Il Destino e la Provvidenza[1]
«È
proprio così» dissi io; «ma poiché è tuo compito spiegare le cause delle cose
misteriose e chiarire le ragioni avvolte dall’oscurità, ti prego di espormi con
tutta chiarezza la tua opinione su questo problema, poiché questo fatto
sconcertante più d’ogni altro mi sconvolge».
Ed ella allora, sorridendo un poco: «Tu m’inviti» disse «a
indagare una questione che di tutte è la più impegnativa da sviscerare, e che
non si riesce mai a esaurire interamente. Si tratta infatti
di un argomento tale che, risolto un dubbio, ne ricrescono innumerevoli altri,
come le teste dell’Idra; e non se ne vedrebbe mai la fine, se non venissero
domati dal fuoco divampante della mente. In questo campo d’indagine rientrano infatti la semplicità della provvidenza, l’ordine del
destino, i casi fortuiti, la conoscenza e la predestinazione divina e il libero
arbitrio, tutti argomenti di cui tu spesso puoi comprendere l’importanza. Ma
siccome anche la loro conoscenza fa parte della tua cura, cercheremo,
nonostante la ristrettezza del tempo, di giungere a qualche conclusione. E
anche se ti danno piacere le modulazioni della poesia accompagnata dalla
musica, è bene differire per un poco questo godimento, mentre dispongo in un
ordine organico le mie argomentazioni». «Come ti pare meglio»
risposi.
Allora ella, quasi rifacendosi a un altro principio,
così prese a esporre: «L’origine di tutte le cose, l’evoluzione delle nature in
divenire, e tutto ciò che in qualche modo si muove, traggono le loro cause,
l’ordine e le forme dall’immutabilità della mente divina. Essa, raccolta nella
roccaforte della sua semplicità, determina la molteplice modalità
in cui gli eventi si svolgono. Questa modalità, quando
la si considera nella purezza stessa dell’intelligenza divina, viene detta
provvidenza; quando invece la si riferisce agli esseri che muove e dispone, è stata
detta destino dagli antichi. La loro diversità apparirà evidente a chi penetri con la mente la loro reciproca capacità operativa;
la provvidenza infatti è quella stessa ragione divina,
riposta nel sommo Sovrano di tutte le cose, che tutto dispone; mentre il
destino è l’assetto inerente alle cose mutevoli, per mezzo del quale la
provvidenza inserisce ogni cosa nel proprio ordine. La provvidenza pertanto
abbraccia egualmente tutte le cose, benché diverse, benché infinite; il destino
invece muove le singole cose secondo che son distribuite
nei diversi luoghi, nelle diverse forme e nei diversi tempi, così che questo
dispiegarsi dell’ordine temporale raccolto in unità dinanzi allo sguardo della
mente divina è provvidenza, mentre il medesimo complesso, distribuito secondo
la successione temporale, vien chiamato destino.
«Pur
essendo essi diversi, son tra di sé interdipendenti; l’ordine del destino
deriva infatti dalla semplicità della provvidenza. E
come l’artefice dapprima concepisce nella mente la forma dell’opera che vuol
realizzare e poi la porta a compimento, sviluppando in
diversi momenti di tempo quel che aveva unitariamente contemplato dentro di sé,
così Dio mediante la provvidenza dispone in maniera singolare e immutabile quel
che dev’essere fatto, e poi mediante il destino sovrintende all’attuazione
nella molteplicità e nel tempo delle cose che aveva preordinato. Pertanto, sia
che il destino si compia per l’opera di spiriti divini al servizio della
provvidenza, sia che la trama del destino s’intessa per
mezzo dell’anima, o dell’intera natura, o dei moti celesti degli astri, o della
forza degli angeli, o della multiforme destrezza dei demoni, o di alcune di
queste cose o di tutte insieme, una cosa è chiara, che la provvidenza è la
forma semplice e immobile delle cose che devono essere compiute, mentre il
destino è il concatenamento mutevole e l’ordine temporale di tutto ciò di cui
la semplicità divina ha disposto l’attuazione.
«Ne consegue che tutte le cose sottoposte al destino sono
pure soggette alla provvidenza, alla quale è soggetto lo stesso destino. Però
alcune delle cose che soggiacciono alla provvidenza trascendono il corso del
destino, e sono quelle che, stabilmente fisse vicino alla prima Divinità, si
collocano al di fuori dell’ordine inerente alla mutevolezza del
destino. E come, tra più cerchi volgentisi intorno a un medesimo fulcro, quello
che è più interno si approssima alla semplicità del punto medio, ed esso stesso
diviene per così dire come il fulcro attorno a cui
tutti gli altri girano, mentre il cerchio più esterno, ruotando con una
circonferenza maggiore, si volge in spazi tanto più ampi quanto più si
allontana dall’indivisibile punto mediano – se poi qualche cosa si unisce
o si associa a quel punto mediano, diviene necessariamente semplice anch’essa e
cessa di estendersi ed espandersi –: in simile modo quello che più
s’allontana dalla prima mente, tanto più s’avviluppa nei lacci del destino e,
al contrario, tanto più un essere è libero dal destino quanto più s’avvicina a
quel fulcro di tutte le cose; e se aderisce alla stabilità della mente suprema,
privo di moto, s’innalza anche al di sopra della necessità del destino. Come
dunque il ragionamento sta all’intuizione, ciò che viene
generato a ciò che è, il tempo all’eternità, la circonferenza al centro, così
il corso mutevole del destino sta all’immobile semplicità della provvidenza.
«L’ordine del destino muove il cielo e le stelle, associa tra
di loro gli elementi e li trasforma con alterne mutazioni, e rinnova tutto ciò
che nasce e che muore mediante consimili sviluppi di semi e di embrioni. E
ancora quest’ordine avvince le azioni e le varie vicende degli uomini con
un’inscindibile connessione causale; la qual connessione procedendo nella sua
origine dai principi dell’immobile provvidenza, è necessario
che anche quelle cause siano immutabili. Le cose infatti
sono ordinate nella maniera migliore se la semplicità che risiede nella mente
divina dà origine a un ordine irremovibile di cause, e quest’ordine poi con la
sua immutabilità raffrena le cose mutevoli che altrimenti andrebbero vagando
caoticamente. Per quanto dunque a voi, del tutto incapaci di discernere
quest’ordine, tutte le cose appaiano confuse e sconvolte, non di meno
ubbidiscono tutte a una loro norma, che le orienta verso il bene. Nessuna
azione, infatti, viene compiuta a fin di male neppure
dagli stessi malvagi; questi, come ho abbondantemente dimostrato, cercano sì il
bene, ma ne sono sviati da un perverso errore; tanto è impensabile che l’ordine
che scaturisce dal fulcro che è il sommo bene possa mai deflettere dalla sua
origine.
«Ma,
dirai tu, quale confusione può essere più iniqua di questa, che ai buoni
tocchino in sorte ora casi avversi ora prosperi, e ai
cattivi ora cose desiderate ora sgradite? Ebbene, dimmi: gli uomini vivono di
solito in una condizione mentale così equanime, che le persone da loro giudicate buone o cattive siano necessariamente tali in
realtà, quali le hanno giudicate? Al contrario, proprio in questo discordano i
giudizi umani, tanto che gli uni stimano degni di premio quelli stessi che gli
altri ritengono meritevoli di pena. Ma ammettiamo pure che alcuno sia in grado
di distinguere i buoni dai cattivi; potrà egli forse scrutare in profondità la struttura – come si dice dei corpi – delle
anime? Non sarebbe infatti diversa la sua meraviglia
da quella di chi non sapesse perché, tra i corpi sani, ad alcuni facciano bene
alimenti dolci, ad altri amari, e perché alcuni malati abbiano sollievo da
rimedi leggeri, altri da più energici. Ma di ciò non si
stupisce affatto il medico, il quale ben conosce la sintomatologia e le
caratteristiche dello stato di salute o di malattia. E che altro è la salute
dell’anima, se non la probità, che altro la malattia, se non il vizio? Chi
altri è il difensore del bene e il nemico del male se
non Dio, signore e medico delle anime? Egli, guardando dall’alto osservatorio
della sua provvidenza, sa quel che a ciascuno conviene e concede a ciascuno quel che sa essergli adatto. E qui sta quel
mirabile prodigio dell’ordine inerente al destino, che Chi lo conosce opera
cose di cui devono stupirsi coloro che tale conoscenza non hanno.
«Per
riassumere ora in breve le poche cose che la ragione umana è capace d’intendere
della profondità divina, ti dirò che l’onnisciente
provvidenza può giudicare diversamente una persona che tu ritieni quant’altri
mai onesta e osservante della giustizia. Il nostro Lucano ci avverte che agli
dei piacque la causa del vincitore, a Catone quella del vinto. Ecco dunque:
quanto vedi avvenire al di fuori di ogni aspettazione, in realtà è un ordine
giusto, per quanto per il tuo modo di vedere sia un’assurda confusione. Ma
ammettiamo pure che uno sia così ben costumato che nei suoi confronti il
giudizio divino e quello umano concordino pienamente; però è poco forte di animo
e, se gli capitasse qualche contrarietà, cesserebbe probabilmente di coltivare
quell’integrità morale che non gli valse a propiziargli la fortuna; per questo
una saggia dispensazione risparmia colui che le
avversità potrebbero rendere meno buono, così che non debba sopportare dure
prove colui che non vi è adatto. Vi è un altro adorno della perfezione di tutte
le virtù, santo e prossimo a Dio: ebbene, la provvidenza ritiene empio che
questi sia colpito da qualsivoglia sventura, a tal
segno da non permettere che sia molestato neppure da malattie corporee. Perché,
come disse uno anche di me più eccelso,
di un uomo santo il corpo l’han costruito i cieli.
Accade
poi spesso che il potere supremo sia affidato ai buoni perché la disonestà
dilagante venga fiaccata. Ad altri la provvidenza
distribuisce sorti variamente combinate, a seconda delle
qualità dei loro animi: ne affligge alcuni perché non abbiano a insuperbirsi
per un lungo periodo di felicità; lascia che altri siano sfibrati da acerbe
contrarietà perché con l’uso e l’esercizio della pazienza consolidino le virtù
dell’animo. Questi temono più del giusto quel che possono
sopportare, quelli prendono alla leggera più del giusto quello che non
possono sopportare; e costoro vengono messi alla prova dall’infelicità. Non
pochi s’acquistarono venerata rinomanza nei secoli a
prezzo duna morte gloriosa; taluni poi, indomiti dai tormenti, diedero agli
altri dimostrazione che la virtù è invincibile dal male; ed è indubitabile che
tutto questo avviene in modo quanto mai giusto e confacente, e con vantaggio di
coloro che ne sembrano colpiti.
«Dalle
stesse cause deriva anche il fatto che ai malvagi accadono eventi ora tristi ora lieti. Dei tristi nessuno si meraviglia, poiché
tutti pensano che essi si sian comportati male; ed è poi certo che le punizioni
da cui son colpiti non solo distolgono gli altri dal
mal fare, ma anche correggono quelli stessi che le sopportano. I lieti poi
forniscono ai buoni una gran prova della stima in cui si debba tenere una
felicità di tal genere, che vedono spesso al servizio dei malvagi. A questo
proposito credo che venga anche tenuto conto del fatto che alcuno, dotato di indole impetuosa e sconsiderata, possa venir inasprito
fino al delitto dalle sue ristrettezze economiche; ma a una tal malattia rimedia
la provvidenza, colmandolo di ricchezze. Questi, esaminando la propria
coscienza macchiata di turpitudini e mettendo a confronto se stesso con la
propria fortunata condizione, vien forse assalito dal
timore di dover perdere nella tristezza tutto quello che ora gli è piacevole
usare; si deciderà quindi a mutar condotta, e così, per timore di perdere la
propria fortuna, si allontanerà dalle vie dell’iniquità. La felicità malamente
usata fa precipitare altri in ben meritata sventura; ad altri vien concessa facoltà di punire, perché ciò sia di prova per
i buoni e di castigo per i malvagi. Infatti, come non può esservi alcuna intesa
tra buoni e malvagi, così neppure i malvagi stessi
vanno mai d’accordo tra loro. E perché non dovrebbe essere così, dal momento che ciascuno di loro è in disaccordo con se
stesso, avendo la coscienza dilaniata dai vizi, e commette spesso azioni che,
quando le abbia compiute, veda bene che non dovevano esser compiute?
«Da
ciò spesso la somma provvidenza ha tratto l’ammirevole prodigio che fossero dei malvagi a rendere buoni altri malvagi. Infatti alcuni, giudicandosi vittime di ingiustizie da parte
di sciagurati, ardendo d’odio per chi fa loro del male, ritornano sul buon
sentiero della virtù, sforzandosi di esser diversi da coloro che odiano.
Soltanto per la potenza divina anche i mali son beni, in quanto, usandoli
convenientemente, ne ottiene un qualche risultato di bene. Un ordine
determinato abbraccia infatti tutte le cose; e quel
che si allontana dalla funzione che in quell’ordine gli è attribuita, ricade
pur sempre in un ordine, sia pure diverso, così che nel regno della provvidenza
il capriccio del caso non abbia alcun potere.
Ma mi è di peso dir ciò, come se un Dio io fossi.
«Non
è infatti lecito a un uomo abbracciare con la mente o
spiegare con le parole tutti i particolari dell’opera divina. Basti aver
compreso soltanto questo, che Dio, creatore di tutte le cose naturali, tutte
quante le ordina e le orienta al bene, e che, mentre
si preoccupa di conservare quel che ha procreato a propria somiglianza, elimina
ogni male dai confini del suo regno per mezzo della successione degli eventi
determinata dal destino. Ne deriva che, se consideri l’opera ordinatrice della
provvidenza, tu debba convincerti che non esiste nessuno di quei mali, di cui
si crede che la terra trabocchi. Ma vedo che tu,
gravato dal peso del problema e affaticato dalla lunghezza del ragionamento,
aspetti con desiderio un poco di sollievo da una poesia; prendine dunque un
sorso, per potere, ristorato, proseguire con maggior lena sulla via che ti
resta da percorrere.
VI.
Se
vuoi sollecito con pura mente
veder le leggi del Tonante eccelso,
guarda le altezze del sommo cielo;
quivi, nel giusto patto delle cose,
serban le stelle la loro antica pace.
Il
sole, spinto dal fuoco divampante,
non ferma il freddo cocchio della luna;
né l’Orsa, che sul vertice più alto
del mondo volge i suoi rapidi giri,
nel profondo oceano d’occidente
-
ove vede eclissarsi le altre stelle -
desidera smorzare le sue fiamme.
Sempre
di tempo in epoche costanti
Vespero
l’ombre annuncia del tramonto,
e, Lucifero, il giorno che dà vita .
Così
l’amor reciproco rinnova
gli eterni cicli, e dalle plaghe astrali
discordie e guerre sono messe al bando.
Questa
concordia tra di sé concilia
in pace gli elementi, sì che a turno
l’umido ceda all’arido, ed il freddo
s’unisca con le fiamme, e così il fuoco
intermittente verso l’alto voli,
e la terra pesante scenda in basso.
Ecco
perché l’età fiorita spande
nell’april tepido soavi odori,
l’estate secca le messi, afosa,
grave di frutti riede l’autunno,
e piogge in copia l’inverno inondano.
Questa
temperie sostiene e nutre
quanto nel mondo possiede vita;
a sé traendolo lo crea, e poi, nato,
lo asconde nel tramonto della morte.
Sublime
intanto siede il Creatore,
tiene le redini dell’universo:
ei re, signore, fonte e principio,
legge, e arbitro saggio di giustizia;
e quel che incita col movimento
lo trae indietro, lo fissa se ondeggia.
Se
le vie rettilinee non flettesse
costringendole in orbite rotonde,
quel che ora è unito in ordine coerente
staccato dal suo fonte svanirebbe
–
che è l’amore comune ad ogni cosa –;
e al proprio fin vuol stare avvinto, al bene,
ché in altro modo non sussisterebbe,
se la corrente d’amor non rivolgesse
alla causa, che gli ha donato l’essere.
Anicio Manlio Torquato Severino Boezio (Roma 480 ca.-Pavia 524). Allievo di Ammonio di Alessandria. Autore di diversi trattati dedicati al Quadrivium (termine da lui coniato), tradusse in latino opere di importanti pitagorici come Nicomaco di Gerasa e Tolomeo. La sua opera principale, De Consolatione philosophiæ, esercitò un’enorme influenza, risultando, dopo la Bibbia, il testo più tradotto e letto durante tutto il Medioevo. Dante, nel canto X del Paradiso, gli assegna un posto tra Orosio e Isidoro e lo celebra come martire.
Tratto da: https://letteraespirito.wordpress.com
[1] Estratti da De Consolatione
philosophiæ, Libro IV, capitolo 6: Il Destino
e la Provvidenza (cfr. Boezio, La Consolazione della Filosofia. Gli
opuscoli teologici, a cura di Luca Obertello, Rusconi, Milano, 1979). Nel testo l’autore dialoga con “Filosofia”,
impersonificata da una maestosa Dama.
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