San Bernardo di Chiaravalle
Liber de Gratia et Libero Arbitrio *
L’operetta del libero arbitrio, la quale
io per la grazia di Dio cominciai poco fa per quella
cagione, che voi sapete, per l’aiuto della detta grazia al presente l’ho
compiuta. Ma io temo molto che non si trovi, o ch’io
abbia parlate le grandi cose meno che non si convegna, o che io di soperchio
non abbia detto da capo quelle cose che dette sono state da molti altri. E
però, leggete voi primo questa opera e solo, se vi
pare; acciò che forse essendo ella letta in pubblico non si pubblicasse e
manifestasse più tosto la sciocchezza e la pazzia dello scrittore, che la
utilità ne fosse edificata. E se vi pare pure che sia utile a pubblicarla,
allora vi prego che, se alcuna cosa conoscete che sia oscuramente detta, la
quale si fosse potuta dire più chiaramente, conservata la conveniente brevità,
in una materia oscura come questa, vi prego che non vi paia grave o di
emendarla per voi medesimo, o rassegnarlami, ch’io
l’emendi e corregga, se voi non volete esser privato della promessa della
Sapienza, che dice: Coloro i quali mi dichiareranno avranno vita eterna
(Ecclesiaste 24, 31).
Capitolo I
Capitolo I
Al
merito dell’opera buona con la grazia di Dio concorre il consenso del libero arbitrio
Parlandone alcuna volta pubblicamente innanzi alquanti, e lodando in me la grazia di Dio, cioè che
io mi conosceva da essa antivenuto in bene, e da essa mi sentiva guidare, e
ancora mi sperava d’essere da quella perfetto: così dicendo, ecco uno di quelli
che intorno mi stavano, parlando, così mi disse: Che dunque fai tu, ovvero che
mercé o che premio speri, se Dio fa tutto? Che dunque consigli? Dà gloria a
Dio, il quale è prevenuto a te graziosamente, ti ha desto e fatto cominciare.
Vivi dunque da quinci innanzi degnamente, provando te,
non essere ingrato a ricevuti benefizi, e apparecchiato e disposto a ricevere
gli altri. Ed io risposi: buon consiglio mi dai, se mi dai
ancora, come io possa questo tenere; però che di certo non è d’una medesima
opera, sapere quello che è da fare, e farlo; però che diverso è dare guida al
cieco, e sostegno all’affaticato. Non ogni uomo che mostra la via, dà il
viatico, cioè l’aiuto dell’andare al viandante; altro gli fa quegli che il guarda che erri; e altro quegli che guarda che nella via
egli non isvenga. E così, chiunque tu vuoi, non sarà lì per lì dottore e datore
di bene. Ma certo a me due cose sono di bisogno, cioè essere insegnato e
aiutato: e veramente tu dai consiglio alla mia
ignoranza: ma se l’Apostolo sente il vero: lo spirito aiuta l’infermità
nostra (Romani 8, 26). E così di certo colui, che per la tua bocca m’apparecchia il consiglio, colui è di necessità che
m’apparecchi l’aiuto per lo spirito suo, per il quale io possa adempiere quello
che tu mi consigli. Ed ecco già per sua grazia io mi sento il volere, ma
compierlo non trovo ancora, e non mi fido di mai trovarlo, se colui che m’ha dato il volere, ancora non mi dà di poterlo
adempiere per amore della buona volontà che trova in me. Dove, tu dirai, sono i
meriti nostri; ovvero: dove la speranza nostra? Attendi, priegotene: Non per
le opere della giustizia, le quali noi avessimo fatte,
ma per la sua misericordia ci ha fatti salvi (Tito 3, 5); e però che
t’avevi tu forse pensato? Credevi tu avere creati e
fatti i tuoi meriti? Credevi poterti salvare per tua giustizia? Che tu non
possa solo dire: Signore mio Gesù! se non per la
grazia dello Spirito Santo: ti è così passato dalla memoria chi è colui, che
disse: Senza me niente potete fare? (1 Corinzi 12,
3) Non dipende dunque né da chi vuole, né da chi corre, ma dal misericordioso
Signore (Romani 9, 16).
Dunque, tu dirai, che cosa fa il libero
arbitrio? In breve ti rispondo che il libero arbitrio è quello che sì ti salva.
Rimuovi il libero arbitrio, e di certo non sarà cosa, che ti salvi: rimuovi la
grazia, e non sarà cosa alcuna, per la quale l’uomo si salvi. Vedi dunque, che
quest’opera, senza due cose, non si può compiere: l’una cosa sia quella dalla
quale, l’altra alla quale e nella quale si adoperi.
Dio è fattore di salute, il libero arbitrio solamente ne è capace. Quella, cioè
la salute, niuno può dare, se non Dio; e quella niuna cosa può ricevere, se non
il libero arbitrio. Quella cosa dunque, che si dà da solo Dio, e ricevesi solo
dal libero arbitrio, così come non può essere senza grazia del donatore, così
ancora non può essere senza consentimento del ricevitore. E per questo si dice,
che il libero arbitrio è aiutatore della grazia operante in lui, quando egli
consente, cioè quando egli si salva; però che consentire, è salvarsi.
E da questo procede, che il peccatore (pecoris spiritus) non riceve
questa salute; però che gli manca il consentimento della volontà, cioè
d’ubbidire amorosamente al salvatore Dio; o vero, consentendo ai suoi
comandamenti, o vero, credendo e dando fede alle sue
promesse, o vero, rendendo grazie ai suoi doni. Infatti, altra cosa è il
consentimento volontario; e altra l’appetito naturale. Questo secondo è a noi
comune con le cose, che vivono senza ragione; e non può consentire allo
spirito, essendo albergato da diletti carnali. E forse questi è quelli che
dall’Apostolo è chiamato sapienza di carne
(Romani 8,6); dove dice: La sapienza della carne è nemica a Dio, però
che non è subietta alla legge di Dio, né può essere. Avendo noi dunque questo appetito comune con le bestie, com’è detto, siamo
distinti e divisi da quelle per lo consentimento della volontà. Questo
consentimento volontario è un abito dell’animo libero di sé; e questo non può
essere costretto, né rimosso contro a suo volere:
questi è di sua volontà, non di necessità. Questi non si nega e non si dà ad
alcuno, se non per la volontà sua. Perché se potesse essere costretto contro a
suo volere, già sarebbe sforzato, e non volontario; e dove
la volontà non è, non può essere il consentimento; però che il consentimento
non è se non volontario. Dunque, dov’è il consentimento,
quivi è la volontà; e certo poi segue, che dov’è la volontà, è la libertà. E
questo è quello ch’io credo, che si dica libero
arbitrio.
Capitolo II
Che
cosa è il libero arbitrio, ovvero in che consista la
libertà
Ma acciò che questa cosa sia più manifesta
e per venire più acconciamente a quello che noi vogliamo, un poco più altamente
e più da lunga mi penso che sia di pigliare quello che
è detto. Nelle cose materiali non è uno medesimo la vita, che è il sentimento;
non senso ciò che è appetito; né quello, che è consentimento. Questo si
mostrerà più chiaro per le definizioni di ciascuno per sé. Però che in ciascuno corpo la vita è un movimento, dentro e naturale,
che vive e permane pur dentro; ma il sentimento è un movimento vitale nel
corpo, che vive di fuori. L’appetito naturale è una virtù ne
l’animale data ai sentimenti, che con desiderio si muovono, ma il consentimento
è un movimento di volontà spontaneo, o vero non è altro che quello, ch’io mi
ricordo ch’io dissi di sopra, cioè un abito d’animo libero di sé.
Oltre a questo, la volontà è un movimento
ragionevole che sopra sta al sentimento, e all’appetito; e certamente questa
volontà ha sempre per compagna la ragione, dovunque ella
si rivolge, e quasi come cameriera; non ch’ella sempre si muova per ragione, ma
non sì giammai senz’essa; in tanto che molte cose fa per quella contra a
quella, cioè quasi per l’aiuto suo, e come per istrumento, ma contro al suo
consiglio e giudizio. Onde dice la Scrittura: Più
savi sono i figliuoli di questo secolo nelle relazioni con quei della loro
generazione, che i figliuoli della luce (Luca 16,8 ). E ancora dice:
Savi sono a fare il male (Geremia 4,
22). Ma prudenza, ovvero sapienza non può essere in
alcuna creatura senza la ragione, eziandio nel mal fare.
Ma certo la ragione per tanto è data alla
volontà, non perché la distrugga, ma più tosto per informarla. Certo allora la
distruggerebbe, quando le imponesse alcuna necessità, per la quale ella si potesse meno volgere a suo arbitrio. Questo dico, o vero consentendo ella nel male all’appetito; o vero
al malvagio spirito; o vero perseguitando quelle cose che s’appartengono allo
spirito di Dio: certo seguendo la grazia sua in ben fare, e divenendo
spirituale; le quali tutte cose essa volontà giudica, e da nessuno è giudicata.
Certo se ciascuna delle predette cose la volontà non potesse fare, ciò vietando
la ragione, già non sarebbe più volontà; e se la creatura ragionevole potesse
divenire buona o vero per necessità, o vero senza
consentimento della propria volontà, di certo, o senza ragione dovrebbe essere
misera, o vero non potrebbe essere beata, mancandole, in qualunque parte tu
voglia, quella cosa, la quale solamente è capace di miseria, o vero di
beatitudine, cioè la volontà. In verità tutte le cose sopradette, come vita,
sentimento, o vero appetito, per se medesime non fanno l’uomo misero, né beato;
altrimenti seguiterebbe, che, o vero gli alberi, perché vivono, e le bestie,
cioè vivono e sentono, per l’altre due cose fossero
obbligate a miseria, ovvero acconce e disposte a beatitudine; certo tutto
questo è impossibile. Avendo noi dunque comune la vita con gli alberi; e il
senso, e l’appetito, e ancora la vita con le bestie, quella che si chiama
volontà ci distingue e divide da questi. La quale volontà ha il suo consentimento
volontario, non necessario; mentre prova i giusti o vero
gl’ingiusti, facendoli veramente beati o vero miseri. Questo dunque tale
consentimento della volontà, per quella ferma libertà della ragione, la quale
esso non può perdere per lo giudizio, che mai non si
parte, portandolo sempre seco, non mi credo che senza ragione si chiami libero
arbitrio, il quale è libero di per sé per la libera volontà, e giudice di per
sé per la ragione; e degnamente il giudizio accompagna la libertà; però che
quella cosa che è libera di sé, dove ella pecca, in quella parte si giudica; e
per tanto è il giudizio sempre con lei, però ch’ella giustamente, quando pecca,
patisce quello ch’ella non vuole; la quale volontà non pecca, se ella non
vuole. Ma quella cosa, che non è conosciuta libera di
sé come le può essere imputato bene o vero male? La necessità cioè scusa l’uno
e l’altro. Certo dov’è la necessità non è libertà; e
dove non è libertà non è merito; e per questo ancora seguita, che non v’è
giudizio. Eccetto sempre in queste parole il peccato originale, il quale di
vero ha altra ragione. Del resto checché non ha questa libertà del volontario
consentimento, di certo degnamente è senza giudizio: e pertanto tutte le cose
che sono all’uomo, fuori che sola la volontà, sono libere da queste due, cioè
da libertà, e da giudizio; perché non sono libere di sé: la vita e i1
sentimento, la memoria e l’ingegno, e altre simili cose, per tanto sono
sottoposti alla necessità, perché non sono soggette alla volontà; ma essa
volontà impossibile è che sia privata della sua libertà; però ch’è impossibile, che quello che è di lei, non la ubbidisca:
(nessuno può volere quello che non vuole, o vero non volere quello che vuole).
Certo può bene mutarsi la volontà, ma non se non in altra volontà, si che mai
non perda sua libertà. Così dunque non può essere mai senza quella,
come non può essere senza se medesimo. Se l’uomo potesse mai, o vero niente
volere, o vero alcuna cosa senza la volontà, certo
allora potrebbe la libertà essere senza volontà. E quinci procede, che a pazzi,
vero a infanti, o a chi dorme, di ciò che fanno, niente è
imputato loro a bene o a male. E questo è certo, però che, come non sono
padroni della propria ragione, così non ritengono
l’uso della propria volontà; e ancora per questo non ritengono il giudizio
della libertà. Dunque, la volontà nessuna cosa avendo
libera, se non se stessa, non è giudicata se non da sé. Certamente né il tardo
ingegno, né la memoria labile, né ancora l’appetito inquieto, né il grosso
sentimento, né la debile vita fanno per se medesime
1’uomo colpevole; sì come i contrari di questi noi fanno innocente. E questo
non è per altro, se non perché veramente [si dimostrano poter accadere] possono avvenire necessariamente e senza volontà.
Capitolo III
Triplice
divisione della libertà: della Natura, della Grazia, della Gloria
Sola dunque la volontà, però che per la
libertà ingenerata in lei, per nessuna forza, per nessuna necessità si può
discordare da sé, o vero accordarsi in alcuna cosa senza sé;
sola, dico, la volontà compone una creatura giusta, o vero ingiusta, capace e
degna di beatitudine, o di miseria, in quanto avrà consentito nella giustizia o
nell’ingiustizia. Per la qual cosa non credo che sia male definito, come noi
dicemmo di sopra, questo volontario e libero consentimento, per il quale
dipende ogni giudizio di sé, per le cose che dette sono. Questo si suole
chiamare libero arbitrio; sì che libero si riferisca
alla volontà, arbitrio alla ragione. Ma certo non si chiama libero da quella
libertà della quale parla l’Apostolo, dicendo: Dov’è lo spirito del Signore,
ivi è libertà (2 Corinzi 3, 17); però che quella è libertà del
peccato, come esso dice altrove, quando dice: Essendo voi servi del peccato,
liberi foste alla giustizia; ma ora liberati dal peccato, e fatti servi a Dio,
avete il frutto vostro in santificazione e fine la vita eterna (Romani
6, 18). Ma chi può essere
libero dal peccato nella carne del peccato? Dunque questa sì fatta libertà, non
dico che si chiami libero arbitrio. Ancora è una
libertà, che si chiama libertà da miseria, della quale ancora dice l’Apostolo,
dicendo: Essa creatura sarà liberata dalla servitù della corruzione nella
libertà della gloria dei figliuoli di Dio (Romani
8, 21). Ma or presume alcuno d’avere questa tale
libertà in questa mortalità? Questa libertà non senza ragione, neghiamo che si
chiami libero arbitrio; ma un’altra libertà è, la quale io mi penso che più si
confaccia a questo libero arbitrio, la quale noi
possiamo chiamare libertà da necessità, cioè quella cosa sia libera, che non è
costretta da necessità. Questa dunque si chiami libertà da necessità, però che il necessario pare sia contrario al volontario; però che
certamente quello che si fa per necessità, non è di volontà; e così per lo
converso, quello che non è di volontà, è di necessità: dunque, secondo che ci è
potuto occorrere, ci siamo proposte tre libertà, e l’una si chiami libertà dal
peccato, l’altra libertà da miseria, la terza libertà da necessità.
Quest’ultima ci ha data la natura nella nostra
creazione: nella prima noi siamo restaurati dalla grazia: la mezzana ci è
riservata nella patria. Dunque si chiami la prima,
libertà di natura; la seconda, di grazia; la terza, di vita, o vero di gloria.
Certamente in prima noi siamo fatti una nobile creatura a Dio, in libera
volontà, e volontaria libertà. Secondariamente siamo riformati in innocenza,
una nuova creatura a Cristo. Nel terzo luogo siamo esaltati in grazia perfetta,
creatura in spirito. La prima dunque libertà ha molto d’onore, la seconda
ancora molto di virtù, l’ultima ha pienezza di giocondità. Per la prima noi
siamo nobili sopra tutti gli altri animali; per la seconda sopra la carne; per
la terza ci sottomettiamo la morte. O vero certamente, sì come nella prima Dio
sottopose ai nostri piedi le pecore, e buoi e le bestie del campo; così nella
seconda abbatte e pone sotto i nostri piedi le
spirituali bestie di questo mondo, delle quali dice la scrittura: Non dare
alle bestie l’anime che si confessano a te. Nell’ultima sottometterà più
pienamente noi a noi per la vittoria della corruzione e della morte. Ciò sarà
quando sarà distrutta l’ultima morte, e noi passeremo in libertà della gloria
del Figliuolo di Dio, con la quale libertà ci libererà
Cristo, quando egli ci darà reame a Dio e al padre. Di questa libertà, e di
quella che noi diciamo libertà da peccato, credo che
Cristo parlava ai Giudei, quando diceva: Se il Figliuolo di Dio vi farà
liberi, voi sarete veramente liberi (Giovanni 8, 36). Per le quali
parole significa, che il libero arbitrio abbisognava
di liberazione. Ma certo non s’intenda per liberarlo
da necessità, la quale profondamente non riconosceva essere la volontà; ma ciò
s’intenda che lo liberasse dal peccato nel quale egli era caduto, così per
libertà, come per volontà; e ancora che lo liberasse dalla pena del peccato,
nella quale egli era incorso incautamente, e la quale egli patia contro a suo
volere: di quali due mali, cioè dal peccato e dalla pena, esso non poteva
essere liberato, se non per colui, il quale solo è fatto libero tra morti:
libero intendi dal peccato tra i peccatori. Però che solo egli tra i figliuoli d’Adamo s’ha acquistato libertà da peccato, il
quale non fece mai peccato, e già mai non si trovò inganno in sua bocca: e
veramente ancora aveva la libertà dalla miseria, la quale è pena di peccato; ma
questa tale libertà ebbe egli in potenza, e per possibilità non attualmente;
però che nessuno toglieva l’anima sua da lui, ma egli stesso di sua libertà la
poneva per altrui. Ciò testimonia il profeta dicendo: Egli fu offerto, perché
volle (Isaia 53,7): sì come quando egli volle nacque di femmina,
fatto e posto sotto la legge, acciò che ricomperasse coloro ch’erano
sotto la legge. Dunque ben fu esso sotto la legge della miseria; ma ciò fu però
che volle, acciò ch’egli libero tra miseri e peccatori
levasse l’uno e l’altro giogo da’ colli dei fratelli. Questi ebbe tutt’e tre le
libertà, la prima dalla umana e dalla divina natura
insieme; le altre due dalla divina potenza. Appresso vedremo se i1 primo uomo
nel paradiso ebbe queste due ultime, e come e in che modo l’ebbe.
Capitolo IV
Quale
libertà compete alle anime sante, sciolte dal corpo, quale a Dio e a ogni
creatura razionale
Ma per ora senza dubbio è da sapere, che
l’una e l’altra piena e perfetta è nell’anime
perfette, che sono liberate dalla carne e congiunte con Dio insieme e coi suoi
angeli celestiali. Però che all’anime sante, non
avendo esse ancora i corpi loro di certo, manca alcuna cosa di gloria, ma
niente di miseria è però in loro: ma la libertà da necessità, senza differenza
di pari si conviene a Dio e a ogni creatura ragionevole così buona come rea: o
per peccato o per miseria non si perde e non scema; né ancora è maggiore nel
giusto che nel peccatore, né più abbondante nell’angelo che nell’uomo. Però che
si come il consentimento dell’umana volontà per grazia convertito al bene, per
tanto fa liberamente l’uomo buono, e nella bontà il fa
libero, per quanto è fatto volontario e non costretto centra a suo volere; così
per sua volontà rivolto nel male, in esso nientemeno fa l’uomo libero e
spontaneo, recato a ciò per sua volontà e non costretto altronde, donde esso
sia reo. E secondo che il celestiale angelo, o vero eziandio esso Dio, sta e
permane liberamente buono, e cioè per propria volontà, non per alcuna necessità
di fuori; così in verità il diavolo parimente libero, e’
cadde nel male, e in quello permane certo per suo volontario consentimento, non
per estraneo costringimento. Sta dunque la libertà della volontà quivi, dove è
la prigione della mente, così piena nei rei, come nei buoni, ma nei buoni più
ordinata; ancora così intera, per lo suo modo, nella
creatura, come nel creatore, ma in lui è più potente.
Ma quello di che si sogliono dolere gli
uomini, e dire: io voglio avere la buona volontà, e non posso, niente pregiudica
a questa libertà, che perciò la volontà sostenga quasi forza o vero necessità in questa parte; ma chiaramente allora dice
l’uomo che manca di quella libertà che noi dicemmo di sopra libertà dal
peccato. Però che qualunque vuole avere buona volontà non la vuole
avere se non per sua volontà. Dunque ha volontà: se ha
volontà, per quello che detto è, segue che abbia libertà. Se ha libertà, certo
ha libertà da necessità, non da peccato; questo vedi
per le cose sopra dette. Ma diremo che non può avere
la buona volontà quando egli vuole. Certo bene si sente mancare la libertà; ma
quale libertà? La libertà da necessità? No; ma la
libertà dal peccato. In quanto egli si duole che la
volontà è aggravata ma non è annullata: benché di certo come che si sia egli ha
già buona volontà poiché la vuole avere, certo egli è bene quello che vuole; e
volere bene non potrebbe se non per buona volontà, e così male non potrebbe
volere se non per mala volontà. Quando noi vogliamo il bene
la volontà è buona, quando vogliamo il male la volontà è rea. E così in
ciascuna parte è volontà e libertà. Certo la necessità dà luogo alla volontà;
ma quando noi non possiamo quello che vogliamo, allora sentiamo bene la libertà
nostra essere un poco misera, o prigione per lo
peccato; ma non però la sentiamo perduta al tutto. Da questa dunque tale
libertà crediamo noi che si denomini il libero arbitrio: con la
quale è libero a la volontà giudicarsi buona, se consente al bene; o
vero rea, se consente al male; la quale certamente in niuna parte può consentire
se non volendo. Ma da quella che si chiama libertà da peccato forse più tosto convenientemente si potrebbe dire consiglio libero; e
ancora da quella che si chiama libertà da miseria si potrebbe più tosto dire
piacimento libero, che libero arbitrio. L’arbitrio è giudizio: e sì come al
giudizio sta di discernere quello che è lecito o non;
così al consiglio sta di provare quello ch’è utile o non; e così al piacimento
sta di provare quello che piace o non. Volesse Dio che noi ci consigliassimo
così liberamente, come noi giudichiamo liberamente di noi medesimi; acciò che
secondo che per lo giudizio noi discerniamo
liberamente le cose licite e inlicite, così per lo consiglio avessimo ad
eleggere le cose licite come buone, e le inlicite fuggissimo come nocive. Però
che già saremo non solamente di libero arbitrio, ma
ancora di libero giudizio e per questo saremo liberi dal peccato. Ma che dirai anche se solo e tutto ciò ci piacesse che ci
fosse utile e lecito? Non saremo noi detti degnamente di libero piacimento
sentendoci noi liberi da ogni cosa che può dispiacere, cioè da ogni miseria? Ma
ora, poiché per lo nostro giudizio noi discerniamo e
vediamo molte cose essere da fare, o vero da fuggire, le quali non però noi
eleggiamo, o vero dispregiamo per lo consiglio, acciò che si dirizzi il
giudizio: e ancora da capo, poiché noi non abbracciamo volentieri, e come cose
piacevoli tutte quelle, che noi osserviamo e teniamo per buone e per diritte
per lo consiglio, anzi molte volte come cose dure e moleste non le continuiamo
con animo pacifico; per questo è manifesto che noi non abbiamo in noi libero né
consiglio, né piacimento.
Un’altra questione c’è, se noi innanzi al
peccato avemmo queste tre libertà nel primo uomo; la quale
esamineremo nel suo luogo. Ma certissimamente siamo
per avere queste tre libertà sopradette quando per la misericordia di Dio
avremo e terremo quello che noi spesso oriamo dicendo: Sia fatta la volontà
tua nella terra come in cielo (Matteo 6, 10). Però che questo si compirà,
poiché quell’arbitrio, il quale di sopra è detto, che è comune in ogni parte a
ogni creatura ragionevole, si vede e conoscesi libero cioè da necessità; ciò
vuol dire sarà negli uomini eletti, come già è nei santi angeli, che sarà in
loro l’arbitrio guardato da ogni peccato e sicuro d’ogni miseria. I quali
eletti proveranno con felice esperienza di queste tre predette libertà quale
sia la buona volontà di Dio e la beata e perfetta. Ma
ciò ancora non essendo, sola la libertà dell’arbitrio rimane piena e intera in
tutti. Però che la libertà del consiglio è in loro pure in parte, e questa è in
alquanti pochi e spirituali uomini, i quali anno
crocefissa la carne loro acciò che già non regni il peccato nel loro
mortificato corpo.
E certo che il peccato non regni in loro
non lo fa se non la libertà del consiglio. Ma pure non
mancando il peccato perfettamente, in questo si può dire che sia prigionia del
libero arbitrio. Ma quando verrà quello che è
perfetto, allora al tutto si leverà quello che è in parte: cioè quando sarà
piena la libertà del consiglio, allora non sarà prigione d’arbitrio. E questo è
quello che noi domandiamo continuamente nell’orazione, quando diciamo: venga
il regno tuo (Matteo 6, 10). Questo regno
ancora non è al tutto pervenuto in noi, ma continuo a poco a poco viene, e di
dì in dì più e più distende i termini suoi. E questo si fa solamente in coloro
che di dì in dì rinnovellano l’uomo dentro. In quanto
dunque si stende il regno della grazia, in tanto scema la podestà del peccato.
Ma però che ancora ci ha meno della grazia per lo corpo
mortale, che aggrava l’anima, e per la necessità ancora dell’abitazione
della terra, la quale ha a gravare il sentimento che pensa molte cose; pertanto
eziandio coloro che sono più perfetti in questa mortalità sono costretti di
dire: Noi pecchiamo tutti in molte cose (Giacomo 3, 2). E: Se
noi diremo che noi non abbiamo peccato, noi stessi c’inganniamo, e la verità
non è in noi (1 Giovanni 1, 8). Per la quale cosa ancora costoro orano senza interruzione, dicenti:
Venga il regno tuo (Matteo 6, 10). La qual cosa non si compirà
eziandio in loro, infino a tanto che il peccato non solamente non regni nel
corpo loro mortale, ma al tutto non vi sia peccato né possa essere nel corpo
loro già immortale.
***
«Tra le grandi figure del Medioevo, poche ve ne sono il cui studio sia più atto di quella di San Bernardo a smentire certi pregiudizi cari allo spirito moderno. Che vi è, infatti, di più sconcertante per quest’ultimo del vedere un puro contemplativo, che sempre volle essere e rimanere tale, chiamato a ricoprire un ruolo preponderante nella condotta degli affari della Chiesa e dello Stato, e riuscendo spesso dove aveva fallito tutta la prudenza dei politici e dei diplomatici di professione? Che di più sorprendente e addirittura di più paradossale, secondo il modo abituale di giudicar le cose, di un mistico che mostra solo sdegno per quelle che chiama «le arguzie di Platone e le sottigliezze di Aristotele», e che tuttavia trionfa senza fatica sui più sottili dialettici del suo tempo? Tutta la vita di San Bernardo potrebbe sembrar destinata a mostrare, con un esempio eclatante, che esistono, per risolvere i problemi dell’ordine intellettuale e pure dell’ordine pratico, mezzi totalmente diversi da quelli che si è usi da troppo tempo a considerare come i soli efficaci, indubbiamente perché sono i soli alla portata d’una saggezza puramente umana, che non è neppure l’ombra della saggezza vera» (René Guénon, Saint Bernard, Éditions Publiroc, Marseille, 1929).
* Estratto dal Liber de Gratia et Libero Arbitrio. Cfr. S. Bernardo, Trattato della Grazia e del Libero Arbitrio, a cura di Michele Giorgiantonio, R. Carabba Editore, Lanciano, 1928, cap. I-IV.
* Estratto dal Liber de Gratia et Libero Arbitrio. Cfr. S. Bernardo, Trattato della Grazia e del Libero Arbitrio, a cura di Michele Giorgiantonio, R. Carabba Editore, Lanciano, 1928, cap. I-IV.
Tratto da: https://letteraespirito.wordpress.com
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