Lettere di distacco da Frithjof Schuon[1]
Precedute
da una lettera di René Guénon
Lettere
di M. Vâlsan a F. Schuon - (Seconda lettera - Prima parte)
Parigi, novembre 1950
Carissimo e venerato Maestro,
Vi ringrazio per la vostra risposta con
la quale gradite la costituzione d'una branca
indipendente della tarîqa. In questo
modo, il vostro atteggiamento è di per sé stesso, in
quanto a ciò, un segno favorevole. Come m'avete
proposto, ho informato lo Shaykh Abdu-l-Wahid di questa notizia.
Indipendentemente da quanto potrà dirvi egli stesso nei suoi rapporti diretti con voi, stimo opportuno darvi qui alcune precisazioni sui fondamenti reali di questa costituzione essendo che, dal tenore della vostra risposta, ed anche ad evincere da quanto lo Sh. A.W. ha ricevuto da parte vostra, si sono verificati dei fraintendimenti e sussistono degli equivoci su certi punti, mentre c'è interesse a dissiparli sin dall'inizio.
Indipendentemente da quanto potrà dirvi egli stesso nei suoi rapporti diretti con voi, stimo opportuno darvi qui alcune precisazioni sui fondamenti reali di questa costituzione essendo che, dal tenore della vostra risposta, ed anche ad evincere da quanto lo Sh. A.W. ha ricevuto da parte vostra, si sono verificati dei fraintendimenti e sussistono degli equivoci su certi punti, mentre c'è interesse a dissiparli sin dall'inizio.
Il vostro accordo è manifestato in una
maniera che supera largamente le mie aspettative dato
che avete pensato di dover precisare che avete “deciso di mantenere la mia
funzione affinché io possa, in base a questa, costituire la branca indipendente”.
Certo, ciò è benvenuto per allontanare ogni supposizione contraria alla
legittimità di questa costituzione, ma a dire il vero io non avevo ritenuto
utile sollecitare di prendere da parte vostra una decisione qualsiasi dato che,
se è vero che in base alla mia funzione io posso costituire validamente un branca indipendente, la qualità che già possedevo al
riguardo, dal punto di vista della silsila
è, di per sé stessa, operante a quest'effetto e non è sottomessa ad una nuova
autorizzazione, né ad una conferma speciale.
II messaggio che vi ho inviato non aveva
altro senso che quello d'una cortese convenienza spirituale, della
quale avevo in vista unicamente l'opportunità e la forma, il che non
poteva in nulla mutare il fondamento delle cose. Del resto, bisogna ricordarsi
qui della vostra posizione nei confronti di Sh. Adda
il quale vi ha nominato muqaddim, e
nei confronti del quale avete stabilito, senza altra autorizzazione, la vostra
indipendenza che vi ha permesso di organizzare la vostra branca. In quanto a
ciò, si può sottolineare ancora che il vostro caso è
più caratteristico di quello dei moqaddim
alawi nominati dallo Shaykh al-‘Alawi stesso i quali, dopo la sua morte, si
sono tenuti al di fuori di ogni obbedienza da Mostaghanem. In effetti, mentre
questi affermavano la loro indipendenza nei confronti d'un
luogotenente di fatto dello Shaykh, voi la reclamaste poco più tardi da colui
il quale vi aveva nominato, dopo la morte dello Shaykh al-‘Alawi, e che era
questo luogotenente stesso.
Lo Shaykh Abdu-l-Wahid stesso, il quale
conosce bene queste circostanze, nonché le regole
tradizionali in questa materia, dice lui stesso che quel che bisogna
considerare, è “che voi siete stato nominato muqaddim dallo Shaykh Adda esattamente come io lo sono stato da
voi, dato che va da sé che non v'è, in ciò, che quanto può esser fatto…”. E
quanto alla costituzione d'una branca indipendente al di fuori d'ogni questione
d'autorizzazione speciale o accordo personale, diceva che “ciò non sarebbe
veramente irregolare, dato che quel che conta
essenzialmente, nella realtà, è la silsila,
la quale sussiste in ogni caso, e non la dipendenza nei confronti d'una
personalità qualsiasi; del resto, come si sono formate le molteplici branche
indipendenti nelle quali si sono divise la maggior parte delle turuq e che sono diventate invero
altrettante turuq distinte?”. Non c'è
così, di fondo, alcuna “difficoltà d'ordine tecnico”,
e su questo lo Shaykh Abdu-l-Wahid mi ha detto ancora: “Quel che importa è
unicamente la regolarità e la continuità della silsila; ora, la trasmissione vi è pervenuta senza interruzione
dallo Shaykh Ahmed con l'intermediario di due muqaddim ed i rapporti che questi hanno o non hanno attualmente tra
di loro, o con voi, non possono mutare in nulla ciò”. Per finirla a questo riguardo,
citerò ancora questa precisazione dello Shaykh A.W.,
la quale comporta diverse applicazioni: “Quando un moqaddim diventa il capo d'una branca indipendente vi svolge nei
fatti la funzione dello Shaykh, il che implica prima di tutto la possibilità,
per lui, di nominare a sua volta altri moqaddim”.
Essendo questa situazione chiara e netta,
è anche evidente che per svolgere la mia funzione non ho assolutamente bisogno di
diventare il responsabile d'una persona vivente, quale
che possa essere la sua qualità; mi basta essere il rappresentante d'una silsila autentica. Questa è insomma, attualmente, la situazione reale; le molteplici branche
indipendenti e turuq esistenti al
giorno d'oggi sono, di fatto, dirette da rappresentanti di silsila e non da mandatari d'un “Maestro vivente”. Se fosse stato
necessario riconoscerne uno, per avere la qualità di rappresentante della silsila, non resterebbe granché delle turuq e delle zawya indipendenti, sparse in tutti i paesi islamici ed altrove. In fatto di maestro, però, non è necessario
riconoscere che il fondatore della tarîqa.
Non v'è quasi bisogno che vi dica che, in base a quanto precede, non posso mettere in discussione
la vostra “legittimità”, e ciò tanto meno visto che questa è all'origine della
mia. Se dubitassi della vostra, sarebbe come se voi dubitaste di quella dello
Shaykh Adda il quale, nominandovi moqaddim,
vi ha conferito la qualità sulla base della quale avete organizzato la vostra
branca. Dato che resta beninteso anche che è sotto questo rapporto che si pone
esattamente la questione della mia funzione e della vostra, in quest'ordine di
cose non è possibile far intervenire considerazioni d'un·altro
ordine diciamo “soggettivo”, poiché in ogni caso ciò non potrebbe apportare
alcuna modifica ai caratteri della silsila,
mentre potrebbe al contrario generare delle difficoltà senza via d'uscita...
Sebbene io non possa considerare un tale
lato intimo delle cose, ci tengo ad aggiungere questo, senza altra
preoccupazione che quella dell'onore spirituale e dell'omaggio dovuto alla
grazia: non intendo ridurre voi stesso alla semplice funzione di rappresentante
della silsila, contestandovi qualità
personali o grazie che sono conferite all'uomo spirituale, sia per profitto suo proprio, sia per dei motivi funzionali. Questo genere di
considerazioni non si riferisce alla legittimità delle funzioni, bensì al loro
grado d'efficacia secondo i domini. È questa la ragione per la quale io penso
che quando voi stesso volete giudicare della
legittimità d'altri casi funzionali come il vostro, non siete tenuto che ad
osservare il lato costituzionale; quanto all'efficacia, questa dipende da quel
che Allah vuole con la funzione rispettiva, cosa che sfuggirà forzatamente a all'opinione
che ce ne si può fare in anticipo e vedendo dall'esterno.
Da quanto vi ho detto sin qui, risulta
che la branca nuova della tarîqa
soddisfa la condizione necessaria e sufficiente per una regolare esistenza.
Eppure, nella vostra risposta, vi siete preoccupato di
sapere se c'è una “valida ragione” per questa separazione da voi, ed a questo
riguardo ne trovate una voi stesso nel “mio desiderio d'ispirarmi più
direttamente allo spirito dello Shaykh Abdu-l-Wahid”. Questa ragione è
sicuramente esatta e d'una grandissima importanza, ma
cionondimeno non si scosta per me, in fondo, dalla semplice questione d'ortodossia
tradizionale. A proposito, però, delle relazioni con lo Shaykh A.W., ritengo opportuno darvi qui alcune precisazioni.
Tanto per cominciare, se conto su certi
lumi ed appoggi da parte sua, oltre agli insegnamenti
tratti dalla sua opera pubblicata, non mi verrebbe in mente di fargli svolgere
un ruolo che non è il suo. Come ha chiaramente e costantemente dichiarato egli
stesso, non accetterà mai d'avere dei discepoli, ed è certo anche non è in quanto “discepolo” od “aspirante” che mi rivolgo a lui. E
se lui stesso giudica che sia un bene l'accordarmi un aiuto tradizionale, non
lo fa certamente che in ragione d'attributi propri ad
una funzione che, manifestamente, non è quella d'un maestro nel senso ordinario
della parola ma che, in cambio, è
d'una grandissima utilità per il capo d'un'organizzazione iniziatica nel mondo
occidentale. D'altra parte il mio accordo con lui non ha assolutamente nulla di
“personale”; aggiungo anche che l'indipendenza dallo
Shaykh Abdu-l-Wahid Yahya, la conosco esser tale che non gli verrebbe in mente
di considerarsi in qualche modo “impegnato” con me in qualsiasi maniera, tranne
quella che deriva dalla sua funzione solamente, né “accaparrato” dal suo
accordo con me, come non lo è mai stato nei confronti di chicchessia. Sinchè
resta quindi padrone del suo ruolo, a me spetta di rendermi degno della sua sollecitudine
e della sua fiducia onde ottenere sempre il bereficio
delle sue luci intellettuali e della sua intercessione spirituale.
Da tutto ciò, anche altri
possono cercarvi il proprio profitto: dipenderà dal loro desiderio, dalla loro
sincerità e dalla loro lealtà ch'essi vi pervengano,
da parte loro; ma mi pare che resti inteso che non si può, a questo riguardo,
pensare a degli interessi di semplice “politica”, poiché ciò sarebbe non solo diminuire
il senso d'una funzione che si situa ad un tutt'altro livello, ma anche mancare
alle convenienze spirituali.
Congiuntamente a questo rapporto con la
funzione dello shaykh, all'origine di questa branca indipendente ci sono altre ragioni
positive più determinate, d'altronde legate correlativamente a delle ragioni
negative.
C'è il desiderio d'avere una via più
specificamente islamica tanto sotto il rapporto dottrinale quanto sotto quello
pratico, di promuovere un autentico spirito di povertà, d'introdurre una regola
di vita più ascetica e d'utilizzare degli autentici mezzi iniziatici.
Nell'ordine dottrinale si tratta
soprattutto di evitare le tentazioni d'un “universalismo” facile e superfluo, e
d'appoggiarsi effettivamente ad una dottrina islamica
omogenea e rigorosa come quella di Muhy-î-Dˆœn Ibn ‘Arabi che unisce la più
alta intellettualità al carattere più muhammadiano. Nell'ordine pratico si
tratta da una parte d'evitare l'immissione d' elementi
eterogenei o pseudo-tradizionali e d'altra parte di realizzare le condizioni
necessarie che costituiscono la forma islamica tanto nell'ordine exoterico
quanto nell'ordine esoterico. Cosi, la direzione effettiva della via sarà
sostenuta e garantita dall'autorità della dottrina e dall'efficacia delle
regole sacre, e sottratta ai rischi d’“ispirazioni” supererogatorie e da
preoccupazioni esagerate di “adattamento”. La via stessa deve essere al tempo
stesso di pietà e d'intellettualità sacra, d'autentica fede muhammadiana e di
scienza spirituale, di virtù pratica e di spirito metafisico.
La concezione che avete
del vostro ruolo e dei destini della tarîqa
in Europa non sembra esser stata sufficientemente favorevole al raggiungimento
di questi risultati. A questo riguardo si direbbe che, molto fiducioso nelle
vostre possibilità personali, vi siete deliberatamente e progressivamente limitato alle vostre sole risorse staccandovi sempre di più
dalle vostre dipendenze tradizionali normali, tanto nell'ordine della formazione
dottrinale quanto nell'ordine dei mezzi tecnici. Nell'ordine tradizionale vi
siete mantenuto nelle conoscenze speculative e
tradizionali in generale, ed avete lasciato su un ultimo piano quelle
propriamente islamiche il cui possesso, sia nel dominio esoterico che in quello
exoterico, pure era la condizione necessaria per la direzione normale d'una
branca di tarîqa. Resta inteso che
non si tratta, in questo caso, d'una semplice questione di forma verbale delle
verità universali, ma di questa forma spirituale, originale ed
autentica la cui lingua non è che un elemento, forma ch'esse hanno in una
tradizione particolare nella quale sono legate in modo armonico e persino organico
con l'insieme delle istituzioni ed in particolare con i supporti ed i mezzi
della via. La forma tradizionale, che è essenzialmente e primordialmente una
realtà intellettuale, è il supporto necessario delle verità rivelate: a cagione
di ciò essa è identica alla presenza sacra di queste verità. Senza questa forma
le verità generali non possono avere che una realtà vaga ed
inconsistente, e le verità particolari, un'economia arbitraria ed infonne. Non
si tratta nemmeno d'una questione di pura erudizione, il che sarebbe
evidentemente eccessivo ed inutile, ma del possesso di
conoscenze necessarie per l'organizzazione delle vite dei fuqarâ e della via iniziatica, poiché le differenti circostanze che
si presentano nell'ordine individuale o nell'ordine comune non possono essere
comprese e trattate che sulla base di conoscenze tradizionali la cui coscienza
dev'esser sempre presente. Nell'Islam ciò implica due generi di conoscenza: uno generale che è il Libro e la Sunna, conosciuti nella
loro economia dottrinale e praticati nel loro spirito; l'altro speciale, relativo
alle dottrine ed alla via iniziatica. Nei paesi islamici, uno Shaykh che
insegna è normalmente anche controllato dalle altre
autorità esoteriche ed exoteriche ed osservato in modo generale da tutti
quanti: e quali che siano i fastidi che ciò ha potuto arrecare talvolta a degli
autentici maestri, bisogna riconoscere che questo controllo si è dimostrato
infine salutare, poiché nessun insegnamento spirituale regolare può entrare in conflitto
con le altre istituzioni tradizionali, queste ultime considerate in sé stesse e
non per i loro rappresentanti. Un rilassamento di questo controllo, invece - e
ciò si vede soprattutto nei paesi insufficientemente islamizzati o nei paesi
islamici non arabi, od ancora negli ambienti ove si
mescolano elementi di tradizioni diverse -, non può essere che la porta aperta
alle mescolanze dottrinali e pratiche, ed al sincretismo pseudotradizionale, fatti
che caratterizzano l'indebolimento dello spirito, dell'ortodossia e della
regolarità tradizionale.
Ora, si può, su questo punto, ricordarsi
la maniera scoraggiante, per non dire di peggio, in cui sono stati giudicati,
in certi momenti critici - il che ha, d'altro lato, sempre lasciato
tracce -, gli studi d'arabo e di dottrine islamiche nella tarîqa, atteggiamento che andava di pari
passo con un'assenza di clemenza poco ordinaria nei confronti di quelli che vi
sembravano troppo attaccati alla shar’ia.
La cosa sarebbe ancor tanto più apprezzata se paragonata all'importanza
accordata, nel quadro della tarîqa, a degli studi sui Pellirosse, il Buddhismo, il
Cristianesimo, l'Induismo, ecc ... o sull'arte, ed alle visite ai musei, alle
chiese ed ai monasteri.
Il vostro interesse che fu, per la forza
delle cose, quello di molti fra i fuqarâ,
vertendo sulle generalità e le curiosità tradizionali, la forma spirituale che
potevate costituire e proporre agli altri comunque era un universalismo dal
carattere generale ed approssimativo, compiacentesi
soprattutto di considerazioni d'ordine estetico, ma sensibilmente distante
dalla mentalità islamica ed anche dallo spirito di povertà in generale.
D'altra parte l'autonomia che vi eravate preso troppo prematuramente, non soltanto di fronte a
Mostaghanem, bensì in modo generale in rapporto alle fonti dell'esoterismo
islamico del quale non vi siete mai preoccupato, veniva ad accentuare la
debolezza di questa posizione traducendola innanzitutto nel dominio dei mezzi
tecnici della via, che si trovarono in tal modo limitati ai primi elementi
ricevuti da voi alla zawya alawi. Qui
la cosa dev'esser messa in relazione col fatto che qualche anno dopo il vostro
ritorno dall'Algeria avete affermato d'essere il successore al “maqam” dello Shaykh Ahmed al-‘Alawi, nozione
estremamente imprecisa ed equivoca[2],
ma che ebbe il ruolo di consacrare l'atteggiamento di sufficienza di sé della vostra
direzione iniziatica e d'indifferenza nei confronti di tutto quanto potesse
ancora esistere altrove.
Questo atteggiamento nei confronti delle basi
naturali della tarîqa si completava
con un'indipendenza risoluta e tranciante nei riguardi della funzione
provvidenziale dello Shaykh Abdu-l-Wahid Yahya. Non vi avete voluto ricercare
un appoggio normale che non avrebbe nuociuto in nessun modo, tutt'altro, al
compimento della vostra funzione regolare, eppure quest'appoggio ha comunque
avuto luogo costantemente nella misura in cui ciò era ancora possibile, molto
spesso addirittura a vostra insaputa. Avete voluto, nonostante ciò, sottoli
neare sin dall'inizio, una distanza scoraggiante: “Lo Shaykh Abdu-l-Wahlid
Yahya è una cosa ed io ne sono un'altra”, dichiaravate ad Amiens nel 1936.
Nessuno contesta questa verità, ma si possono deplorare le conseguenze che avete voluto trame. Lo Shaykh Abdu-l-Wahlid Yahya resta per
voi un semplice “autore d'esposizioni teoriche”. Gli riconoscevate volentieri
del “genio”, come se ciò potesse interessargli quanto
interessa tanti altri che aspirano a questo stesso “titolo”, e gli accordavate
senza problemi un posto in quella che chiamavate la “generazione orizzontale
della tarîqa”, però gli assegnavate
altresì un ruolo il più possibile “storico” nel passato.
Personalmente non ho mai avuto
l'impressione che consideraste in modo sufficiente il
suo ruolo “funzionale” in seno alla tarîqa,
nonostante la sua funzione non fosse limitata in realtà, a ciò. Ecco
un'illustrazione illuminante di quel che dico.
“Aperçus
sur l'initiation” ["Considerazioni
sulla via iniziatica". NdT], che è incontestabilmente il libro più
prezioso nel nostro dominio dato che è il solo nel suo
genere, questo libro unico di scienza tradizionale e di tecnica iniziatica,
apparso nel 1946, è stato scritto in realtà in forma d'articoli diluiti in un'epoca
che in definitiva coincide con quella della costituzione e dell'organizzazione
della branca europea della tarîqa.
Nei suoi articoli (come nella sua corrispondenza privata che intratteneva parallelamente
con voi e con altri membri della tarîqa),
lo Shaykh Abdu-l-Wahid Yahya ha dato a voi stesso, così come ad altri fuqarâ, ed anche ai candidati
all'iniziazione, l'insegnamento dei princìpi e delle regole della via, nonché i pareri sulle misure opportune ed i pericoli stessi
in questo dominio.
Ora, il colmo è che voi qualificate
questo libro col titolo, evidentemente in modo voluto poco adulatorio, “libro
massonico”, e ritenete inoltre che la sua pubblicazione sia “inopportuna”! In
ogni caso, questo libro non è un'opera di semplice dottrina. È in realtà, fra
l'altro, una specie di carta della tarîqa,
e nel vostro ruolo d'organizzatore della prima branca europea, avete dovuto malgrado tutto trame un certo profitto, ed avreste dovuto
trame uno più grande ancora, se gli aveste riconosciuto l'autorità che ha in
verità.
Ci sembra che lo Shaykh Abdu-l-Wahid
Yahya si fosse accorto, sin dai primi tempi, dei rischi che comportava la vostra situazione. È per questo che
scriveva nel 1936 a Caudron, parlando di voi: “Quel che la sua preparazione al
suo ruolo ha potuto avere d'insufficiente o di troppo rapido potrebbe
certamente [“essere” NdC] meno grave se avesse un pò meno di fiducia in sè stesso, e soprattutto se non avesse questa sorta di
volontà di non tener conto di tante cose che, pure, hanno la loro importanza” (Vedi
“Frammenti epistolari” lettera 17.04.1936).
Va menzionato per di più, nei confronti
dell'opera dello Shaykh Abdu-l-Wahid Yahya, un atteggiamento di frequente critica
che noi abbiamo conosciuto, non soltanto in voi, bensì
anche nella maggioranza dei fuqarâ
svizzeri; non voglio dire che non ci potesse essere qualche volta con lo Shaykh
Abdu-l-Wahid Yahya una differenza di punti di vista od anche di opinione su di
una questione qualunque, ma quel ch'era sorprendente in questo atteggiamento,
era l'accentuazione inverosimile che si metteva apertamente perfino su dei
punti secondari o minimi e spesso senza rapporto alcuno con la tarîqa. (Non mi sono mai fatto un dovere
d'informarne lo Shaykh Abdu-l-Wahid Yahya come certuni potrebbero
credere).
L'atmosfera generale che ne risultava non poteva essere favorevole all'autorità
intellettuale dello Shaykh Abdu-l-Wahid Yahya e della sua opera. Talvolta,
corre nel 1946, ciò arrivava a “scoppiare” all'esterno e, in fondo, quel che
succede a questo riguardo nel 1950 non è altro che la forrna più estesa d'una crisi costante che data sin dalla fondazione di questa
branca della tarîqa. In occasioni
come questa, voi ed i vostri amici svizzeri,
designando prontamente e lealmente uno o più “buoni emissari” tra i vostri o tra gli altri, vi affrettavate
a protestare violentemente il vostro “rispetto” per la persona dello Shaykh
Abdu-l-Wahid Yahya e la sua opera. Senza volermi occupare di più della realtà
di questo “rispetto” (la consegna data a questo riguardo non è, d'altra parte,
scrupolosamente osservata a lungo da tutti, ed
attualmente vi sono parecchie discordanze...), mi permetto di farvi osservare
che questa nozione, a proposito del ruolo che deve avere l'opera dello Shaykh
Abdu-l-Wahid Yahya, è priva di grande significato. Un “rispetto”, quand'anche
reale, può accompagnarsi ad un certo allontanamento in
rapporto allo spirito tradizionale dell'opera. Quel che si deve testimoniare di
fronte a quest'opera, è la sua comprensione e la solidarietà di fatto con lui.
Questa è in ogni caso l'evidenza di quelli che sono arrivati alla tarîqa europea sulla
base di quest'insegnamento e ne hanno atteso delle conseguenze senza
abdicarne lo spirito. A costoro non si può rimproverare d'essere incoerenti, e
non è certamente su di loro che si può lanciare l'accusa di “tradimento”...
L'atteggiamento verso lo Shaykh
Abdu-l-Wahid Yahya culmina nell'opinione professata da voi e dai vostri amici
da qualche anno in qua: “ll ruolo dello Shaykh
Abdu-l-Wahid Yahya è finito; adesso, scrive inutilmente”. Che ne potete sapere voi
del ruolo totale dello Shaykh Abdu-l-Wahid Yahya e sin dove si può esercitare?
Non insisterò oltre sulla questione di semplice convenienza che si pone in tal
modo una volta di più, ma farò osservare che c'è,
nella vostra opinione, un'intromissione nel dominio d'una funzione che non è la
vostra, né nei vostri mezzi, e del quale siete, in sovrappiù, anche tributario.
Anche supponendo che scrivesse inutilmente per voi, si può per questo dire che
lo stesso valga anche per tutti gli altri? Ma riprendete la serie d'articoli ed i libri apparsi dopo la guerra, e guardate solo quel che
vi avete imparato voi stesso. E se voi non vi trovate sempre il profitto che
v'interessa, ci sono delle categorie di lettori che vi
trovano il loro. Ma quanto alla vostra comprensione della dimensione del ruolo
dello Shaykh Abdu-l-Wahid Yahya citerò il fatto, a titolo d'esempio, che voi
non avete mai afferrato quel che dice ne “La
Crise du Monde Moderne” (Cap.
IX, pagg. 236-238, pagg. 131-132 della IIa ed.); questo punto ve
l'ho rilevato anche nel corso degli ultimi anni, non credo però vi abbiate
fatto caso in qualche modo nonostante si trovi, d'altro lato, in strettissima e
sottilissima reazione con certe questioni assai dibattute in questi ultimi anni
negli ambienti della tarîqa...
Secondo l'opinione che professate sul
ruolo attuale dello Shaykh Abdu-l-Wahid Yahya, si direbbe che la sua presenza vi
dà fastidio: il suo “controllo” tradizionale soprattutto. Ciò dato che, nel frattempo, la vostra autonomia totale
conquista addirittura i privilegi d'una funzione universale in Occidente.
Dinanzi al caso storico di Ramakrishna
che aveva verificato grazie alla conoscenza diretta ed
attestato esteriormente l'unità fondamentale di differenti forme
tradizionali, voi innalzavate il vostro che voleva esser quello d'un maestro
realizzante una tale universalità sotto specie d'una direzione in Occidente di vie
iniziatiche appartenenti a forme tradizionali diverse: Islam, Cristianesimo, Buddhismo, Massoneria, magari anche della tradizione
dei Pellirosse. A questo proposito mi dicevate inoltre, pochi anni orsono: “Shaykh
Abdu-l-Wahid Yahya avrebbe detto che sono destinato a svolgere in Occidente un ruolo
iniziatico in relazione con le differenti forme tradiziomli”.
Si può notare anche in quest'occasione
che, quando lo Shaykh Abdu-l-Wahid Yahya corroborava le vostre tendenze, amavate citarlo in appoggio. Su questo punto speciale,
tuttavia, allorché in questi ultimi tempi mi sono
deciso a chiedergli cosa ci fosse di vero in ciò, lo Shaykh Abdu-l-Wahid Yahya m'ha
risposto così: “Quanto a quel che mi si riporta a proposito di Shaykh Aissa, cioè che avrei detto
ch'egli è ‘destinato a svolgere in Occidente un ruolo iniziatico in relazione
con le differenti forme tradizionali’, in tutto ciò non c'è una sola parola di
vero, dato che, al contrario, non ho mai preso in considerazione un ruolo che
uscisse dai quadri d'una forma tradizionale determinata; ho, d'altra parte,
appena bisogno di dirvi che in ogni caso un tale ruolo, qualora esistesse, non
potrebbe esercitarsi in modo tanto “visibile”. Credo che mi si attribuiscano anche
molte cose che non ho mai detto, e neppure pensato... Bisogna aggiungere
parimenti che, quando sento pronunciare certe affermazioni più
o meno esagerate, generalmente preferisco non rispondere, ben sapendo
che ciò sarebbe del tutto inutile; non è impossibile che in un simile caso si interpreti
il mio silenzio come un'approvazione...”.
Ciò non impedisce che le vostre
preoccupazioni si trovassero rivolte al di fuori delle necessità della via islamica.
Menzioniamo qui, a titolo di ricordo,
l'affare della direzione iniziatica dei Massoni: la “trasmissione” d'un Nome d'incantazione
che voi stesso non avevate mai ricevuto, e neppure sentito,
ed ancor meno conosciuto nelle sue virtù e nella sua funzione nel quadro d'una
iniziazione cosmologica quale quella della Massoneria. In quest'occasione avevate
invocato il fatto d'agire in ragione d'un “idhn” [permesso, autorizzazione. NdT] divino. Fosse quel che fosse, non n'è risultato
un bel niente, e dopo “l'ondata” che s'è abbattuta su tutto questo, sarebbe stato
ben stupefacente se fosse andata altrimenti.
In quanto al Buddhismo ed
ai Pellirosse, i cui lavori letterari vi hanno tanto occupato, voi ed altri fuqarâ, le applicazioni pratiche sono,
sinora, restate limitate; semplice “protezione spirituale” offerta ad alcuni
Buddhisti d'Occidente, scambio di benedizioni con i capi Pellirosse[3].
L'affare cristiano, però, doveva mostrare
quel che v'era non soltanto d'inutile, bensì anche di
pericoloso in un'uscita al di fuori del dominio della vostra giurisdizione, con
un comportamento che faceva intervenire costantemente delle “ispirazioni”
direttrici il cui carattere poteva apparire eccellente ed adulatore a qualcuno,
ma che per contro corrispondevano troppo ai semplici “desideri” individuali,
perché non fossero piuttosto che un effetto della soggettività incontrollata.
Dichiaravate, allora, che tutto quel che facevate in quest'ordine d'idee
cristiane v'era “ispirato”, che “non avevate nessuna
iniziativa al riguardo, non facendo nulla senza esservi condotto dalla ‘baraka’,
e che anche se voi l'avreste voluto, non avreste potuto non farlo”! È
così che abbiamo appreso “I misteri cristici”, la cui tesi dell'iniziazione
accordata nel Cristianesimo indistintamente a tutti quanti tramite i sacramenti
è semplicissimamente anti-iniziatico. Questa
“ispirazione” non v'impediva tuttavia di dubitare, dopo, della verità di questo
problema, dato che m'avete scritto che voi quanto me,
tanto quanto lo Shaykh Abdu-l-Wahid Yahya, potevamo allo stesso modo sbagliarci
al riguardo. (Mentre
voi mi scrivevate ciò, i vostri discepoli zelanti protestavano contro ogni
dubbio difendendo, invece, la vostra infallibilità anche a questo proposito). È
così che avete cominciato a dirigere dei cristiani (ad
uso dei quali avete redatto, fra le altre cose, anche un commento sull’Ave Maria”, dopo aver pregato in
latino), ed in seguito avete dichiarato di rinunciarvi ...
La natura di queste “ispirazioni” non mi
è parsa rassicurante neppure dopo le reazioni con le quali replicavate
ogni volta alle difficoltà incontrate dalle vostre tesi. Ed è così che, allorché lo Shaykh Abdu-l-Wahid Yahya iniziò la serie
d'articoli su “Cristianesimo ed
iniziazione”, foste tanto scocciato che gli scriveste (mettendomi al
corrente delle vostre lettere) per dirgli che si tratta, in tutto ciò, d'un
problema più o meno “storico”, d'una conoscenza “di fatto”, e dicevate anche
che, “dato che voi non siete cristiano, avete il diritto di sbagliarvi su
di un punto che non avevate trattato che per la semplice ragione che voi
vivevate in un continente cristiano”. Aggiungevate anche,
pentitissimo, che “talvolta avevate l'impressione di ‘tradire’ la vostra
funzione scrivendo, e che, per quanto l'abbiate cento volte ripetuto in altre
occasioni, è come se finalmente aveste ceduto alla pressione
dell'ambiente”.
Sottolineo che nei momenti difficili riducevate
l'affare dei “Misteri cristici” ad una questione “storica” e senza alcuna
portata pratica, mentre d'altra parte esaminavate delle applicazioni pratiche
nell'ordine iniziatico. Dichiarate la vostra incertezza su questo problema, allorché invocate “il diritto di sbagliarvi”; in tal modo
ogni vostra “ispirazione” sembrava ridursi, insomma, ad una “pressione
dell'ambiente”!
Quando gli articoli dello Shaykh
Abdu-l-Wahid Yahya su “Cristianesimo ed iniziazione” precisarono l'assenza attuale di virtù
iniziatica dei sacramenti, ma senza fornire delle prove documentarie
dell'esistenza d'un'iniziazione extrasacramentale, riprendeste la speranza e
domandaste una tale prova soprattutto nel caso dell'Esicasmo. Giungeste sino a
dire che lo Shaykh Abdu-l-Wahid Yahya non ha competenza sul Cristianesimo, che
lui stesso, d'altronde, l'avrebbe riconosciuto una volta, accordandovi al tempo
stesso ed espressamente questo dominio[4]. Fui sùbito in grado di fornirvi io stesso questa prova,
con il lavoro su San Simeone; foste, allora, talmente contrariato che non avete
neppure voluto leggere la nota che vi avevo inviato a questo riguardo, e che
affidaste immediatamente al vostro specialista per gli affari cristiani, Sig. J. A. Cuttat, per le “refutazioni”! Questi, d'altronde, se
l'è sbrogliata come meglio poteva: “Ho qui un'eccellente refutazione d'un certo lavoro su San Simeone”, dicevate allora
rassicurato, mostrando le “Osservazioni” del vostro discepolo. Quando, dopo certe
difficoltà sulle quali non insisterò, vi ho inviato una parte delle mie “Risposte”
alle suddette “Osservazioni”, non trovaste di nuovo il tempo di leggerle e,
sempre rigettando sul vostro discepolo l'inconveniente di quest'eccesso,
faceste presto calare il sipario su quest'affare fastidioso sul quale non ho
più potuto, quindi, fornirvi tutte le mie conclusioni, né determinate contestazioni
interessantissime. Sappiate, comunque, almeno in quest'occasione, che il
ricollegamento esicasta ha un carattere segreto; posso anzi precisarvi che in
certi luoghi di costante tradizione esicasta, e più particolarmente nella
stirpe contadina, il rito di ricollegamento, attestato al
giorno d'oggi nel modo più sicuro, “è, nella sua modalità essenziale,
quasi identico al ricollegamento del tasawwf”!
Una volta di più, dunque, l'originalità del Cristianesimo si riferisce alla sua
modalità di “formazione”, ma non cambia in nulla le
leggi gererali dei rapporti tra l'iniziazione e la religione, leggi che sono correlative
alle condizioni dell'umanità occidentale dell'epoca corrispondente. In
quest'affare, nel quale mi sono sforzato di aiutarvi a sfuggire ai rischi d'un
partito preso, molto pericolosi soprattutto a causa delle sue conseguenze
pratiche, non ho fatto che incorrere nella vostra irritazione ed in quella dei vostri zelanti discepoli. Sapete bene che
in queste condizioni non avevo
alcun desiderio d'insistere. Le nuove
prospettive tosto aperte, però, per l'idea d'un quasi “ricollegamento” di
cristiani per mezzo del vostro “metodo” iniziatico (che seguivano e seguono ancora
diversi cattolici), assumevano un tale aspetto di gravità che lo Shaykh
Abdu-1-Wahid Yahya riteneva a questo proposito di scrivermi così: “Questa sorta
d’“universalismo”, se giunge sino a far scomparire il rapporto con una forma
tradizionale determinata, comprometterà gravemente la
regolarità stessa dell'iniziazione alla tarîqa”.
In una lettera seguente aggiungeva: “L’“universalismo” di cui ci si vanta,
finisce piuttosto per assomigliare ad un semplice
mescolamento di forme tradizionali; v'è manifestamente già, in ciò,
un'intrusione di elementi che sarebbero inconcepibili in una via islamica regolare.
In quanto alla frase che avete riportato dalla mia ultima lettera, intendevo
effettivamente parlare della possibilità d'un ritrarsi dell'influenza spirituale
se le cose andassero troppo innanzi in quel senso; ciò
accade progressivamente in tutti i casi in cui un'organizzazione che dipende da
una forma tradiziomle determinata rompe, in un modo o in un altro, i suoi
legami con questa”!
Vi domandavo, allora, di chiarire
l'intero affare inquietante con lo Shaykh Abdu-l-Wahid Yahya, ricevendone
invece le villanie del Sig. J. A. C. il quale
pretendeva a sua volta che, per l’“intesa” con lo Shaykh Abdu-1-Wahid Yahya, il
massimo fosse stato fatto, dato che voi avevate soppresso, nel vostro secondo
libro, il capitolo sui “Misteri cristici” e le espressioni “vie di grazie”. “Al di là di questo dominio (letterario quindi), non c'è più
problema, diceva lui, d'intesa o fraintendimento, ma d'ispirazione inerente alla
funzione”. Finiva, inoltre, la sua lettera con questa frase assoluta che
rimetteva tutto in causa: “A mò di risposta alle vostre altre osservazioni e
conclusioni, dirò quindi che non ci può essere
certezza nel senso contrario a quel che lo Shaykh ha esposto nel suo “Misteri
cristici”. Ero deciso a parlarvi in occasione della vostra visita a Parigi, almeno
di certi inconvenienti di quest'affare cristiano: pericoli che venivano da
autorità ecclesiastiche, turbamenti fra i fuqarâ
(alcuni dei quali, incoraggiati dalle vostre teorie sulla natura iniziatica
attuale dei sacramenti, stimavano la loro entrata nell'Islam e la loro
iniziazione alla tarîqa abbastanza
inutile e poco fruttuosa), rischi di reazioni d'ordine sottile in seguito a queste
preoccupazioni ed attività estranee alla via: le cose
potevano arrivare, come diceva lo Shaykh Abdu-l- Wahid Yahya, fino: “...alla
possibilità d'un ritrarsi dell'influenza spirituale dalla tarîqa”.
Mi dichiaraste allora, finalmente, di
rinunciare ad occuparvi dei cristiani in questi
termini: “Ebbene, vi rinuncio, non ne farò più nulla, potete dirlo allo Shaykh
Abdu-l-Wahid Yahya”. Ve ne sono stato grato. Quel ch'era
gradevole era vedere che non c'era più da preoccuparsi per le “ispirazioni” che
nondimeno ricordava S. Abu Bakr, che era presente all'incontro. Eppure, in seguito,
ho conosciuto ancora il vostro scontento e quello dei vostri discepoli zelanti.
Vi ricordo tuttavia che, in base alla vostra dichiarazione anteriore, in
quest'affare, non c'era opinione ufficiale nella tarîqa, che ci potevamo sbagliare tutti, e prima di tutti voi
stesso. Ma le dispute e le attività di questo genere
non potevano che portare il turbamento fra i fuqarâ e, nella cerchia immediata della tarîqa, rendere ancor più problematiche le relazioni con lo Shaykh
Abdu-l-Wahid Yahya, e creare dei pericoli esterni. Se si tratta di giudicare
l'albero dai suoi frutti, cosa si deve pensare della “baraka” e delle “ispirazioni” che sono intervenute in quest'affare?...
Senza potermi occupare qui oltre
dell'errore dottrinale dal quale tutta questa storia deriva, e tanto per finirla,
si può prima di tutto fare l'osservazione che c'è, in tutte queste attività esorbitanti,
incerte e fuorvianti, come il riscatto doloroso d'una
rottura con lo spirito di “Considerazioni
sulla via iniziafica”. In secondo luogo, che queste attività andavano
contro la vostra funzione propriamente islamica, la quale sola vi offriva una
base reale, però in un dominio che non si doveva lasciare.
A questo proposito, quando sono entrato
io stesso nella Tarîqa (1939), voi
avevate un'opinione ben differente quanto al ruolo della vostra organizzazione:
questa svolgeva già il ruolo di “Chiesa gioannita” per l'Occidente e, per
questo stesso fatto, ritenevate che la revivificazione d'una iniziazione
cristiana non era più da prendere in considerazione. Citavate, allora, il
parere dello Shaykh Abdu-l-Wahid Yahya stesso (che era, una volta di più,
utilissimo). In una lettera a Caudron, datata 6/VII/1938, gli dicevate
esattamente: “Lo Shaykh Abdu-1-Wahid Yahya approva quanto vi avevo detto
riguardo ad un’eventuale iniziazione cristiana; sembra
che la nostra tarîqa abbia esaurito
la possibilità d'un'opera iniziatica in Occidente ovvero, i altri termini, è la
nostra tarîqa che corrisponde, in
Occidente, alla Chiesa gioannita, se così posso esprimermi. Queste considerazioni
sono, d'altro canto, il motivo principale del mio prossimo viaggio a Parigi” ...Se si lasciano da parte certe espressioni esagerate,
quali quella di “Chiesa gioannita” che evidentemente non proviene dallo Shaykh
Abdu-l-Wahid Yahya, ciò esprimeva la vostra convinzione che la tarîqa svolgeva in Occidente un ruolo
essenziale, se non addirittura esclusivo. In relazione a
questa posizione di quel tempo, quanto poco incoraggiante siete per quest'organizzazione
iniziatica, visto che ora dichiarate che l'efficacia di questa è molto meno
inportante di quanto prevedevate. Nel 1949 mi diceste che la tarîqa non poteva recar profitto che ad un ristrettissimo numero di membri, che “non ci sono che
quattro/cinque fuqarâ che fanno
progressi” e che volevate scrivere allo Shaykh Abdu-1-Wahid Yahya per dirgli
che bisognava, di conseguenza, dissuadere dall'entrare in Islam i candidati
ordinari alla tarîqa provenienti da
parte cristiana, impegnandoli a rimanere nei loro ambiti tradizionali naturali[5].
È nello stesso senso che andava anche un passaggio della prefazione a “L'Occhio
del cuore”[6]
che ultimamente avete soppresso, al fine d'accordarlo
al ritiro del capitolo “Misteri cristici” e che diceva in definitiva che, tranne
che in casi eccezionali, la baraka cristica
s'opporrà sempre all'estensione d'un'altra forma tradizionale in Occidente. Il
fatto che trovavate necessario dire ciò nella prefazione del vostro secondo
libro, dimostra che non si trattava in quel caso di semplice constatazione di
difficoltà conosciute da ogni adattamento iniziatico o religioso in paese
straniero, bensì d'un cambiamento di comportamento generale che era, d'altra
aperte, in rapporto con la teoria sacramentale ed
iniziatica dei “Misteri cristici”. Perchè la vostra dottrina fu, come
l'iniziazione cristiana già virtuale, secondo voi, tramite i sacramenti della Chiesa
ordinaria, in grado di divenire effettiva con
l'aggiunta d'un semplice metodo iniziatico e d'un maestro: e voi proponevate il
vostro e voi stesso! Il ritiro del capitolo succitato non ha, peraltro,
significato la rinuncia alla teoria rispettiva, ma una semplice misura di
convenienza momentanea. E chi può dire cosa sarà, in
realtà, delle relazioni con i cristiani in futuro?[7]
Ma la conseguenza di questo universalismo “iniziatico”
che vi attribuite era, basandosi troppo su quanto non era islamico e
trascurando sempre di più quanto lo era, di sviare ed indebolire le vostre
proprie forze e quelle della tarîqa.
(Continua)
[1] Testo
tratto da: Michel Vâlsan, Lettere di
distacco da F. Schuon, Edizioni Al-Khâtamu Al-Dhahabiyy, Al-Qâhira
[2] Tralascerò certe altre
esagerazioni che ne scaturirono quaalche volta. Sembra, d'altra parte, che non
si sia mai preso in considerazione, in questo contesto,
che una certa comunicazione di baraka
ad un veicolo umano “non prova nulla in quanto al suo stato spirituale, dato
che può succedere anche che degli oggetti “inanimati” servano da supporto a
tali influenze”.
[3] A quest'ultimo proposito, quel che mi è
sempre apparso particolarmente urtante, è
che gli ornamenti, le armi, i riti del calumet ed i canti
importati d'oltre oceano, e nei quali indugiavate, erano portati, da voi e da altri
musulmani, sin dentro un monastero cristiano al fine d'essere
“comunicati” ad un monaco assai poco soddisfatto del suo Cristianesimo ed amante dei Pelli
Rosse!
[4] Sapete, adesso, che non v'era nulla di
concreto, e che si trattava semplicissimamente d'uno di quei racconti
lusinghieri nella presunzione, accolti con grande compiacenza, dei quali più
d'un esempio è noto, ed il cui scopo era quello d’indurre lo Shaykh
Abdu-l-Wahid Yahya al livello d'un ‘moqaddem’
della vostra tarîqa al Cairo! Del
resto, S. Abu Bakr sosteneva, da parte sua, che “lo Shaykh Abdu-l-Wahid Yahya non è che un faqîr
come lui!”. (SubhanaAllâh!).
A proposito di tutto cià, io credo che non sono troppo
indiscreto se menziono soltanto queste parole dello Shaykh Abdu-l-Wahid
Yahya: “Non si dovrebbe comunque scordare che, senza di me, non ci sarebbe
stata tarîqa in Europa, e di
conseguenza neppure Shaykh A.!". [Ricordiamo che
René Guénon aveva l'appellativo islamico di Shaykh
Abdu-l-Wahid Yahya, mentre Michel Vâlsan
era Shaykh Mustafa, e Frithjiof
Schuon era Shaykh Aïssa, e Martin
Lings era Siraj-al-dîn Abû Bakr
N.d.T.]
[5] È d'obbligo rilevare un altro aspetto delicato di questa storia. Le vostre divergenze con lo Shaykh Abdu-1-Wahid Yahya sulla questione
dell'iniziazione cristiana tendeva a gettar un grande
discredito sull'autorità tradizionale dello Shaykh Abdu1-Wahid Yahya dato
che, in base a questo, avrebbe ignorato, malgrado la sua funzione dottrinale, un punto capitale
della questione iniziatica e tradizionale in Occidente! Nei cattolici
"tradizionali" che sono in rapporto con voi, tanto quanto nei fuqarâ svizzeri e
negli altri come loro, questo discredito esiste di fatto, ed abbiamo avuto delle prove che ciò è stato
espressamente appoggiato da voi, malgrado il succitato ritiro del capitolo sui
“Misteri cristici” del vostro secondo libro. Quando si sa che l'opera dello
Shaykh Abdu1-Wahid
Yahya ha molti nemici in Occidente in tutti i campi, quanto triste appare una
tale azione quando ella si manifesta nell'ambiente dei
suoi amici tradizionali!
[6] Frithiof Shuon: L'Occhio del
cuore, ed Mediterranee Roma, 1978
[7] Una delle manifestazioni significative di
questo universalismo è il fatto che voi “autorizzate” certi membri ad
abbandonare l'Islam e la tarîqa per
rientrare nel Cristianesimo: in tal modo un vecchio faqir svizzero ridiventato cristiano, continua assai fedelmente (a
voi, ma non evidentemente alla tarîqa)
ad essere vostro discepolo in forma cristiana! Si tratta di qualcuno che avete
autorizzato, in occasione del suo rientro nel Cristianesimo, a continuare a
frequentare le sedute settimanali dei fuqarâ;
è così che gli è successo, una volta, a Basilea, per una specie d'eccesso
d'universalismo di fare l'appello (scorretto) alla preghiera musulmana e, senza
abluzioni, la preghiera stessa.
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