A.K. Coomaraswamy,
Khwâja Khadir e la fonte della vita, nella tradizione dell'arte persiana e moghul
In India, il profeta, santo o
divinità conosciuto con i nomi di Khwâja
Khizr (Khadir), Pir Badar o Râja
Kidâr, è oggetto di un culto popolare che ancora sopravvive, e che è comune sia
fra i Musulmani sia fra gli Indù.
Il suo santuario più importante si trova sul fiume Indo, presso Bakhar, dove è venerato dai devoti di entrambe le tradizioni; ma questo culto è anche diffuso nel Bihar e nel Bengala, anche se in misura leggermente inferiore.
Il Khwâja è venerato nel culto indù con l’accensione di luci ed offrendo cibo ai bramani presso un pozzo, ed anche, sia nella pratica mussulmana sia in quella indù, facendo galleggiare in uno stagno o in un fiume una piccola imbarcazione recante una lampada accesa. Nell'iconografia, Khwâja Khirz è rappresentato come un uomo anziano dall’aspetto d'un faqîr, vestito interamente di verde[1] che si muove sulle acque sopra un pesce che gli fa da veicolo.
Il suo santuario più importante si trova sul fiume Indo, presso Bakhar, dove è venerato dai devoti di entrambe le tradizioni; ma questo culto è anche diffuso nel Bihar e nel Bengala, anche se in misura leggermente inferiore.
Il Khwâja è venerato nel culto indù con l’accensione di luci ed offrendo cibo ai bramani presso un pozzo, ed anche, sia nella pratica mussulmana sia in quella indù, facendo galleggiare in uno stagno o in un fiume una piccola imbarcazione recante una lampada accesa. Nell'iconografia, Khwâja Khirz è rappresentato come un uomo anziano dall’aspetto d'un faqîr, vestito interamente di verde[1] che si muove sulle acque sopra un pesce che gli fa da veicolo.
La natura di Khwâja Khizr può essere compresa attraverso la sua iconografia,
come sopra accennato, ed anche dalle leggende indiane. Nella ballata di Niwal
Daî, il cui scenario è la località di Safidam[2], nel
Panjab, la protagonista è la figlia di Vâsuki, il re dei Serpenti, Râjâ
Parikshit. Il pândava[3] ario,
ha affrontato Vâsuki e lo ha costretto a promettergli in sposa figlia, anche se
questo, dal punto di vista di Vâsuki, è un disonorevole matrimonio tra
ineguali. Vâsuki è poi colpito dalla lebbra per effetto della maledizione scagliata
dal sacerdote Sîgî[4], le cui mucche erano state
morse dai Serpenti. Per guarire il padre, Niwal Daî parte alla ricerca
dell'Acqua della Vita (amrta), posta in un pozzo chiuso che ella sola può
aprire ma che si trova nei possedimenti di Râjâ Parikshit[5].
Raggiunto il pozzo, rimuove le pesanti pietre che lo coprono servendosi del suo
potere magico; ma le acque si abbassano subitamente fuori dalla sua portata: a
trattenerle è Khwâja Khizr, che ne è
il signore e che le rilascerà solo quando Niwal Daî, che nessuno fino ad allora
ha mai visto, se non suo padre Vâsuki e sua madre la regina Padma, acconsentirà
a mostrarsi. Dopo che Niwal Daî si è lasciata vedere, Khwâja Khizr «libera le acque che risalgono ribollendo».
Râjâ Parikshit, destato dal
rumore, parte al galoppo verso il pozzo e, benché Niwal Daî si nasconda nella
sua forma serpentina, la costringere a riprendere il suo aspetto umano; dopo una
lunga discussione presso la fonte, la convince di essere legata dalla promessa
di matrimonio fatta da suo padre e a tempo debito la sposa[6].
La scena presso il pozzo può
essere stata il tema originale della composizione rappresentata in numerosi
dipinti moghul[7] del XVII e XVIII secolo
raffiguranti un principe a cavallo presso una sorgente da cui una dama ha
attinto dell’acqua.[8] Il motivo d’una dinastia
traente origine dall’unione d'un re umano con una nâginî è molto diffuso in
India e in ultima analisi esso può essere sempre messo in relazione con il
ratto di Vâch, l'apsaras o Vergine delle Acque sorta dalle potenze
dell'oscurità e che il Padre creatore non ha «visto» prima della
trasformazione, in principio, dell'oscurità in luce; a questo proposito è degno
di nota che, nella ballata, Niwal Daî non ha mai visto il Sole e la Luna,
essendo stata tenuta nascosta in un gorgo (bhaunrî) fino a che non viene fuori
per scoprire il Pozzo in Capo al Mondo [che è la Sorgente ai Confini del Mondo
(R.S.T.)], dove sono le Acque della Vita[9].
L’assunzione della forma umana da parte di Niwal Daî costituisce la sua
«manifestazione». Naturalmente si comprenderà come non sempre il redattore
possa aver pienamente inteso il significato del materiale mitico trattato, e
ciò vale sia per i racconti popolari europei di tematica affine, in cui una
sirena, o la figlia di un mago, sposa un eroe umano, sia anche per altri
racconti popolari e poemi indù più recenti.
Khwâja Khizr appare ancora in un altro racconto popolare di tipo molto arcaico, la storia del principe Mahbûb[10]. Il re di Persia ha da una concubina un figlio che, in mancanza di un figlio legittimo, diventa l'erede presunto. In seguito la vera regina rimane incinta. Il principe, temendo di perdere i propri diritti, invade il reame, uccide il padre ed usurpa il trono. Nel frattempo la vera regina fugge ed è accolta da un contadino, poi da alla luce un figlio che viene chiamato Mahbûb, il «Tesoro del Mondo». Questi, divenuto adulto, si reca solo a corte dove vince alcune competizioni atletiche, in particolare quelle di tiro con l’arco. Il popolo nota la sua stretta rassomiglianza con il defunto re. Al suo ritorno a casa la madre gli rivela la sua vera origine ed insieme si mettono in viaggio per evitare il sospetto dell'usurpatore. Madre e figlio arrivano in una terra deserta e lì, in una moschea ai piedi d'una montagna, incontrano un faqîr; costui dà loro un pane e un'acqua inesauribili e due pezzi di legno: uno di cui ci si può servire come di una torcia, l'altro che ha la virtù di rendere guadabile il mare più profondo, riducendo la sua profondità sotto il cubito per un raggio di quattordici braccia dal punto dove esso è tenuto. Mentre madre e figlio stanno guadando così l'oceano, la cui acqua arriva loro al ginocchio, incontrano una corrente che trasporta dei rubini. Attraversato l’oceano e giunti in India, vi vendono uno dei rubini ad un prezzo elevatissimo. Il rubino finisce nelle mani del re del paese il quale, scopertane l'origine, ricerca l’eroe, che nel frattempo s'è costruito un nuovo e grande palazzo sulla riva del mare. Mahbûb si impegna a procurare al re altri rubini della stessa qualità. Egli parte solo, accende la torcia (ciò sta ad indicare che s'appresta a penetrare in un mondo di oscurità) e, servendosi dell'altro pezzo di legno, s'inoltra nel mare fino a raggiungere la corrente di rubini. Mahbûb la risale fino a trovare la sua origine, un gorgo nel quale si tuffa cadendo in un profondo e oscuro camino d’acqua, giunto al fondo del quale scopre che la corrente fluisce da una cancello di ferro che da accesso ad un condotto. Inoltratovisi, si ritrova in un meraviglioso giardino, al cui centro è un palazzo. In questo palazzo trova una stanza in cui giace una testa mozzata da poco, dalla quale gocce di sangue cadono in un bacino e sono trascinate via, sotto forma di rubini, dalla corrente nel condotto sottomarino, poi finiscono nel gorgo fino a giungere nel mare. Allora appaiono dodici pâris[11] che, presa la testa, ne portano il tronco e ricompongono il corpo decapitato; impugnando candele accese, eseguono intorno al giaciglio funebre una danza talmente rapida che Mahbûb può vedere solo un cerchio di luce. Poi, chinandosi sul letto, esse si lamentano: «Per quanto tempo, oh Signore, per quanto tempo?... Quando il sole della speranza si leverà sull'oscurità della nostra disperazione? Sorgi, oh Re, sorgi! Per quanto tempo ancora rimarrai in questa incoscienza simile alla morte?»[12].
È allora che dal pavimento del palazzo sorge la forma del faqîr già incontrato, ora ammantato in una veste di luce. Le pâris gli si inchinano e gli domandano: «Khwâja Khizr, è giunta l’ora»? Il faqîr, che non è altri che l'immortale Khwâja Khizr, spiega a Mahbûb che il corpo è quello di suo padre, assassinato dall'usurpatore Kassâb; gli antenati di Mahbûb furono tutti dei magi[13]; tutti furono sepolti nel palazzo sottomarino, ma il padre di Mahbûb è rimasto senza sepoltura perché privato dei riti funerari che, come figlio, Mahbûb deve ora compiere. Questi prega Allah per l'anima del padre: immediatamente la testa si riattacca al corpo ed il re, ritornato in vita, si leva in piedi[14]. Khizr sparisce e Mahbub fa ritorno in India col padre, che si riunisce alla regina vedova. Quando il re dell'India viene a chiedere i rubini, Mahbûb si punge un dito e le gocce di sangue, cadendo in una coppa d’acqua, diventano le gemme richieste, poiché, come sa ora Mahbûb, ogni goccia del sangue che scorre nelle vene dei re della Persia è più preziosa dei rubini. Mahbub sposa quindi la figlia del re dell'India. Una spedizione militare in Persia detronizza l'usurpatore Kassab, la cui testa mozzata è appesa nel palazzo sotterraneo, ma ogni goccia del sangue che cola da essa si trasforma in un rospo.
La vera natura di Khwâja Khizr è gia chiaramente mostrata sia nei due racconti innanzi riassunti sia nell’iconografia. Khizr è a suo agio nei due mondi, quello della luce e quello dell’oscurità, ma soprattutto è il signore del Fiume della Vita, che scorre nella Terra delle Tenebre: egli è ad un tempo il genio e il guardiano della vegetazione e dell'Acqua della Vita e corrisponde a Soma e a Gandharva nella mitologia vedica, ma anche, in molti particolari, allo stesso Varuna, benché sia evidente che egli non può essere apertamente identificato alla divinità suprema né dal punto di vista islamico né da quello dell'Induismo più recente. Noi troveremo queste conclusioni generali ampiamente confermate dall’ulteriore esame delle fonti delle leggende islamiche di al-Khadir.
Nel Qur'ân (sûra XVIII, 59-81) si trova la leggenda di Mûsâ (Mosé) alla ricerca del Ma’jma' al-Bahrain (la confluenza dei due mari)[15], espressione da intendersi probabilmente come un «luogo» dell'estremo-occidente sito all’incontro di due oceani; Mûsâ è guidato da un «servo di Dio», che i commentatori identificano con al-Khadir, la cui dimora si dice sia posta un'isola, o su un tappeto verde in mezzo al mare. Questo racconto può essere rintracciato in altre tre fonti più antiche: l'epopea di Gilgamesh, il Romanzo di Alessandro e la leggenda ebraica d'Elijah e di Rabbi Joshua ben Levi[16]. Nell'epopea di Gilgamesh, l'eroe parte alla ricerca del suo immortale «antenato» Utnapishtim, che abita alla foce dei fiumi (ina pi narati), come Varuna, la cui dimora è «alla sorgente dei fiumi», sindhûnâm upodaye (Rig-Veda, VIII, 41, 2); suo scopo è di essere istruito sulla «pianta della vita», prototipo dell'haoma avestico e del soma vedico[17], con la quale l'uomo può evitare la morte. Nel Romanzo d'Alessandro, Alessandro intraprende la ricerca della Fontana della Vita, che egli scopre per caso, significativamente «nella Terra delle Tenebre», ma che poi non potrà essere ritrovata. Una versione della leggenda compare nello Shâh Nâmah, dove Alessandro parte alla ricerca della Fontana della Vita sita nella Terra delle Tenebre, oltre il punto in cui il Sole tramonta tuffandosi nelle acque dell'occidente; Alessandro ha come guida Khizr, ma quando arrivano ad una biforcazione ciascuno segue un sentiero diverso e solo Khizr porta a termine la ricerca. I compagni di Alessandro, che tornano recando con loro pietre della Terra delle Tenebre, scoprono al ritorno che queste si sono mutate in pietre preziose[18]. La medesima storia è raccontata con più particolari nell’Iskandar Nâmah di Nizâmî (LXVIII-LXIX); ivi si narra che Alessandro apprende da un vecchio (probabilmente Khizr stesso in forma umana) che «di tutti i paesi, il migliore è la Terra dell'Oscurità, in cui si trova un'Acqua che da la vita» e che la sorgente di questo Fiume della Vita è a Settentrione, sotto la Stella Polare[19]. Lungo la strada verso la Terra dell’Oscurità, in ogni regione arida che attraversano, cade la pioggia e l'erba germoglia: «Tu diresti che lungo questa strada vi sono i segni del passaggio di Khizr: in verità Khizr in persona la percorse con il re»[20]. I viaggiatori raggiungono il limite settentrionale del mondo: il sole cessa di levarsi ed ecco che la Terra delle Tenebre sta davanti a loro. Alessandro si affida alla guida del profeta Khizr e questi, «avanzando nel verde»[21], indica la strada, e presto scopre la fontana, da cui beve divenendo immortale. Mentre attende che Alessandro lo raggiunga egli tiene lo sguardo fisso sulla sorgente; ma questa diventa invisibile e lo stesso Khizr scompare, comprendendo che Alessandro fallirà nella sua ricerca. Nizâmî riporta pure un'altra versione, conforme a un «racconto degli antichi di Roma», secondo cui la ricerca è intrapresa da Ilyâs (Elia)[22] e Khizr. I due si siedono presso una fonte per consumare il loro pasto, che consiste in un pesce essiccato. Il pesce, dopo essere caduto nell'acqua, ritorna in vita, e così i due ricercatori comprendono d'aver trovato la Fontana della Vita, da cui entrambi bevono. Nizâmî passa quindi a considerare la versione coranica e interpreta la Fontana come fonte di Grazia la cui Acqua «vivente» è la conoscenza di Dio - un'interpretazione analoga di questo antico tema si trova nel Nuovo Testamento (Giovanni, IV) -. Nizâmî attribuisce l'insuccesso di Iskandar (Alessandro) alla sua brama; nel caso di Khizr, invece, «l'Acqua della Vita è raggiunta senza essere stata cercata», infatti essa è rivelata indirettamente dal suo effetto sul pesce, quando Khizr non sospetta di esserci arrivato.
La scoperta della fontana da parte di Khizr e Ilyas ricorre nell’arte persiana come soggetto di alcune miniature illustranti l'Iskandar Nâma[23]. Una di queste, tratta da un manoscritto del tardo XVI secolo di proprietà di A. Sakisian, è riprodotta a colori nella copertina del suo libro La Miniature persane, 1929, e in monocromia nel volume Persian Painting di L. Binyon, 1933, ill. LXI a; in questa illustrazione, i due profeti appaiono seduti presso la Fonte, in un paesaggio verdeggiante; in un grande piatto si vedono due pesci, ed un terzo, manifestamente vivo, è nella mano di Khizr; appare chiaro che questi indica a Ilyâs il significato del miracolo. Ilyâs è vestito di turchino, Khizr indossa un vestito verde ed un mantello marrone. In una composizione del XVII secolo, appartenente alla Freer Gallery di Washington e riprodotta in Ars Islamica, volume I, II parte, pag. 179, la raffigurazione è analoga, ma nel piatto vi è un pesce solo. Una terza miniatura, risalente alla fine del XV secolo, è conservata nel Museum of Fine Arts di Boston ed è stata riprodotta in Ars Asiatica, XVII, tav. VII, n. 15; Ilyâs e Khizr appaiono in primo piano, presso un ruscello, nell'oscurità; Alessandro ed il suo seguito sono nello sfondo, come nella raffigurazione della Freer Gallery, nella quale la disposizione delle ombre e delle luci è tuttavia invertita. La raffigurazione della Freer Gallery sembra sotto questo aspetto essere la più corretta poiché, anche se l’intera ricerca ha luogo nella Terra delle Tenebre, le vicinanze immediate della Fontana della Vita appaiono come illuminate dallo splendore delle sue acque correnti. Inoltre, i due Scopritori della Sorgente recano entrambi sul capo un'aureola fiammeggiante.
Nel testo siriano Il Poema d'Alessandro e nella versione del Qur'an, il pesce sfugge e, secondo quest’ultima, esso raggiunge il mare. Si può rilevare una relazione con il racconto di Manu e del «pesce», nel mito di Manu (Shatapatha Brâhmana, I, 8, I); in esso il pesce (jhasha) è vivo fin dall’inizio, ma è molto piccolo ed si trova in una situazione difficile, poiché finisce nelle mani di Manu mentre questi si lava, e gli chiede di prendersi cura di lui. Manu gli procura l’acqua e, quando il pesce è diventato grande, lo libera nel mare; quando sopraggiunge Diluvio, è il pesce che guida l'Arca attraverso le Acque per mezzo d'una fune attaccata al suo corno. Una variante degna di nota della leggenda di Manu, con un più stretto parallelismo con le versioni del Poema di Alessandro e del Qur'an rispetto alla disseccazione del pesce, si ritrova nel Jaiminîya-Brâhmana (III, 193) e nel Panchavimsha-Brâhmana (XIV, 5, 15). Ivi si narra di Sharkara, il marsovino (shishumâra), il quale, essendosi rifiutato di lodare Indra, viene gettato su una spiaggia da Parjanya, il dio della pioggia, che poi lo essicca mediante il vento del settentrione (la causa dell'essiccazione del pesce è così indicata). Sharkara compone allora un cantico di lode in onore di Indra; Parjanya lo restituisce all'oceano (come fa Khizr, benché non intenzionalmente, nella versione coranica) e, grazie a questo stesso canto, Sharkara giunge al Cielo e diventa una costellazione. Si tratta indubbiamente della costellazione del Capricorno, in sanscrito makara, makarashi. Così makara, jhasha e shishumâra sono sinonimi[24]; questo Leviatano indiano corrisponde chiaramente al pesce Kar, «la piu grande delle creature di Ahuramazda», che nuota nel Vurukasha custodendo l'albero di vita Haoma nell'oceano primordiale (Bundahish XVIII; Yasna, XLII, 4); corrisponde pure al pesce-caprone dei Sumeri, simbolo e talvolta «veicolo» di Ea, il dio delle Acque (Langdon, Semitic Mythology, pagg. 105-106). Non deve sorprenderci che, nell'iconografia indù più recente, il «veicolo» di Khizr è inequivocabilmente un pesce e non il makara, la cui forma ricorda quella del coccodrillo, poiché si potrebbero citare dalle fonti iconografiche indiane altri esempi attestanti l’utilizzo alternativo del makara e del ‘pesce’; in qualche antico dipinto, ad esempio, la dea fluviale Ganga ha quale supporto un makara, mentre nelle raffigurazioni più recenti ha come veicolo un pesce[25].
Nella versione della leggenda di Alessandro, detta dello Pseudo-Callisthenes (C), Alessandro è accompagnato dal suo cuoco Andreas. Dopo un luogo viaggio attraverso la Terra delle Tenebre, essi pervengono in un luogo ricco di acque zampillanti e si siedono per mangiare; Andreas inumidisce il pesce disseccato e, vedendo che questo risuscita, beve di quell’acqua senza dire nulla a Alessandro. In seguito Andreas seduce Kalé, la figlia di Alessandro, e le fa bere l'Acqua di Vita (un po’ della quale egli aveva portato con sé ); così ella diventa una dea immortale chiamata Nereis, mentre il cuoco è gettato in mare e si trasforma in un dio; diventano così entrambi abitanti dell'altro mondo. Senza dubbio, Andreas è qui l'Idris del Qur'an (sura XIX, 57 e seg., e sura XXI, 85), che la tradizione islamica identifica a Enoch, Ilyâs, e al-Khadir. Secondo quanto riporta su Idris Ibn al-Qifti, nel suo Târikh al-Hukamâ’a (composto nell'anno 1200), questi appare assumere il ruolo di un eroe solare ed è immortale.
Al-Khadir presenta anche alcuni punti di somiglianza con San Giorgio, ed è in connessione a ciò, ed anche a una sua funzione di patrono dei viaggiatori, che incontriamo una figura, che è probabilmente quella di Al-Khadir, in un bassorilievo del XIII secolo posto al di sopra del cancello d'un caravanserraglio, sulla strada da Sinjar a Mossul; la figura reca un’aureola e affonda una lancia nella bocca d'un drago coperto di scaglie[26]. Un'altra opera, di apparente tematica indù, rappresentante un uomo seduto su di un pesce, si trova nel bastione del forte di Raichur, nel Dekkan; si è affermato che rechi una corona cappucci di serpente fluviale: il personaggio è stato perciò denominato «re dei serpenti»; ma nella riproduzione pubblicata questi cappucci di serpente non sono chiaramente riconoscibili[27]. Del resto l'arte indiana del periodo medioevale offre numerose rappresentazioni di Varuna seduto su di un makara[28].
Si possono citare brevemente dei corrispondenti europei similmente derivati, in ultima analisi, da fonti sumeriche. Khadir corrisponde a Glaukos, il dio marino dei Greci (Friedländer, op. cit. pagg. I08 e seg., 242, 253, ecc.; Bernett, op. cit., pag. 715 ). Khadir appartiene anche alla tipologia dell’Ebreo Errante. Sono degni di nota i parallelismi fra tra Glaukos ed il Gandharva vedico. Nell'Avesta, Gandharva è appellato zairipashna, «quello dai talloni verdi», e questo suggerisce un legame tra Gandharva e Khadir. Come ha osservato Barnett, è possibile che Ghandharva corrisponda a Kandarpa, cioè a Kâmadeva (il dio indù dell'amore); a questo proposito, si può notare che la tematica erotica, comune a Glaukos ed a Gandharva-Kâmadeva, appare anche in connessione con Khizr nella ballata di Niwal Daî, dove Khizr non libererà le acque se non potrà vedere la principessa; come ci si potrebbe aspettare se consideriamo Khizr come Gandharva e Niwal Daî come l'Apsara o la Vergine (yoshâ) delle Acque, oppure se mettiamo in relazione Khizr con Varuna; nel Rig-Veda (VII, 33, 10-11) Mitra e Varuna sono sedotti dalla vista di Urvashî, come si può leggere nella Sarvânukramanî (I, 166: urvashim apsarasam drishtvâ... reto apatat), e Sayana (retash caskanda), evidentemente seguendo Nirukta, v. 13. La stessa situazione, è sottintesa nel Rig-Veda (VII, 87, 6) in riguardo al solo Varuna che discende come una goccia bianca (drapsa) e che viene chiamato «l'attraversatore dello spazio» (rajasah-vimânah) e «il dominatore della profondità» (gambhîra-shamsah), attributi questi potrebbero ben applicarsi a Khizr.
Khwâja Khizr appare ancora in un altro racconto popolare di tipo molto arcaico, la storia del principe Mahbûb[10]. Il re di Persia ha da una concubina un figlio che, in mancanza di un figlio legittimo, diventa l'erede presunto. In seguito la vera regina rimane incinta. Il principe, temendo di perdere i propri diritti, invade il reame, uccide il padre ed usurpa il trono. Nel frattempo la vera regina fugge ed è accolta da un contadino, poi da alla luce un figlio che viene chiamato Mahbûb, il «Tesoro del Mondo». Questi, divenuto adulto, si reca solo a corte dove vince alcune competizioni atletiche, in particolare quelle di tiro con l’arco. Il popolo nota la sua stretta rassomiglianza con il defunto re. Al suo ritorno a casa la madre gli rivela la sua vera origine ed insieme si mettono in viaggio per evitare il sospetto dell'usurpatore. Madre e figlio arrivano in una terra deserta e lì, in una moschea ai piedi d'una montagna, incontrano un faqîr; costui dà loro un pane e un'acqua inesauribili e due pezzi di legno: uno di cui ci si può servire come di una torcia, l'altro che ha la virtù di rendere guadabile il mare più profondo, riducendo la sua profondità sotto il cubito per un raggio di quattordici braccia dal punto dove esso è tenuto. Mentre madre e figlio stanno guadando così l'oceano, la cui acqua arriva loro al ginocchio, incontrano una corrente che trasporta dei rubini. Attraversato l’oceano e giunti in India, vi vendono uno dei rubini ad un prezzo elevatissimo. Il rubino finisce nelle mani del re del paese il quale, scopertane l'origine, ricerca l’eroe, che nel frattempo s'è costruito un nuovo e grande palazzo sulla riva del mare. Mahbûb si impegna a procurare al re altri rubini della stessa qualità. Egli parte solo, accende la torcia (ciò sta ad indicare che s'appresta a penetrare in un mondo di oscurità) e, servendosi dell'altro pezzo di legno, s'inoltra nel mare fino a raggiungere la corrente di rubini. Mahbûb la risale fino a trovare la sua origine, un gorgo nel quale si tuffa cadendo in un profondo e oscuro camino d’acqua, giunto al fondo del quale scopre che la corrente fluisce da una cancello di ferro che da accesso ad un condotto. Inoltratovisi, si ritrova in un meraviglioso giardino, al cui centro è un palazzo. In questo palazzo trova una stanza in cui giace una testa mozzata da poco, dalla quale gocce di sangue cadono in un bacino e sono trascinate via, sotto forma di rubini, dalla corrente nel condotto sottomarino, poi finiscono nel gorgo fino a giungere nel mare. Allora appaiono dodici pâris[11] che, presa la testa, ne portano il tronco e ricompongono il corpo decapitato; impugnando candele accese, eseguono intorno al giaciglio funebre una danza talmente rapida che Mahbûb può vedere solo un cerchio di luce. Poi, chinandosi sul letto, esse si lamentano: «Per quanto tempo, oh Signore, per quanto tempo?... Quando il sole della speranza si leverà sull'oscurità della nostra disperazione? Sorgi, oh Re, sorgi! Per quanto tempo ancora rimarrai in questa incoscienza simile alla morte?»[12].
È allora che dal pavimento del palazzo sorge la forma del faqîr già incontrato, ora ammantato in una veste di luce. Le pâris gli si inchinano e gli domandano: «Khwâja Khizr, è giunta l’ora»? Il faqîr, che non è altri che l'immortale Khwâja Khizr, spiega a Mahbûb che il corpo è quello di suo padre, assassinato dall'usurpatore Kassâb; gli antenati di Mahbûb furono tutti dei magi[13]; tutti furono sepolti nel palazzo sottomarino, ma il padre di Mahbûb è rimasto senza sepoltura perché privato dei riti funerari che, come figlio, Mahbûb deve ora compiere. Questi prega Allah per l'anima del padre: immediatamente la testa si riattacca al corpo ed il re, ritornato in vita, si leva in piedi[14]. Khizr sparisce e Mahbub fa ritorno in India col padre, che si riunisce alla regina vedova. Quando il re dell'India viene a chiedere i rubini, Mahbûb si punge un dito e le gocce di sangue, cadendo in una coppa d’acqua, diventano le gemme richieste, poiché, come sa ora Mahbûb, ogni goccia del sangue che scorre nelle vene dei re della Persia è più preziosa dei rubini. Mahbub sposa quindi la figlia del re dell'India. Una spedizione militare in Persia detronizza l'usurpatore Kassab, la cui testa mozzata è appesa nel palazzo sotterraneo, ma ogni goccia del sangue che cola da essa si trasforma in un rospo.
La vera natura di Khwâja Khizr è gia chiaramente mostrata sia nei due racconti innanzi riassunti sia nell’iconografia. Khizr è a suo agio nei due mondi, quello della luce e quello dell’oscurità, ma soprattutto è il signore del Fiume della Vita, che scorre nella Terra delle Tenebre: egli è ad un tempo il genio e il guardiano della vegetazione e dell'Acqua della Vita e corrisponde a Soma e a Gandharva nella mitologia vedica, ma anche, in molti particolari, allo stesso Varuna, benché sia evidente che egli non può essere apertamente identificato alla divinità suprema né dal punto di vista islamico né da quello dell'Induismo più recente. Noi troveremo queste conclusioni generali ampiamente confermate dall’ulteriore esame delle fonti delle leggende islamiche di al-Khadir.
Nel Qur'ân (sûra XVIII, 59-81) si trova la leggenda di Mûsâ (Mosé) alla ricerca del Ma’jma' al-Bahrain (la confluenza dei due mari)[15], espressione da intendersi probabilmente come un «luogo» dell'estremo-occidente sito all’incontro di due oceani; Mûsâ è guidato da un «servo di Dio», che i commentatori identificano con al-Khadir, la cui dimora si dice sia posta un'isola, o su un tappeto verde in mezzo al mare. Questo racconto può essere rintracciato in altre tre fonti più antiche: l'epopea di Gilgamesh, il Romanzo di Alessandro e la leggenda ebraica d'Elijah e di Rabbi Joshua ben Levi[16]. Nell'epopea di Gilgamesh, l'eroe parte alla ricerca del suo immortale «antenato» Utnapishtim, che abita alla foce dei fiumi (ina pi narati), come Varuna, la cui dimora è «alla sorgente dei fiumi», sindhûnâm upodaye (Rig-Veda, VIII, 41, 2); suo scopo è di essere istruito sulla «pianta della vita», prototipo dell'haoma avestico e del soma vedico[17], con la quale l'uomo può evitare la morte. Nel Romanzo d'Alessandro, Alessandro intraprende la ricerca della Fontana della Vita, che egli scopre per caso, significativamente «nella Terra delle Tenebre», ma che poi non potrà essere ritrovata. Una versione della leggenda compare nello Shâh Nâmah, dove Alessandro parte alla ricerca della Fontana della Vita sita nella Terra delle Tenebre, oltre il punto in cui il Sole tramonta tuffandosi nelle acque dell'occidente; Alessandro ha come guida Khizr, ma quando arrivano ad una biforcazione ciascuno segue un sentiero diverso e solo Khizr porta a termine la ricerca. I compagni di Alessandro, che tornano recando con loro pietre della Terra delle Tenebre, scoprono al ritorno che queste si sono mutate in pietre preziose[18]. La medesima storia è raccontata con più particolari nell’Iskandar Nâmah di Nizâmî (LXVIII-LXIX); ivi si narra che Alessandro apprende da un vecchio (probabilmente Khizr stesso in forma umana) che «di tutti i paesi, il migliore è la Terra dell'Oscurità, in cui si trova un'Acqua che da la vita» e che la sorgente di questo Fiume della Vita è a Settentrione, sotto la Stella Polare[19]. Lungo la strada verso la Terra dell’Oscurità, in ogni regione arida che attraversano, cade la pioggia e l'erba germoglia: «Tu diresti che lungo questa strada vi sono i segni del passaggio di Khizr: in verità Khizr in persona la percorse con il re»[20]. I viaggiatori raggiungono il limite settentrionale del mondo: il sole cessa di levarsi ed ecco che la Terra delle Tenebre sta davanti a loro. Alessandro si affida alla guida del profeta Khizr e questi, «avanzando nel verde»[21], indica la strada, e presto scopre la fontana, da cui beve divenendo immortale. Mentre attende che Alessandro lo raggiunga egli tiene lo sguardo fisso sulla sorgente; ma questa diventa invisibile e lo stesso Khizr scompare, comprendendo che Alessandro fallirà nella sua ricerca. Nizâmî riporta pure un'altra versione, conforme a un «racconto degli antichi di Roma», secondo cui la ricerca è intrapresa da Ilyâs (Elia)[22] e Khizr. I due si siedono presso una fonte per consumare il loro pasto, che consiste in un pesce essiccato. Il pesce, dopo essere caduto nell'acqua, ritorna in vita, e così i due ricercatori comprendono d'aver trovato la Fontana della Vita, da cui entrambi bevono. Nizâmî passa quindi a considerare la versione coranica e interpreta la Fontana come fonte di Grazia la cui Acqua «vivente» è la conoscenza di Dio - un'interpretazione analoga di questo antico tema si trova nel Nuovo Testamento (Giovanni, IV) -. Nizâmî attribuisce l'insuccesso di Iskandar (Alessandro) alla sua brama; nel caso di Khizr, invece, «l'Acqua della Vita è raggiunta senza essere stata cercata», infatti essa è rivelata indirettamente dal suo effetto sul pesce, quando Khizr non sospetta di esserci arrivato.
La scoperta della fontana da parte di Khizr e Ilyas ricorre nell’arte persiana come soggetto di alcune miniature illustranti l'Iskandar Nâma[23]. Una di queste, tratta da un manoscritto del tardo XVI secolo di proprietà di A. Sakisian, è riprodotta a colori nella copertina del suo libro La Miniature persane, 1929, e in monocromia nel volume Persian Painting di L. Binyon, 1933, ill. LXI a; in questa illustrazione, i due profeti appaiono seduti presso la Fonte, in un paesaggio verdeggiante; in un grande piatto si vedono due pesci, ed un terzo, manifestamente vivo, è nella mano di Khizr; appare chiaro che questi indica a Ilyâs il significato del miracolo. Ilyâs è vestito di turchino, Khizr indossa un vestito verde ed un mantello marrone. In una composizione del XVII secolo, appartenente alla Freer Gallery di Washington e riprodotta in Ars Islamica, volume I, II parte, pag. 179, la raffigurazione è analoga, ma nel piatto vi è un pesce solo. Una terza miniatura, risalente alla fine del XV secolo, è conservata nel Museum of Fine Arts di Boston ed è stata riprodotta in Ars Asiatica, XVII, tav. VII, n. 15; Ilyâs e Khizr appaiono in primo piano, presso un ruscello, nell'oscurità; Alessandro ed il suo seguito sono nello sfondo, come nella raffigurazione della Freer Gallery, nella quale la disposizione delle ombre e delle luci è tuttavia invertita. La raffigurazione della Freer Gallery sembra sotto questo aspetto essere la più corretta poiché, anche se l’intera ricerca ha luogo nella Terra delle Tenebre, le vicinanze immediate della Fontana della Vita appaiono come illuminate dallo splendore delle sue acque correnti. Inoltre, i due Scopritori della Sorgente recano entrambi sul capo un'aureola fiammeggiante.
Nel testo siriano Il Poema d'Alessandro e nella versione del Qur'an, il pesce sfugge e, secondo quest’ultima, esso raggiunge il mare. Si può rilevare una relazione con il racconto di Manu e del «pesce», nel mito di Manu (Shatapatha Brâhmana, I, 8, I); in esso il pesce (jhasha) è vivo fin dall’inizio, ma è molto piccolo ed si trova in una situazione difficile, poiché finisce nelle mani di Manu mentre questi si lava, e gli chiede di prendersi cura di lui. Manu gli procura l’acqua e, quando il pesce è diventato grande, lo libera nel mare; quando sopraggiunge Diluvio, è il pesce che guida l'Arca attraverso le Acque per mezzo d'una fune attaccata al suo corno. Una variante degna di nota della leggenda di Manu, con un più stretto parallelismo con le versioni del Poema di Alessandro e del Qur'an rispetto alla disseccazione del pesce, si ritrova nel Jaiminîya-Brâhmana (III, 193) e nel Panchavimsha-Brâhmana (XIV, 5, 15). Ivi si narra di Sharkara, il marsovino (shishumâra), il quale, essendosi rifiutato di lodare Indra, viene gettato su una spiaggia da Parjanya, il dio della pioggia, che poi lo essicca mediante il vento del settentrione (la causa dell'essiccazione del pesce è così indicata). Sharkara compone allora un cantico di lode in onore di Indra; Parjanya lo restituisce all'oceano (come fa Khizr, benché non intenzionalmente, nella versione coranica) e, grazie a questo stesso canto, Sharkara giunge al Cielo e diventa una costellazione. Si tratta indubbiamente della costellazione del Capricorno, in sanscrito makara, makarashi. Così makara, jhasha e shishumâra sono sinonimi[24]; questo Leviatano indiano corrisponde chiaramente al pesce Kar, «la piu grande delle creature di Ahuramazda», che nuota nel Vurukasha custodendo l'albero di vita Haoma nell'oceano primordiale (Bundahish XVIII; Yasna, XLII, 4); corrisponde pure al pesce-caprone dei Sumeri, simbolo e talvolta «veicolo» di Ea, il dio delle Acque (Langdon, Semitic Mythology, pagg. 105-106). Non deve sorprenderci che, nell'iconografia indù più recente, il «veicolo» di Khizr è inequivocabilmente un pesce e non il makara, la cui forma ricorda quella del coccodrillo, poiché si potrebbero citare dalle fonti iconografiche indiane altri esempi attestanti l’utilizzo alternativo del makara e del ‘pesce’; in qualche antico dipinto, ad esempio, la dea fluviale Ganga ha quale supporto un makara, mentre nelle raffigurazioni più recenti ha come veicolo un pesce[25].
Nella versione della leggenda di Alessandro, detta dello Pseudo-Callisthenes (C), Alessandro è accompagnato dal suo cuoco Andreas. Dopo un luogo viaggio attraverso la Terra delle Tenebre, essi pervengono in un luogo ricco di acque zampillanti e si siedono per mangiare; Andreas inumidisce il pesce disseccato e, vedendo che questo risuscita, beve di quell’acqua senza dire nulla a Alessandro. In seguito Andreas seduce Kalé, la figlia di Alessandro, e le fa bere l'Acqua di Vita (un po’ della quale egli aveva portato con sé ); così ella diventa una dea immortale chiamata Nereis, mentre il cuoco è gettato in mare e si trasforma in un dio; diventano così entrambi abitanti dell'altro mondo. Senza dubbio, Andreas è qui l'Idris del Qur'an (sura XIX, 57 e seg., e sura XXI, 85), che la tradizione islamica identifica a Enoch, Ilyâs, e al-Khadir. Secondo quanto riporta su Idris Ibn al-Qifti, nel suo Târikh al-Hukamâ’a (composto nell'anno 1200), questi appare assumere il ruolo di un eroe solare ed è immortale.
Al-Khadir presenta anche alcuni punti di somiglianza con San Giorgio, ed è in connessione a ciò, ed anche a una sua funzione di patrono dei viaggiatori, che incontriamo una figura, che è probabilmente quella di Al-Khadir, in un bassorilievo del XIII secolo posto al di sopra del cancello d'un caravanserraglio, sulla strada da Sinjar a Mossul; la figura reca un’aureola e affonda una lancia nella bocca d'un drago coperto di scaglie[26]. Un'altra opera, di apparente tematica indù, rappresentante un uomo seduto su di un pesce, si trova nel bastione del forte di Raichur, nel Dekkan; si è affermato che rechi una corona cappucci di serpente fluviale: il personaggio è stato perciò denominato «re dei serpenti»; ma nella riproduzione pubblicata questi cappucci di serpente non sono chiaramente riconoscibili[27]. Del resto l'arte indiana del periodo medioevale offre numerose rappresentazioni di Varuna seduto su di un makara[28].
Si possono citare brevemente dei corrispondenti europei similmente derivati, in ultima analisi, da fonti sumeriche. Khadir corrisponde a Glaukos, il dio marino dei Greci (Friedländer, op. cit. pagg. I08 e seg., 242, 253, ecc.; Bernett, op. cit., pag. 715 ). Khadir appartiene anche alla tipologia dell’Ebreo Errante. Sono degni di nota i parallelismi fra tra Glaukos ed il Gandharva vedico. Nell'Avesta, Gandharva è appellato zairipashna, «quello dai talloni verdi», e questo suggerisce un legame tra Gandharva e Khadir. Come ha osservato Barnett, è possibile che Ghandharva corrisponda a Kandarpa, cioè a Kâmadeva (il dio indù dell'amore); a questo proposito, si può notare che la tematica erotica, comune a Glaukos ed a Gandharva-Kâmadeva, appare anche in connessione con Khizr nella ballata di Niwal Daî, dove Khizr non libererà le acque se non potrà vedere la principessa; come ci si potrebbe aspettare se consideriamo Khizr come Gandharva e Niwal Daî come l'Apsara o la Vergine (yoshâ) delle Acque, oppure se mettiamo in relazione Khizr con Varuna; nel Rig-Veda (VII, 33, 10-11) Mitra e Varuna sono sedotti dalla vista di Urvashî, come si può leggere nella Sarvânukramanî (I, 166: urvashim apsarasam drishtvâ... reto apatat), e Sayana (retash caskanda), evidentemente seguendo Nirukta, v. 13. La stessa situazione, è sottintesa nel Rig-Veda (VII, 87, 6) in riguardo al solo Varuna che discende come una goccia bianca (drapsa) e che viene chiamato «l'attraversatore dello spazio» (rajasah-vimânah) e «il dominatore della profondità» (gambhîra-shamsah), attributi questi potrebbero ben applicarsi a Khizr.
Resta da osservare che,
nell'iconografia cristiana, la figura del dio fluviale Giordano[29], che
si ritrova comunemente nelle rappresentazioni del Battesimo di Gesù, presenta
una certa rassomiglianza con i personaggi di Glaukos e di Khizr. In alcuni casi
il battesimo era immaginato aver luogo alla confluenza di due fiumi, Jor e
Danus [il che ricorda la confluenza dei due mari del Qur'an (nota R.S.T.)] .
Talvolta si trova un dio fluviale maschio ed una figura femminile
rappresentante il mare; entrambi cavalcano delfini come, nell'iconografia
indiana, i numerosi tipi di Yakshas nani cavalcano il makara. In ultima analisi, tutti questi motivi iconografici possono
essere riportati a prototipi dei quali la concezione più antica, a nostra
conoscenza, è quella sumerica del dio Ea, figlio e immagine di Enki, il cui
nome essenziale (Enki) significa «Signore della Profondità Acquea». Ea era il
reggitore dei corsi d’acqua che hanno la loro origine nel Mondo Sotterraneo, e
da lì scorrono a fertilizzare la terra, ed egli è anche il Signore delle pietre
preziose. Nella rappresentazione iconografica, Ea ha come simbolo il
pesce-caprone ed ha fra le mani il vaso dal quale si riversa dell'acqua, la
sorgente del «pane e dell'acqua della vita immortale». Dei sette figli di Ea,
Marduk eredita la saggezza del padre ed uccide il drago Tiamat; un altro figlio
è Dumuziabzu, il «Fedele figlio delle Acque Pure», ed anche il «Pastore», la
forma semitica del cui nome è Tammuz, ben conosciuto come il «dio morente»
della vegetazione; egli è per certi aspetti paragonabile a Soma e, quale «Signore
del Regno di Morti», a Yama. Gli altri aspetti corrispondenti con le divinità
sumere sono troppo numerosi e riposti per poter essere trattati adeguatamente
in questo studio[30]. È sufficiente aver
dimostrato l’ampia diffusione e l’origine antica della figura di Khwâja Khizr,
come essa ricorre nelle
iconografie persiane ed indù. In riferimento all’arte moghul, possiamo
citare
un'osservazione di H. Goetz che, discutendo le origini del’arte moghul,
nota che essa presenta «in parte un'identità assoluta e in parte una
stretta
parentela con le fonti delle culture dell’oriente antico e precisamente,
in
misura considerevole, con quelle del periodo sumerico classico»[31]. Che
la figura di Khizr acquisisca una
certa indipendenza ed una certa predominanza proprio nell'arte moghul del XVIII
secolo – tutte le opere indiane da me esaminate sono in «stile Lucknow» –
sembra indicare che una certa rinascita del suo culto si sia prodotta a
quell'epoca ed in quella regione, soprattutto se si considera l'adozione del
pesce come emblema regale da parte dei principi di Oudh.
Tratto da Rivista di Studi Tradizionali 20-21: [Abbiamo qui preso in considerazione uno degli
aspetti di al-Khadir, anche se ne
esistono altri; di questi importante è senza dubbio quello relativo alla sua
funzione iniziatica. Tutti questi altri aspetti sono, beninteso, in perfetta
armonia con il primo; ma il loro esame darebbe luogo a considerazioni che non
rientrano nei limiti di questo nostro studio. (R.S.T.)].
Il testo pubblicato dalla Rivista di Studi Tradizionali potrebbe essere una traduzione non dall'originale inglese ma dalla versione francese tradotta da André Préau nel n. 38 della rivista francese Études
Traditionelles. Il
testo è la traduzione dell'articolo Khwâja
Khadir and the Fountain of Life, in the tradition of persian and mughal Art, in A.K.Coomaraswamy, What is Civilization
and other essays, Golgonooza Press, 1989. In lingua originale sul sito Web: http://www.khidr.org/khwaja-Khadir.htm
Il presente testo è tratto dal sito:
http://www.tradizioneiniziatica.org/khwaja_khadir_e_lafonte_della_vita.htm
Il presente testo è tratto dal sito:
http://www.tradizioneiniziatica.org/khwaja_khadir_e_lafonte_della_vita.htm
[1] Conformemente al
significato del suo nome, “al-Khadir”,
l’Uomo Verde
[2] Safidam, probabilmente la
corruzione di sarpa-damana, la «donna del serpente». Riguardo alla leggenda di
Niwal Dai, cfr. Temple, Legends of the Panjab, I, pp..414, 418-419.
[3] Cioè un discendente di
Pandu, un antenato dei celebri eroi del Mahabharata (nota R.S.T.)
[4] Generalmente chiamato
Sanja (forse dal sanscrito samijna). Questo sacerdote (brahmana), che è al
servizio di Vasuki ma che agisce contro di lui, fa pensare a Vishwarupa, il
purohita (sacerdote familiare) degli Angeli (Taittiriya samhitha, II, 5, I), ed
a Ushanas Kavya, il purohita dei Titani (Panchavimsha-brâhmana, VII, 5, 20),
che, conquistato dal partito degli Angeli, passa dalla loro parte.
[5] È difficile ammettere che
la localizzazione del Pozzo nei domini dell’umano Parikshit sia «corretta» (in
realtà, essa si trova alla frontiera dei due mondi, in una foresta ugualmente
accessibile a Vasuki e a Parikshit), e dobbiamo pure fare notare che le acque
non sono solamente protette da uno spesso lastrone di pietra, ma anche dal
potere di Khizr, e che esse non sono acque «correnti». Numerosi sono gli
equivalenti vedici della «pesante pietra» che impedisce l'accesso alle acque,
ad esempio, nel Rig-Veda: apihitâni ashnâ (IV, 28, 5), adrim achyutam (VI, 17,
5), apah adrim (IV, 16, 8), drdhram ubdham adrim (IV. 18.6), paridhim adrim
(IV, 16); quando la pietra viene spezzata, «le acque sgorgano dalla roccia
fecondata» (srnvantnv apah . . . babrhanasya adreh, Rig-Veda, V, 41, 12), Cfr.
Shatapatha-brâhmana, IX, 1, 2, 4, in connessione con la consacrazione
dell'altare del fuoco, la quale ha inizio «dalla roccia», poiché è dalla roccia
che scaturiscono le acque (ashmano hy apah prabhavanti). Nella ballata, Vasuki
corrisponde ad Ahi (Vritra) che, colpito da Indra, continua tuttavia a
«crescere in un’oscurità senza sole» (Rig.Veda, V, 32, 6).
[6] Nel racconto qui riassunto
è facile riconoscere il tema della lotta tra gli Angeli ed i Titani (deva e
asura), tra Indra e Ahi-Vritra, tema che appartiene al «mito della creazione».
Il rapimento di Niwal Dai corrisponde a quello di Vâch (la parola) (cfr.
Rig-Veda, I, 130; dove Indra rapisce la Parola», vâcam mushâyati); Khwâja Khizr, il signore delle acque (i
«fiumi della vita» vedici) corrisponde a Varuna.
[7] Moghul: «mongola». È
l'arte, talvolta impropriamente chiamata «indo-persiana», che fiorì in India
alla corte dei principi mongoli musulmani durante il XVI, XVII e XVIII secolo.
(nota R.S.T.)
[8] E. G. Blochet, Peintures
hindoues de la Bibliotheque Nationale, Paris, 1926, pl. V e XXIII.
[9] Il mondo sottomarino, la
dimora della razza dei Serpenti (ahi, nâga), I'«origine acquatica di Varuna
(yonim apyam, Rig-Veda, II, 38, 8), si trovano nelle «tenebre dell'occidente»
(apachine tamasi, ibid., IV, 6, 4); questa regione non è illuminata dal sole,
essa è “al di là del Falcone” (Jaiminiya Brahmana, III, 268) ma lo splendore
delle Acque è eterno (ahar ahar yâti aktur apâm, Rig-Veda, II, 30, I).
[10] Vedi: Shaykh Chilli, Folk
tales of Hindustan, Allahabad, 1913, pag. 130 e seg., con la riproduzione d'una
immagine moderna di Khwâja Khizr,
rappresentato come un vecchio nell'atto di benedire Mahbûb (tay. XXXIII). La
storia del principe Mahbûb è essenzialmente una versione della «Cerca del
Graal» condotta a buon fine da un eroe solare, figlio di una vedova ed allevato
lontano dal mondo e nell'innocente ignoranza del suo vero stato, proprio come
nella leggenda di Parsifal. Mahbûb corrisponde ai vedici Agni e Sûrya; Kassâb
(I'usurpatore) a Indra.
[11] O Apsaras, le vergini del
Graal.
[12] Le «donne che si
lamentano» e l'«incoscienza simile alla morte» del Re Pescatore sono elementi
essenziali del mito del Graal.
[13] È l'equivalente del
sanscrito mayin, «mago», termine applicabile soprattutto ai titani e,
secondariamente, agli angeli principali , particolarmente ad Agni. Gli
«antenati» rappresentano gli eroi solari dei cicli precedenti.
[14] Così la «Cerca del Graal»
è portata a termine. [ non si può fare a meno di cogliere le strette
corrispondenze che la parte finale della storia di Mahbub, un “Figlio della
Vedova” (vedi nota 10), ha con il mito di Hiram del rituale massonico del grado
di maestro, in particolare nel punto della resurrezione del re assassinato che
conclude la ricerca dell’eroe (N.d.T).]
[15] Il Bahrain, un’isola del
golfo persico, è stata identificata da molti studiosi con il Dilmun sumerico,
dove dimorava il giardiniere Tagtut dopo il diluvio: cfr. Delitztsch, Wo lag
das Paradies, pag. 178 e Langdon, Sumerian Epic, pag. 8 e seg.
[16] Per la leggenda islamica,
altri parallelismi ed ulteriori riferimenti cfr. Encyclopedia of Islam, alle
voci Idris, al-Khadir e Khwâja Khidr; Warner, Shah Nama of
Firdausi, VI,pagg. 74-78 e 159-162; Hopkins, «The Fountain of Youth», JAOS,
XXVI; Barnett, «Yama, Gandharva and Glaucus», Bull. School. Oriental. Studies,
IV; Grierson, Bihar Peasant Life, pagg, 40-43; Garcin de Tassy, Mémoire sur des
particularités de la religion musulmane dans l'Inde, pagg. 85-89; Wunsche, Die
Sagen vom Lebensbaum and Lebenswasser, Leipzig, 1905; Friedländer, Die
Chadhirlegende and der Alexander-Roman, Leipzig, 1913.
[17] Cfr. Barnett, op. cit.,
pagg. 708-710.
[18] Cfr. Rig-Veda, VII, 6, 4
e 7, in cui si parla di Agni che conduce le Vergini (i fiumi della vita) verso
oriente dalle «tenebre dell'occidente» (apâchine tamasi) e porta con sé i
«tesori della terra» (budhnyâ vasûni) «quando si leva il Sole», (uditâ
sûryasya).
[19] Il reame di al-Khadir, conosciuto sotto il nome di
Yûh (che è anche un nome del Sole), dove al-Khadir
regna sui santi e gli angeli, si trova nell'Estremo Settentrione; è un
«Paradiso terrestre», una parte del mondo umano che è rimasta indenne dalla
maledizione conseguente alla Caduta di Adamo (cfr. Nicholson, Studies in
Islamic Mysticism, pagg. 82, 124).
[20] Secondo ’Umârah, Khizr è «verde» perché la terra diventa
verde al contatto dei suoi piedi.
[21] Khazra, «vegetazione» o
«cielo».
[22] Il profeta Elia con il
quale Khizr è spesso identificato.
[23] Cfr. Iskândar Nâmah,
LXIX, 57: «la vegetazione cresce più rigogliosa presso la fontana ; ibid. 22,
la sorgente e descritta come una «fontana di luce», il che ha una
corrispondenza nel Vendidâd, Fargad XXI, dove la luce e l'acqua originano da
una fonte comune; cfr. anche il soma vedico, che è insieme luce e vita, una
pianta ed un fluido (amrita, l'Acqua della Vita, cfr. Barnett, op. cit., pag.
705, nota I).
[24] Nella Bhagavad-Gitâ (X.
31, Krishna è chiamato «il makara dei Jhashâs»; il makara è perciò considerato
come il più importante dei jhashas o mostri delle profondità. La parola makara
s'incontra per la prima volta nella Vâjasaneyi-samhitâ, XXIV, 3, shishumâra nel
Rig-Veda, I, 116,18. Per uno studio più completo sul makara nell'iconografia
indù (ed in particolare come veicolo di Varuna ed emblema di Kâmadeva) si veda
il mio articolo Yakshas, 1931, II, pag. 47 e seg. e le citazioni ivi presenti.
Il fatto che per «veicolo» la divinità considerata abbia un «pesce», implica
che essa non è sottoposta alle condizioni del movimento locale nell'Oceano
illimitato della possibilità universale, così come le ali denotano una
indipendenza degli angeli dal movimento locale nel mondo manifestato. [Nella
traduzione della R.S.T. la nota reca in aggiunta: “Abbiamo esaminato in
particolare il significato di Sharkara (alla lettera: «la pietra»), termine
molto importante per la sua connessione con la Porta solare dei mondi, in uno
studio dal titolo Svayamatrnna; Janua Coeli, che sarà pubblicato nella nuova
rivista rumena Xalmoxis”]
[25] Su questo argomento
vedere anche: René Guénon, Quelques aspects du symbolisme du poisson in Etudes
Traditionnelles, fascicolo del febbraio 1936 [riprodotto nel cap. XXII della
raccolta postuma Simboli della Scienza sacra]. (nota R.S.T.)
[26] Sarre e Herzfeld,
Archäologische reise im Euphrat und Tigris gebiet, vol. I, pagg. 13 e 37-38,
Berlin, 1911.
[27] Annual Report, Archaelogical
Department, Nizam's Dominions, 1929-30 (1933), pag. 17 e tav. 11 b.
[28] Vedere anche il mio
studio Yakshas, II
[29] Ad esempio, nel
battistero di Ravenna (Berchem e Clouzot, tay. III e 220); ivi Giordano regge
un vaso dal quale si riversano le acque.
[30] A proposito delle
divinità sumeriche, si veda S. H. Langdon, Semitic Mythology, cap.II; per il
vaso dal quale si riversano le acque ecc., Van Buren, The Flowing Vase and the
God with Streams, Berlin, 1933, e per quel che concerne l'India, il mio studio
Yakshas, II. Circa i rapporti iconografici tra le rappresentazioni asiatiche
del vaso colmo e quelle cristiane della coppa del Graal, cfr. Gosse, Recherches
sur quelques représentations du Vase Eucharistique, Ginevra, 1894.
[31] Bilderatlas zur
Kulturgeschichte Indiens in der Grossmoghulzeit, 1930, pag. 71 (“teils absolute
Identität teils engste Verwandschaft mit solchen der grossen altorientalischen
Kulturen, und zwar zu gut Teilen schon der klassischen sumerischen Zeit”).