Denis Gril
“Non c’è parola nell’universo che non proclami la Sua Lode”*
Introduzione: il ciclo della lode
La lode è al tempo stesso l'inizio e la fine dell’esistenza e la principale ragione d’essere dell’universo.
«Quando» si comincia un pasto «diciamo» bismillâh (“In nome di Dio”) «e quando lo finiamo diciamo» al-hamdu li-Llâh (“La lode è a Dio”).
Queste due formule contengono, così come il pasto, tutta la nostra esistenza. Ma allora, come considerarela lode al suo inizio? L'universo per Ibn ΄Arabî è un libro e il Libro comincia con la Fâtiha, essa stessa iniziante con la basmala. Tuttavia, nella preghiera, solo alcuni recitano la basmala ad alta voce,richiamando così i Nomi Divini che sono all’origine del mondo. La maggior parte comincia con al-hamdu li-Llâh, considerando «questa» lode come la prima parola pronunciata dall’Adamo «fatto» d’argilla, attraversato dal Soffio Divino[2]. Si può dunque «parimenti» considerare che la lode inaugura l’esistenza degli esseri, così come la Fâtiha, chiamata la “sura della lode” apre il Libro.
Adamo, volontariamente, e tutti gli esseri del mondo, essenzialmente, non cessano di proclamare la lode divina, a tale punto che lo Shaykh considera ogni parola come una lode. Il mondo, nel momento in cui, «esaurita» l’esistenza, giungerà al suo termine per diventare un altro mondo, proclamerà la lode di Dio. In quel momento apparirà chiaramente che ogni lode, quale che sia stata e a chiunque sia stata indirizzata, non può che venire da Dio e tornare a Lui. Quel momento sarà la lode della lode (hamd al-hamd) o ancora lo Stendardo della lode (liwâ’ al-hamd), giacché liwâ in arabo rievoca per la sua radice il ripiegamento o l’esito «finale» di ogni lode giunta al suo termine ed allo stesso tempo alla sua origine ('awâqib al-thanâ’«=i fini ultimi dell’elogio»). Questo stendardo sarà retto da Muhammad, il “Molto-lodato”, nome che lo predestina a tenere questo stendardo[3] e a pronunciare «quelle» ultime lodi, ancora sconosciute «in questa vita», che un uomo possa indirizzare a Dio[4].
L’uomo non è che uno strumento di questa lode, perché essa è pronunciata «fin dall’inizio» ed al termine «dei Tempi» da Dio, il Primo e l’Ultimo. Come non smette di ripetere Ibn ΄Arabi, Egli è Colui che loda, Colui che è lodato e la stessa Lode. A chi dunque appartiene la lode? Nell’opera dello Shaykh al-Akbar non vi è domanda «la cui risposta» non ricada nella dottrina dell’Essere, dell’Identità «suprema» e della «loro» differenza.
Definizione della lode.
Che cosa è la lode? In risposta alla domanda di al-Hakîm al-Tirmidhî: “Quale è il punto di partenza della lode?” (mâ mubtada’ al-hamd), Ibn ΄Arabi si interroga sulle differenti accezioni di questo termine.
La lode è anzitutto il servitore stesso la cui sola esistenza «è una lode indirizzata a Dio» (΄ayn al-thanâ’ ΄alayhi bi-wujûd ΄aynihi). In questo senso il punto di partenza della lode è “Colui che l’ha esistenziata per ciò per cui l’ha esistenziata”. «Ovviamente» si tratta del servitore perfetto, che è al tempo stesso l'origine e lo scopo dell'esistenza e ad essa si identifica. Si può dunque dire che il punto di partenza di questa lode è l'esistenza stessa.
Si ritrova qui l'interpretazione della Fâti|a, precedentemente esposta[5], secondo la quale al-hamd designa il “servitore santificato e trascendente” «giacché egli è» appartenente totalmente a Dio (li-Llâhi) ed al tempo stesso Suo Simile (mithl). Questo servitore è qualificato di trascendenza perché è affrancato da ogni traccia di signoria ed allo stesso di somiglianza, perché riunisce in sé tutti i nomi divini che proclamano la lode di Dio. Questa definizione della lode «spiega» l'identificazione della lode alla Fâti|a che esordisce tanto con il bâ’ o piuttosto il bismilLâh, simbolo del servitore perfetto, quanto con l’alif di al-hamd, «isolando, nella parola, l’alif dalla lam, così come lo è Dio nei confronti dei mondi (al-΄âlamîn), cioè indipendente da essi», «questi ultimi» semplici indizi (΄alâma) dell'esistenza di Dio.
La lode è anche, come si è visto, la lode della lode compiuta da questo servitore perfetto in riconoscenza della grazia e del dono divino da cui tutto procede e verso cui tutto ritorna.
La Sua lode, Dio la rivolge a sé stesso o alle Sue creature. Ma in questo ultimo caso la lode è solamente il ritorno verso Lui dei Suoi Nomi che hanno bisogno degli esseri per manifestarsi. “Essi[6] non hanno effetto, dice lo Shaykh, che sull’esteriore dei luoghi di manifestazione e Colui che si manifesta in questi luoghi non è altri che Lui. Non c’è dunque elogiatore di elogio e «ricevente dell’elogio» che Lui”[7].
La lode delle creature rientra, tuttavia, nella gerarchia dei tre gradi della lode:
- la lode della lode o lode assoluta.
- la lode di colui che si loda da sé, cioè Dio.
- la lode inviata a Dio da altri che Lui.
Ma cosa dire della lode rivolta da un altro che Dio ad altri che Dio? Le qualità per le quali si loda un essere sono state donate «a questi» da Dio, innate (fî jibillati-hi) che siano o acquisite come carattere «formatosi» (takhalluq)[9]. Per le qualità divine che in sé riflette “ogni essere nel mondo è lodante e lodato”, «così» come non vi è lodante e lodato che Dio, poiché ogni qualità si riassorbe nella Sua Qualità che non saprebbe «altrimenti» essere molteplice[10]. In effetti, secondo un insegnamento dello Shaykh ogni qualifica in apparenza biasimevole, come la gelosia, la collera o l’invidia, ma trasformata in un senso positivo e conforme alla Legge divina e profetica, comporta un aspetto di lode per la quale essa ritorna a Dio[11]. Tale è, per lui, uno dei significati dell'espressione profetica: “Sono stato inviato per completare i nobili caratteri”[12]. Egli «lo Shaykh» afferma con forza “Ogni parola nell’esistenza è glorificazione, anche se è considerata «come biasimevole» e con la conoscenza «che abbiamo di essa»[13] la trasferiamo ad altri che noi[14]. Dio sia lodato (wa bi-΄ilm hâdhâ fadalnâ ghayra-nâ)”[15].
In questa due ultime frasi lode e glorificazione sembrano equivalersi. Bisogna qui precisare che per lo Shaykh ogni forma di dhikr è una lode, che si tratti di glorificazione (tasbîh), dell’affermazione dell'unità divina (tahlîl), di magnificazione (takbîr) etc…Tutte le formule con le quali Dio viene menzionato e invocato sono aspetti della lode[16]. Questa è un tutto di cui le parti possono essere paragonate alle membra dell’uomo, lui stesso paragonabile nella sua totalità alla lode[17]. «Ritroviamo così» l’identificazione della lode al Servitore perfetto.
La lode dell’universo
La glorificazione in particolare occupa un posto essenziale nell’insegnamento di Ibn ΄Arabî a proposito della lode. Nel Corano, in effetti, lode e glorificazione sono strettamente legate in espressioni come: “Glorifica con la lode del tuo Signore” (Corano 110, 3)[18]. In moltissimi passaggi delle Futûhât questo versetto viene citato o commentato, più particolarmente la parte seconda «dello stesso»: “Lo glorificano i sette cieli e la terra e ciò che essi contengono. Non c’è cosa che non lo glorifichi con la Sua lode, ma voi non comprendete la loro lode. Egli è certamente longanime e indulgente” (Corano 17, 44). Un altro versetto, rivelato al Profeta, conferma la glorificazione di Dio da parte di tutti gli esseri dell'universo: “Non hai visto che glorificano Dio coloro che sono nei cieli e sulla terra, così come gli uccelli «disposti» in file. Ciascuno conosce la sua preghiera e la sua glorificazione e Dio sa ciò che essi fanno” (Corano 24, 41).
Questi versetti provano che tutti gli esseri del mondo sono viventi, animali, piante e minerali, ogni cosa senza eccezione, come dice esplicitamente il versetto. La vita «implica la consapevolezza»[19] e dunque l’intelligenza: “Non può glorificarlo che un essere vivente, intelligente, cosciente di ciò per cui Lo glorifica”. Questo è confermato dall’hadîth secondo il quale chi avrà inteso la voce del mu’adhdhin «(muezzìn)» testimonierà per lui il Giorno della Risurrezione. Ibn ΄Arabî parla per esperienza «diretta» poiché dice di avere lui-stesso sentito le pietre invocare Dio[20]. «Ciò porta lo Shaykh a dire che» il divieto di raffigurare gli esseri viventi non deve limitarsi agli animali. «E’ questa» probabilmente una posizione radicale sul piano giuridico, ma giustificata da una «consapevolezza» acuta e vissuta della vita universale. Questa vita si manifesterà pienamente nell’aldilà, chiamato, per questa ragione, nel Corano (29, 64) “la dimora della vera vita” (dâr al-hayawân)[21].
Durante questa vita, solo gli esseri di elezione, i profeti e gli uomini dotati dello svelamento «spirituale» (kashf) ne hanno consapevolezza, perché hanno superato il limite che separa questo mondo dall’altro[22]. Per gli ajnun (sing. jinn) e gli uomini la lode è un atto volontario, comandato da Dio al quale possono o meno sottomettersi, ma per tutti gli altri esseri dell'universo la lode o la glorificazione è un’adorazione essenziale al loro essere (΄ibâda dhatiyya), non sottomessa ad un ordine e dunque senza ricompensa, contrariamente alla lode «formulata» dagli ajnun e dagli uomini[23]. Questi, comunque, con tutte le membra dei loro corpi, partecipano anche di questa lode universale, poiché le loro membra hanno «pure esse» una «loro propria» vita ed una coscienza propria che si manifesterà quando, nel «Giorno della » Risurrezione, testimonierà contro l’uomo «per tutti i suoi atti di questa vita quaggiù». Per l’uomo, il miracolo «non consiste tanto nel fatto che» le pietre glorifichino Dio, ma che egli «(l’uomo)» le senta, come capitò ai Compagni del Profeta quando sentirono «un sasso, nella mano del Profeta», glorificare Dio[24]. Ibn ΄Arabî si oppone all’interpretazione di certi commentatori secondo cui la glorificazione degli esseri in apparenza inanimati non sarebbe una parola, ma «consisterebbe nel solo fatto che essi esistano» (tasbîh hâl)[25]. Nell’aldilà lode e glorificazione saranno per tutti gli esseri senza eccezione “come i soffi di coloro che respirano”[26].
Dio si mostra “longanime e indulgente” perché sa che gli uomini non hanno la capacità di comprendere questa lode. Egli non castiga coloro che, negando la vita e la parola di tutti gli esseri, affermano di glorificare Dio per il semplice fatto «di esistere». Egli perdona loro, perché perdonare (ghafara) in arabo significa ricoprire «nascondendo»; Egli dunque nasconde questa debolezza dell’uomo, come ha nascosto la percezione di questa realtà[27].
Per Ibn ΄Arabi questa lode universale che anche il non credente pronuncia, con tutte le parti del suo essere, è uno degli aspetti della presa in carico (tawallî) del mondo «da parte di Dio», fondamento di ogni santità (walâya)[28]. Egli così commenta la formula del tashahhud che si recita in posizione seduta nella preghiera “Che la pace sia su di noi e sui santi[29] servitori di Dio (΄ibâdi ΄Llâhi-l-sâlihîn)”: “Ogni servitore, nei cieli e sulla terra, è santo per Dio (sâlih li-Llâh)”. Per “santi” non si deve solamente intendere coloro che è uso considerare tali, perché ogni essere è “santo”. Dio dice: “Non c’è cosa che non Lo glorifichi con la Sua lode”. Ogni cosa che proclama la trascendenza del suo Signore è dunque “santa”.
Questo «concetto» è una delle scienze della fede e dello svelamento. Dicendo “i santi” «si indica dunque anche coloro\ciò che viene impiegato a far sì che essi siano santi (come dire la loro funzione nell’esistenza: alladhîn usta΄milû li-mâ saluhû la-hu) e che «altra funzione» non è che la glorificazione”[30].
Tutti gli esseri ricevono dunque la loro parte di questo saluto di pace, «in» conformità alla loro «propria» natura, ma gli esseri d’elezione, i profeti e i santi ricevono «ancora in più» una parte della lode universale che Dio riversa su loro per intermediazione degli abitanti dei cieli e della terra[31]. Questi esseri riconoscono nelle azioni dell’uomo ciò che è conforme all'ordine divino e ciò che è vano (΄abath) e fanno l’elogio (thanâ’) di tutti coloro che si sono affrancati da ogni forma di vanità[32]. Con la lode il mondo parla a Dio e Dio parla al mondo e fra gli uomini, coloro che Lo lodano, ricevono con l’intermediazione del mondo la loro parte di lode.
Come viene ispirata a tutti gli esseri questa lode? Ciascuno di essi o più esattamente ogni particella «di essere» (juz’) dell'universo adora Dio secondo la sua predisposizione (isti΄dâd) e Dio si manifesta a ciascuna di queste particelle «di essere» secondo la «predisposizione di quella particella» a ricevere la teofania divina. “E non c’è cosa che non glorifichi---” in risposta a questa teofania[33].
Nel secondo versetto (Corano 24, 41), Dio così si rivolge al Profeta: “Non vedi come Dio è glorificato da tutti coloro che sono nei cieli e sulla terra?”[34]. Lo Shaykh commenta: “Egli ha detto: ««Non vedi» e non «Non vedete voi». Noi , noi non vediamo; «la lode proclamata da ogni essere nell’universo è, dunque» per noi, oggetto di fede e per Muhammad – su di lui la grazia e la pace – oggetto di visione. Al contrario, a proposito del versetto “Non vedi dunque che è davanti a Dio che si prosternano tutti coloro che sono nei cieli e che sono sulla terra e il sole e la luna e le stelle e gli alberi e gli animali e molti tra gli uomini?”[35] (Corano 22, 18), «lo Shayk» afferma: “Tutti coloro a cui Dio ha dato di contemplare questa prosternazione e che l’hanno vista sono «interessati dal discorso detto»[36]: questa prosternazione è una glorificazione innata, essenziale, suscitata da una teofania tramite la quale Dio si è manifestato a tutti gli esseri. Essi l’hanno «così» amato e si sono messi a pronunciare il Suo elogio, senza esserne stati costretti dalla Legge, ma per una necessità essenziale, per questa adorazione essenziale per cui Dio li ha «esistenziati» e che a Lui torna «(la lode)» di diritto”.[37] Secondo questo passaggio la lode può essere considerata come la prima forma di adorazione e la prima manifestazione dell’amore delle creature per Dio. Fra i santi, certi, quelli che il Corano chiama gli “elogiatori” (al-hâmid™n) partecipano più degli altri alla visione profetica della lode universale. Essi vedono per intero la lode proclamata dalle lingue dell'universo, siano o meno genti di Dio coloro che la formulano, sia o meno rivolta a Dio «o dalle genti ad altre genti e la vedono, questa lode,» tornare totalmente a Dio e non ad altri che Lui. La lode appartiene solamente a Dio, in qualunque modo essa sia «formulata». Gli elogiatori di cui Dio a fatto «menzione»\elogio nel Corano, sono quelli che hanno conoscenza del fine ultimo delle cose fin dal loro inizio. Essi agiscono d’anticipo e si mettono fin da subito a lodare Dio con la lode degli esseri velati[38],«lode» che deve finalmente tornare a Lui – sia Egli glorificato ed esaltato - . Tali sono gli elogiatori; con la loro contemplazione, lodano Dio con la Sua propria voce (al-hâmid™n ΄alâ-l-shuh™d bi-lisân al-haqq)[39].
Questa lode è, in effetti, quella di Dio. Nell'espressione “Ciascuno conosce la sua Sua preghiera e la sua glorificazione”, la preghiera può essere «intesa» come quella di Dio, per il dono che Egli fa dell’esistenza e della misericordia, mentre la glorificazione «è quella delle» creature[40]. In un altro passaggio la preghiera viene interpretata come uno specifico colloquio intimo (munâjât khâssa), con il quale tutte le creature, organizzate in comunità come gli uomini, si rivolgono a Dio, proclamando la Sua trascendenza con la «loro» glorificazione[41].
La glorificazione, argomento di questi due versetti, afferma la trascendenza, cioè la negazione di «ogni» qualità, mentre la lode ne è affermazione. Quale è dunque la relazione tra la glorificazione e la lode nell'espressione “Non c’è cosa che non glorifichi con la Sua[42] lode”. Lo Shaykh al-Akbar è sicuramente il solo commentatore di Corano ad aver chiarito con altrettanta precisione questa relazione.
«Con la Sua lode»
Come può l’uomo glorificare Dio, come dire affermarne la trascendenza «?»[43]. “Glorificare Dio, afferma lo Shaykh con una «sentenza» lapidaria, «consiste nel» criticarLo” (al-tasbîh tajrîh), perché non si può affermare la trascendenza dell’Essere trascendente; farlo è come togliergli la Sua trascendenza”[44]. Non si può glorificare Dio che citando le Sue proprie parole o affermando, come «ha fatto» Ab™ Yazîd al-Bistâmî, la sua trascendenza rispetto alla trascendenza (subhânî). «Parimenti» “lodare Dio è condizionarlo” (al-tahmîd taqyîd). Elogiando Dio, l'uomo rischia di limitarLo con la sua propria lode. Ecco perché bisogna affrancare l’elogio di Dio da questo limite, pur compiendolo, poiché tale è la natura ed il dovere dell'uomo. Per far questo si deve seguire l’esempio del Profeta che esclama: “Non censisco l'elogio che ti indirizzo; Tu sei come Tu stesso Ti sei lodato”[45].
«Con questa ultima affermazione» il Profeta non fa che conformarsi all’ordine divino: “Glorifica con la lode del tuo Signore”. In più di un passaggio Ibn ΄Arabî insiste sulla necessità di lodare Dio rispettando le formule dettate dalla Legge: “La lode, dice, «è di istituzione divina» (tawqîf)”[46]. Certo l’uomo può lodare Dio per ringraziarLo dei Suoi atti; si tratta allora di un elogio non stabilito dalla Legge sacra (΄urfî) «che l’uomo rende quando ha del tempo libero fintantoché nessun divieto legale lo impedisca[47], come avviene,d’altra parte» per ogni atto della vita ordinaria. Ma se il servitore vuole compiere un atto di adorazione per avvicinarsi a Dio (΄alâ jihat al-qurba), non ha la libertà di istituire un rito.
Questa restrizione legale si spiega con la necessità di limitare il potere dell'intelletto, sempre portato a privilegiare la trascendenza in maniera eccessiva. “Guardati, avverte «lo Shaykh», dal glorificarLo con il tuo intelletto … perché le prove razionali sono spesso in disaccordo con le prove della Legge sacra”. La glorificazione consiste nel dichiarare Dio puro da tutti gli attributi degli esseri contingenti. Qui ora si torna ad affermare l'esistenza di coloro che «si trovano di fronte» all’Essere divino. «Questi ultimi però» non «sono stati dotati di una esistenza» per loro stessi e «solo» sono stati esistenziati per proclamare la lode di Dio. Affermare la trascendenza assoluta di Dio porta ad eliminare ciò per cui Dio deve essere glorificato.
“Realizza dunque, dice «lo Shaykh» nel capitolo sul Soffio divino, «cosa tu intendi per trascendente», perché non vi è che Lui e il Soffio del Tutto-Misericordioso e la sostanza «prima» degli esseri (jawhar al-kâ’inât). Questo perché Dio stesso si è qualificato di alcune delle qualità degli esseri contingenti in una maniera che le «dimostrazioni» speculative e razionali non possono «sostenere». Guardati dunque dal glorificare con il tuo intelletto. Fa che la glorificazione che gli rivolgi sia quella del Corano che è la Sua Parola; «menzionerai» la Sua parola senza inventare né innovare”[48]. “Con la Sua lode” significa dunque: con la Sua propria parola. E’, «quanto detto», l’unico mezzo per l’uomo di sfuggire all’inganno sottile (makr khafî) che consiste «(questo inganno)» nell’affermazione della trascendenza, «inganno» con il quale Dio mette alla prova i suoi servitori.
La glorificazione tramite «la» lode è dunque una delle espressioni possibili della dottrina dell’Essere. Da un lato Dio non può essere lodato da «nessuna cosa presente» nell’universo, perché non c’è alcun essere nel mondo che abbia qualcosa in comune con Lui; dall’altro non si può lodare Dio che con i Suoi Nomi, e non c’è alcuno dei Suoi Nomi di cui l’uomo non possa caratterizzarsi. Così che ogni cosa in questo mondo glorifica simultaneamente Dio per via negativa che affermativa, ma nel secondo caso, l'affermazione non può che venire solamente da Lui. «A» Mu|ammad giunto al termine della sua missione che fu innanzitutto una missione di lode, «venne rivelato»: “Glorifica «Dio» con la lode del tuo Signore e chiediGli perdono. Egli è certamente Colui che accetta il pentimento (tawwâb)” (Corano 110, 3)[49]. Come si vede, chiedere perdono, «significa» chiedere la cancellazione, cioè il riassorbimento dell’essere contingente alla presenza Divina, dopo essere «stati esistenziati» per trasmettere il messaggio. Questo ritorno a Dio è annunciato con il Nome divino al-Tawwâb, che etimologicamente significa “Colui che torna «incessantemente»” verso i Suoi servitori con questo atto di lode[50].
Si potrebbe trovare qualche contraddizione «in quanto spiegato dallo Shaykh» che, da un lato, insiste sulla necessità di non lodare Dio che con la Sua propria parola e dall’altro afferma che ogni elogio, «anche» ogni biasimo ritorna sempre in fin dei conti ad una lode divina[51]. D’altra parte, egli «lo Shaykh» non afferma che: “La parola dell'universo tutto intero altro non è che la Sua parola”?[52] L'universo è un grande uomo perfetto (insân kabîr kâmil). «Esso (l’universo)» è dunque analogo all'uomo il cui essere interiore è l’Ipseità di Dio come «anche» le Sue facoltà [53](huwiyyat al-haqq wa quwâ-hu), facoltà per le quali l'uomo è anche un servitore adorante il suo Signore. E’ lo stesso per la realtà interiore del mondo. Più il servitore diventa perfetto e purifica l’adorazione che dedica a Dio (ikhlâs al-΄ibâda li-Llâh), più riconosce in sé stesso l’Ipseità Divina. «Solo allora il servitore perfetto può affermare»: “Sei Tu ad essere Lui per il Tuo Io e sei Tu ad esser Lui per il mio io. Non ci sei dunque che Tu e sei Tu che Ti nomini Signore e servitore”. Questa “identità suprema”, che non contraddice per niente la differenza radicale tra Signore e servitore in quanto tali, è quanto realizza Ibn ΄Arabî dalla lettura del Corano. Quando il servitore recita nella Fâti|a: “La lode è a Dio, il Signore dei mondi”, «e» Dio gli risponde, secondo il hadîth: “Il Mio servitore ha pronunciato il Mio elogio”, questo significa: “Ho pronunciato il Mio proprio elogio con la forma del Mio servitore”[54].
La lode «presenta» dunque questa forma, quella del servitore perfetto, come dice lo Shaykh in una predica durante un sogno[55]. Per incitarlo a parlare il Profeta gli manda ΄Uthmân, colui che ha riunito il Corano[56]. Questa forma è perfetta perché essa riunisce «(unifica)» come il Corano, il cui nome «(del Corano)» significa, «tra l’altro» “riunione, «unione»”, ogni realtà. «Al Profeta il merito di portare» lo Stendardo della lode perché «egli» loda Dio con il Corano. Questi è al tempo stesso la Parola di Dio e la realtà intima del Profeta[57], il suo carattere “immenso”, come lo è lo stesso Corano. Il suo «stesso» nome, Mu|ammad, colui che loda incessantemente, esprime la perfezione della sua servitù: non loda per sé stesso, si contenta di ricevere senza interruzione questa lode per «poi» rimetterla a Dio. Egli «il Profeta» non chiede altro per completare la sua esistenza di servitore che “la stazione lodata”. Il Sigillo della santità mu|ammadiana «(Ibn ΄Arabî)» non ha «mai» smesso di spiegare, «attraverso anche i suoi libri»[58], ai suoi discepoli, la via di questa perfezione mu|ammadiana che è anche conforme alla Legge «Sacra»: “E’ perché, dice «lo Shaykh» a proposito di questa lode tramite il Corano, Dio – sia gloria a Lui - non deve essere lodato che con la lode che Egli «stesso» ha istituito per Sé, che «tale» lode è stata istituita dalla Legge, e non per ciò che esige 1' attributo di lode, perché questo è l’elogio di Dio[59] (al-thanâ’ al-ilâhî). Quando Dio è lodato con questo attributo, la lode da parte dell'uomo non è che convenzionale e«mentale» (΄urfî ΄aqlî) e non si addice alla Maestà Divina”[60].
Conclusione
Non si può affrontare un aspetto particolare dell’opera di Ibn ΄Arabî senza constatare la sua unità e la sua complessità. Dio è 1’essere intimo del servitore, ma il servitore non è Dio e la realtà divina trascende sempre ciò che l'uomo può dire della trascendenza e «dintorni».
L'uomo non può dunque né adorare Dio né parlare di Dio - la lode implica entrambi - «se non conformandosi» alla Rivelazione che prende «così» la forma dell’Uomo «Perfetto (al-Insân kâmil)» o del Libro.
L'esperienza intima dell'identità dell’Essere «avuta da Ibn ΄Arabî» gli ha permesso di afferrare la rigorosa corrispondenza che unisce l’Uomo, il Libro e il Mondo e dunque, «al termine, ciò che unisce» la vita e la parola di tutti gli esseri[61]. A proposito della lode non si poteva dire di meglio che: “Non c’è parola nell'universo che non proclami la Sua lode”[62].
* Prima pubblicazione: Journal of the Muhyiddin Ibn ΄Arabi Society (special issue “Praise”), vol 21, 1997, pp. 31-43[1]. In italiano su: Perennia Verba – 8 – 9, 2004/2005, Il Cerchio. Abbiamo lasciato anche le note del traduttore che aiutano alla comprensione del testo.
** Calligrafia dell'eulogia al-hamdu li-Llâh «La lode è a Dio» (come nel testo) o «La lode spetta ad Allâh» realizzata dal calligrafo cinese Haji Noor Deen Mi Guang Jiang.
Questa restrizione legale si spiega con la necessità di limitare il potere dell'intelletto, sempre portato a privilegiare la trascendenza in maniera eccessiva. “Guardati, avverte «lo Shaykh», dal glorificarLo con il tuo intelletto … perché le prove razionali sono spesso in disaccordo con le prove della Legge sacra”. La glorificazione consiste nel dichiarare Dio puro da tutti gli attributi degli esseri contingenti. Qui ora si torna ad affermare l'esistenza di coloro che «si trovano di fronte» all’Essere divino. «Questi ultimi però» non «sono stati dotati di una esistenza» per loro stessi e «solo» sono stati esistenziati per proclamare la lode di Dio. Affermare la trascendenza assoluta di Dio porta ad eliminare ciò per cui Dio deve essere glorificato.
“Realizza dunque, dice «lo Shaykh» nel capitolo sul Soffio divino, «cosa tu intendi per trascendente», perché non vi è che Lui e il Soffio del Tutto-Misericordioso e la sostanza «prima» degli esseri (jawhar al-kâ’inât). Questo perché Dio stesso si è qualificato di alcune delle qualità degli esseri contingenti in una maniera che le «dimostrazioni» speculative e razionali non possono «sostenere». Guardati dunque dal glorificare con il tuo intelletto. Fa che la glorificazione che gli rivolgi sia quella del Corano che è la Sua Parola; «menzionerai» la Sua parola senza inventare né innovare”[48]. “Con la Sua lode” significa dunque: con la Sua propria parola. E’, «quanto detto», l’unico mezzo per l’uomo di sfuggire all’inganno sottile (makr khafî) che consiste «(questo inganno)» nell’affermazione della trascendenza, «inganno» con il quale Dio mette alla prova i suoi servitori.
La glorificazione tramite «la» lode è dunque una delle espressioni possibili della dottrina dell’Essere. Da un lato Dio non può essere lodato da «nessuna cosa presente» nell’universo, perché non c’è alcun essere nel mondo che abbia qualcosa in comune con Lui; dall’altro non si può lodare Dio che con i Suoi Nomi, e non c’è alcuno dei Suoi Nomi di cui l’uomo non possa caratterizzarsi. Così che ogni cosa in questo mondo glorifica simultaneamente Dio per via negativa che affermativa, ma nel secondo caso, l'affermazione non può che venire solamente da Lui. «A» Mu|ammad giunto al termine della sua missione che fu innanzitutto una missione di lode, «venne rivelato»: “Glorifica «Dio» con la lode del tuo Signore e chiediGli perdono. Egli è certamente Colui che accetta il pentimento (tawwâb)” (Corano 110, 3)[49]. Come si vede, chiedere perdono, «significa» chiedere la cancellazione, cioè il riassorbimento dell’essere contingente alla presenza Divina, dopo essere «stati esistenziati» per trasmettere il messaggio. Questo ritorno a Dio è annunciato con il Nome divino al-Tawwâb, che etimologicamente significa “Colui che torna «incessantemente»” verso i Suoi servitori con questo atto di lode[50].
Si potrebbe trovare qualche contraddizione «in quanto spiegato dallo Shaykh» che, da un lato, insiste sulla necessità di non lodare Dio che con la Sua propria parola e dall’altro afferma che ogni elogio, «anche» ogni biasimo ritorna sempre in fin dei conti ad una lode divina[51]. D’altra parte, egli «lo Shaykh» non afferma che: “La parola dell'universo tutto intero altro non è che la Sua parola”?[52] L'universo è un grande uomo perfetto (insân kabîr kâmil). «Esso (l’universo)» è dunque analogo all'uomo il cui essere interiore è l’Ipseità di Dio come «anche» le Sue facoltà [53](huwiyyat al-haqq wa quwâ-hu), facoltà per le quali l'uomo è anche un servitore adorante il suo Signore. E’ lo stesso per la realtà interiore del mondo. Più il servitore diventa perfetto e purifica l’adorazione che dedica a Dio (ikhlâs al-΄ibâda li-Llâh), più riconosce in sé stesso l’Ipseità Divina. «Solo allora il servitore perfetto può affermare»: “Sei Tu ad essere Lui per il Tuo Io e sei Tu ad esser Lui per il mio io. Non ci sei dunque che Tu e sei Tu che Ti nomini Signore e servitore”. Questa “identità suprema”, che non contraddice per niente la differenza radicale tra Signore e servitore in quanto tali, è quanto realizza Ibn ΄Arabî dalla lettura del Corano. Quando il servitore recita nella Fâti|a: “La lode è a Dio, il Signore dei mondi”, «e» Dio gli risponde, secondo il hadîth: “Il Mio servitore ha pronunciato il Mio elogio”, questo significa: “Ho pronunciato il Mio proprio elogio con la forma del Mio servitore”[54].
La lode «presenta» dunque questa forma, quella del servitore perfetto, come dice lo Shaykh in una predica durante un sogno[55]. Per incitarlo a parlare il Profeta gli manda ΄Uthmân, colui che ha riunito il Corano[56]. Questa forma è perfetta perché essa riunisce «(unifica)» come il Corano, il cui nome «(del Corano)» significa, «tra l’altro» “riunione, «unione»”, ogni realtà. «Al Profeta il merito di portare» lo Stendardo della lode perché «egli» loda Dio con il Corano. Questi è al tempo stesso la Parola di Dio e la realtà intima del Profeta[57], il suo carattere “immenso”, come lo è lo stesso Corano. Il suo «stesso» nome, Mu|ammad, colui che loda incessantemente, esprime la perfezione della sua servitù: non loda per sé stesso, si contenta di ricevere senza interruzione questa lode per «poi» rimetterla a Dio. Egli «il Profeta» non chiede altro per completare la sua esistenza di servitore che “la stazione lodata”. Il Sigillo della santità mu|ammadiana «(Ibn ΄Arabî)» non ha «mai» smesso di spiegare, «attraverso anche i suoi libri»[58], ai suoi discepoli, la via di questa perfezione mu|ammadiana che è anche conforme alla Legge «Sacra»: “E’ perché, dice «lo Shaykh» a proposito di questa lode tramite il Corano, Dio – sia gloria a Lui - non deve essere lodato che con la lode che Egli «stesso» ha istituito per Sé, che «tale» lode è stata istituita dalla Legge, e non per ciò che esige 1' attributo di lode, perché questo è l’elogio di Dio[59] (al-thanâ’ al-ilâhî). Quando Dio è lodato con questo attributo, la lode da parte dell'uomo non è che convenzionale e«mentale» (΄urfî ΄aqlî) e non si addice alla Maestà Divina”[60].
Conclusione
Non si può affrontare un aspetto particolare dell’opera di Ibn ΄Arabî senza constatare la sua unità e la sua complessità. Dio è 1’essere intimo del servitore, ma il servitore non è Dio e la realtà divina trascende sempre ciò che l'uomo può dire della trascendenza e «dintorni».
L'uomo non può dunque né adorare Dio né parlare di Dio - la lode implica entrambi - «se non conformandosi» alla Rivelazione che prende «così» la forma dell’Uomo «Perfetto (al-Insân kâmil)» o del Libro.
L'esperienza intima dell'identità dell’Essere «avuta da Ibn ΄Arabî» gli ha permesso di afferrare la rigorosa corrispondenza che unisce l’Uomo, il Libro e il Mondo e dunque, «al termine, ciò che unisce» la vita e la parola di tutti gli esseri[61]. A proposito della lode non si poteva dire di meglio che: “Non c’è parola nell'universo che non proclami la Sua lode”[62].
* Prima pubblicazione: Journal of the Muhyiddin Ibn ΄Arabi Society (special issue “Praise”), vol 21, 1997, pp. 31-43[1]. In italiano su: Perennia Verba – 8 – 9, 2004/2005, Il Cerchio. Abbiamo lasciato anche le note del traduttore che aiutano alla comprensione del testo.
** Calligrafia dell'eulogia al-hamdu li-Llâh «La lode è a Dio» (come nel testo) o «La lode spetta ad Allâh» realizzata dal calligrafo cinese Haji Noor Deen Mi Guang Jiang.
[1] [Anche su sito internet: motore di ricerca Google, cerca MuhyddinIbnArabySociety, link Ibn Arabi.
[2] [«Dio dall’argilla ha dato inizio alla creazione dell’uomo --- Quindi gli ha dato forma e ha insufflato in lui del Suo Spirito» (Corano 32, 7-9) Il primo uomo pronunciò allora le sue prime parole – quelle che iniziarono il linguaggio umano – dicendo: al-|amdu li-Llâh rabbi-l-΄âlamîn. Vedi anche Tabarî, Ta’rikh, Cairo s.d., I, 47; Tha’labî, Qisâs al-anbiyâ’, Cairo, 1371 h., 18 e ancora, in italiano, sulla storia della creazione di Adamo, Tabarî, I Profeti e i Re, ed. Guanda, pp.4-8. N.d.T.].
[3] [Muhammad, tradotto, significa “colui che loda” e poiché, al Giorno della Resurrezione, tutta la umma si raccoglierà presso di lui, anche tutte le lodi di questa giungeranno al loro esito finale e si raccoglieranno presso di lui nello stendardo della lode che non potrà dunque essere portato altrimenti che da Muhammad . N.d.T.].
[4] [Un hadîth dice che, nel Giorno della Resurrezione, il Profeta loderà Dio con delle lodi che non si conoscono in questo mondo quaggiù. N.d.T.]
[5] Cf. Commentaries on the Fâtiha and Experìence of the Being According to Ibn ΄Arabî, JMIAS XX.
[6] [Riferito agli esseri. N.d.T.].
[7] Futûhât II 100 quest. 99.
[8] Futûhât II 403, capi.198 § 6 al-dhikr bi l-tahmîd.
[9] Futûhât IV 286 capi. 558 hadrat al-hamd.
[10] Futûhât II 403. [Nel testo : « dans Sa Qualité qui ne saurait être multiple » N.d.T.]
[11] Futûhât IV 286. Sulla trasformazione (tasrîf) delle qualità biasimevoli in qualità lodevoli, v. anche II 195-8, cap. 114, 1.15 e 117 e II 241-2 cap.149 (maqâm al-khuluq): “Tutti i caratteri sono delle qualità divine, tutti sono nobili ed innati nell’uomo”. L'avarizia per esempio, essendo un rifiuto, può essere <racchiusa> nel Nome Divino al-Mâni΄ «Colui che trattiene”. Vedi ancora II 362-3 (maqâm al-khulla).
[12] Cf. Futûhât II 616 cap. 281; IV 178 cap. 534.
[13] [Cioè il considerarla biasimevole. N.d.T.].
[14] [Nel testo: «Toute parole dans l'existence est glorification, même si elle est considérée comme un blâme et par la science que nous avons de cela, nous l'emportons sur autre que nous». Intendendo che ogni parola e\o atto che sia da biasimare tendiamo a non considerarlo nostro, trasferendone la responsabilità ad altri \o altro. In realtà, come detto sopra nel testo “ogni qualifica in apparenza biasimevole, come la gelosia, la collera o l’invidia, ma trasformata in un senso positivo e conforme alla Legge divina e profetica, comporta un aspetto di lode per la quale essa ritorna a Dio”. Il nostro sforzo consisterà piuttosto nell’effettuare questa trasformazione. N.d.T.].
[15] Futûhât IV 404.
[16] Futûhât II 403 cap. 198; IV 95 cap. 446.
[17] Futûhât IV 287.
[18] [In altre traduzioni del Corano (U.C.O.I.I., Guzzetti, etc) viene riportato “Glorifica (Loda) con la lode il tuo Signore”; La preposizione “del” al posto dell’articolo “il” dà un altro senso, più profondo, al versetto. N.d.T.].
[19] [Nel testo: «La vie suppose la conscience». N.d.T.]
[20] Futûhât I 147.
[21] Futûhât IV 451 e riguardo all’aldilà: I 147.
[22] Futûhât II 682-3 cap. 297 e III 257-8 cap.357.
[23] Futûhât III 99 cap.326. [Tutti gli esseri che non siano uomini e ajnun fanno dhikr continuo (pur senza esserne consapevoli) e tale recitazione è legata alla respirazione per cui, come questa, diviene azione continua ma involontaria. Tra l’altro, il cogliere un fiore, uccidere un animale, rompere un sasso (se non per un valido motivo) implica dunque una interruzione di questo dhikr, interruzione di cui “dovremo rendere conto”. N.d.T.]
[24] Futûhât I 381-2. [Nel testo: «comme cela arriva aux Compagnons du Prophète qui entendirent le caillou glorifier Dieu dans sa main». N.d.T.]
[25]Futûhât I 59; III 65 cap. 317. Fakhr al-Dîn al-Râzî fa eco a questa interpretazione e la giustifica nel suo commentario, ed. Téhéran, riprod. XX 218-9.
[26] Futûhât II 688 cap. 298. [Nel testo: «Dans l'au-delà tous les êtres sans exception louange et glorification seront pour tous les êtres sans exception "comme les souffles de ceux qui respirent».N.d.T]
[27] Futûhât I 398; III 393, 16a sez. degli hazâ’in al-jûd.
[28] Futûhât II 247 cap.152 (maqâm al-walâya).
[29] [Talvolta tradotto con “devoti”--- ma il “vero” devoto obbligatoriamente santo. N.d.T.].
[30] Futûhât I 429. Ibn ΄Arabî fa anche notare che <questa recitazione (del tashahhud )> distingue il “noi”dagli altri servitori quali che siano. [Nel testo: «En disant "les saints" vise donc tous ceux qui sont employés à ce qui fait leur sainteté (c'est-à-dire leur fonction dans l'existence)». N.d.T.].
[31] [Nel testo: «mais les êtres d'élection, le prophètes et les saints reçoivent eux une part de la louange universelle que Dieu fait rejaillir sur eux par l'intermédiaire des habitants des cieux et de la terre». N.d.T.].
[32] Futûhât II 247cap. 43. [la nota in francese riporta: « On peut rapprocher cet éloge de l'amour de toutes les créatures pour Abû Madyan que le serpent qui entoure la montagne Qâf révèle à Mûsâ al-Sadrânî » che ho cercato di tradurre, credo infelicemente : « Per Abû Madyan si può paragonare questo elogio dell’amore di tutte le creature a quel che rivela a Mûsâ al-Sadrânî il serpente che cinge la montagna Qâf». Cf Futûhât III 130 334 e Claude Addas, “Abu Madyan and Ibn ΄Arabi” in Muhyiddin Ibn Arabi, a Commemorative Volume, Element Shaftesbury l993 p.173.
[33] Futûhât II 509 cap. 218.
[34] [U.C.O.I.I., p.324. N.d.T.].
[35] [U.C.O.I.I., p.303. N.d.T.].
[36] [Nel testo: «sont concernés par ce discours» N.d.T.]
[37] Futûhât II 328 cap.178.
[38] [Nel testo: «Ils agissent par avance et se mettent dès le début à louer Dieu par la louange des êtres voilés» Gli elogiatori di Dio sono coscienti della loro lode e non lodanti solo in modo “essenziale”. N.d.T.]
[39] Futûhât II 33 cap.73.
[40] Futûhât I 540, cap. Finale sulla preghiera.
[41] Futûhât III 488.
[42] [Nel testo francese “Sua” è in minuscolo. Credo sia un errore di battitura, vedi versetto 110, 3. N.d.T.]
[43] [Nel testo francese manca il punto di domanda. Affermare è limitare e la trascendenza non può essere tale (da cui la domanda). N.d.T.].
[44] Cf. Fusûs p. 68 (fass hikma subbûhiyya fî kalima nûhiyya): “Sappi - che Dio ti assista con uno spirito che da Lui provenga - che l'affermazione della trascendenza per coloro che conoscono le realtà <essenziali> non è a riguardo di Dio che limitazione (tahdîd) e condizionamento (taqyîd). Colui che afferma dunque la trascendenza è <tanto> un ignorante <quanto> si comporta in modo sconveniente (sâhib sû’adab).
[45] Futûhât IV 414, a proposito dei capitoli 47 e 438. [Nel testo francese “Je ne dénombre pas l’éloge …”, da intendersi il non caratterizzare la lode con formule proprie (come avviene quando si esegue un conteggio o si censisce od altro di simile per cui, per propria comodità, si attuano caratterizzazioni proprie. N.d.T.].
[46] Futûhât IV 96, cap. 467.
[47] [Nel testo: «il s'agit alors d'un éloge non défini par la Loi sacrée (‘urfî) qu'il a le loisir de rendre tant qu'aucune interdiction légale ne l'en empêche». N.d.T.
[48] Futûhât II 404 cap. 198.
[49] [nelle traduzione U.C.O.I.I. e Guzzetti: “Glorifica il tuo Signore lodandolo …”. Il senso, per tutto quanto detto nell’articolo, è differente! N.d.T.].
[50] Futûhât III 148 cap. 338; I 181, cap. 23.
[51] [Nel testo: «l'affirmation que tout éloge, voire tout blâme revient toujours en fin de compte à une louange divine». N.d.T.]
[52] Futûhât IV 141 cap. 503.
[53] Allusione all’hadîth qudsî: “… Il Mio servitore non cessa di avvicinarsi a Me, finché Io sono l’orecchio con cui sente, la vista con la quale vede …”.
[54] Futûhât IV 140-1, cap. 503.
[55] [Nel testo: «comme le proclame le Cheikh dans un prône au cours d'un songe». N.d.T.]
[56] Futûhât I 111, cap. 5 sulla basmala e la Fâtiha.
[57] [Ricordiamo che un hadîth riporta che il Profeta è Corano. N.d.T]
[58] [Nel testo: «Le Sceau de la sainteté muhammadienne n'a eu de cesse d'expliquer à ses disciples, qui sont aussi ses livres». N.d.T.].
[59] [Nel testo «en tant que cette louange a été institué par la Loi, et non pas par ce qu'exige l'attribut de louange, car ceci est l'éloge de Dieu». N.d.T.]
[60] Futûhât II 88 questione 77.