Michel
Vâlsan
Lettere di distacco da Frithjof Schuon[1]
Precedute
da una lettera di René Guénon
Presentiamo la prima lettera inviata a Frithjof Schuon da parte di Michel Vâlsan
Lettere
di M. Vâlsan a F. Schuon - (Prima lettera)
Parigi, 17 Settembre 1950.
Carissimo e venerato Maestro,
Questi ultimi tempi han fatto riemergere
sempre di più le difficoltà delle mie relazioni con voi, e ciò interessa prima
di tutto la questione del profitto spirituale che potevo sperare sotto la
vostra direzione.
Mi fa piacere credere che avete fatto tutto quel che era in vostro potere affinché il nostro rapporto spirituale non giungesse ad un risultato negativo. Da parte mia, mi sono sforzato secondo le mie possibilità d'entrare nelle vostre vedute intellettuali e disciplinari, ottenendo così la vostra soddisfazione, cosa che m'è sempre parso dovesse costituire la garanzia della mia pace interiore e della mia prosperità nella via. Ora, bisogna arrendersi a quest'evidenza che non c'è più, per me, né per voi, un interesse veramente spirituale a mantenere dei rapporti che ci arrecano incertezza, dissenso e problemi. Avete dovuto manifestare sempre di più manifestamente la vostra scontentezza nei miei riguardi, ma durante il vostro ultimo soggiorno a Parigi siete arrivato nientemeno che a dichiarare che “se sono ancora qui, è perché non mi si può uccidere”.
Mi fa piacere credere che avete fatto tutto quel che era in vostro potere affinché il nostro rapporto spirituale non giungesse ad un risultato negativo. Da parte mia, mi sono sforzato secondo le mie possibilità d'entrare nelle vostre vedute intellettuali e disciplinari, ottenendo così la vostra soddisfazione, cosa che m'è sempre parso dovesse costituire la garanzia della mia pace interiore e della mia prosperità nella via. Ora, bisogna arrendersi a quest'evidenza che non c'è più, per me, né per voi, un interesse veramente spirituale a mantenere dei rapporti che ci arrecano incertezza, dissenso e problemi. Avete dovuto manifestare sempre di più manifestamente la vostra scontentezza nei miei riguardi, ma durante il vostro ultimo soggiorno a Parigi siete arrivato nientemeno che a dichiarare che “se sono ancora qui, è perché non mi si può uccidere”.
Ne sottolineerò soltanto il carattere
estremo ed imperioso. È dunque tempo di prenderene atto in modo formale,
traendone le conseguenze. Non ne sarete né sorpreso né contrariato. Non posso
evidentemente essere vostro discepolo, e dato che voi stesso ve ne rendete conto,
vi prego di volermi considerare espressamente disimpegnato dai miei rapporti
iniziatici personali con voi, senza che ciò vada a ledere in qualche modo le
realtà della via. Mi rimane da sollecitarvi anche di compiere nei miei
riguardi, un voto che può essere ancora nelle vostre facoltà e che permetterà
anche di salvare in extremis la forma di questa separazione che avrei voluto
ben più gradevole per voi e per me: fate un buon augurio per il mio destino
spirituale. Da parte mia, potete star sicuro che non ci tengo che a conservare,
in me, malgrado certi scontri e malintesi inevitabili che han potuto prodursi,
la possibilità spontanea della venerazione e della stima nella vostra
condizione, nonché le benedizioni da voi ricevute, ed il desiderio d'includervi
sempre nelle mie preghiere.
D'altra parte, sono obbligato a dirvi che
al momento constato che alcuni fuqarâ
francesi vorrebbero restare al mio fianco per il futuro, sperando di trovare
così essi stessi una forma di via spirituale più adeguata alle loro
possibilità. Non ho costretto nessuno, li ho tutti avvertiti che non voglio
avere nessuna responsabilità nella loro decisione. Tuttavia si ricordano che
voi stesso avete manifestato, nella zawya
di Parigi, il rammarico che non ci sia una seconda branca della tarîqa od un'altra tarîqa in Europa, e non era del resto la prima volta che io stesso
vi sentivo dire che ritenevate utile l'esistenza d'un'altra organizzazione
europea oltre alla vostra onde non avere, in qualche modo, l'obbligo ad
ammettere presso di voi gli elementi che non vi si addicono. Questa questione
delle affinità spirituali tra murshid
[Guida spirituale, funzione di shaykh
o moqaddim. NdT] e discepolo è
evidentemente d'un'importanza capitale, ed è chiaro che tutti i membri ammessi
di fatto non possono ottenere un grande profitto dalla situazione esistente.
È unicamente misura d'equità quella di
consentire a coloro che ne sono interessati la possibilità di cercare un altro
orientamento più favorevole per loro. Quelli di cui vi parlavo sperano di
trovarlo con me, ed a tale scopo essi non contano sulla mia iniziativa
personale, bensì sull'efficacia inerente alla concezione, che ci è comune, d'una
certa forma di vita spirituale che sembrerebbe presuntuoso voler definire qui,
ma alla quale non manca beninteso né lo spirito metafisico né il carattere
sacro dell'intellettualità, né lo spirito di povertà, e nella quale sussisteranno
anche l'ortodossia, il rigore e l'austerità tanto nell'ordine dottrinale quanto
nell'ordine pratico. A parte ciò, potete star tranquillo per noi, per il fatto
stesso che pensiamo di fare ricorso ai consigli ed ai pareri di colui che è
nostro padre intellettuale e nostro appoggio nella tradizione, il veneratissimo
Shaykh Abdul Wahid Yahya (che Allah gli prolunghi la vita ed aumenti in lui il
profitto), colui che è il sacro intermediario tra la saggezza orientale ed i
bisogni degli intellettuali dell'Occidente, e dal quale voi stesso avete tratto
certi benefici. Voi stesso avete spesso espresso il rimpianto che lo Shaykh
Abdul Wahid non avesse voluto avere dei discepoli. Nondimeno, però, sappiamo
tutti che può sempre avere, oltre alla sua funzione di formulare la dottrina,
anche quella d'enunciare la saggezza e di mostrare la prudenza; vorremmo
giungere a mettere questi attributi più pienamente a nostro profitto. Ci
dirigiamo verso di lui vestiti di povertà e di necessità, d'ignoranza e d'umiltà,
ma animati dalla speranza e dalla fede, al
tempo stesso offrendogli la venerazione
più meritata da un essere della nostra epoca.
Vogliate voi stesso, carissimo e venerato
Maestro, rialzare il significato di quest'ardente aspirazione accordandoci il vostro
aiuto e la vostra benedizione pensando al di là delle ferite che possiamo avervi
inferto con le nostre colpe, poiché non potete non sapere che, se ce ne sono
state, ed in modo
quasi inevitabile, non è affatto sempre a
causa d'ambizioni spregevoli, bensì in ragione del fatto che ne andavano delle nostre
vite stesse che abbiamo posto sulla via d'Allah, tra la speranza del Paradiso
ed i pericoli dell'Inferno, e che non appartengono che a Dio solo, il Signore
dei grandi e dei piccoli, ed il loro Giudice supremo. Allah saprà accordarvi il
prezzo delle vostre pene, della vostra comprensione e della vostra benevolenza.
Speriamo, così, d'associarvi nel pensiero generoso
e riconoscente col quale inauguriamo la
nostra nuova vita. E che Allah v'accordi le grazie che vi qualificano con delle
qualità, ed in tal modo faccia trar profitto da voi coloro i quali a voi si
rivolgono.
M. V.
N.B. Gli amici dei quali vi parlo sopra e
che mi han fatto conoscere il loro desiderio di restare con me sono: Blétry,
Caudron, Baudoin, Ponsoye, Beiller, la Sig.ra Bosuet, la Sig.ra Greton. Vi
rendono omaggio della loro venerazione e vi inviano i loro migliori auguri per
voi ed i vostri. Credo che vi scriveranno anche personalmente, com'è normale.
[1] Testo
tratto da: Michel Vâlsan, Lettere di
distacco da F. Schuon, Edizioni Al-Khâtamu Al-Dhahabiyy, Al-Qâhira
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