Marcello Perego
L’invocazione delle benedizioni divine sull’Inviato di
Dio
«Non ti abbiamo inviato se non come una
misericordia verso i mondi».
Cor. 21:107
Sebbene non sia possibile affrontare in modo completo il
tema dell’invocazione delle benedizioni divine sull’Inviato di Dio nel breve
spazio di un articolo,[1] l’opportunità di trattare
un tema così importante ci ha spinto ad affrontare un compito rimasto finora sostanzialmente
disatteso nell’ambito della letteratura islamica italiana.[2]
Tale importanza deriva dal fatto che questa pratica, insieme
alla lettura del Corano (qirâ’a), alla recitazione reiterata di
particolari versetti coranici o di alcune formule (quali ad esempio e
soprattutto Lâ ilâha illâ Allâh, “Non vi è divinità se non Iddio”), ed
alla menzione ripetuta dei Nomi divini,[3] è una delle principali
forme islamiche della menzione o ricordo di Dio (dhikr).[4]
Essa merita dunque la massima considerazione, sia da
parte dei credenti in generale, sia di chi desidera avvicinarsi a Dio in modo
speciale, dal momento che, a partire da un
preciso momento storico,[5] appare perfino essere
divenuta la forma di dhikr più eccellente.
La pratica dell’invocazione delle benedizioni divine sull’Inviato
di Dio §, in lingua araba al-salâtu ‘alâ al-nabiyyi (e talvolta, in
forma abbreviata, tasliya), viene istituita da Dio nel Corano con il
versetto 33:56:[6]
«In verità Dio ed i Suoi Angeli pregano sul Profeta; oh voi che
credete, invocate la preghiera su di lui e salutatelo con un saluto
conveniente».[7]
Questo versetto è di poco preceduto da un’altro (cfr.
Cor. 33:53) nel quale Dio ordina ai credenti di onorare il Profeta e le sue spose,
di rispettarlo, di agire nei suoi confronti con benevolenza e di evitare tutto
ciò che può arrecare pregiudizio a lui o alle sue spose, le “Madri dei credenti”.
Ed in un versetto che gli è immediatamente successivo (cfr. Cor. 33:57) Dio mette
invece in guardia coloro che arrecano un qualche torto al Profeta §.
Il contesto nel quale è calato il versetto 33:56
denota quindi la ferma Volontà divina di esaltare ed onorare il rango
dell’Inviato di Dio e della sua Famiglia.[8]
È per questo che, sebbene i significati attribuiti dai
commentatori ai termini yusallûna e sallû[9] utilizzati da Dio nel
versetto siano molteplici (il primo riferito a Se stesso ed agli angeli, il
secondo in riferimento ai credenti), quello di esaltare e di onorare il Profeta
è il significato principale ad essi attribuito da un buon numero di sapienti (‘ulamâ’).
In un caso, Dio e gli angeli “pregano” direttamente sul Profeta (yusallûna
‘alâ al-nabiyyi) “esaltandolo con il massimo onore” (tashrîf bi-mazîd
al-karâma);[10]
nell’altro i credenti “invocano le benedizioni di Dio e la Pace sul Profeta §”
(sallû ‘alayhi wa sallimu taslîman).
L’onore che Dio rende al Suo Inviato con questo
versetto è una caratteristica unica del Profeta Muhammad §. In uno studio che
non possiamo evitare di citare per esteso, il dott. Al Hassan bin Asseddiq
chiarisce magistralmente questa caratteristica: «Il versetto coranico 33:56
inizia con la particella nominale inna che esprime l’affermazione di un
fatto generale e costante, ovvero la preghiera di Dio e dei Suoi angeli sul
Profeta §, poiché il predicato di questa particella è un verbo al presente che
possiede un aspetto ripetitivo. Del resto, l’impiego di questa particella è
mirato sia ad una focalizzazione del predicato (pregare sul Profeta §) allo
scopo di valorizzarlo, sia a rispondere ad una domanda ellittica, cioè quale
spiegazione della causa di tutta la reverenza e di tutto l’onore di cui l’Inviato
è fatto segno nei versetti precedenti. Questa onorificenza gli è giustamente
dovuta perché Dio ed i Suoi angeli pregano per lui e tanto basta a renderlo
degno di rispetto, riverenza e delle grazie delle quali Dio lo ha colmato. Il
versetto stesso testimonia di questa onorificenza meglio di quanto qualsiasi
eloquenza umana potrebbe mai esplicitare. A
questo riguardo, nel suo libro intitolato Al-shifâ, Qâdî ‘Iyâd ha scritto
che questo versetto contiene più riverenza di ogni altro versetto coranico. Ne
è riprova il fatto che i Compagni del Profeta §, secondo Ibn al-Mundhir, che si
rifà ad Ibn Jarîr [Tabarî], si felicitarono con lui per l’onore che gli era
stato accordato con questo particolare versetto, comportamento che essi non
esprimevano in occasione delle altre rivelazioni, poiché avevano subito
percepito appieno il significato e tutti i contrassegni di eccellenza che Dio
vi aveva riposto. Fâkihânî ha detto: “Il versetto significa che Dio ed i Suoi
angeli pregano tutto il tempo sul Profeta”, e proseguendo il suo ragionamento
aggiunge: “L’umanità intera si potrebbe accontentare di una sola preghiera di
Dio su di essa. Ancor meglio: se venisse chiesto ad un essere ragionevole di scegliere che tutte le buone azioni
dell’umanità gli venissero ascritte sul registro delle azioni come retribuzione
il giorno del Giudizio Finale, oppure che Dio preghi per lui una sola volta,
egli non esiterebbe a scegliere la preghiera di Dio su di lui, mentre per il
nostro Profeta questa preghiera viene compiuta da Dio e dagli angeli, per sovrappiù,
eternamente”.[11]
In merito a quest’ultimo punto, Sakhâwî afferma che
nel versetto «la preghiera di Dio e dei Suoi angeli non è confinata né limitata
sia nel tempo che nella quantità, essendo una pratica continuata. Perciò
l’Inviato di Dio è e sarà continuamente un ricettacolo di preghiere da parte di
Dio altissimo».[12]
Sempre a Fâkihânî viene ascritta un’altra citazione che
evidenzia come Dio, attraverso la Sua preghiera su di lui §, lo abbia eletto
sugli altri profeti: «La preghiera di Dio sul Profeta è specifica di
quest’ultimo, ad esclusione di tutti i suoi fratelli inviati. Infatti, nel
Corano non v’è menzione di una preghiera di Dio su di un messaggero altri che
il nostro e ciò prova che questa preghiera è proprio una caratteristica
specificamente riservata all’ultimo degli inviati».[13]
Un ulteriore argomento citato spesso in questo
contesto, che qui riprendiamo sinteticamente da Ismâ‘îl Haqqî, consiste nel
fatto che l’onore e la riverenza mostrate al Profeta Muhammad sono di un grado
superiore perfino a quello già straordinario mostrato ad Adamo:[14] nell’onorare il Profeta
Muhammad §, Dio ha indicato Se stesso nell’atto di praticare la preghiera sul
Profeta insieme agli angeli, mentre nel caso di Adamo ad onorarlo furono
solamente gli angeli.[15]
Queste argomentazioni, pur prestandosi anche a banali
interpretazioni di carattere confessionale, sono meno superficiali di quanto
non appaia a prima vista, e per comprenderle più a fondo è bene rapportarle alle
dottrine relative al Califfato esoterico ed al Sigillo della Profezia, troppo
complesse però per potervi accennare qui.[16]
Per
quanto attiene alle implicazioni operative, in base all’analisi della struttura grammaticale del versetto in
questione i sapienti sono unanimi nell’affermare che sancisce un obbligo per
tutti i credenti, mentre divergono in merito a quale sia l’azione minima
necessaria per soddisfarlo.[17] Benché qualcuno abbia affermato
che questa consista nell’invocare le benedizioni “almeno una volta nella vita”,
la posizione più autorevole condivide l’opinione che corrisponda ad “almeno la
prima volta” ogniqualvolta il Profeta viene menzionato in un discorso, e “almeno
una volta all’inizio di ogni assemblea”.[18]
L’attenzione maggiore viene però focalizzata dalle notevoli
qualità e quantità delle ricompense che Dio ha promesso a coloro che invocano
le benedizioni divine sul Profeta §, esplicitate in diverse tradizioni
profetiche.
I
detti profetici che esortano a praticare la tasliya sono numerosi e
molti giuristi vi han dedicato intere opere dove li hanno ampiamente commentati
per evidenziarne l’interesse. Nel Jalâ’ al-afhâm Ibn al Qayyim
al-Jawziyya ne ha classificati circa centocinquanta, riportati da quarantadue
differenti Compagni del Profeta §, senza contare i detti ai quali viene
attribuito un grado minore di autenticità.[19] E buona parte dei detti
profetici verte proprio sul bene conseguito grazie alla tasliya.
‘Abdallâh ibn Talha ha trasmesso il seguente hadîth
qudsî: «Un giorno l’Inviato di Dio giunse da noi con il volto gioioso e gli
dicemmo: “In verità scorgiamo la felicità sul
tuo volto!”. Disse §: “In verità, l’Angelo [Gabriele] è venuto da me e ha
detto: ‘O Muhammad, in verità il tuo Signore – che sia esaltato e magnificato –
ha detto: – Non sei compiaciuto del fatto che nessuno prega (yusalli) su
di te senza che Io preghi su di lui dieci volte e che nessuno ti saluta [con l’augurio di pace] senza che Io lo
saluti dieci volte?’”».[20]
Parallelamente al versetto coranico che ne istituisce
la pratica, questo detto divinamente ispirato ne stabilisce una prima immensa
ricompensa: il servo ottiene di attirare su di sé, decuplicata, la preghiera di
Dio ed il suo augurio di pace. Ma che c’è di meglio della preghiera di Dio sul
Suo servo?[21]
Questo compenso viene confermato dal Profeta in altre
tradizioni dal medesimo contenuto: «Chi prega su di me una volta, Iddio prega
su di lui dieci volte»[22] ...ed una versione
aggiunge: «... gli vengono cancellati dieci misfatti e viene innalzato di dieci
gradi».[23] Ed anche il Profeta
restituisce il saluto: «Nessuno mi rivolgerà l’augurio di pace senza che Iddio
mi restituisca lo spirito affinché gli renda l’augurio di
pace».[24]
L’Inviato di Dio ha detto: «Quando sentite l’appello
alla salât pronunciatene le parole, e quindi pregate su di me, perchè
chi recita una preghiera su di me, Iddio ne lo benedice dieci volte; pregate
quindi Iddio che mi doni la wasîla:[25] è questa una stazione in
Paradiso che non s’addice che a uno solo dei servi di Dio: e sperate che sia io
quello: e per chi chiederà per me la wasîla si schiuderà l’intercessione».[26] Questa tradizione
aggiunge la promessa di un’altra ricompensa, quella dell’intercessione del
Profeta nel Giorno della Risurrezione, grazie alla quale si ottiene il perdono
che consente l’accesso al Paradiso. In quella che segue viene specificata una
particolare invocazione molto popolare e praticata: «Quando qualcuno ode la
chiamata alla salât ed invoca: “O Dio, Signore di questa perfetta
chiamata e di questa preghiera che sta per essere compiuta, dona a Muhammad la wasîla[27] e l’eccellenza, ed
elevalo alla Stazione lodata che gli hai promesso”, avrà la mia intercessione
nel Giorno della Risurrezione».[28]
Ma la ricompensa che forse tocca più da vicino il
cuore del musulmano è la vicinanza al Profeta nel Giorno della Risurrezione. Il
Profeta ha detto: «Colui che mi sarà più vicino nel Giorno della Risurrezione
sarà colui che avrà fatto più preghiere su di me».[29] La tasliya, infatti, è il mezzo per testimoniare l’amore al Profeta
che è, tradizionalmente, l’Amato di Dio (Habîb
Allâh) per eccellenza, e questo atto, compiuto con sincerità, attira sul
credente l’amore di Dio e del Profeta stesso.[30] A tutto questo fa eco un
versetto coranico dove Dio incita il Profeta §: «Dì: Se veramente amate Dio,
allora seguitemi, Dio vi amerà e vi perdonerà i vostri peccati. Dio è
Perdonatore Misericordiosissimo» (Cor. 3:31).[31]
L’Islâm si è interrogato sul come sia possibile che,
in cambio di ciò che appare come una piccola cosa richiesta ai credenti, Dio
possa concedere simili favori. Alcuni sapienti hanno risposto che la ragione
risiede nelle virtù che Dio ha riversato sul Profeta §,[32] segno del Suo amore
infinito per lui e per le creature che a loro volta gli testimoniano
sinceramente il loro amore.
Altri si sono rimessi di buon grado alla Volontà ed
alle Parole di Dio, espresse ad esempio nel seguente versetto: «Ecco il
Favore di Dio, che Egli accorda a chi vuole. Dio è l’Infinitamente vasto,
l’Onnisciente» (Cor. 5:54).[33]
Le due risposte appaiono perfettamente compatibili tra
loro, poiché esprimono modi diversi di considerare una medesima realtà.
A
fronte di simili promesse di doni per chi pratica la tasliya è logico
attendersi delle complementari minacce di sventure per chi la invece la
trascura volontariamente, le quali sono pur sempre un altro mezzo per spingere
il servo ad una azione che offra a Dio un’ulteriore possibilità di esercitare
la Sua Misericordia.
L’Inviato
di Dio ha detto: «L’avaro è colui davanti al quale io sia menzionato senza che
egli preghi su di me».[34]
«Possa
affondare nella polvere il naso dell’uomo alla cui presenza io sia menzionato e
non preghi su di me».[35]
«Chiunque
si dimentica di pregare su di me, si dimentica la Via che conduce al Paradiso».[36]
«In
una certa occasione l’Inviato di Dio ha detto: “Quando salii sul secondo
scalino del pulpito, l’angelo Gabriele disse: ‘Che la disgrazia discenda su
colui che ode il tuo nome e non invoca le benedizioni divine su di te’. ‘A
questo risposi: âmîn’”».[37]
«Se
della gente siede in un’assemblea nella quale essi non ricordano (o menzionano)
Dio né invocano le benedizioni divine sul loro Profeta §, ciò sarà per loro una
causa di tormento (nel Giorno del Giudizio). Voglia Iddio punirli oppure
perdonarli».[38]
È basandosi su quest’ultima tradizione che, come abbiamo visto precedentemente,
alcuni sapienti deducono l’obbligo di menzionare Dio e di invocare le
benedizioni divine sul Profeta §, perchè se consideriamo le parole “causa di
tormento” nel senso di tormento del Fuoco o qualunque altro castigo, è ovvio
che una punizione si applica solamente quando viene omesso un atto obbligatorio
oppure quando viene commesso un atto illecito, ed in questa tradizione sia la
menzione di Dio che l’invocazione delle benedizioni divine sul Profeta appaiono
obbligatorie.[39]
Un’altra
importante ragione per la quale si devono incessantemente invocare le
benedizioni sul Profeta è che queste sono una condizione necessaria affinché
venga accordata risposta alle suppliche. «L’Inviato di Dio udì un uomo fare
delle invocazioni senza glorificare (lam yamjid) Iddio Altissimo e senza
invocare le benedizioni (lam yusalli) sul Profeta. L’Inviato di Dio
commentò: “Andava di fretta costui!”. Poi disse, a lui oppure a qualcun altro:
“Quando uno di voi si mette a pregare (idhâ sallâ ahadukum), cominci col
lodare (tamhîd) il suo Signore, che sia Esaltato, e col tesserne gli
elogi (thanâ’), quindi invochi le benedizioni sul Profeta, e dopo preghi
(yad‘û) per quel che vuole”».[40] Celebre in proposito è il
detto di ‘Umar: «Le suppliche (du‘â’) rimangono sospese tra cielo e
terra senza salire fino a che non vengono recitate le invocazioni (salât)
sul Profeta».[41]
In
concreto, la pratica della tasliya consiste nel pronunciare, verbalmente
o mentalmente, oppure nello scrivere, una frase la cui formulazione varia a
seconda di diversi fattori. Semplificando un po’ possiamo distinguere tre tipi
principali: le eulogie, la salât Ibrâhîmiyya, il dhikr supererogatorio.
Le
eulogie sono quelle espressioni utilizzate per accompagnare la menzione del
Profeta quando viene nominato in un discorso o in uno scritto, da chi parla e
da chi ascolta (o scrive). Tra le formule più comuni vi sono:
- ‘alayhi-s-salâtu wa-s-salâm, su di lui la
preghiera e la Pace (di Dio).
- sallâ ‘Llâhu ‘alayhi wa sallam wa ‘alâ âlihi,
“che Dio preghi su di lui e gli doni la Pace e (altrettanto) sulla sua
Famiglia”, talvolta abbreviata in sallâ ‘Llâhu ‘alayhi wa sallam,
sebbene la versione che include la Famiglia sia più corretta.
La
salât Ibrâhîmiyya viene recitata nelle preghiere cinque preghiere
canoniche quotidiane ed in quelle supererogatorie che ad esse solitamente si
accompagnano. La sua formulazione, seppur con diverse varianti, è fissata nei
suoi elementi fondamentali dai detti del Profeta §. Ad esempio: «O Dio! Fai
scendere la Tua Grazia su Muhammad e sulla Casa di Muhammad, così come hai
fatto scendere la Tua Grazia su Abramo e sulla Casa di Abramo. E benedici
Muhammad e la Casa di Muhammad, così come hai benedetto Abramo e la Casa di
Abramo. In verità, Tu sei (o Dio), in tutto l’Universo, il Molto lodato, il
Glorioso».[42]
Il
dhikr supererogatorio ha storicamente ammesso, rispetto alle due
situazioni precedenti, una maggiore libertà di espressione, pur conservando la
struttura di base dell’invocazione più elementare Allâhumma salli ‘alâ
Muhammad, “O Dio prega su Muhammad”.[43] Certe formule si sono
sviluppate a partire dalla Ibrâhîmiyya, mentre altre celebrano
direttamente la realtà spirituale del Profeta §.[44] «Alcune di queste Salawât
vennero perfino ricevute per ispirazione divina o trasmesse nel corso d’una
visione dallo stesso Profeta a qualche Santo della sua Comunità».[45]
Come
è stato osservato, «Non vi è quasi grande maestro che non abbia composto una o
più Salawât sul Profeta §. Quelli che si son dedicati con costanza alla
sua pratica, arrivando a recitarla anche migliaia di volte al giorno, hanno
beneficiato della visione del Profeta nei loro sogni e, alcuni rari eletti,
anche allo stato di veglia. Alcuni sono arrivati al punto da essere stati da
lui formati e istruiti sia interiormente che esteriormente,[46] ed è il Profeta stesso
che li ha condotti lungo le tappe del sentiero spirituale fino a che sono
pervenuti alla Verità suprema ed alla contemplazione della Bellezza divina».[47]
La menzione nella salât della Famiglia è
importantissima. Intanto perché il Profeta stesso l’ha inclusa nella salât
Ibrâhîmiyya; inoltre ha detto: «Quando fate salât su di me, estendete», nel senso di includere la sua Famiglia.
E Abû Bakr ha detto: «Osservate il rispetto dovuto a Muhammad attraverso la sua
Famiglia»[48].
In merito al significato di “Famiglia di Muhammad”, nell’accezione
più ampia designa l’intera Comunità.[49]
In senso più stretto, «la sua Famiglia significa i pii
(atqiya’) della sua Comunità».[50] Jazûlî riporta: «Venne
chiesto all’Inviato di Dio: “Qual è la famiglia di Muhammad che ci viene
ingiunto d’amare, di onorare e di trattare con devozione?”. Rispose: “Coloro
che ascoltano e compiono i loro doveri, chiunque crede in me e mi è fedele”.
Venne chiesto: “E da quali segni li riconosceremo?”. Disse: “Il provare per me
un amore più grande di ogni altro amore, essendo interiormente occupati a
ricordarsi di me, in subordine al solo ricordo di Dio”».[51]
Furono proprio i musulmani più devoti che, spesso
basandosi sul seguente detto profetico, vollero scorgere nell’invocazione delle
benedizioni sul Profeta una Via di elezione che conduce a Dio: «Quand’era
passato un terzo della notte, l’Inviato di Dio soleva levarsi a dire:
"Gente! Ricordatevi di Dio: è arrivato il primo squillo di tromba, cui
segue il secondo!, è arrivata la morte, con quel che porta con sè; è arrivata
la morte, con quel che porta con sè!". Chiesi: "Inviato di Dio,
moltiplico la mia preghiera su di te; ma quanto della mia salât
dedicherò a te?"; "Quella che vuoi", rispose; "Un
quarto?", insistetti; "Quanto vuoi; ma se aumenti, sarà meglio per
te"; "La metà?", tornai a chiedere; "Quanto vuoi; ma se
aumenti, sarà meglio per te", fu ancora la risposta; dedicherò a te tutta
la mia salât?", dissi; ed egli: "Allora le tue necessità
saranno soddisfatte e ti saranno perdonati i tuoi peccati"».[52]
Questa «È la via dei santi che
vivono assorti nella recitazione del Corano e nell’invocazione delle benedizioni:
quando parlano, è per ripetere la Parola di Dio, non la loro; quando invocano
Dio, è in favore del Suo Beneamato, non di se stessi».[53]
Il sapiente di Mecca, Abû ‘l-Baqâ’ al-‘Ujaymî (m. 1702) ha
detto: «Il fondamento di questa Via [la tarîqa Muhammadiyya] consiste
nel fatto che l’intimità dell’essere di colui che vi si è incamminato è
assorbita nella visione della Forma del Profeta – che la Grazia le Pace divine
siano su di lui! – mentre esternamente egli imita con ardore il Profeta nella
parola e nell’azione, mantiene occupata la propria lingua con la tasliya
[l’invocazione delle benedizioni divine sul Profeta], e si vota a lui in ogni
momento, nell’isolamento come tra la gente, fino a che la venerazione del
Profeta giunge a dominare il suo cuore e pervade tutto il suo essere, al punto
che gli basta solamente udire il nome del Profeta per iniziare a tremare, ed il
suo cuore è sopraffatto vedendolo quando le sembianze del Profeta si presentano
alla sua vista interiore. [...] Poi Dio
lo avvolge con la Sua clemenza, esternamente ed interiormente. Successivamente,
egli vedrà il Profeta in molti sogni, dapprima mentre dorme, ed in seguito
inaspettatamente nel dormiveglia. Infine, egli lo vedrà in stato di veglia».[54]
Questa
profonda concentrazione sul Profeta non avviene a scapito del ricordo di Dio
come potrebbe apparire, tutt’altro. «L’attenzione per la sunna e l’attaccamento rivolto alla figura del Profeta comporta
delle ripercussioni in ogni ordine di realtà; spesso, per la Tarîqa Muhammadiyya, il fine ultimo
sembra essere “confinato” più a realizzare la “visione” del Profeta e la
prossimità con lui, che non la Prossimità a Dio e l’estinzione in Lui, scopo
della Via secondo i testi del sufismo cosiddetto “classico”[55]. La differenza è solo
apparente poiché – anche se ciò non viene esposto in modo evidente – in base alla dottrina che fa della realtà metastorica
del Profeta, la Haqîqa Muhammadiyya,
il primo grado creaturale della teofania divina (al-tajallî al-awwal) ed il “luogo” della manifestazione dei Suoi
Nomi ed Attributi, l’unione con essa è, in realtà, il più alto grado di
Prossimità a Dio e la visione della sua essenza il mezzo tramite cui, come in
uno specchio, possiamo contemplare il Suo Volto[56]».[57]
Da: academia.edu
[1] La sua vastità e la sua profondità già in passato
hanno richiesto interi e ponderosi volumi, tra i quali il più celebre è quello
dell’Imâm Muhammad ibn Sulaymân al-Jazûlî (m. 1465) (cfr. la voce Muhammad al-Jazuli, http://en.wikipedia.org/wiki/Mohamed_El_Jazouli), autore del Dalâ’il
al-khayrât, una raccolta di differenti formule di invocazione delle
benedizioni divine sul Profeta, completata da un’antologia di tradizioni
profetiche sul tema e da un’esposizione dei benefici connessi a questa pratica.
Una traduzione inglese di questo testo è scaricabile gratuitamente dal web
all’indirizzo http://bewley.virtualave.net/dalail1.html
[2] Fanno pregevole
eccezione i due articoli di P. Urizzi, L’Islam: un mondo in preghiera e La
Via muhammadiana.
[3] In particolare, nei riti iniziatici si tratta spesso
di recitare differenti combinazioni di alcune di queste forme che variano a
seconda delle diverse Confraternite.
[4] Le
differenti forme sono sottilmente correlate tra loro a causa del loro comune
principio (cfr. P. Urizzi, Regalità e Califfato, nn. 6-7, 2002-2003).
[5] Questo momento coincide
con la nascita della Tarîqa Muhammadiyya, sulla quale torneremo in
seguito.
[6] Secondo una fonte attendibile venne rivelato a Medina nella notte del Viaggio notturno (isrâ’), il 27 del mese di Rajab del secondo anno dell’Egira (Suyûtî, Al-hirz al-manî‘, Cairo, p. 17). Secondo un’altra fonte, nel successivo mese di Sha‘bân, ovvero alcuni giorni dopo. Cfr. Bin Asseddiq, On the Benefits [v. Bibliografia web]. In ogni caso, precede di poco la battaglia di Badr.
[7] Preferiamo tradurre taslîma “con un saluto
conveniente” in accordo con Bonelli,
Il Corano e con A. Yusuf ‘Ali, The Holy Qur’an, Tahir-ul-Qadri, Greetings and salutations,
Rabbani & Hanif, The Fiqh of Sending, Bin Asseddiq, On the
Benefits [per tutti, v. Bibliografia web] “in tutto/con ogni/con il
dovuto rispetto”, rispetto al più comune “con il saluto di pace”e
simili.
[8] Più avanti vedremo come questo richiamo alla Famiglia
del Profeta abbia una notevole importanza.
[9] I due termini hanno
origine dalla medesima radice S-L-W.
[10] Cfr. Ismâ‘îl Haqqî, Tafsîr
rûh al-bayân, s.v. versetto 33:56.
[11] Bin Assiddiq, On
the Benefits [v.
Bibliografia web]
[12] Durood upon Rasulullah... [v. Bibliografia web]
[13] Cfr. Nabahânî, L’invocation de grâce, p. 50, il quale
cita Sakhâwî.
[14] «E quando dicemmo agli angeli: “Prosternatevi
davanti ad Adamo”...» (Cor. 2:34); cfr. anche 7:11-12, 15:28-31, 17:61,
18:50, 20:116, 38:71-76.
[15] Cfr. Ismâ‘îl Haqqî, Tafsîr
rûh al-bayân, s.v. versetto 33:56.
[16] Per un approfondimento di questi argomenti si possono
consultare: Ch.-A. Gilis, Les sept
étendards du Califat, Paris, 1993; R. Guénon, «Er-Rûh», in Considerazioni sull’esoterismo islamico e il taoismo, Milano,
1993; (pseudo-)Ibn ‘Arabî, La profession
de Foi, a c. di R. Deladrière, Paris, 1985, cap. II; Ibn ‘Arabî, Fusûs al-hikam, cap. XXVII (trad. it. a
c. di T. Burckhardt, La sapienza dei
Profeti, Roma, 1987, cap. XII); P. Urizzi Regalità e Califfato, in Perennia
Verba, Rimini, 3 (1999), 4 (2000), 5 (2001), 6-7 (2002-2003).
[17] Non si tratta qui di un
volgare “mercanteggiare al ribasso”, bensì di estendere al più ampio numero di
credenti la possibilità di beneficiare dei favori connessi all’invocazione ed
al contempo di evitare loro la minaccia che incombe su chi la omette.
[18] Cfr. Nawawi, Al-maqasid...,
e Ibn Assiddiq, Des vertus de
prier... [v.
Bibliografia web].
[19] Cfr. Bin Asseddiq, On the Benefits [v.
Bibliografia web].
[20] Nasâ’î, Sunan. Cfr. Ibn Arabi (a c. M.
Vâlsan), La Niche des Lumières, Paris, 1983, p. 114. Di questo hadîth
esistono diverse varianti riportate da altri autori di raccolte.
[21] La preghiera di Dio e dei Suoi Angeli sui credenti è
ciò che li trae dalle tenebre alla luce (cfr. Cor. 33:43).
[22] Muslim, Sahîh, Abû
Dawûd, Sunan, Tirmidhî, Sunan, e Nasâ’î, Sunan.
[23] Ahmad, Musnad, e Nasâ’î Sunan.
[24] Abû Dawûd, Sunan, e Ahmad, Musnad.
[25] «La nostra preghiera
sull’Inviato di Dio non ha il valore di un’intercessione da parte nostra,
poiché i nostri simili non possono intercedere per lui. Tuttavia, Dio ci ha
ordinato di ringraziare chi si è mostrato buono verso di noi e ci ha reso dei
favori». Cfr. Nabahânî, L’invocation de grace, p. 59.
[26] Muslim, Sahîh.
[27] La wasîla (la
“mediazione”) designa qui un alto grado del Paradiso in prossimità del Trono
divino.
[28] Bukhârî, Sahîh.
[29] Tirmidhî, Sunan.
[30] Cfr. P. Urizzi, La Via Muhammadiana, p. 150.
[31] Le virtù connesse alla tasliya vengono
riportate a decine. Per degli esempi di elenchi compilati dai sapienti v. Kabbani, Encyclopedia of Islamic Doctrine, 7
(che lo riporta da Sakhâwî, Al-qawl al-badî‘)
e M. Bin Alawi, The Invocation of Blessings and
Peace (che riporta da Ibn al-Qayyim al-Jawziyya
e Ibn Hajar al-Haytamî) [v. Bibliografia web].
[32] Cfr. ad esempio The Virtues of Hadhrat Muhammad,
e Excellence of sayyiduna rasoolullah [v. Bibliografia web].
[33] Cfr. anche «Dio sceglie chi vuole per la Sua
Misericordia! Dio è il Padrone dell’immenso favore» (Cor. 2:105), e «Dì:
“In verità la Grazia è nelle mani di Dio che la dà a chi vuole. Dio è Immenso,
Sapiente» (Cor. 3:73).
[34] Tirmidhî, Sunan.
[35] Tirmidhî, Sunan.
[36] Bayhâqî, Shu‘ab al-îmân.
[37] Bukhârî, Sahîh.
[38] Tirmidhî, Al-jâmi‘ al-sahîh.
[39] Cfr. Sakhâwî, Al-qawl al-badî‘.
[40] Abû Dawûd, Sunan, e Tirmidhî, Sunan.
[41] Tirmidhî, Sunan. Alcuni autori ne trasmettono
una variante con una linea di trasmissione che risale fino al Profeta §.
[42] Muslim, Sahîh.
«Vi sono molte versioni di questa tasliya, riportate dai diversi
Compagni, che saranno anche i primi ad elaborare nuove formule per invocare sul
Profeta la grazia e la benedizione divine (cfr. Al-Shifâ, del Qâdî
‘Iyâd, ‘Ammân, 1986, II, pp. 160-162; trad. ing. a c. di A. Bewley, Muhammad,
Messenger of Allah, Granada, 1991, pp. 256-259)». Cfr. Urizzi, L’Islam:
un mondo in preghiera, pp. 117-118.
[43] Alcuni ‘ulamâ’
specificano che in riferimento all’Inviato di Dio salât e salâm,
salvo alcuni casi particolari, non debbono venir pronunciati disgiuntamente.
[44] Per una breve raccolta di invocazioni sul Profeta si
veda P. Urizzi, L’Islam: un mondo in preghiera, pp. 119-123.
[45] Cfr. P. Urizzi, L’Islam:
un mondo in preghiera, p. 123.
[46] La formazione (tarbiya) interiore riguarda la
conformità degli stati del cuore a quanto richiesto dalla Fede; quella
esteriore la conformità alla Legge degli atti delle membra.
[47] Cfr. P. Urizzi, L’Islam:
un mondo in preghiera, p. 122.
[48] Bukhârî, Sahîh.
[49] Cfr. Eva de
Vitray-Meyerovitch, La prière en Islam, p. 86.
[50] Cfr. Ismâ‘îl Haqqî, Tafsîr rûh al-bayân, s.v.
versetto 33:56.
[51] Jazûlî, Dalâ’il al-khayrât.
[52] Tirmidhî, Sunan.
[53] L. Omar, Introduction, in Nabahânî, L’invocation de grace, p. 19.
[54] Citazioni tratte da Radtke, Ibriziana: Themes and
Sources of a Seminal Sufi Work, e da R.S. O’Fahey, Enigmatic Saint:
Ahmad ibn Idris and the Idrisi Tradition, http://riyada.blogspot.com/2007/03/safiyy-al-din-al-qushashi.html La morte del Profeta «significa solamente che egli non
è più visibile a tutti gli esseri umani, sebbene egli mantenga le sembianze che
possedeva prima della propria morte ed appaia contemporaneamente in diversi
luoghi; egli appare in sogno od in stato di veglia a coloro che egli favorisce
in modo particolare» (Aboun-Nasr, The Tijaniyya, London, 1965, p. 31,
nota, 11, che cita ‘Umar al-Futi, Rimâh hizb al-Rahîm, Cairo, 1927, I,
221, stampato in margine a ‘Alî Harâzim, Jawâhir al-ma‘ânî, Cairo, 1927,
2 voll.).
[55] È per questo motivo che
si è parlato al riguardo di neo-sufismo. Secondo il Trimingham (op. cit., p.
106), per queste Vie «lo scopo del dhikr
era l’unione con lo spirito del Profeta, piuttosto che l’unione con Dio, un
cambiamento che andava a modificare le basi stesse della vita mistica».
[56] Cfr. P. Urizzi, La
visione teofanica secondo Ibn ‘Arabî, pp. 29-35.
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