"…la dottrina è infallibile, è a causa del fatto che essa è un’espressione della verità, la quale, in se stessa, è assolutamente indipendente dagli individui che la ricevono e che la comprendono. La garanzia della dottrina risiede in definitiva nel suo carattere «non-umano»". René Guénon, Considerazioni sull’iniziazione, cap. "Sull’infallibilità tradizionale"

venerdì 6 marzo 2015

Michel Vâlsan, Lettere di distacco da Frithjof Schuon - III


Michel Vâlsan
Lettere di distacco da Frithjof Schuon
[1]
Precedute da una lettera di René Guénon

Lettere di M. Vâlsan a F. Schuon - (Seconda lettera - Prima parte)

Parigi, novembre 1950

Carissimo e venerato Maestro,
Vi ringrazio per la vostra risposta con la quale gradite la costituzione d'una branca indipendente della tarîqa. In questo modo, il vostro atteggiamento è di per stesso, in quanto a ciò, un segno favorevole. Come m'avete proposto, ho informato lo Shaykh Abdu-l-Wahid di questa notizia.
Indipendentemente da quanto potrà dirvi egli stesso nei suoi rapporti diretti con voi, stimo opportuno darvi qui alcune precisazioni sui fondamenti reali di questa costituzione essendo che, dal tenore della vostra risposta, ed anche ad evincere da quanto lo Sh. A.W. ha ricevuto da parte vostra, si sono verificati dei fraintendimenti e sussistono degli equivoci su certi punti, mentre c'è interesse a dissiparli sin dall'inizio.
Il vostro accordo è manifestato in una maniera che supera largamente le mie aspettative dato che avete pensato di dover precisare che avete “deciso di mantenere la mia funzione affinché io possa, in base a questa, costituire la branca indipendente”. Certo, ciò è benvenuto per allontanare ogni supposizione contraria alla legittimità di questa costituzione, ma a dire il vero io non avevo ritenuto utile sollecitare di prendere da parte vostra una decisione qualsiasi dato che, se è vero che in base alla mia funzione io posso costituire validamente un branca indipendente, la qualità che già possedevo al riguardo, dal punto di vista della silsila è, di per sé stessa, operante a quest'effetto e non è sottomessa ad una nuova autorizzazione, né ad una conferma speciale.
II messaggio che vi ho inviato non aveva altro senso che quello d'una cortese convenienza spirituale, della quale avevo in vista unicamente l'opportunità e la forma, il che non poteva in nulla mutare il fondamento delle cose. Del resto, bisogna ricordarsi qui della vostra posizione nei confronti di Sh. Adda il quale vi ha nominato muqaddim, e nei confronti del quale avete stabilito, senza altra autorizzazione, la vostra indipendenza che vi ha permesso di organizzare la vostra branca. In quanto a ciò, si può sottolineare ancora che il vostro caso è più caratteristico di quello dei moqaddim alawi nominati dallo Shaykh al-‘Alawi stesso i quali, dopo la sua morte, si sono tenuti al di fuori di ogni obbedienza da Mostaghanem. In effetti, mentre questi affermavano la loro indipendenza nei confronti d'un luogotenente di fatto dello Shaykh, voi la reclamaste poco più tardi da colui il quale vi aveva nominato, dopo la morte dello Shaykh al-‘Alawi, e che era questo luogotenente stesso.
Lo Shaykh Abdu-l-Wahid stesso, il quale conosce bene queste circostanze, nonché le regole tradizionali in questa materia, dice lui stesso che quel che bisogna considerare, è “che voi siete stato nominato muqaddim dallo Shaykh Adda esattamente come io lo sono stato da voi, dato che va da sé che non v'è, in ciò, che quanto può esser fatto…”. E quanto alla costituzione d'una branca indipendente al di fuori d'ogni questione d'autorizzazione speciale o accordo personale, diceva che “ciò non sarebbe veramente irregolare, dato che quel che conta essenzialmente, nella realtà, è la silsila, la quale sussiste in ogni caso, e non la dipendenza nei confronti d'una personalità qualsiasi; del resto, come si sono formate le molteplici branche indipendenti nelle quali si sono divise la maggior parte delle turuq e che sono diventate invero altrettante turuq distinte?”. Non c'è così, di fondo, alcuna “difficoltà d'ordine tecnico”, e su questo lo Shaykh Abdu-l-Wahid mi ha detto ancora: “Quel che importa è unicamente la regolarità e la continuità della silsila; ora, la trasmissione vi è pervenuta senza interruzione dallo Shaykh Ahmed con l'intermediario di due muqaddim ed i rapporti che questi hanno o non hanno attualmente tra di loro, o con voi, non possono mutare in nulla ciò”. Per finirla a questo riguardo, citerò ancora questa precisazione dello Shaykh A.W., la quale comporta diverse applicazioni: “Quando un moqaddim diventa il capo d'una branca indipendente vi svolge nei fatti la funzione dello Shaykh, il che implica prima di tutto la possibilità, per lui, di nominare a sua volta altri moqaddim”.
Essendo questa situazione chiara e netta, è anche evidente che per svolgere la mia funzione non ho assolutamente bisogno di diventare il responsabile d'una persona vivente, quale che possa essere la sua qualità; mi basta essere il rappresentante d'una silsila autentica. Questa è insomma, attualmente, la situazione reale; le molteplici branche indipendenti e turuq esistenti al giorno d'oggi sono, di fatto, dirette da rappresentanti di silsila e non da mandatari d'un “Maestro vivente”. Se fosse stato necessario riconoscerne uno, per avere la qualità di rappresentante della silsila, non resterebbe granché delle turuq e delle zawya indipendenti, sparse in tutti i paesi islamici ed altrove. In fatto di maestro, però, non è necessario riconoscere che il fondatore della tarîqa.
Non v'è quasi bisogno che vi dica che, in base a quanto precede, non posso mettere in discussione la vostra “legittimità”, e ciò tanto meno visto che questa è all'origine della mia. Se dubitassi della vostra, sarebbe come se voi dubitaste di quella dello Shaykh Adda il quale, nominandovi moqaddim, vi ha conferito la qualità sulla base della quale avete organizzato la vostra branca. Dato che resta beninteso anche che è sotto questo rapporto che si pone esattamente la questione della mia funzione e della vostra, in quest'ordine di cose non è possibile far intervenire considerazioni d'un·altro ordine diciamo “soggettivo”, poiché in ogni caso ciò non potrebbe apportare alcuna modifica ai caratteri della silsila, mentre potrebbe al contrario generare delle difficoltà senza via d'uscita...
Sebbene io non possa considerare un tale lato intimo delle cose, ci tengo ad aggiungere questo, senza altra preoccupazione che quella dell'onore spirituale e dell'omaggio dovuto alla grazia: non intendo ridurre voi stesso alla semplice funzione di rappresentante della silsila, contestandovi qualità personali o grazie che sono conferite all'uomo spirituale, sia per profitto suo proprio, sia per dei motivi funzionali. Questo genere di considerazioni non si riferisce alla legittimità delle funzioni, bensì al loro grado d'efficacia secondo i domini. È questa la ragione per la quale io penso che quando voi stesso volete giudicare della legittimità d'altri casi funzionali come il vostro, non siete tenuto che ad osservare il lato costituzionale; quanto all'efficacia, questa dipende da quel che Allah vuole con la funzione rispettiva, cosa che sfuggirà forzatamente a all'opinione che ce ne si può fare in anticipo e vedendo dall'esterno.
Da quanto vi ho detto sin qui, risulta che la branca nuova della tarîqa soddisfa la condizione necessaria e sufficiente per una regolare esistenza. Eppure, nella vostra risposta, vi siete preoccupato di sapere se c'è una “valida ragione” per questa separazione da voi, ed a questo riguardo ne trovate una voi stesso nel “mio desiderio d'ispirarmi più direttamente allo spirito dello Shaykh Abdu-l-Wahid”. Questa ragione è sicuramente esatta e d'una grandissima importanza, ma cionondimeno non si scosta per me, in fondo, dalla semplice questione d'ortodossia tradizionale. A proposito, però, delle relazioni con lo Shaykh A.W., ritengo opportuno darvi qui alcune precisazioni.
Tanto per cominciare, se conto su certi lumi ed appoggi da parte sua, oltre agli insegnamenti tratti dalla sua opera pubblicata, non mi verrebbe in mente di fargli svolgere un ruolo che non è il suo. Come ha chiaramente e costantemente dichiarato egli stesso, non accetterà mai d'avere dei discepoli, ed è certo anche non è in quanto “discepolo” od “aspirante” che mi rivolgo a lui. E se lui stesso giudica che sia un bene l'accordarmi un aiuto tradizionale, non lo fa certamente che in ragione d'attributi propri ad una funzione che, manifestamente, non è quella d'un maestro nel senso ordinario della parola ma che,  in cambio, è d'una grandissima utilità per il capo d'un'organizzazione iniziatica nel mondo occidentale. D'altra parte il mio accordo con lui non ha assolutamente nulla di “personale”; aggiungo anche che l'indipendenza dallo Shaykh Abdu-l-Wahid Yahya, la conosco esser tale che non gli verrebbe in mente di considerarsi in qualche modo “impegnato” con me in qualsiasi maniera, tranne quella che deriva dalla sua funzione solamente, né “accaparrato” dal suo accordo con me, come non lo è mai stato nei confronti di chicchessia. Sinchè resta quindi padrone del suo ruolo, a me spetta di rendermi degno della sua sollecitudine e della sua fiducia onde ottenere sempre il bereficio delle sue luci intellettuali e della sua intercessione spirituale.
Da tutto ciò, anche altri possono cercarvi il proprio profitto: dipenderà dal loro desiderio, dalla loro sincerità e dalla loro lealtà ch'essi vi pervengano, da parte loro; ma mi pare che resti inteso che non si può, a questo riguardo, pensare a degli interessi di semplice “politica”, poiché ciò sarebbe non solo diminuire il senso d'una funzione che si situa ad un tutt'altro livello, ma anche mancare alle convenienze spirituali.
Congiuntamente a questo rapporto con la funzione dello shaykh, all'origine di questa branca indipendente ci sono altre ragioni positive più determinate, d'altronde legate correlativamente a delle ragioni negative.
C'è il desiderio d'avere una via più specificamente islamica tanto sotto il rapporto dottrinale quanto sotto quello pratico, di promuovere un autentico spirito di povertà, d'introdurre una regola di vita più ascetica e d'utilizzare degli autentici mezzi iniziatici.
Nell'ordine dottrinale si tratta soprattutto di evitare le tentazioni d'un “universalismo” facile e superfluo, e d'appoggiarsi effettivamente ad una dottrina islamica omogenea e rigorosa come quella di Muhy-î-Dˆœn Ibn ‘Arabi che unisce la più alta intellettualità al carattere più muhammadiano. Nell'ordine pratico si tratta da una parte d'evitare l'immissione d' elementi eterogenei o pseudo-tradizionali e d'altra parte di realizzare le condizioni necessarie che costituiscono la forma islamica tanto nell'ordine exoterico quanto nell'ordine esoterico. Cosi, la direzione effettiva della via sarà sostenuta e garantita dall'autorità della dottrina e dall'efficacia delle regole sacre, e sottratta ai rischi d’“ispirazioni” supererogatorie e da preoccupazioni esagerate di “adattamento”. La via stessa deve essere al tempo stesso di pietà e d'intellettualità sacra, d'autentica fede muhammadiana e di scienza spirituale, di virtù pratica e di spirito metafisico.
La concezione che avete del vostro ruolo e dei destini della tarîqa in Europa non sembra esser stata sufficientemente favorevole al raggiungimento di questi risultati. A questo riguardo si direbbe che, molto fiducioso nelle vostre possibilità personali, vi siete deliberatamente e progressivamente limitato alle vostre sole risorse staccandovi sempre di più dalle vostre dipendenze tradizionali normali, tanto nell'ordine della formazione dottrinale quanto nell'ordine dei mezzi tecnici. Nell'ordine tradizionale vi siete mantenuto nelle conoscenze speculative e tradizionali in generale, ed avete lasciato su un ultimo piano quelle propriamente islamiche il cui possesso, sia nel dominio esoterico che in quello exoterico, pure era la condizione necessaria per la direzione normale d'una branca di tarîqa. Resta inteso che non si tratta, in questo caso, d'una semplice questione di forma verbale delle verità universali, ma di questa forma spirituale, originale ed autentica la cui lingua non è che un elemento, forma ch'esse hanno in una tradizione particolare nella quale sono legate in modo armonico e persino organico con l'insieme delle istituzioni ed in particolare con i supporti ed i mezzi della via. La forma tradizionale, che è essenzialmente e primordialmente una realtà intellettuale, è il supporto necessario delle verità rivelate: a cagione di ciò essa è identica alla presenza sacra di queste verità. Senza questa forma le verità generali non possono avere che una realtà vaga ed inconsistente, e le verità particolari, un'economia arbitraria ed infonne. Non si tratta nemmeno d'una questione di pura erudizione, il che sarebbe evidentemente eccessivo ed inutile, ma del possesso di conoscenze necessarie per l'organizzazione delle vite dei fuqarâ e della via iniziatica, poiché le differenti circostanze che si presentano nell'ordine individuale o nell'ordine comune non possono essere comprese e trattate che sulla base di conoscenze tradizionali la cui coscienza dev'esser sempre presente. Nell'Islam ciò implica due generi di conoscenza: uno generale che è il Libro e la Sunna, conosciuti nella loro economia dottrinale e praticati nel loro spirito; l'altro speciale, relativo alle dottrine ed alla via iniziatica. Nei paesi islamici, uno Shaykh che insegna è normalmente anche controllato dalle altre autorità esoteriche ed exoteriche ed osservato in modo generale da tutti quanti: e quali che siano i fastidi che ciò ha potuto arrecare talvolta a degli autentici maestri, bisogna riconoscere che questo controllo si è dimostrato infine salutare, poiché nessun insegnamento spirituale regolare può entrare in conflitto con le altre istituzioni tradizionali, queste ultime considerate in sé stesse e non per i loro rappresentanti. Un rilassamento di questo controllo, invece - e ciò si vede soprattutto nei paesi insufficientemente islamizzati o nei paesi islamici non arabi, od ancora negli ambienti ove si mescolano elementi di tradizioni diverse -, non può essere che la porta aperta alle mescolanze dottrinali e pratiche, ed al sincretismo pseudotradizionale, fatti che caratterizzano l'indebolimento dello spirito, dell'ortodossia e della regolarità tradizionale.
Ora, si può, su questo punto, ricordarsi la maniera scoraggiante, per non dire di peggio, in cui sono stati giudicati, in certi momenti critici - il che ha, d'altro lato, sempre lasciato tracce -, gli studi d'arabo e di dottrine islamiche nella tarîqa, atteggiamento che andava di pari passo con un'assenza di clemenza poco ordinaria nei confronti di quelli che vi sembravano troppo attaccati alla shar’ia. La cosa sarebbe ancor tanto più apprezzata se paragonata all'importanza accordata, nel quadro della tarîqa, a degli studi sui Pellirosse, il Buddhismo, il Cristianesimo, l'Induismo, ecc ... o sull'arte, ed alle visite ai musei, alle chiese ed ai monasteri.
Il vostro interesse che fu, per la forza delle cose, quello di molti fra i fuqarâ, vertendo sulle generalità e le curiosità tradizionali, la forma spirituale che potevate costituire e proporre agli altri comunque era un universalismo dal carattere generale ed approssimativo, compiacentesi soprattutto di considerazioni d'ordine estetico, ma sensibilmente distante dalla mentalità islamica ed anche dallo spirito di povertà in generale.
D'altra parte l'autonomia che vi eravate preso troppo prematuramente, non soltanto di fronte a Mostaghanem, bensì in modo generale in rapporto alle fonti dell'esoterismo islamico del quale non vi siete mai preoccupato, veniva ad accentuare la debolezza di questa posizione traducendola innanzitutto nel dominio dei mezzi tecnici della via, che si trovarono in tal modo limitati ai primi elementi ricevuti da voi alla zawya alawi. Qui la cosa dev'esser messa in relazione col fatto che qualche anno dopo il vostro ritorno dall'Algeria avete affermato d'essere il successore al “maqam” dello Shaykh Ahmed al-‘Alawi, nozione estremamente imprecisa ed equivoca[2], ma che ebbe il ruolo di consacrare l'atteggiamento di sufficienza di sé della vostra direzione iniziatica e d'indifferenza nei confronti di tutto quanto potesse ancora esistere altrove.
Questo atteggiamento nei confronti delle basi naturali della tarîqa si completava con un'indipendenza risoluta e tranciante nei riguardi della funzione provvidenziale dello Shaykh Abdu-l-Wahid Yahya. Non vi avete voluto ricercare un appoggio normale che non avrebbe nuociuto in nessun modo, tutt'altro, al compimento della vostra funzione regolare, eppure quest'appoggio ha comunque avuto luogo costantemente nella misura in cui ciò era ancora possibile, molto spesso addirittura a vostra insaputa. Avete voluto, nonostante ciò, sottoli neare sin dall'inizio, una distanza scoraggiante: “Lo Shaykh Abdu-l-Wahlid Yahya è una cosa ed io ne sono un'altra”, dichiaravate ad Amiens nel 1936. Nessuno contesta questa verità, ma si possono deplorare le conseguenze che avete voluto trame. Lo Shaykh Abdu-l-Wahlid Yahya resta per voi un semplice “autore d'esposizioni teoriche”. Gli riconoscevate volentieri del “genio”, come se ciò potesse interessargli quanto interessa tanti altri che aspirano a questo stesso “titolo”, e gli accordavate senza problemi un posto in quella che chiamavate la “generazione orizzontale della tarîqa”, però gli assegnavate altresì un ruolo il più possibile “storico” nel passato.
Personalmente non ho mai avuto l'impressione che consideraste in modo sufficiente il suo ruolo “funzionale” in seno alla tarîqa, nonostante la sua funzione non fosse limitata in realtà, a ciò. Ecco un'illustrazione illuminante di quel che dico.
“Aperçus sur l'initiation” ["Considerazioni sulla via iniziatica". NdT], che è incontestabilmente il libro più prezioso nel nostro dominio dato che è il solo nel suo genere, questo libro unico di scienza tradizionale e di tecnica iniziatica, apparso nel 1946, è stato scritto in realtà in forma d'articoli diluiti in un'epoca che in definitiva coincide con quella della costituzione e dell'organizzazione della branca europea della tarîqa. Nei suoi articoli (come nella sua corrispondenza privata che intratteneva parallelamente con voi e con altri membri della tarîqa), lo Shaykh Abdu-l-Wahid Yahya ha dato a voi stesso, così come ad altri fuqarâ, ed anche ai candidati all'iniziazione, l'insegnamento dei princìpi e delle regole della via, nonché i pareri sulle misure opportune ed i pericoli stessi in questo dominio.
Ora, il colmo è che voi qualificate questo libro col titolo, evidentemente in modo voluto poco adulatorio, “libro massonico”, e ritenete inoltre che la sua pubblicazione sia “inopportuna”! In ogni caso, questo libro non è un'opera di semplice dottrina. È in realtà, fra l'altro, una specie di carta della tarîqa, e nel vostro ruolo d'organizzatore della prima branca europea, avete dovuto malgrado tutto trame un certo profitto, ed avreste dovuto trame uno più grande ancora, se gli aveste riconosciuto l'autorità che ha in verità.
Ci sembra che lo Shaykh Abdu-l-Wahid Yahya si fosse accorto, sin dai primi tempi, dei rischi che comportava la vostra situazione. È per questo che scriveva nel 1936 a Caudron, parlando di voi: “Quel che la sua preparazione al suo ruolo ha potuto avere d'insufficiente o di troppo rapido potrebbe certamente [“essere” NdC] meno grave se avesse un pò meno di fiducia in stesso, e soprattutto se non avesse questa sorta di volontà di non tener conto di tante cose che, pure, hanno la loro importanza” (Vedi “Frammenti epistolari” lettera 17.04.1936).
Va menzionato per di più, nei confronti dell'opera dello Shaykh Abdu-l-Wahid Yahya, un atteggiamento di frequente critica che noi abbiamo conosciuto, non soltanto in voi, bensì anche nella maggioranza dei fuqarâ svizzeri; non voglio dire che non ci potesse essere qualche volta con lo Shaykh Abdu-l-Wahid Yahya una differenza di punti di vista od anche di opinione su di una questione qualunque, ma quel ch'era sorprendente in questo atteggiamento, era l'accentuazione inverosimile che si metteva apertamente perfino su dei punti secondari o minimi e spesso senza rapporto alcuno con la tarîqa. (Non mi sono mai fatto un dovere d'informarne lo Shaykh Abdu-l-Wahid Yahya come certuni potrebbero credere).
L'atmosfera generale che ne risultava non poteva essere favorevole all'autorità intellettuale dello Shaykh Abdu-l-Wahid Yahya e della sua opera. Talvolta, corre nel 1946, ciò arrivava a “scoppiare” all'esterno e, in fondo, quel che succede a questo riguardo nel 1950 non è altro che la forrna più estesa d'una crisi costante che data sin dalla fondazione di questa branca della tarîqa. In occasioni come questa, voi ed i vostri amici svizzeri, designando prontamente e lealmente uno o più “buoni emissari” tra i vostri o tra gli altri, vi affrettavate a protestare violentemente il vostro “rispetto” per la persona dello Shaykh Abdu-l-Wahid Yahya e la sua opera. Senza volermi occupare di più della realtà di questo “rispetto” (la consegna data a questo riguardo non è, d'altra parte, scrupolosamente osservata a lungo da tutti, ed attualmente vi sono parecchie discordanze...), mi permetto di farvi osservare che questa nozione, a proposito del ruolo che deve avere l'opera dello Shaykh Abdu-l-Wahid Yahya, è priva di grande significato. Un “rispetto”, quand'anche reale, può accompagnarsi ad un certo allontanamento in rapporto allo spirito tradizionale dell'opera. Quel che si deve testimoniare di fronte a quest'opera, è la sua comprensione e la solidarietà di fatto con lui. Questa è in ogni caso l'evidenza di quelli che sono arrivati alla tarîqa europea sulla base di quest'insegnamento e ne hanno atteso delle conseguenze senza abdicarne lo spirito. A costoro non si può rimproverare d'essere incoerenti, e non è certamente su di loro che si può lanciare l'accusa di “tradimento”...
L'atteggiamento verso lo Shaykh Abdu-l-Wahid Yahya culmina nell'opinione professata da voi e dai vostri amici da qualche anno in qua: “ll ruolo dello Shaykh Abdu-l-Wahid Yahya è finito; adesso, scrive inutilmente”. Che ne potete sapere voi del ruolo totale dello Shaykh Abdu-l-Wahid Yahya e sin dove si può esercitare? Non insisterò oltre sulla questione di semplice convenienza che si pone in tal modo una volta di più, ma farò osservare che c'è, nella vostra opinione, un'intromissione nel dominio d'una funzione che non è la vostra, né nei vostri mezzi, e del quale siete, in sovrappiù, anche tributario. Anche supponendo che scrivesse inutilmente per voi, si può per questo dire che lo stesso valga anche per tutti gli altri? Ma riprendete la serie d'articoli ed i libri apparsi dopo la guerra, e guardate solo quel che vi avete imparato voi stesso. E se voi non vi trovate sempre il profitto che v'interessa, ci sono delle categorie di lettori che vi trovano il loro. Ma quanto alla vostra comprensione della dimensione del ruolo dello Shaykh Abdu-l-Wahid Yahya citerò il fatto, a titolo d'esempio, che voi non avete mai afferrato quel che dice ne “La Crise du Monde Moderne” (Cap. IX, pagg. 236-238, pagg. 131-132 della IIa ed.); questo punto ve l'ho rilevato anche nel corso degli ultimi anni, non credo però vi abbiate fatto caso in qualche modo nonostante si trovi, d'altro lato, in strettissima e sottilissima reazione con certe questioni assai dibattute in questi ultimi anni negli ambienti della tarîqa...
Secondo l'opinione che professate sul ruolo attuale dello Shaykh Abdu-l-Wahid Yahya, si direbbe che la sua presenza vi dà fastidio: il suo “controllo” tradizionale soprattutto. Ciò dato che, nel frattempo, la vostra autonomia totale conquista addirittura i privilegi d'una funzione universale in Occidente.
Dinanzi al caso storico di Ramakrishna che aveva verificato grazie alla conoscenza diretta ed attestato esteriormente l'unità fondamentale di differenti forme tradizionali, voi innalzavate il vostro che voleva esser quello d'un maestro realizzante una tale universalità sotto specie d'una direzione in Occidente di vie iniziatiche appartenenti a forme tradizionali diverse: Islam, Cristianesimo, Buddhismo, Massoneria, magari anche della tradizione dei Pellirosse. A questo proposito mi dicevate inoltre, pochi anni orsono: “Shaykh Abdu-l-Wahid Yahya avrebbe detto che sono destinato a svolgere in Occidente un ruolo iniziatico in relazione con le differenti forme tradiziomli”.
Si può notare anche in quest'occasione che, quando lo Shaykh Abdu-l-Wahid Yahya corroborava le vostre tendenze, amavate citarlo in appoggio. Su questo punto speciale, tuttavia, allorché in questi ultimi tempi mi sono deciso a chiedergli cosa ci fosse di vero in ciò, lo Shaykh Abdu-l-Wahid Yahya m'ha risposto così: “Quanto a quel che mi si riporta a proposito di Shaykh Aissa, cioè che avrei detto ch'egli è ‘destinato a svolgere in Occidente un ruolo iniziatico in relazione con le differenti forme tradizionali’, in tutto ciò non c'è una sola parola di vero, dato che, al contrario, non ho mai preso in considerazione un ruolo che uscisse dai quadri d'una forma tradizionale determinata; ho, d'altra parte, appena bisogno di dirvi che in ogni caso un tale ruolo, qualora esistesse, non potrebbe esercitarsi in modo tanto “visibile”. Credo che mi si attribuiscano anche molte cose che non ho mai detto, e neppure pensato... Bisogna aggiungere parimenti che, quando sento pronunciare certe affermazioni più o meno esagerate, generalmente preferisco non rispondere, ben sapendo che ciò sarebbe del tutto inutile; non è impossibile che in un simile caso si interpreti il mio silenzio come un'approvazione...”.
Ciò non impedisce che le vostre preoccupazioni si trovassero rivolte al di fuori delle necessità della via islamica.
Menzioniamo qui, a titolo di ricordo, l'affare della direzione iniziatica dei Massoni: la “trasmissione” d'un Nome d'incantazione che voi stesso non avevate mai ricevuto, e neppure sentito, ed ancor meno conosciuto nelle sue virtù e nella sua funzione nel quadro d'una iniziazione cosmologica quale quella della Massoneria. In quest'occasione avevate invocato il fatto d'agire in ragione d'un “idhn” [permesso, autorizzazione. NdT] divino. Fosse quel che fosse, non n'è risultato un bel niente, e dopo “l'ondata” che s'è abbattuta su tutto questo, sarebbe stato ben stupefacente se fosse andata altrimenti.
In quanto al Buddhismo ed ai Pellirosse, i cui lavori letterari vi hanno tanto occupato, voi ed altri fuqarâ, le applicazioni pratiche sono, sinora, restate limitate; semplice “protezione spirituale” offerta ad alcuni Buddhisti d'Occidente, scambio di benedizioni con i capi Pellirosse[3].
L'affare cristiano, però, doveva mostrare quel che v'era non soltanto d'inutile, bensì anche di pericoloso in un'uscita al di fuori del dominio della vostra giurisdizione, con un comportamento che faceva intervenire costantemente delle “ispirazioni” direttrici il cui carattere poteva apparire eccellente ed adulatore a qualcuno, ma che per contro corrispondevano troppo ai semplici “desideri” individuali, perché non fossero piuttosto che un effetto della soggettività incontrollata. Dichiaravate, allora, che tutto quel che facevate in quest'ordine d'idee cristiane v'era “ispirato”, che “non avevate nessuna iniziativa al riguardo, non facendo nulla senza esservi condotto dalla ‘baraka’, e che anche se voi l'avreste voluto, non avreste potuto non farlo”! È così che abbiamo appreso “I misteri cristici”, la cui tesi dell'iniziazione accordata nel Cristianesimo indistintamente a tutti quanti tramite i sacramenti è semplicissimamente anti-iniziatico. Questa “ispirazione” non v'impediva tuttavia di dubitare, dopo, della verità di questo problema, dato che m'avete scritto che voi quanto me, tanto quanto lo Shaykh Abdu-l-Wahid Yahya, potevamo allo stesso modo sbagliarci
al riguardo. (Mentre voi mi scrivevate ciò, i vostri discepoli zelanti protestavano contro ogni dubbio difendendo, invece, la vostra infallibilità anche a questo proposito). È così che avete cominciato a dirigere dei cristiani (ad uso dei quali avete redatto, fra le altre cose, anche un commento sull’Ave Maria”, dopo aver pregato in latino), ed in seguito avete dichiarato di rinunciarvi ...
La natura di queste “ispirazioni” non mi è parsa rassicurante neppure dopo le reazioni con le quali replicavate ogni volta alle difficoltà incontrate dalle vostre tesi. Ed è così che, allorché lo Shaykh Abdu-l-Wahid Yahya iniziò la serie d'articoli su “Cristianesimo ed iniziazione”, foste tanto scocciato che gli scriveste (mettendomi al corrente delle vostre lettere) per dirgli che si tratta, in tutto ciò, d'un problema più o meno “storico”, d'una conoscenza “di fatto”, e dicevate anche che, “dato che voi non siete cristiano, avete il diritto di sbagliarvi su di un punto che non avevate trattato che per la semplice ragione che voi vivevate in un continente cristiano”. Aggiungevate anche, pentitissimo, che “talvolta avevate l'impressione di ‘tradire’ la vostra funzione scrivendo, e che, per quanto l'abbiate cento volte ripetuto in altre occasioni, è come se finalmente aveste ceduto alla pressione dell'ambiente”.
Sottolineo che nei momenti difficili riducevate l'affare dei “Misteri cristici” ad una questione “storica” e senza alcuna portata pratica, mentre d'altra parte esaminavate delle applicazioni pratiche nell'ordine iniziatico. Dichiarate la vostra incertezza su questo problema, allorché invocate “il diritto di sbagliarvi”; in tal modo ogni vostra “ispirazione” sembrava ridursi, insomma, ad una “pressione dell'ambiente”!
Quando gli articoli dello Shaykh Abdu-l-Wahid Yahya su “Cristianesimo ed iniziazione” precisarono l'assenza attuale di virtù iniziatica dei sacramenti, ma senza fornire delle prove documentarie dell'esistenza d'un'iniziazione extrasacramentale, riprendeste la speranza e domandaste una tale prova soprattutto nel caso dell'Esicasmo. Giungeste sino a dire che lo Shaykh Abdu-l-Wahid Yahya non ha competenza sul Cristianesimo, che lui stesso, d'altronde, l'avrebbe riconosciuto una volta, accordandovi al tempo stesso ed espressamente questo dominio[4]. Fui sùbito in grado di fornirvi io stesso questa prova, con il lavoro su San Simeone; foste, allora, talmente contrariato che non avete neppure voluto leggere la nota che vi avevo inviato a questo riguardo, e che affidaste immediatamente al vostro specialista per gli affari cristiani, Sig. J. A. Cuttat, per le “refutazioni”! Questi, d'altronde, se l'è sbrogliata come meglio poteva: “Ho qui un'eccellente refutazione d'un certo lavoro su San Simeone”, dicevate allora rassicurato, mostrando le “Osservazioni” del vostro discepolo. Quando, dopo certe difficoltà sulle quali non insisterò, vi ho inviato una parte delle mie “Risposte” alle suddette “Osservazioni”, non trovaste di nuovo il tempo di leggerle e, sempre rigettando sul vostro discepolo l'inconveniente di quest'eccesso, faceste presto calare il sipario su quest'affare fastidioso sul quale non ho più potuto, quindi, fornirvi tutte le mie conclusioni, né determinate contestazioni interessantissime. Sappiate, comunque, almeno in quest'occasione, che il ricollegamento esicasta ha un carattere segreto; posso anzi precisarvi che in certi luoghi di costante tradizione esicasta, e più particolarmente nella stirpe contadina, il rito di ricollegamento, attestato al giorno d'oggi nel modo più sicuro, “è, nella sua modalità essenziale, quasi identico al ricollegamento del tasawwf”! Una volta di più, dunque, l'originalità del Cristianesimo si riferisce alla sua modalità di “formazione”, ma non cambia in nulla le leggi gererali dei rapporti tra l'iniziazione e la religione, leggi che sono correlative alle condizioni dell'umanità occidentale dell'epoca corrispondente. In quest'affare, nel quale mi sono sforzato di aiutarvi a sfuggire ai rischi d'un partito preso, molto pericolosi soprattutto a causa delle sue conseguenze pratiche, non ho fatto che incorrere nella vostra irritazione ed in quella dei vostri zelanti discepoli. Sapete bene che in queste condizioni non avevo
alcun desiderio d'insistere. Le nuove prospettive tosto aperte, però, per l'idea d'un quasi “ricollegamento” di cristiani per mezzo del vostro “metodo” iniziatico (che seguivano e seguono ancora diversi cattolici), assumevano un tale aspetto di gravità che lo Shaykh Abdu-1-Wahid Yahya riteneva a questo proposito di scrivermi così: “Questa sorta d’“universalismo”, se giunge sino a far scomparire il rapporto con una forma tradizionale determinata, comprometterà gravemente la regolarità stessa dell'iniziazione alla tarîqa”. In una lettera seguente aggiungeva: “L’“universalismo” di cui ci si vanta, finisce piuttosto per assomigliare ad un semplice mescolamento di forme tradizionali; v'è manifestamente già, in ciò, un'intrusione di elementi che sarebbero inconcepibili in una via islamica regolare. In quanto alla frase che avete riportato dalla mia ultima lettera, intendevo effettivamente parlare della possibilità d'un ritrarsi dell'influenza spirituale se le cose andassero troppo innanzi in quel senso; ciò accade progressivamente in tutti i casi in cui un'organizzazione che dipende da una forma tradiziomle determinata rompe, in un modo o in un altro, i suoi legami con questa”!
Vi domandavo, allora, di chiarire l'intero affare inquietante con lo Shaykh Abdu-l-Wahid Yahya, ricevendone invece le villanie del Sig. J. A. C. il quale pretendeva a sua volta che, per l’“intesa” con lo Shaykh Abdu-1-Wahid Yahya, il massimo fosse stato fatto, dato che voi avevate soppresso, nel vostro secondo libro, il capitolo sui “Misteri cristici” e le espressioni “vie di grazie”. “Al di là di questo dominio (letterario quindi), non c'è più problema, diceva lui, d'intesa o fraintendimento, ma d'ispirazione inerente alla funzione”. Finiva, inoltre, la sua lettera con questa frase assoluta che rimetteva tutto in causa: “A mò di risposta alle vostre altre osservazioni e conclusioni, dirò quindi che non ci può essere certezza nel senso contrario a quel che lo Shaykh ha esposto nel suo “Misteri cristici”. Ero deciso a parlarvi in occasione della vostra visita a Parigi, almeno di certi inconvenienti di quest'affare cristiano: pericoli che venivano da autorità ecclesiastiche, turbamenti fra i fuqarâ (alcuni dei quali, incoraggiati dalle vostre teorie sulla natura iniziatica attuale dei sacramenti, stimavano la loro entrata nell'Islam e la loro iniziazione alla tarîqa abbastanza inutile e poco fruttuosa), rischi di reazioni d'ordine sottile in seguito a queste preoccupazioni ed attività estranee alla via: le cose potevano arrivare, come diceva lo Shaykh Abdu-l- Wahid Yahya, fino: “...alla possibilità d'un ritrarsi dell'influenza spirituale dalla tarîqa”.
Mi dichiaraste allora, finalmente, di rinunciare ad occuparvi dei cristiani in questi termini: “Ebbene, vi rinuncio, non ne farò più nulla, potete dirlo allo Shaykh Abdu-l-Wahid Yahya”. Ve ne sono stato grato. Quel ch'era gradevole era vedere che non c'era più da preoccuparsi per le “ispirazioni” che nondimeno ricordava S. Abu Bakr, che era presente all'incontro. Eppure, in seguito, ho conosciuto ancora il vostro scontento e quello dei vostri discepoli zelanti. Vi ricordo tuttavia che, in base alla vostra dichiarazione anteriore, in quest'affare, non c'era opinione ufficiale nella tarîqa, che ci potevamo sbagliare tutti, e prima di tutti voi stesso. Ma le dispute e le attività di questo genere non potevano che portare il turbamento fra i fuqarâ e, nella cerchia immediata della tarîqa, rendere ancor più problematiche le relazioni con lo Shaykh Abdu-l-Wahid Yahya, e creare dei pericoli esterni. Se si tratta di giudicare l'albero dai suoi frutti, cosa si deve pensare della “baraka” e delle “ispirazioni” che sono intervenute in quest'affare?...
Senza potermi occupare qui oltre dell'errore dottrinale dal quale tutta questa storia deriva, e tanto per finirla, si può prima di tutto fare l'osservazione che c'è, in tutte queste attività esorbitanti, incerte e fuorvianti, come il riscatto doloroso d'una rottura con lo spirito di “Considerazioni sulla via iniziafica”. In secondo luogo, che queste attività andavano contro la vostra funzione propriamente islamica, la quale sola vi offriva una base reale, però in un dominio che non si doveva lasciare.
A questo proposito, quando sono entrato io stesso nella Tarîqa (1939), voi avevate un'opinione ben differente quanto al ruolo della vostra organizzazione: questa svolgeva già il ruolo di “Chiesa gioannita” per l'Occidente e, per questo stesso fatto, ritenevate che la revivificazione d'una iniziazione cristiana non era più da prendere in considerazione. Citavate, allora, il parere dello Shaykh Abdu-l-Wahid Yahya stesso (che era, una volta di più, utilissimo). In una lettera a Caudron, datata 6/VII/1938, gli dicevate esattamente: “Lo Shaykh Abdu-1-Wahid Yahya approva quanto vi avevo detto riguardo ad un’eventuale iniziazione cristiana; sembra che la nostra tarîqa abbia esaurito la possibilità d'un'opera iniziatica in Occidente ovvero, i altri termini, è la nostra tarîqa che corrisponde, in Occidente, alla Chiesa gioannita, se così posso esprimermi. Queste considerazioni sono, d'altro canto, il motivo principale del mio prossimo viaggio a Parigi” ...Se si lasciano da parte certe espressioni esagerate, quali quella di “Chiesa gioannita” che evidentemente non proviene dallo Shaykh Abdu-l-Wahid Yahya, ciò esprimeva la vostra convinzione che la tarîqa svolgeva in Occidente un ruolo essenziale, se non addirittura esclusivo. In relazione a questa posizione di quel tempo, quanto poco incoraggiante siete per quest'organizzazione iniziatica, visto che ora dichiarate che l'efficacia di questa è molto meno inportante di quanto prevedevate. Nel 1949 mi diceste che la tarîqa non poteva recar profitto che ad un ristrettissimo numero di membri, che “non ci sono che quattro/cinque fuqarâ che fanno progressi” e che volevate scrivere allo Shaykh Abdu-1-Wahid Yahya per dirgli che bisognava, di conseguenza, dissuadere dall'entrare in Islam i candidati ordinari alla tarîqa provenienti da parte cristiana, impegnandoli a rimanere nei loro ambiti tradizionali naturali[5]. È nello stesso senso che andava anche un passaggio della prefazione a “L'Occhio del cuore[6] che ultimamente avete soppresso, al fine d'accordarlo al ritiro del capitolo “Misteri cristici” e che diceva in definitiva che, tranne che in casi eccezionali, la baraka cristica s'opporrà sempre all'estensione d'un'altra forma tradizionale in Occidente. Il fatto che trovavate necessario dire ciò nella prefazione del vostro secondo libro, dimostra che non si trattava in quel caso di semplice constatazione di difficoltà conosciute da ogni adattamento iniziatico o religioso in paese straniero, bensì d'un cambiamento di comportamento generale che era, d'altra aperte, in rapporto con la teoria sacramentale ed iniziatica dei “Misteri cristici”. Perchè la vostra dottrina fu, come l'iniziazione cristiana già virtuale, secondo voi, tramite i sacramenti della Chiesa ordinaria, in grado di divenire effettiva con l'aggiunta d'un semplice metodo iniziatico e d'un maestro: e voi proponevate il vostro e voi stesso! Il ritiro del capitolo succitato non ha, peraltro, significato la rinuncia alla teoria rispettiva, ma una semplice misura di convenienza momentanea. E chi può dire cosa sarà, in realtà, delle relazioni con i cristiani in futuro?[7] Ma la conseguenza di questo universalismo “iniziatico” che vi attribuite era, basandosi troppo su quanto non era islamico e trascurando sempre di più quanto lo era, di sviare ed indebolire le vostre proprie forze e quelle della tarîqa.
(Continua)



[1] Testo tratto da: Michel Vâlsan, Lettere di distacco da F. Schuon, Edizioni Al-Khâtamu Al-Dhahabiyy, Al-Qâhira

[2] Tralascerò certe altre esagerazioni che ne scaturirono quaalche volta. Sembra, d'altra parte, che non si sia mai preso in considerazione, in questo contesto, che una certa comunicazione di baraka ad un veicolo umano “non prova nulla in quanto al suo stato spirituale, dato che può succedere anche che degli oggetti “inanimati” servano da supporto a tali influenze”.

[3] A quest'ultimo proposito, quel che mi è sempre apparso particolarmente urtante, è che gli ornamenti, le armi, i riti del calumet ed i canti importati d'oltre oceano, e nei quali indugiavate, erano portati, da voi e da altri musulmani, sin dentro un monastero cristiano al fine d'essere “comunicati” ad un monaco assai poco soddisfatto del suo Cristianesimo ed amante dei Pelli Rosse!

[4] Sapete, adesso, che non v'era nulla di concreto, e che si trattava semplicissimamente d'uno di quei racconti lusinghieri nella presunzione, accolti con grande compiacenza, dei quali più d'un esempio è noto, ed il cui scopo era quello d’indurre lo Shaykh Abdu-l-Wahid Yahya al livello d'un ‘moqaddem’ della vostra tarîqa al Cairo! Del resto, S. Abu Bakr sosteneva, da parte sua, che “lo Shaykh Abdu-l-Wahid Yahya non è che un faqîr come lui!”. (SubhanaAllâh!). A proposito di tutto cià, io credo che non sono troppo indiscreto se menziono soltanto queste parole dello Shaykh Abdu-l-Wahid Yahya: “Non si dovrebbe comunque scordare che, senza di me, non ci sarebbe stata tarîqa in Europa, e di conseguenza neppure Shaykh A.!". [Ricordiamo che René Guénon aveva l'appellativo islamico di Shaykh Abdu-l-Wahid Yahya, mentre Michel Vâlsan era Shaykh Mustafa, e Frithjiof Schuon era Shaykh Aïssa, e Martin Lings era Siraj-al-dîn Abû Bakr N.d.T.]

[5] È d'obbligo rilevare un altro aspetto delicato di questa storia. Le vostre divergenze con lo Shaykh Abdu-1-Wahid Yahya sulla questione dell'iniziazione cristiana tendeva a gettar un grande discredito sull'autorità tradizionale dello Shaykh Abdu1-Wahid Yahya dato che, in base a questo, avrebbe ignorato, malgrado la sua funzione dottrinale, un punto capitale della questione iniziatica e tradizionale in Occidente! Nei cattolici "tradizionali" che sono in rapporto con voi, tanto quanto nei fuqarâ svizzeri e negli altri come loro, questo discredito esiste di fatto, ed abbiamo avuto delle prove che ciò è stato espressamente appoggiato da voi, malgrado il succitato ritiro del capitolo sui “Misteri cristici” del vostro secondo libro. Quando si sa che l'opera dello Shaykh Abdu1-Wahid Yahya ha molti nemici in Occidente in tutti i campi, quanto triste appare una tale azione quando ella si manifesta nell'ambiente dei suoi amici tradizionali!

[6] Frithiof Shuon: L'Occhio del cuore, ed Mediterranee Roma, 1978


[7] Una delle manifestazioni significative di questo universalismo è il fatto che voi “autorizzate” certi membri ad abbandonare l'Islam e la tarîqa per rientrare nel Cristianesimo: in tal modo un vecchio faqir svizzero ridiventato cristiano, continua assai fedelmente (a voi, ma non evidentemente alla tarîqa) ad essere vostro discepolo in forma cristiana! Si tratta di qualcuno che avete autorizzato, in occasione del suo rientro nel Cristianesimo, a continuare a frequentare le sedute settimanali dei fuqarâ; è così che gli è successo, una volta, a Basilea, per una specie d'eccesso d'universalismo di fare l'appello (scorretto)  alla preghiera musulmana e, senza abluzioni, la preghiera stessa.

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