che ora si devono subire. Chi ha ucciso la propria madre rinascerà donna per essere ucciso dal figlio, chi ha violentato una donna rinascerà donna per essere violentata; di qui la divina formula Adrastea; questo è ordine veramente inevitabile, vera giustizia, ammirabile saggezza.
Bisogna ammettere che l’ordine dell’universo è tale da estendersi a tutte le cose che vediamo, e che esso si estende anche alle più piccole; quest’arte ammirabile non regna soltanto nelle cose divine ma anche in quegli esseri che potremmo credere disprezzati dalla provvidenza per la loro esiguità: e veramente meravigliosa è la varietà in qualsiasi essere vivente, fino alle piante stesse che son tanto belle nei loro frutti e fronde, coi loro fiori appena sbocciati, coi rami agili e multiformi; tutte queste cose non sono state create una volta per poi cessare, ma son create continuamente sotto l’influsso degli astri che non mantengono sempre, rispetto a esse, le loro posizioni. Tutti gli esseri che così cambiano e si trasformano non si mutano per caso, ma secondo le norme della bellezza e come conviene agiscano le potenze divine. Il divino infatti agisce sempre secondo la sua natura e la sua natura, dipende dalla sua essenza, e la sua essenza esplica nelle sue azioni la bellezza e la giustizia. Se queste non fossero lassù, dove si troverebbero?

14. [Soltanto nel mondo dell’Intelligenza ogni essere è tutti gli esseri]
Quest’ordine dunque è conforme all’Intelligenza, pur non derivando da un atto di riflessione; ed esso è tale che, se si fosse potuta adoperare la migliore riflessione, questa non avrebbe trovato da creare, oh meraviglia!, se non ciò che noi conosciamo; e anche nelle singole cose esso deriva eternamente dall’Intelligenza piuttosto che da un ordine [escogitato] dalla riflessione. In ognuno dei generi di cose che incessantemente divengono, non c’è da accusare la Ragione creatrice, purché taluno non pensi che esse dovrebbero essere come gli esseri immobili ed eterni che sono nel mondo intelligibile o in quello sensibile, chiedendo così un’aggiunta di bene e giudicando insufficiente la forma data a ciascun essere; per esempio [si criticherà] perché non [siano state date] le corna a un qualche animale, poiché non si pensa che è impossibile che la ragione si estenda a tutto, che il più grande deve contenere il più piccolo, che il tutto deve contenere le parti, le quali non possono essere eguali, se no, non sarebbero parti. Nel mondo intelligibile ogni essere è tutti gli esseri, quaggiù ogni cosa non è tutte le cose. Anche l’uomo singolo in quanto è una parte [del mondo] non è tutto. Ma se in alcune parti c’è un essere che non sia una parte, anche quelle parti sono delle totalità. Non si deve richiedere all’essere particolare in quanto tale di raggiungere in perfezione la vetta della virtù; altrimenti non sarebbe una parte.
Certamente l’universo non lesina per gelosia nell’adornare le sue parti per aumentarne il pregio: difatti esso fa più bello il Tutto, se le parti sono meglio adornate. E queste parti diventano tali in quanto si fanno simili al Tutto e possono imitarlo e conformarsi a lui, affinché ci sia, anche nella regione degli uomini, qualcosa che brilli, come gli astri nel cielo divino; di qui noi lo contempliamo come una grande e bella statua animata e prodotta dall’arte di Efesto; sulla sua fronte splendono stelle, altre sul suo petto e ovunque occorrerà che esse siano collocate a risplendere.

15. [Significato dei conflitti nel mondo sensibile]
Così sono le cose considerate singolarmente. Ma il loro reciproco legame, sia che esse siano state generate nel passato o siano generate in ogni istante, suscita obiezioni e difficoltà, sia per la voracità degli animali nel divorarsi tra loro, sia per i conflitti reciproci degli uomini, sia per la guerra che continua perenne e non ha pace né tregua; e soprattutto quando si dica che la Ragione ha fatto tutto questo e che così va bene. Contro coloro che parlano così non vale il precedente ragionamento, secondo il quale tutto è nel miglior modo possibile, la materia è la causa per cui le cose si trovano a essere in una condizione inferiore, il male non può sparire se le cose devono essere come sono, e perciò bene, la materia non è apparsa per dominare, ma è stata introdotta, perché si raggiungesse tale ordine o, per dir meglio, essa si trova così per causa della Ragione. In tal modo la ragione è principio ed è tutto; e tutto ciò che diviene diviene e si ordina in modo conforme alla Ragione. Ma da dove deriva allora la necessità dell’implacabile guerra tra gli animali e tra gli uomini?
È necessario che gli animali si divorino tra loro; è questo uno scambio [di vita] tra esseri che non potrebbero, anche se nessuno li uccidesse, sussistere eternamente. Se nel tempo in cui essi devono morire, la loro morte può essere utile ad altri, che cosa si dovrebbe obiettare? Che cosa [obietteremo], dal momento che gli esseri divorati nascono sotto altre forme? Similmente, l’attore ucciso sulla scena cambia aspetto e riappare sotto altre spoglie, ma non è morto veramente. Se anche il morire è un cambiare di corpo, come l’attore cambia di abito, o anche per alcuni è abbandonare il corpo, come un attore che avendo fatto la sua parte esce per sempre dal teatro per non riapparire più sulla scena, che ha di terribile questo cangiamento degli animali gli uni negli altri? Per loro non è migliore questa sorte piuttosto che il non essere mai nati? Se essi fossero privi di vita non potrebbero certo aver relazione con quella di altri. Ma c’è nell’universo una vita multiforme che produce tutti gli esseri e li foggia nelle loro varie forme di vita e non cessa mai di produrre questi belli e graziosi giocattoli viventi. Gli uomini si armano gli uni contro gli altri perché sono mortali; e i loro ordinati combattimenti, che assomigliano a danze pirriche, ci mostrano che gli affari degli uomini sono semplicemente dei giochi e che la morte non è nulla di terribile; che morire nelle guerre e nei combattimenti è anticipare un po’ il termine della vecchiezza, è partire più presto per ritornare poi nuovamente. Ma se rimanendo vivi perdono i loro beni, conosceranno così che quei beni non appartenevano a loro e che è un risibile possesso per gli stessi ladri quello che può essere tolto anche a loro da altri; e anche per coloro che non ne vengono spogliati il possesso diventa peggiore della spoliazione.
Come sulle scene del teatro, così dobbiamo contemplare anche [nella vita] le stragi, le morti, la conquista e il saccheggio delle città come fossero tutti cambiamenti di scena e di costume, lamenti e gemiti teatrali. Infatti, in tutti i casi della vita, non è la vera anima interiore, ma un’ombra dell’uomo esteriore quella che si lamenta e geme e sostiene tutte le sue parti su questo vario teatro che è la terra tutta. Tali sono le azioni dell’uomo che sa vivere soltanto una vita inferiore ed esteriore e non sa che le sue lacrime e i suoi affari sono un puro gioco. Soltanto con la parte saggia [della sua anima] l’uomo deve prendere sul serio le cose serie, ogni altra parte di lui è un giocattolo, ma coloro che non conoscono ciò che è serio prendono sul serio i loro giochi e sono giocattoli essi stessi. Se qualcuno fa le stesse cose giocando con costoro sappia che si è imbattuto in un gioco di ragazzi e ha perduto la sua dignità. E se anche Socrate gioca, egli gioca con ciò che v’è in lui di esteriore. E bisogna anche pensare che le lacrime e i lamenti non sono necessariamente indizi di mali reali: infatti anche i fanciulli piangono e si lamentano per cose che non sono mali.

16. [L’unità della Ragione cosmica deriva dai contrari]

Ma se è vero quanto s’è detto, come potrà esistere ancora la malvagità? Dove saranno l’ingiustizia e la colpa? E come, se tutto è bene, coloro che agiscono potranno essere ingiusti e colpevoli? E perché ci sono degli infelici, se non commettono ingiustizie né colpe? Come distingueremo azioni secondo natura e azioni contro natura se tutto ciò che si fa è secondo natura? Com’è possibile l’empietà verso il divino, se la sua opera è così buona? Sarebbe allora come se un poeta drammatico ponesse sulla scena un personaggio che l’oltraggi e l’offenda.
Diciamo dunque di nuovo e con maggiore chiarezza che cosa è la Ragione e come è giusto che essa sia tale. Questa Ragione – si abbia audacia, perché così forse arriveremo allo scopo – non è la pura Intelligenza o l’Intelligenza in sé, nemmeno è l’anima pura, ma ne dipende ed è come un raggio luminoso uscito da l’una e da l’altra: l’Intelligenza e l’anima che si conforma all’Intelligenza generano questa Ragione che è una vita la quale possiede segretamente una ragione. Ogni vita, anche la più vile, è un atto: questo atto non è come quello del fuoco poiché esso è un movimento che non avviene per caso, anche se non c’è alcuna percezione. Le cose che non hanno coscienza e che in qualche modo partecipano [della vita], sono immediatamente sottomesse alla Ragione, cioè ricevono una forma, poiché l’atto [della Ragione] è capace di informarle conforme alla sua vita e di muoverle in modo da dar loro una forma. Il suo atto dunque è artistico, paragonabile al movimento di un danzatore; il danzatore infatti assomiglia a questa vita che procede artisticamente; l’arte lo muove e lo guida così come procede la vita negli esseri. E tutto ciò sia detto perché si capisca meglio che cosa debba essere ogni vita.
Dunque questa Ragione procedente dall’Intelligenza una e dalla Vita una, ambedue perfette, non è in sé una Vita una né un’Intelligenza una, non è del tutto perfetta né si dà tutt’intera alle cose alle quali dà. Ma opponendo fra loro le parti, e creandole perciò difettose, produce un motivo e un principio di guerra e di lotta; e così essa è un tutt’uno pur non essendo un’unità [indivisibile].
Pur essendo nemica a se stessa nelle sue parti, essa è egualmente una e armonica quanto il soggetto di un dramma che è uno pur contenendo in sé molti conflitti. Il dramma accorda e armonizza questi conflitti mettendo innanzi il quadro completo dei protagonisti in lotta; così dall’unica Ragione deriva il conflitto tra le parti separate. Perciò è meglio paragonare quest’armonia a quella che [risulta] dai contrari e cercare perché ci siano dei contrari nelle ragioni delle cose. E come, nella musica, acuto e grave formano un rapporto musicale e cospirano, in quanto elementi dell’armonia, all’unità, cioè a un’armonia che è un rapporto più grande, del quale quelli sono le parti più piccole, così nell’universo noi vediamo dei contrari: il bianco e il nero, il caldo e il freddo, l’animale alato e il privo d’ali, quello che ha piedi e quello che non li ha, il ragionevole e l’irragionevole; tutte queste son parti di un unico vivente che è l’universo, e l’universo è d’accordo con se stesso anche se le parti sono spesso in lotta tra loro, poiché l’universo è secondo Ragione; ed è necessario poi che quest’unità della Ragione derivi dai contrari, poiché questa contrarietà dà a essa la sua consistenza e quasi l’essere suo.
Se essa non fosse molteplice non sarebbe né un tutto né una ragione; in quanto è Ragione, è differenziata in sé, e la massima delle differenze è la contrarietà. Cosicché, se ci sono in genere degli esseri differenti e se la Ragione li rende tali, essa li farà differenti più che è possibile, non meno; sicché facendoli estremamente differenti li farà necessariamente anche contrari; ed essa sarà perfetta se li farà non soltanto differenti, ma anche contrari.

17. [La parte delle anime nel dramma dell’universo]
Essendo dunque tale [la Ragione] nella sua complessa attività, essa produrrà le cose tanto più contrarie quanto più esse sono disperse [nello spazio]: perciò il mondo sensibile ha meno unità della sua ragione ed è perciò più molteplice; maggiore vi è la contrarietà e in ogni individuo c’è un maggior desiderio di vivere e un più ardente amore dell’unità. Spesso l’amante che tende al suo proprio bene distrugge l’amato, quando questo è perituro; l’aspirazione di ciascuna parte all’universo attrae a sé ciò che può. E così ci sono i buoni e i cattivi, così come le due parti di un coro, [obbedendo] a una stessa arte, si muovono in senso opposto l’una all’altra; noi diremo che una parte è buona e l’altra è cattiva, e così va bene.
Ma allora non ci sono più cattivi!
Non si nega che i cattivi esistano, ma solo che essi non sono tali per se stessi.
Ma forse bisogna perdonare i cattivi; purché questo compito di perdonare o no non tocchi alla Ragione; ma la Ragione vuole che non si perdoni ai cattivi.
Ma se quaggiù da una parte ci sono i buoni e dall’altra i cattivi – e questi sono in numero maggiore – avviene come nei drammi in cui il poeta assegna agli attori la loro parte e si serve di quelli che ci sono; e non è lui che dà agli attori la prima o la seconda o la terza parte, ma assegna a ciascuno la parte conveniente e il posto in cui deve stare. Similmente, [nel mondo] c’è un posto per ciascuno, quello che conviene al buono e quello che conviene al cattivo. E l’uno e l’altro, conforme alla natura e alla Ragione, vanno in questo o quel luogo e occupano il posto conveniente, che essi hanno scelto. Poi ambedue parlano e agiscono: l’uno parla e agisce empiamente, l’altro fa il contrario: infatti gli attori sono quello che erano già prima del dramma e si presentano come sono. Nei drammi umani il poeta assegna le parti; gli attori poi devono pensarci loro a fare bene o male; la loro opera comincia dopo l’assegnazione fatta dal poeta. Nel dramma vero, imitato in parte da quegli uomini che hanno natura poetica, l’anima è l’attore: la sua parte essa la riceve dal Poeta [dell’universo]; e come i nostri attori ricevono le maschere, i costumi, una gialla tunica o uno straccio di vestito, l’anima riceve la sua sorte e non a caso, ma anch’essa secondo ragione: [l’anima] vi si adatta e si conforma al dramma e alla Ragione dell’universo, poi si esprime nelle sue azioni e in ogni altra cosa che compie secondo il suo carattere, come in un motivo musicale. La voce e il comportamento son belli o brutti per se stessi ed evidentemente o aggiungono decoro al dramma o vi introducono la stonatura della voce, non mutando così affatto il valore del dramma, poiché è l’attore che se comportato male; allora l’autore del dramma lo licenzia giudicandolo secondo il suo merito e agisce così da buon giudice, mentre innalza a maggiori onori [il bravo attore] e lo riserva, eventualmente, per drammi più importanti e all’altro assegna, caso mai, le parti minori. Nello stesso modo [l’anima], entrata nel poema di questo mondo, vi fa la sua parte come l’attore di un dramma portando con sé il suo bene o il suo male; appena giunta viene messa al suo posto e riceve ogni altra cosa, ma non però il suo essere e le sue proprie azioni, per le quali poi ottiene castighi o premi.
Ma questi attori hanno qualcosa di più in quanto rappresentano la loro parte sopra un teatro più vasto delle nostre scene; il Poeta [dell’universo] li fa padroni di questo mondo ed essi hanno la maggiore possibilità di andare in molti e diversi luoghi e di separare onore da infamia contribuendo, essi stessi, al proprio onore o alla propria infamia, ciascuno nel luogo che conviene ai suoi costumi: in questo modo si accordano con la Ragione dell’universo, per il fatto che ciascuno si adatta, secondo giustizia, al posto che lo accoglierà, così come [in una lira] ciascuna corda è collocata in un posto particolare e conveniente alla natura del suono che essa è capace di produrre.
Nel mondo vi saranno ordine e bellezza, se ciascuno è messo dove deve stare e se chi dà un suono cattivo è gettato nel tenebroso Tartaro; perché là è bello un tal suono. Questo mondo non sarebbe bello se ogni essere fosse una pietra, ma se con la sua voce concorre a un’unica armonia: e anche la sua voce è una vita, anche se fievole, o mediocre, o imperfetta; neanche il suono del flauto è unico, ma esso dà ancora suoni leggeri e deboli che concorrono all’armonia totale; infatti l’armonia si divide in parti non eguali e tutti i toni sono dissimili, ma il suono perfetto è quello unico formato da tutti gli altri.
Anche la Ragione universale è una, però è divisa in parti non eguali: perciò nell’universo ci sono regioni, buone e cattive; e le anime ineguali corrispondono così ai luoghi non eguali. Ne consegue che le regioni del nostro mondo sono dissimili proprio come le anime e che queste, dissimili, occupano luoghi dissimili, come nel flauto o in un altro strumento c’è la diversa lunghezza [delle canne]; [le anime] occupano ciascuna un luogo diverso e ciascuna nel suo proprio luogo dà il suono che s’accorda con la sua posizione e col tutto. Anche il cattivo suono delle anime ha il suo posto nella bellezza dell’universo e ciò, che [in esse] è contro natura, è secondo natura per l’universo; nondimeno quel suono è più debole. Tuttavia esso non rende per questo l’universo peggiore, come il boia, che è un male – se vogliamo adoperare un’altra immagine –, non rende peggiore una città ben governata. Anch’egli è necessario in una città e di tali uomini c’è spesso bisogno e perciò è bene che anche egli ci sia.

18. [Tutte le anime, nell’universo, sono parti della Ragione]
Alcune anime diventano migliori o peggiori per diversi motivi, altre invece non sono sin da principio tutte eguali e sono tali in rapporto con la Ragione di cui sono le parti, le quali sono ineguali perché sono separate. Dobbiamo pensare che ci sono [nell’anima] parti di secondo e di terzo ordine e che un’anima non agisce sempre secondo le stesse parti. Ma siccome l’argomento richiede ancora molto per essere chiarito, bisogna dire di nuovo così: non si devono ammettere certi attori che recitino un altro lavoro che non sia quello del poeta; quasi che il suo dramma sia imperfetto, essi aggiungono ciò che manca, come se il poeta avesse lasciato qua e là delle lacune: in tal modo questi attori non sarebbero più attori, ma una parte del poeta, e saprebbero prima ciò che diranno così da poter collegare convenientemente ciò che segue col principio [del dramma]. Infatti nell’universo le conseguenze e i risultati delle cattive azioni sono o Ragione o conformi a Ragione; così da un adulterio o da un assalto armato possono provenire figli di buona indole e uomini e nuove città migliori di quelle che sono state saccheggiate da uomini malvagi.
Se è dunque assurdo introdurre [nel mondo] delle anime che abbiano l’iniziativa le une del bene e le altre del male – in tal modo noi priveremmo la Ragione anche delle buone azioni se le togliessimo quelle cattive – che cosa impedisce che il bene e il male dell’universo siano parti della Ragione universale come sulla scena le azioni degli attori sono parti del dramma? E così ciascun attore si comporta secondo Ragione quanto più completo è il dramma e quanto più ogni cosa [dipende] dalla Ragione. Ma a quale scopo produrre il male? Le anime, anche le più divine, non sono nell’universo che parti della Ragione: e le ragioni sono tutte anime. Ma perché alcune saranno anime, altre soltanto ragioni, dal momento che ogni ragione è un’anima?

Plotino (Licopoli, Egitto 204-Campania 270 ca.). Allievo di Ammonio Sacca (Alessandria 175-242), l’iniziatore del neoplatonismo, insegnamento che fondeva platonismo e pitagorismo sulle tracce di Numenio di Apamea (Grecia, sec. II a.C.). Autore delle Enneadi, Plotino arrivò con la sua dottrina a influenzare autori quali Scoto Eriugena, Meister Eckart, Nicola Cusano, Avicenna e Maimonide.


* Estratti da Enneade III, Trattato II, La Provvidenza, libro I (cfr. Plotino, Enneadi, a cura di Giuseppe Faggin, Rusconi, Milano, 1992).



Tratto da: https://letteraespirito.wordpress.com

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