Svāmī Satcidānandendra
Sarasvatī Mahārāja
Commento a «Le
Cinque Gemme dell’Advaita»
di Śrī Śaṃkarācārya - 2/7
(Advaita
Pañcaratnam)
Introduzione
Discussione sull’Ātman
e l’anātman
Il Vedānta è uno śāstra, cioè un testo
dottrinale che, senza curarsi dei risultati dell’azione che conducono i devoti
da questo mondo ad altri mondi celesti, insegna l’anubhava, ovvero
l’esperienza intuitiva, che può essere ottenuta qui e ora proprio in questa
vita.
Invero, la maggior parte della gente comune non mostra alcuna
inclinazione intellettuale verso questa scienza spirituale. La ragione è che,
per la stragrande maggioranza degli esseri umani, i testi che richiedono senso
di discriminazione e raziocinio da parte del lettore, non risultano attraenti.
Anche fra coloro che sono stati indotti allo studio di questi testi e a
discutere sulle tematiche e sugli insegnamenti in essi esposti, molti non hanno
capito del tutto quali siano gli argomenti e i fenomeni di primaria importanza
né quelli subordinati e utili a discernere e sviluppare i primi. In questo
contesto non ci possiamo occupare di coloro che non posseggono alcuna
inclinazione alla discriminazione vedāntica. È invece necessario esporre
chiaramente i più importanti insegnamenti dell’Advaita Vedānta in favore
di coloro che aspirano sinceramente a conoscere l’ultima Realtà, in modo da
condurli a realizzare la loro esperienza intuitiva qui e ora.
Śrī Śaṃkara Bhagavatpāda compose questi cinque
versi dell’Advaita Pañcaratnam per coloro che, pur trovandosi coinvolti
nella vita empirica e rivolti agli oggetti esterni, sono pronti ad affrontare
per la prima volta questa scienza spirituale. Il nostro breve trattato, che fa
da commento ai cinque versi, espone in modo esaustivo gli insegnamenti della
scienza spirituale.
I principi basilari del Vedānta sono tre:
a) l’assoluta ultima Realtà non duale è solo il Brahman;
b) in esso sia le anime individuali (jīva) sia il
mondo (jagat) sono considerati in modo erroneo;
c) l’assoluta Realtà di Brahman è, in verità, il nostro Ātman
o Sé interiore che sta al di là dell’io individuale.
I saggi affermano che chi è iniziato a questa scienza
spirituale, desideroso di conoscerne i principi al fine di realizzarli con la
propria esperienza intuitiva, deve necessariamente acquisire quattro eccellenze
umane per mezzo d’un esercizio assiduo. Queste pratiche spirituali, chiamate Sādhana
Catuṣṭaya (metodo quadruplice) o Sādhana Saṃpat (metodo perfetto)
sono le seguenti:
1) Nityānitya viveka: è la capacità di capire e
distinguere l’eterno dall’impermanente. Il cercatore dovrebbe discernere sulla
base delle due seguenti domande: qual è la natura essenziale degli oggetti o
fenomeni anitya, cioè degli oggetti sottoposti alla condizione
temporale? Qual è la natura essenziale del nitya vastu, intendendo con
esso un’entità la cui esistenza non è sottoposta al tempo?
2) Iha amutra phala bhoga viragaha: cioè
l’annullamento di ogni desiderio per il godimento dei piaceri in questo mondo
quaggiù (iha); come anche il rifiuto al godimento dei piaceri nel
mondo superiore, paraloka, o in altri mondi celesti di lassù (amutra),
menzionati nelle scritture e nei testi mitologici. Ciò è chiamato virāga
o virakti, cioè distacco e rinuncia. Bisogna comprendere che
colui la cui mente è assorbita dagli oggetti esterni verso cui si rivolge
sempre, troverà la propria mente vagante e ondeggiante, e quindi non riuscirà a
concentrarsi e a convergere sulla Realtà metafisica (paramārtha) del Vedānta.
Per tale motivo questa rinuncia (viraga) diventa
essenziale per i cercatori che devono usare la discriminazione.
3) Śama-Damādi Śatka Sampat: ci sono inoltre sei qualità
che dovrebbero essere assolutamente presenti nella mente dei cercatori che
ambiscono alla conoscenza. Queste sono: śama, ovvero il controllo della
propria mente; dama, ovvero il controllo dei sensi; uparati, introspezione;
titikṣa, l’astenersi dalla scelta degli opposti come felicità-dolore,
caldo-freddo ecc.; śraddhā, ossia dedizione mirata; samādhāna, o
equilibrio mentale. È da notare che queste sei qualità sono chiamate sampat,
le proprie ricchezze. Evidentemente i cercatori, la cui mente è dotata di
queste sei virtù, matureranno le necessarie modificazioni interiori (saṃskāra),
cioè l’affinamento della mente e del cuore, cosa che permetterà loro di
proseguire nella ricerca dell’Intuizione.
4) Mumukṣutva: oltre alle precedenti tre qualifiche,
è necessaria questa determinazione mentale, che consiste nella costante e
perseverante ricerca che può essere espressa così: «Lo stato nel quale siamo
non è certamente dotato dell’eterna, assoluta beatitudine; ciò nonostante tale
stato beato, superiore a qualsiasi altro dell’intero universo, può essere
raggiunto dall’uomo. Ciò è testimoniato dalle scritture e dai saggi.» Questo è mumukṣutva.
Infatti, solo coloro le cui menti sono pervase da questo mumukṣutva sapranno
dedicarsi a risolvere le seguenti questioni: «Qual è tale magnifico stato di
beatitudine? Come si fa a raggiungerlo?» I mumukṣu sono folgorati quando
ascoltano insegnamenti scritturali in cui si afferma che l’Assoluto, l’ultima
realtà, è proprio la principale fonte di quella beatitudine. Infatti, quello è
il nostro Ātman, l’essenza interiore dell’unico Sé. Essi sono assorti
nella riflessione intuitiva sulla realtà assoluta del Brahman-Ātman,
senza il minimo orgoglio, sforzandosi continuamente di acquisire tutte le
necessarie qualità, come la discriminazione (viveka) e la rinuncia (virāga)
necessarie a tale riflessione. In ogni modo, prima d’intraprendere questa
riflessione intuitiva sull’ultima realtà dell’Ātman, si dovranno
possedere queste quattro eccellenze o virtù. Solo tali cercatori avranno
successo e la loro riflessione raggiungerà lo scopo.
Tuttavia, Śrī Śaṃkara, in questa poesia, non ha
menzionato il termine sādhana catuṣṭaya, in quanto i suoi versi non
vogliono essere d’argomento metodico (sādhana pradhāna). Essi sono stati
scritti dal punto di vista del siddhānta pradhāna, cioè d’un approccio
principalmente dottrinale al Vedānta. Il primo verso, in ogni caso, comincia
esponendo il nityānitya viveka, ossia il processo di discriminazione tra
ciò che è permanente e ciò che è impermanente. Si tratta di quello che i
cercatori di mokṣa devono impararere fin dall’inizio.
Svāmī Satcidānandendra
Sarasvatī
Traduzione e note di Maitreyī
Da: www.vedavyasamandala.com
Nessun commento:
Posta un commento