Chuang-Tse
Nan-Hoa Sheng-Ching – Cap. XIII
L’Influsso del Cielo (Tien – Tao)
L’influsso del Cielo,
esercitandosi incessantemente, produce tutti gli esseri. L’influsso dell’Uomo
Vero, propagandosi uniformemente, fa sì che tutto gli si sottometta.
Colui che intuisce l’influsso del Cielo, che è in relazione con gli Uomini Veri, che riconosce la virtù che irradia dall’Imperatore, sa concentrarsi nella pace meditativa che è non-agire dal quale tutte le cose sono portate a compimento. La pace meditativa dell’Uomo Vero non è conseguente a un’abilità specifica, né è ciò che il mondo chiama inattività; essa è data dall’attitudine profonda del suo essere, il cui equilibrio non può più venire turbato da alcunché.
Colui che intuisce l’influsso del Cielo, che è in relazione con gli Uomini Veri, che riconosce la virtù che irradia dall’Imperatore, sa concentrarsi nella pace meditativa che è non-agire dal quale tutte le cose sono portate a compimento. La pace meditativa dell’Uomo Vero non è conseguente a un’abilità specifica, né è ciò che il mondo chiama inattività; essa è data dall’attitudine profonda del suo essere, il cui equilibrio non può più venire turbato da alcunché.
Quando l’acqua è
perfettamente tranquilla, essa è talmente limpida che riflette financo i peli
della barba e delle sopracciglia di chi vi si specchia. Non vi è nulla che
tenda più all’equilibrio ed al riposo dell’acqua ed è
per questo che con essa si stabilisce il livello (mediante la livella ad
acqua). L’acqua trae la sua limpidezza dall’immobilità e così pure lo spirito
vitale. Il cuore dell’Uomo Vero, perfettamente calmo, diventa lo specchio
dell’universo che riflette il Cielo e la Terra e tutti gli esseri.
Pace, vuoto,
silenzio e non-agire sono l’essenza dell’universo, la perfézione dell’influsso
del Principio. Gli Imperatori illuminati e gli Uomini Veri dell’antichità
conobbero questo influsso attraverso il quale realizzarono
l’Incondizionato, penetrando nella verità delle leggi universali. Non
intervenendo essi stessi, lasciando la cura dei particolari ai governatori,
essi erano esenti dal piacere e dagli affanni e potevano incamminarsi lungo la
via dell’immortalità.
Pace, vuoto,
silenzio e non-agire sono la radice di tutte le cose. L’intuizione di questa
verità costituì la virtù d’un Imperatore come Yao
1 e d’un
ministro come Sciun. Chi ha compreso questa verità può regnare come
Imperatore sul destino degli uomini e come Uomo Vero sugli spiriti degli
uomini. Che egli viva come un anacoreta o che svolga una funzione fra gli
uomini, la sua virtù sarà riconosciuta, gli uomini si volgeranno spontaneamente
a lui.
È dal non-agire che sorgono
le meditazioni degli Uomini Veri e le azioni dei grandi Imperatori; il non intervento
assicura l’onore; il dedicarsi al puro e al semplice eleva al
di sopra di tutto. Comprendere la natura dell’influsso del Cielo e della
Terra, che è un non-intervento benevolo e tollerante,
ecco la “Grande Radice”, la “Grande Origine”, l’intesa con il Principio. Praticare un analogo non intervento nel governo dell’Impero, ecco
il segreto dell’intesa con gli uomini. E l’accordo fra gli uomini è la
gioia umana, la felicità di quaggiù; l’accordo con il Cielo è la gioia celeste,
la beatitudine suprema.
O mio Grande Esempio. Tu che
distruggi ogni cosa senza essere crudele! Tu che vivifichi senza essere buono!
Tu che fosti prima del tempo e che non hai età! Tu che copri tutto come il
Cielo, che sostieni tutto come la Terra, che sei l’autore di tutto senza avere
un’abilità specifica. È per questo che è stato detto: «Colui
che in vita conosce la gioia celeste, agisce come il Cielo e alla morte
subirà unicamente una modificazione dell’elemento fisico; non agendo comunica
allo Yin la modalità passiva, agendo comunica allo Yang la
modalità attiva 2: ecco la beatitudine
suprema! L’illuminato che possiede questa beatitudine non si lamenta più con il
Cielo, non ha più nessun risentimento contro gli uomini; niente di fisico può
ferirlo, è al sicuro da qualsiasi influenza. La sua azione si confonde con
quella del Cielo, il suo riposo con quello della Terra. Le influenze erranti
non lo tormenteranno, le forze inferiori non penetreranno nel suo intimo. Il
suo equilibrio gli dà la sovranità sul creato».
Seguire la
via del Principio, nel Cielo e nella Terra, in tutti gli esseri, ecco la gioia
celeste. Questa beatitudine è il
segreto del cuore dell’Uomo Vero, la cui benevola influenza investe tutto
l’Impero.
Fedeli imitatori del
Principio e del suo influsso attraverso il Cielo e la Terra, gli illuminati
Imperatori dell’antichità erano occupati nel non-agire e lasciavano l’azione ai
loro sudditi. Con il non intervento reggevano l’impero, senza disperdere la
loro energia vitale: se fossero ricorsi all’azione, tutta la loro energia
sarebbe stata inadeguata allo scopo. La conoscenza degli antichi Imperatori
abbracciava tutto l’universo, senza bisogno di una conoscenza analitica delle
cose. Sebbene la loro abilità avesse potuto risolvere ogni problema, essi non
se ne servivano.
Il Cielo non dà la nascita
agli esseri, eppure questi nascono. Non è la Terra che fa crescere gli uomini,
eppure questi crescono. Così l’Imperatore, non agendo,
fa sì che i sudditi prosperino. È per ciò che è stato detto: «Nulla
è più misterioso del Cielo, nulla è più inesauribile della Terra, nessuno è più
grande dell’Imperatore illuminato». E ci è anche stato tramandato: «La virtù dell’Imperatore fa di lui l’eguale del Cielo e
della Terra». Il suo influsso, indefinito come quello del Cielo e della Terra,
agisce su tutti gli esseri, muove gli umani. L’essenziale è nella radice,
l’accidentale è nei rami. L’Imperatore enuncia i principi, i suoi ministri li
applicano ai casi concreti.
Il ricorrere alle armi, che è
la forma più bassa d’intervento, le punizioni e le ricompense, che sono la
forma più bassa d’educazione, le cerimonie e le leggi, che sono la forma più
bassa di governo, la musica e i bei vestiti, che rappresentano la forma più
bassa di felicità, le danze, le nozze, i funerali e le altre cose che tanto occupano
i Confuciani non sono che dei particolari che
l’Imperatore lascia da stabilire ai suoi ufficiali.
Non si deve tuttavia pensare
che gli antichi ignorassero lo studio dei particolari: essi vi si dedicavano,
ma non permettevano che tale studio precedesse quello dell’essenziale. Vi è infatti un ordine naturale fondato sulla relazione
reciproca fra il Cielo e la Terra e sul movimento cosmico. Il sovrano è
superiore al ministro; il padre ai figli; i primogeniti sono superiori ai loro
fratelli; i vecchi ai giovani; l’uomo alla donna; il marito alla moglie; ciò
perché il Cielo è superiore alla Terra. Se consideriamo le stagioni, notiamo
che la primavera e l’estate precedono l’autunno e l’inverno. Ogni essere passa
attraverso fasi successive di vigore e di declino: ciò è dettato dal movimento
cosmico; ed è per questo che nel tempio ancestrale i
parenti vengono prima di tutti gli altri; nei villaggi gli anziani sono
venerati; negli affari ci si rimette al più saggio. Questo è l’ordine che
discende dal Principio: la sua inosservanza equivarrebbe a non tener conto del
Principio stesso.
Nell’antichità, in conformità
al Principio, per prima cosa si prendeva in considerazione il modo d’agire del
Cielo e della Terra; da questo binomio si traevano le nozioni di dovere e di
equità, poi quelle relative alle funzioni pubbliche,
quindi le forme ed i nomi. Venivano in seguito le nozioni riguardanti le
occupazioni secondo le rispettive capacità, la discriminazione fra il giusto e
l’ingiusto ed infine le ricompense e le punizioni. I
saggi e gli uomini comuni avevano i propri particolari doveri; l’onorato e
l’umile occupavano i loro rispettivi posti nella società. Ed essendo spinti
l’uomo dotato di qualità e quello mediocre ciascuno dalle proprie tendenze, era
necessario fare una distinzione fra le capacità e adottare una corrispondente
nomenclatura. È per questo che fu scritto: «Ovunque vi
è una forma vi è anche il suo nome». In tal modo i maggiormente qualificati
servivano l’Imperatore assicurando la prosperità dei sudditi, che ammaestravano
con il loro esempio senza costrizione alcuna, seguendo il modo d’agire del
Cielo e della Terra. Era questa l’epoca della pace assoluta, del governo
perfetto.
Gli antichi possedevano
invero le forme ed i nomi, ma non davano loro la
preminenza; non si arzigogolava, non si discuteva su di essi, come fanno i
sofisti d’oggigiorno. Si doveva passare attraverso cinque fasi per arrivare
alle forme ed ai nomi, e superarne altre quattro per
trattare delle ricompense e delle punizioni.
Si cercava allora ogni
soluzione nella radice, nell’origine, nel Principio che abbraccia tutto. Ed è questo
considerare le cose partendo dall’alto che costituiva la superiorità di quel
governo; mentre il passare direttamente alle forme ed
ai nomi e perdersi nei particolari – come fanno i sofisti contemporanei –,
è voler ignorare la loro origine.
Coloro che argomentano in
senso contrario non fanno che invertire il procedimento per arrivare alla
conoscenza del Principio; meglio sarebbe che venissero
guidati da altri piuttosto che pretendere di governare.
Passare direttamente alle
forme ed ai nomi, alle punizioni e alle ricompense,
equivale invero a cogliere la parte strumentale del governo, non a conoscerne
il principio; non si addice che a coloro che hanno cognizioni limitate; può
valere per degli amministratori, ma non serve a reggere l’Impero. Infatti le cerimonie e le leggi esistevano sì presso gli
antichi: erano disposte dai governanti per l’utilità dei sudditi, ma di certo
non si contava su di esse per assicurare la prosperità.
Introduzione (in testa nell’originale
della Rivista)
Il testo tradizionale di cui
presentiamo una versione inedita in italiano è il capitolo XIII dell’unica
opera a noi pervenuta di Chuang-Tse, il Nan-Hoa-Sheng-Ching,
che tradotto letteralmente significa: «Il testo sacro (Ching) del
(Maestro) Trascendente (Sheng) di NanHoa». Nan-Hoa è il nome d’una
collina dello Shantung dove si dice che Chuang-Tse si
fosse ritirato. Ching è il termine col quale vengono
designati in Cina i testi sacri, cioè la fissazione in simboli, nello stesso
tempo sonori e visivi, di insegnamenti dettati da un’ispirazione divina. Non si
tratta in questo caso d’ispirazione divina come viene
intesa abitualmente dagli occidentali, quando la riferiscono ai testi della
Bibbia o dei Vangeli quali pervenutici, bensì d’un riflesso della natura stessa
d’un essere giunto all’identificazione col Principio: è infatti questo lo stato
dell’“Uomo Trascendente” (Sheng-jen) 1, al quale era sicuramente arrivato Chuang-Tse. Al che fa
allusione il titolo stesso del testo 2
dove il carattere Ching è preceduto da Sheng, ricevendone
un’esatta specificazione.
Della vita di Chuang-Tse,
come degli altri maestri taoisti, Lao-Tse e Lie-Tse, ci è stato tramandato
quasi nulla. Visse fra la fine del IV secolo e l’inizio del III secolo a.C., in un’epoca in cui la Cina era divisa in grandi
feudi che dimostravano una fedeltà puramente formale agli Imperatori dell’ormai
debole dinastia Chou. Dallo storico Su-ma-Chien, della fine del II secolo d.C.,
apprendiamo che Chuang-Tse possedeva una perfetta conoscenza di tutte le teorie
delle varie scuole dell’epoca e che i “sofisti” e i “letterati” suoi
contemporanei non poterono mai opporre alcunché alle
sue argomentazioni.
Dell’opera di Chuang-Tse
abbiamo scelto un estratto del capitolo XIII, ritenendone le considerazioni
finali molto attuali e l’insegnamento suggerito da queste proponibile a
chiunque si trovi all’inizio di una via di realizzazione che deve
necessariamente contemplare come primo passo il compimento dei “piccoli misteri”,
ossia l’integrazione delle possibilità relative allo
stato umano, premessa del superamento dell’individualità. Infatti, dopo
l’iniziale esposizione della dottrina del “non-agire”, viene
affermata la necessità dell’osservanza dei “particolari” in una concezione “sacra”
della vita, pur negandone decisamente il valore se questi vengono considerati
fini a se stessi come risulta dalla visione analitica della realtà propria dei “sofisti”
(l’equivalente della concezione profana della vita che ha la maggioranza dei
nostri contemporanei). Osservanza dei “particolari” che per i cinesi coincideva
col rispetto delle regole confuciane e che per l’Occidente tradizionale
consisteva nella pratica d’un exoterismo, unico mezzo “legittimo”
per la sacralizzazione d’ogni momento della vita umana, in vista della
realizzazione degli stati superiori dell’essere.
Tratto
da: Rivista di Studi Tradizionali n° 2 – Traduzione di Maurizio Gaio
1
L’Imperatore Yao visse dal 2357 al 2256 a.C. Un frammento del Shu-Ching redatto nel II millennio a.C. così ce lo
presenta: «Ricercando nell’antichità troviamo l’Imperatore Yao. Egli fu
rispettoso della tradizione, intelligente, compito e accurato –
naturalmente e senza sforzo. L’influenza di queste finalità fu sentita in tutti
i quattro quartieri e giunse in alto fino al Cielo e in basso fino alla Terra».
2 Lo yang
e lo yin sono i due principi attivo e passivo
che, procedendo da una polarizzazione dell’Unità metafisica, danno origine alla
manifestazione universale. L’Uomo Trascendente, identificato al Principio
(ritornato alla “propria radice”), venendosi a trovare al centro della ruota
cosmica ne determina la rotazione, comunicando allo Yin
e allo Yang le rispettive modalità.
1 Così lo
stesso Chuang-Tse descrive questo stato: «Pur avendo
un corpo, egli non è più un uomo. Vive fra gli uomini, ma è assolutamente
indifferente alla loro approvazione o disapprovazione, perché non ha più i loro
sentimenti. Egli è infinitamente piccolo in quello per cui è ancora uomo,
infinitamente grande in quello per cui è uno col Cielo» (Cap. V, 5).
2 Titolo
conferito nel 742 d.C. dall’Imperatore Huang-Tsong agli scritti di Chuang-Tse,
al quale venne riconosciuto, con l’occasione, il
titolo di Sheng-jen.
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