"…la dottrina è infallibile, è a causa del fatto che essa è un’espressione della verità, la quale, in se stessa, è assolutamente indipendente dagli individui che la ricevono e che la comprendono. La garanzia della dottrina risiede in definitiva nel suo carattere «non-umano»". René Guénon, Considerazioni sull’iniziazione, cap. "Sull’infallibilità tradizionale"

martedì 19 settembre 2017

Satcidānandendra Sarasvatī, Commento a Le Cinque Gemme dell’Advaita di Śrī Śaṃkarācārya - 2/7

Svāmī Satcidānandendra Sarasvatī Mahārāja
Commento a «Le Cinque Gemme dell’Advaita»
di Śrī Śaṃkarācārya - 2/7
(Advaita Pañcaratnam)

Introduzione
Discussione sull’Ātman e l’anātman
Il Vedānta è uno śāstra, cioè un testo dottrinale che, senza curarsi dei risultati dell’azione che conducono i devoti da questo mondo ad altri mondi celesti, insegna l’anubhava, ovvero l’esperienza intuitiva, che può essere ottenuta qui e ora proprio in questa vita.
Invero, la maggior parte della gente comune non mostra alcuna inclinazione intellettuale verso questa scienza spirituale. La ragione è che, per la stragrande maggioranza degli esseri umani, i testi che richiedono senso di discriminazione e raziocinio da parte del lettore, non risultano attraenti. Anche fra coloro che sono stati indotti allo studio di questi testi e a discutere sulle tematiche e sugli insegnamenti in essi esposti, molti non hanno capito del tutto quali siano gli argomenti e i fenomeni di primaria importanza né quelli subordinati e utili a discernere e sviluppare i primi. In questo contesto non ci possiamo occupare di coloro che non posseggono alcuna inclinazione alla discriminazione vedāntica. È invece necessario esporre chiaramente i più importanti insegnamenti dell’Advaita Vedānta in favore di coloro che aspirano sinceramente a conoscere l’ultima Realtà, in modo da condurli a realizzare la loro esperienza intuitiva qui e ora.
Śrī Śaṃkara Bhagavatpāda compose questi cinque versi dell’Advaita Pañcaratnam per coloro che, pur trovandosi coinvolti nella vita empirica e rivolti agli oggetti esterni, sono pronti ad affrontare per la prima volta questa scienza spirituale. Il nostro breve trattato, che fa da commento ai cinque versi, espone in modo esaustivo gli insegnamenti della scienza spirituale.
I principi basilari del Vedānta sono tre:
a) l’assoluta ultima Realtà non duale è solo il Brahman;
b) in esso sia le anime individuali (jīva) sia il mondo (jagat) sono considerati in modo erroneo;
c) l’assoluta Realtà di Brahman è, in verità, il nostro Ātman o Sé interiore che sta al di là dell’io individuale.
I saggi affermano che chi è iniziato a questa scienza spirituale, desideroso di conoscerne i principi al fine di realizzarli con la propria esperienza intuitiva, deve necessariamente acquisire quattro eccellenze umane per mezzo d’un esercizio assiduo. Queste pratiche spirituali, chiamate Sādhana Catuṣṭaya (metodo quadruplice) o Sādhana Saṃpat (metodo perfetto) sono le seguenti:
1) Nityānitya viveka: è la capacità di capire e distinguere l’eterno dall’impermanente. Il cercatore dovrebbe discernere sulla base delle due seguenti domande: qual è la natura essenziale degli oggetti o fenomeni anitya, cioè degli oggetti sottoposti alla condizione temporale? Qual è la natura essenziale del nitya vastu, intendendo con esso un’entità la cui esistenza non è sottoposta al tempo?
2) Iha amutra phala bhoga viragaha: cioè l’annullamento di ogni desiderio per il godimento dei piaceri in questo mondo quaggiù (iha); come anche il rifiuto al godimento dei piaceri nel mondo superiore, paraloka, o in altri mondi celesti di lassù (amutra), menzionati nelle scritture e nei testi mitologici. Ciò è chiamato virāga o virakti, cioè distacco e rinuncia. Bisogna comprendere che colui la cui mente è assorbita dagli oggetti esterni verso cui si rivolge sempre, troverà la propria mente vagante e ondeggiante, e quindi non riuscirà a concentrarsi e a convergere sulla Realtà metafisica (paramārtha) del Vedānta.
Per tale motivo questa rinuncia (viraga) diventa essenziale per i cercatori che devono usare la discriminazione.
3) Śama-Damādi Śatka Sampat: ci sono inoltre sei qualità che dovrebbero essere assolutamente presenti nella mente dei cercatori che ambiscono alla conoscenza. Queste sono: śama, ovvero il controllo della propria mente; dama, ovvero il controllo dei sensi; uparati, introspezione; titikṣa, l’astenersi dalla scelta degli opposti come felicità-dolore, caldo-freddo ecc.; śraddhā, ossia dedizione mirata; samādhāna, o equilibrio mentale. È da notare che queste sei qualità sono chiamate sampat, le proprie ricchezze. Evidentemente i cercatori, la cui mente è dotata di queste sei virtù, matureranno le necessarie modificazioni interiori (saṃskāra), cioè l’affinamento della mente e del cuore, cosa che permetterà loro di proseguire nella ricerca dell’Intuizione.
4) Mumukṣutva: oltre alle precedenti tre qualifiche, è necessaria questa determinazione mentale, che consiste nella costante e perseverante ricerca che può essere espressa così: «Lo stato nel quale siamo non è certamente dotato dell’eterna, assoluta beatitudine; ciò nonostante tale stato beato, superiore a qualsiasi altro dell’intero universo, può essere raggiunto dall’uomo. Ciò è testimoniato dalle scritture e dai saggi.» Questo è mumukṣutva. Infatti, solo coloro le cui menti sono pervase da questo mumukṣutva sapranno dedicarsi a risolvere le seguenti questioni: «Qual è tale magnifico stato di beatitudine? Come si fa a raggiungerlo?» I mumukṣu sono folgorati quando ascoltano insegnamenti scritturali in cui si afferma che l’Assoluto, l’ultima realtà, è proprio la principale fonte di quella beatitudine. Infatti, quello è il nostro Ātman, l’essenza interiore dell’unico Sé. Essi sono assorti nella riflessione intuitiva sulla realtà assoluta del Brahman-Ātman, senza il minimo orgoglio, sforzandosi continuamente di acquisire tutte le necessarie qualità, come la discriminazione (viveka) e la rinuncia (virāga) necessarie a tale riflessione. In ogni modo, prima d’intraprendere questa riflessione intuitiva sull’ultima realtà dell’Ātman, si dovranno possedere queste quattro eccellenze o virtù. Solo tali cercatori avranno successo e la loro riflessione raggiungerà lo scopo.
Tuttavia, Śrī Śaṃkara, in questa poesia, non ha menzionato il termine sādhana catuṣṭaya, in quanto i suoi versi non vogliono essere d’argomento metodico (sādhana pradhāna). Essi sono stati scritti dal punto di vista del siddhānta pradhāna, cioè d’un approccio principalmente dottrinale al Vedānta. Il primo verso, in ogni caso, comincia esponendo il nityānitya viveka, ossia il processo di discriminazione tra ciò che è permanente e ciò che è impermanente. Si tratta di quello che i cercatori di mokṣa devono impararere fin dall’inizio.
Svāmī Satcidānandendra Sarasvatī



Traduzione e note di Maitreyī

Da: www.vedavyasamandala.com

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