"…la dottrina è infallibile, è a causa del fatto che essa è un’espressione della verità, la quale, in se stessa, è assolutamente indipendente dagli individui che la ricevono e che la comprendono. La garanzia della dottrina risiede in definitiva nel suo carattere «non-umano»". René Guénon, Considerazioni sull’iniziazione, cap. "Sull’infallibilità tradizionale"

venerdì 8 settembre 2017

Chuang Tse, Un insegnamento taoista

Chuang Tse 
Un insegnamento taoista

Colui il cui cuore si è stabilito nell’Immutabile emette una luce divina che gli rivela la sua natura profonda. In chi emette questa luce divina gli uomini riconoscono l’Uomo Vero.
Colui che ha raggiunto questo punto non è più soggetto a mutamenti: l’elemento umano lo ha abbandonato e il Cielo lo colma. Gli uomini che sono stati abbandonati dal loro elemento umano sono chiamati il popolo del Cielo; coloro che sono assistiti dal Cielo vengono chiamati i Figli celesti: sono gli uomini ritornati al loro stato naturale così come il Cielo li aveva formati primitivamente.
Chi volesse raggiungere l’Immutabile mediante lo studio si dedicherebbe a ciò che non si può studiare; chi pretendesse arrivare all’Immutabile con l’azione mirerebbe a ciò che l’azione mai potrebbe procurare; chi volesse pervenirvi con il ragionamento lo impiegherebbe là dove la discussione è vana. Il sapersi arrestare quando oltre non si può andare con la conoscenza discorsiva è l’inizio della saggezza; a coloro che non s’attengono a ciò il Cielo riserva la distruzione.
Una volta che siano state prese tutte le precauzioni per la conservazione del corpo e che con il proprio comportamento non si abbia provocato il risentimento del prossimo, se poi arriva una calamità bisognerà attribuirla al Cielo, non agli uomini, e far sì che non si distrugga ciò che si è già raggiunto. Le calamità non possono confondere chi è stabilito nell’Immutabile, né penetrare nella Torre dell’Intelletto: questa Torre ha un suo guardiano che interverrà a condizione che non si esamini né si discuta ciò che si presenta, ma se ne rifiuti semplicemente l’accesso. Gli atti di chi non possiede la più perfetta indifferenza e sincerità non producono che disordine; le cose entrano nel suo cuore e non lasciano la loro presa. Ad ogni nuovo suo atto corrisponderà un altro disordine. Se agisce in tal modo alla luce del giorno, gli uomini avranno l’opportunità di punirlo; se agirà di nascosto saranno le influenze celesti a punirlo. Chi si rendesse conto di questo, cioè della sua costante relazione con gli uomini e con il mondo sovrasensibile, agirebbe sempre rettamente e sarebbe in grado di camminare da solo.
Colui che ha in se stesso la propria regola di vita non si preoccupa della reputazione; colui la cui regola gli è esteriore ha la volontà tesa verso continue acquisizioni. Chi non agisce per la reputazione irraggia una luce divina anche nel suo comportamento ordinario; chi è preso dallo sforzo dell’acquisizione e della preminenza è come un trafficante il cui costante affanno non sfugge a nessuno sebbene sul suo volto sia la maschera della contentezza. Talmente le cose si impadroniscono di coloro che pensano soltanto all’acquisizione che nel loro cuore non c’è nemmeno il posto per l’affetto verso i propri simili, i quali li detestano non potendo più considerarli esseri umani. Non esiste arma più mortale che la brama. La famosa spada Mû-Yê era certamente meno pericolosa. Non vi è più spietato giustiziere che l’azione equilibratrice dello Yang e Yin alla quale nessuno può sfuggire; spietati non sono lo Yang e Yin, ma le brame degli uomini che ne suscitano l’intervento.
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II Principio è nella molteplicità degli esseri e nelle loro trasformazioni. Gli esseri appaiono distinti per un temporaneo differenziarsi del Tutto ed il loro destino è di rientrare in questo Tutto di cui la loro essenza è una partecipazione. Gli esseri che alla morte non trovano il cammino di questo ritorno errano come fantasmi e coloro che l’hanno trovato si estinguono.
Sopravvivenza, estinzione, parole diverse per indicare un unico ritorno, sono espressioni inevitabili quando le nozioni proprie d’uno stato determinato si applicano ad uno stato d’essere indeterminato. Gli esseri spuntano, ma non c’è una radice determinata; quindi rientrano, ma non esiste un’apertura determinata.
La verità è che gli esseri escono da uno stato informale, indeterminato, e vi rientrano alla morte; conservano un’esistenza reale che non ha alcuna relazione con un luogo; possiedono una durata che è fuori del tempo. La realtà senza luogo, la durata senza tempo, è l’Unità Cosmica, è il Principio. Porta del Cielo è stata chiamata questa Unità entro la quale si formano le nascite e le morti, le apparizioni e le sparizioni, senza che si possa vedere la Sua forma. Questa porta è il Non-Essere dal quale hanno origine tutte le cose, è il Principio supremo. Questo è il segreto dei Saggi.
Gli antichi parlando dell’origine delle cose fornirono tre spiegazioni: alcuni pensarono che l’autore di tutti gli esseri limitati fosse l’Essere, che la vita fosse un graduale deterioramento e la morte un ritorno allo stato originario. Altri ritennero che da tutta l’eternità esistessero degli esseri limitati che passano attraverso l’alternanza della vita e della morte.
La terza spiegazione, infine, era quella di coloro che sostenevano che all’origine è il Non-Essere dal quale emana l’esistenza con tutte le sue trasformazioni, che il Non-Essere, la vita e la morte sono come la testa, il corpo e la coda d’un animale, come le varie parti d’una medesima casa: il Non-Essere e la molteplicità degli esseri formano un tutto unico. Questa fu la più alta conoscenza degli Antichi, la più completa conquista della loro intuizione.
Gli esseri rispetto al Principio sono come la fuliggine rispetto al fumo. Quando la fuliggine si deposita non vi è una nuova creazione ma soltanto una trasformazione, la fuliggine non essendo che fumo concentrato; e quando la fuliggine si convertirà in fumo si avrà ancora una trasformazione senza una modificazione essenziale.
Ugualmente il passaggio dalla vita alla morte non comporta un mutamento essenziale, solo una semplice trasformazione. I filosofi nelle loro discussioni sostengono che esiste una sostanziale differenza fra questi due stati. In verità, non c’è nessuna differenza, la vita e la morte non essendo che mutazioni d’un medesimo essere.
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Aggirandosi per il mercato si fanno le proprie scuse al contadino al quale si è calpestato un piede. Ma per la stessa offesa il padre non si scusa con il proprio figlio.
È per questo che ci è stato tramandato: «La perfezione del comportamento consiste nell’evitare una deferenza artificiale. La perfezione dell’amore non ammette affetti particolari. La fiducia perfetta è quella che non pretende solenni promesse. Perfetta accortezza è di non fare progetti per l’avvenire. L’apogeo dell’intelligenza è di non pensare».
Reprimere gli impulsi dei desideri, districarsi dalle false opinioni, sbarazzarsi di tutto ciò che ostacola il libero influsso del Principio: ecco la via della perfezione.
Gli onori, le ricchezze, il potere e la fama non fanno che aumentare i desideri. Il portamento altezzoso, il desiderio delle cose belle, i sottili ragionamenti ed i ben curati pensieri alimentano le false opinioni. L’odio, la simpatia, la compiacenza, la collera, l’afflizione e il diletto sono altrettanti impedimenti alla perfezione. I rifiuti, le sollecitazioni, il ricevere, il dare, le cognizioni e l’abilità sono barriere al libero influsso del Principio.
Quando queste quattro categorie di cause non si agitano più nel cuore, si è nella retta direzione. La retta direzione conduce alla stabilità; colui che ha raggiunto la stabilità dimora, incondizionato, nel non-agire dal quale tutte le cose sono portate a compimento.
Il Principio è il Signore di tutte le perfezioni; la vita dà l’opportunità di coltivarle ed ha nella natura il suo aspetto sostanziale. Il movimento della natura è ciò che chiamiamo azione; quando questa diventa artificiale sorge l’errore.
La gente che crede di sapere si perde in un’incessante attività; la gente che crede di sapere non fa che sfoggiare un’abilità mentale. Quel che questa gente proprio non sa è di essere come l’occhio che percepisce le immagini ma non vede.
Rinunciare al convenzionale, all’artificiale, ritornare al naturale è la Perfezione Passiva. Possedere una regola interiore, essere libero dalle suggestioni esteriori è la Perfezione Attiva. Queste due denominazioni sembrano contraddirsi, ma in realtà si completano.

Tratto da: Rivista di Studi Tradizionali n° 6 - Traduzione di Maurizio Gaio

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