"…la dottrina è infallibile, è a causa del fatto che essa è un’espressione della verità, la quale, in se stessa, è assolutamente indipendente dagli individui che la ricevono e che la comprendono. La garanzia della dottrina risiede in definitiva nel suo carattere «non-umano»". René Guénon, Considerazioni sull’iniziazione, cap. "Sull’infallibilità tradizionale"

giovedì 9 novembre 2017

Ibn ‘Arabî, La Conoscenza della povertà (faqr) e dei suoi segreti - (Al-Futâhâtu-l-Makkiyyah cap. 162)

IbnArabî 
La Conoscenza della povertà (faqr)[1] e dei suoi segreti


Al-Futâhâtu-l-Makkiyyah cap. 162


Allah, l'Altissimo, ha detto: «O uomini, voi siete i poveri nei confronti di Allah ed Allah è il Ricco, Colui che è lodato (al-hamîd)» (Cor. XXXV-15), cioè lodato per mezzo dei Suoi Nomi, mentre noi siamo poveri nei confronti dei Suoi Nomi, ed è per questa ragione che in questo versetto Egli ha impiegato il nome Allah, che comprende sinteticamente tutti i Nomi Divini.
La realtà essenziale (haqîqah) del segreto della povertà è nascosta nel versetto « ... ma Allah ha ascoltato le parole di coloro che dicono: In vero Allah è povero e noi siamo ricchi! » (Cor. III-181): se costoro secondo le apparenze sono ricchi, lo sono per la realtà essenziale contenuta nel seguito del versetto: «Noi scriveremo ciò che essi diranno!» (Cor. ibidem)[2].
La sua causa seconda (sabab) è: «...ed essi prestano ad Allah » quanto è trascendente! «un prestito generoso» (Cor. LVII-18)[3]; la sua spiegazione (bayân) e la sua prova (dalîl) sono: «L'Ihsan è che tu adori Allah come se Lo vedessi!»[4]; la sua ricompensa è: «...e ciò che essi fanno di bene non sarà disconosciuto» (Cor. III-115).
Alla porta della povertà non c'è ressa perché essa è larga e la sua norma (hukm) è d'applicazione generale[5]: la povertà è una qualità trascurata (mahjûr), ma in realtà nessuno ne è privo ed essa è presente in ogni povero in proporzione a ciò che gli viene dato dalla sua realtà essenziale[6].
La povertà è quanto di piu piacevole possa essere accordato al conoscitore ('arif) poiché lo introduce dal Vero, il quale lo accoglie in quanto è stato da lui invocato per mezzo della povertà, essendo tale invocazione (du'â') una richiesta[7].
Prossima alla povertà è sua sorella, l'umiltà (dhillah). A questo riguardo Abu Yazîd ha raccontato che Allah gli disse: «Avvicinati a Me con ciò che non mi appartiene: l'umiltà e la povertà (iftiqar)!»[8].
Nel linguaggio queste due qualità vengono attribuite alle possibilità (mumkinât), mentre non vengono mai attribuite a Colui la cui esistenza è necessaria. Nel versetto che riferisce il Suo detto: «...voi siete i poveri nei confronti di Allah» (Cor. XXXV-I5) Allah si è denominato per noi con il nome di tutto ciò di cui si ha bisogno, ed Egli è geloso che si possa avere bisogno di altri che Lui![9]
Il povero è colui che ha bisogno di ogni cosa e di cui nulla e nessuno hanno bisogno: per coloro che hanno realizzato (muhaqqiqûn) questa è la condizione (hal) del puro servo, il quale è povero tanto nella realtà (shay'iyyah) della sua esistenza quanto nella realtà della sua sua non-manifestazione[10].
Dunque la povertà è uno stato di necessità (ihtiyaj) essenziale, senza specificazione di un bisogno, poiché l'uomo ignora ciò che è meglio per lui.
Tra i Nomi di Allah vi è «Colui che impedisce» (al-mâni’) e d'altra parte Egli «...conferisce ad ogni cosa la sua creazione» (Cor. XX-50), persino all'intenzione (gharad): creandola in noi le ha dato la sua creazione, e noi non cessiamo di avere intenzioni!
Allah pone impedimenti solo in vista di ciò che è giusto (maslahah) che sia, cosi come prolunga la vita ad alcuni affinché aumentino le loro colpe: invero è Lui che dà a loro il peccato (ithm), cosi come dà al peccato la sua creazione.
L'elargizione (in'âm) del Vero non è condizionata ed i ricettacoli (qawâbil) ricevono conformemente alle loro predisposizioni (isti'dâdât): il Suo atto di impedire corrisponde in realtà ad un dare, avendo Egli la scienza di ciò che è giusto che sia[11].
Si racconta che un Sûfî Gli chiese chi fosse il povero, al che Egli rispose: «Chi non ha alcun bisogno nei confronti di Allah!», cioè nessun bisogno determinato, sottolineando cosi che per il povero lo stato di necessità è essenziale. Allah invero «...conferisce ad ogni cosa la sua creazione» (Cor. XX-50) e quindi ti dà ciò che per te è giusto (maslahah), se tu lo capissi!
Colui che detiene questo «maqâm» non ha che da smettere di chiedere ad Allah, ed infatti Allah ha prescritto l'atto di domandare (su’âl) solo a colui che non ha questa visione essenziale (shuhûd), poiché, ingelosito dal fatto che costui chieda ad altri, gli ha prescritto di chiedere a Lui.
E poiché Egli sa dal principio che creerà degli uomini che chiederanno ad altri che Lui e che celerà loro la scienza del fatto che in realtà è Lui che viene richiesto in tutte le cose che vengono domandate, siano esse dei minerali, delle piante, degli animali, degli angeli od ogni altra cosa creata, l'Altissimo ci ha reso noto che è nei confronti di Allah che gli uomini sono poveri e che quindi è Lui in realtà la cosa richiesta (mas'ûl).
Il regno (malakût) di ogni cosa è quindi nelle Sue mani: la povertà nei confronti di Allah è la «radice» (asl) e coloro che hanno scienza di Allah sono quelli che preservano i loro stati (ahwâl).
Colui che è ricco per Allah è povero nei suoi confronti, ma l'attribuzione dell'espressione «essere poveri verso Allah» è piu degna di quella di essere ricchi, in quanto la ricchezza è un attributo essenziale che abolisce la relazione tra l'Essenza del Vero e la manifestazione, mentre la richiesta (talab) implicita nella condizione di povertà presuppone una relazione. In effetti colui che ha ottenuto non cerca più, e d'altra parte la richiesta non può che concernere qualcosa che colui che chiede in quel momento non ha, e quindi essa è correlata con la povertà ('udum), che è l'essenza di ciò che non esiste (ma'dum) (per se stesso): talora ciò che viene richiesto si trova in un'essenza ('ayn) esistente, ma non c'è essenza esistente (per se stessa al di fuori del Vero). Nel mondo (kawn) non ci sono che richiedenti (tâlib) e quindi non ci sono che poveri.
La povertà si differenzia dagli altri attributi per una realtà (amr) che appartiene solo ad essa e cioè per il fatto che è un attributo sia per ciò che non esiste (ma'dûm) che per ciò che esiste (mawjûd), mentre ogni altro attributo dell'esistenza ha come sua condizione il fatto di fondarsi su qualcosa di esistente. Non vedi che il possibile (mumkin) nel suo stato di non-manifestazione è dipendente (yaftaqiru) da «Colui che fa piegare la bilancia» (al-murajjih: colui che dà maggior peso)[12] e che quando gli viene conferita l'esistenza continua ad essere dipendente per il mantenimento e la conservazione della sua esistenza? Esso non cessa quindi di essere povero, essendo dotato di povertà sia nel suo stato di esistenza che nel suo stato di non-manifestazione.
La povertà dunque è il «maqam» che ha la norma (hukm) piu generale (a'amm) e colui che la realizza con la specifica attribuzione (idâfah) che essa sia tale nei confronti di Allah e non di altri (per cui è Lui ad essere lodato) è da essa reso felice, avvicinato ad Allah e reso cosi partecipe di questa attribuzione.
Analogamente ogni attitudine, a cui l'uomo è incline, come l'avarizia, la cupidigia, l'avidità, la gelosia può essere nobilitata ed elevata grazie all'attribuzione ed al suo orientamento, come può essere per gli stessi motivi avvilita e degradata.
Non c'è povertà piu grande di quella dei re in quanto il re ha bisogno di tutto ciò che è necessario perché il regno sia in ordine, anche dello spazzino: egli dunque è povero nei confronti del suo regno, grazie al quale conserva il nome di re.
Nell'anno 581 l'astronomo Abû-1-Qamh ricordò al Sultano Saladino Yusuf ibn Ayyûb, Allah abbia misericordia di lui, che in quell'anno un vento potente avrebbe ridotto in polvere ogni cosa su cui fosse passato. Uno dei commensali presenti suggeri al Sultano di ripararsi in un rifugio sotterraneo la notte in cui avrebbe soffiato quel vento. Al che il Sultano chiese: «Ma la gente morirà?!» - «Certamente!», gli fu risposto. Allora egli disse: «Se la gente muore di chi sarò Re o Sultano? Non c'è piu bene nella vita dopo la scomparsa del regno! Per Allah, non lo farò!». Rifletti: cosa c'è di piu nobile (ahsanu) di questo? Ogni essere relativo (mawjûd idafî) trae la sua realtà per mezzo della povertà, anche se non si rende conto di ciò e anche se lo realizza (wajada) ma non sa che ciò si chiama povertà. Se la sua condizione (hukm) è questa, la povertà nei confronti di Allah, l'Altissimo, nelle cui mani è il regno di ogni cosa, è immutabile (thâbit) e nello stesso tempo esistente (mawjûd).
Questo è ciò a cui fa allusione (ishârah) il detto dell'Altissimo: «…scriveremo ciò che essi diranno...»  (Cor. III-I8I), cioè lo imporremo (sa-nuwajjibu-hu); in altre parole, essi sapranno che la povertà è un attributo necessario (wâjib) di cui non possono dubitare, essendo la sua necessità essenziale dimostrata dal loro detto: «...e noi siamo ricchi » (Cor. III-181), in quanto è proprio per la loro povertà che essi non vedono come stanno le cose e sono quindi miscredenti.
Essi nascondono ciò che da loro stessi conoscono per gusto spirituale (dhawq) e che non possono negare, ed anche se profferiscono calunnie (bâhatû) il loro stato (hâl) li smentisce: essi dicono di essere ricchi ma non lo sono e dicono che invece Allah è povero, mentre Allah nella Sua Essenza (dhât) non è povero, essendo indipendente (ghaniyyu: ricco) dai mondi. A questo proposito si è già parlato in vari punti di questo libro del significato della Sua affermazione di essere indipendente dai mondi (Cor. III-97) e di come questa sia diversa dalle affermazioni: «...ed Allah è il Ricco » (Cor. XXXV-I 5), e «...Allah è il Ricco e voi siete i poveri» (Cor. XL VII-38)[13].
Se hai capito che è questa la povertà, non cessare di cercare la sua presenza ad ogni tuo respiro ed in ogni stato e ricollega la tua povertà direttamente ad Allah in modo assoluto, senza specificazione (ta'yîn): ciò è meglio per te. Se poi non sei in grado di fare a meno della specificazione (o determinazione) almeno ricollega la tua povertà ad Allah, l'Altissimo, con la specificazione.
Allah, l'Altissimo, rivelò a Mosè: «O Mosè, non prendere altri che Me come luogo ove trovare ciò di cui hai bisogno e chiediMi persino il sale che metti nella tua pasta!». Questo è l'insegnamento di Allah al Suo profeta Mosè, su di lui la Pace.
In vero ho visto Allah, Gloria a Lui l'Altissimo, in sogno, che mi diceva: « ncaricaMi delle tue faccende!»: mi sono dunque affidato a Lui e non ho visto altro che infallibilità ('ismah), lode ad Allah per questo!
Allah, l'Altissimo, ci ha posto tra coloro che sono poveri verso di Lui per mezzo di Lui: invero la povertà verso di Lui per mezzo di Lui (al-faqr ilayhi bihi) è identica alla ricchezza (ghinâ), in quanto Egli è il Ricco e tu sei povero per mezzo di Lui, quindi per mezzo di Lui sei indipendente (ricco) dai mondi. Sappi ciò!

Capitolo 73 delle «Al-Futâhâtu-l-Makkiyyah»

Fanno parte degli Intimi (awliyâ'), Allah sia soddisfatto di loro, i poveri (fuqarâ')[14]; neppure loro sono in un numero definito: talvolta aumentano, talvolta diminuiscono[15].
Allah, l'Altissimo ha detto, ad onore (tashrîfan) di tutte le cose esistenti e come testimonianza ad esse: «O uomini, voi siete i poveri nei confronti di Allah…» (Cor. XXXV-15): i poveri dunque sono coloro che hanno bisogno (yaftaqirûn) di ogni cosa, in quanto ciò di cui hanno bisogno si chiama Allah.
Invero la realtà essenziale non ammette che si abbia bisogno di altro che Allah ed Allah ha notificato che gli uomini sono poveri nei confronti di Allah in modo assoluto: è grazie ad essi che la povertà è stata resa manifesta.
Ci è stato insegnato che il Vero si è manifestato nella forma di tutto ciò in cui si ha bisogno di Lui; non c'è però nessuna cosa che abbia bisogno dei poveri nei confronti di Allah, nell'accezione che ha questo termine nel versetto sopra citato, mentre costoro hanno bisogno di ogni cosa. Agli altri uomini le cose nascondono Allah, mentre i «fuqarâ» considerano tutte le cose, compreso loro stessi, come supporti in cui il Vero si manifesta ai Suoi servi.
L'uomo ha bisogno del suo udito, della sua vista e di tutte le sue membra e delle sue percezioni, sia esteriori che intedori: ora Allah ha notificato in un «hadîth», la cui autenticità è indubbia, che è Lui l'udito del servo, la sua vista e la sua mano, e quindi il «faqîr» nella sua dipendenza (iftiqâr) dal suo udito e dalla sua vista non dipende in realtà che da Allah.
Dunque il suo udito e la sua vista sono il supporto di manifestazione del Vero ed il Suo supporto epifanico (majlâ), cosi come tutte le cose.
Quanto sono sottili la penetrazione (sarayân) del Vero nelle cose esistenti e la loro compenetrazione! A ciò corrisponde il Suo detto: «Faremo loro vedere i Nostri segni negli orizzonti ed in loro stessi» (Cor. XLI-53), o ve il termine segni (ayât) sta ad indicare che si tratta dei luoghi di manifestazione del Vero. Questa è la condizione (hâl) di coloro che sono poveri verso Allah, non ciò che immaginano quelli che non hanno alcuna scienza della via degli iniziati (al-qawm)!
Il «faqîr» è colui che ha bisogno di se stesso e di ogni cosa e di cui nessuno ha bisogno: questa è la piu nobile delle condizioni!
Abû Yazîd chiese: «O Signore, con che cosa mi posso avvicinare a Te?» ed Allah gli rispose: «Con ciò che non mi appartiene: l'umiltà (dhillah) e la povertà (iftiqâr)!».
Allah, l'Altissimo, ha detto: «…e non ho creato i Jinn e gli uomini se non perché mi adorino...!» (Cor. LI-56), cioè si sottomettano a Me, ed essi non si sottometteranno (yatadhallalu) a Me a meno che non Mi riconoscano nelle cose; è a Me dunque che saranno sottomessi e non a coloro in cui mi manifesto né a ciò che essi stessi manifestano, per il fatto di essere i supporti della Mia manifestazione. Sono Io la loro esistenza, ma essi non vedono da loro stessi altro che la loro esistenza! Sappi ciò.

Tratto da: Rivista di Studi Tradizionali 62-63
(traduzione dall'arabo di Placido Fontanesi)


[1] Mentre ll termine «povero» significa etimologicamente «colui che possiede poco» o «colui che produce poco», il suo corrispettivo arabo «faqîr» mette piuttosto l'accento su ciò che consegue da questo stato di «povertà» e cioè sul fatto di «avere bisogno». Pertanto per una migliore comprensione del testo è bene avere presente questa differenza di significato: ad esempio il versetto coranico citato all'inizio del testo: «O uomini, voi siete i poveri nei confronti di Allah ... » va inteso come: « O uomini, voi siete coloro che hanno bisogno di Allah ... ». In molti punti del testo il termine arabo «faqr» ed i suoi derivati potrebbero anche essere correttamente tradotti come implicanti il senso di «dipendenza»; questa traduzione per quanto non letterale corrisponde ad uno dei significati profondi del termine, come risulta chiaramente dal seguente passo dell'articolo dedicato da René Guénon a El-Faqru: «Questi esseri, uomini o altri, sono dunque, in tutto ciò che essi sono, in uno stato di completa dipendenza nei confronti del Principio ... ; è nella coscienza di questa dipendenza che consiste propriamente ciò che parecchie tradizioni designano come la povertà spirituale».
[2] In altre parole il segreto della povertà è che tutti gli esseri, volenti o nolenti coscienti o non coscienti di ciò, sono in una condizione di completa dipendenza nei confronti del Principio e persino la loro negazione di questa dipendenza è possibile solo in virtu della loro «povertà». Nel seguito del testo questo aspetto verrà chiaramente precisato dallo stesso ibn 'Arabî, commentando l'ultimo versetto qui citato.
[3] Come risulta dal capitolo delle Al-Futûhâtu-l-Makkiyyah, di cui piu avanti diamo un estratto, il paradossale «prestito»
di cui si tratta è costituito dal fatto di essere il supporto di manifestazione di Allâh: in altre parole gli esseri prestano ad Allâh la possibilità di manifestarsi ed in questo modo sono la «causa seconda» della «povertà», cioè della loro stessa dipendenza, in lutto ciò che «sono», dal Principio.
[4] Si tratta, secondo un hadîth, della risposta data dal Profeta Muhammad all'arcangelo Gabriele che sotto sembianze umane lo interrogava riguardo alla Fede (Imân) , alla sottomissione (Islâm) ed all'Ihsân. Per quanto concerne i rapporti tra l'adorazione ('ibadab) dl Allah, implicita nell'Ihsân, e la povertà, si possono trovare ulteriori precisazioni di Muhyiddîn ibn 'Arabî nell'ulumo paragrafo dell'estratto del cap. 73.
[5] Nei versi che si trovano all'inizio di questo capitolo delle Al-Futtûhâtu-l-Makkiyyah viene ripetutamente affermato che: «La povertà è una realtà (amr) che comprende tutto il mondo (kawn)».
[6] In altri termini ogni essere manifestato dipende, cioè è povero, per tutto ciò che è, dalla sua realtà essenziale, la quale non è altro che Allah.
[7] La povertà in quanto «stato di dipendenza» è una realtà sempre presente nell'essere manifestato, ma è solo allorquando viene riconosciuta che essa viene realizzata anche come uno «stato di bisogno», implicante di conseguenza una «richiesta» nei confronti di ciò da cui si dipende.
[8] Nella raccolta Parole di Sufi di Farîd ad-Din-al-Attâr (ed. Boringhieri, 1964) si trova un episodio assai simile a quello qui citato: «Abu Yazîd raccontava ancora: "Un giorno intesi una voce che mi disse: O Abu Yazld! Il Nostro Tesoro rigurgita di atti di adorazione e di devozione; se tu desideri possederci, portaci qualcosa che non si trovi nel Nostro Tesoro! - Ma, o mio Dio – gridai – che cosa posso dunque portare? E la voce mi rispose: Portami l'angoscia, l'umiltà, la supplica, la contrizione del cuore!"». (p. 231).
[9] La frase coranica: «O uomini! Voi siete i poveri verso Allah ...», che come abbiamo visto può essere anche tradotta: «O uomini! È di Allah che voi avete bisogno...», non va intesa nel senso che c'è Allah e ci sono le cose e che è solo di Allah che si ha bisogno, ma nel senso che non c'è che Allah e che è necessario riconoscerLo in ogni cosa di cui si ha bisogno. Come viene infatti precisato nel cap. 73 delle Al-Futûhâtu-l-Makkiyyah, il termine «povero» (faqîr), nel suo significato piu elevato, si riferisce ad esseri che riconoscono tutte le cose, compreso loro stessi, come supporti in cui Allah si manifesta ai Suoi servi.
[10] In aggiunta ai chiarimenti dati nel seguito del testo rimandiamo il lettore alla traduzione di Muhyiddîn ibn 'Arabî pubblicata nel n. 47 di questa rivista.
[11] Nel cap. 558 delle Al-Futûhât-l-Makkiyyah, commentando il versetto coranico «...Ciò che Allah dischiude della Sua Misericordia agli uomini nessuno può trattenerlo, e ciò che Egli trattiene nessuno può farlo discendere...» (Cor. XXXV-2). Muhyiddîn ibn 'Arabî precisa: «Sappi che la Presenza dell'impedimento (man’) sei tu e che la Generosità (jud) divina è senza limiti: l'impedimento non è che la mancanza di ricettività ... Tu non smetti mai di ricevere, ma del dono non accetti che ciò che ti concede la tua predisposizione: se soffri per ciò che ti succede è la tua ricettività e se gioisci per ciò che ti succede è ancora la tua ricettività  (qabûl) ... In realtà non c'è sofferenza, né piacere, ma solo l'esistenza di una generosità pura, incontaminata ed assoluta! Se dici che Allah si è attribuita l'astensione (imsâk), cioè l'impedimento,
noi risponderemo: per il fatto che in quel caso Egli si è attribuita l'astensione sei forse rimasto senza dono? No! Anzi tu «sei» in virtu di un dono da parte di Allah: invero la Generosità divina non tollera ciò! Se dici che Egli ha impedito ciò che tu desideravi, al momento in cui, ad esempio, ha trattenuto la pioggia, ti risponderemo che Egli non si astiene dall'inviare alcuna cosa senza che questo Suo trattenere non corrisponda ad un dare, da un punto di vista che ignora colui che desidera quella cosa. Egli gli ha dato quel desiderio ma ha trattenuto la pioggia affinché questi chiedesse a Lui per attenerla, stabilendolo in questo modo per necessità nella condizione di adorazione ('ibadab) essenziale; dunque Allah gli ha dato ciò che è piu degno per lui e questo è il modo di dare della Generosità. Non preoccuparti della tua ignoranza e considera invece la Sua scienza di ciò che è bene per te e sappi che il Suo trattenere è in realtà un dare... Invero Egli si è denominato Colui che impedisce (al-mâni’) solo perché tu hai fatto si che Egli impedisse, in quanto non hai ottenuto da Lui il «tuo» scopo!
[12] Si tratta di un Nome divino non menzionato nel Corano e che non viene incluso nel novero dei «100 piu bei Nomi», ma che ricorre spesso nell'opera di Muhyiddln ibn 'Arabi ove serve a designare l'aspetto divino che di volta in volta dà la preponderanza a certe possibilità rispetto ad altre, si che la loro manifestazione, pur essendo sempre possibile, non è però simultanea dal punto di vista degli esseri manifestati.
[13] Per quanto concerne l'affermazione che Allah è indipendente dai mondi è degno d'interesse il seguente commento di Muhyiddln ibn 'Arabi, tratto dal cap. 49 delle Al-Futûhâtu-l-Makkiyyah: « ... invero Allah, l'Altissimo, ci ha insegnato che Egli è indipendente dai mondi per farci sapere che Egli, Gloria a Lui, non ci ha dato l'esistenza se non per noi stessi, non per Lui, e ci ha creato perché Lo adorassimo solo affinché la ricompensa di quell'atto e la Sua Grazia ricadessero su di noi. Per questo il Suo detto: "Non ho creato i Jinn e gli uomini se non perché Mi adorino!"». (Cor. LI-56) riguardava solo i due tipi di esseri dotati di peso (ath-thaqalân): in vero non c'è dubbio che tutto ciò che Allah ha creato, dagli Angeli al resto del mondo, Lo glorifica con la Sua lode (cfr. Cor. XVII-44), ma solo ai due tipi di esseri dotati di peso è stata attribuita l'adorazione ('ibâdah), che non è altro che l'umiltà (dhillah). Quindi Allah quando li ha creati non li ha creati umili e sottomessi, bensi li ha creati affinché si sottomettessero e fossero umili, mentre tutte le altre creature sono umili (adhillâ') fin dall'origine...»
[14] Mentre generalmente il termine «faqîr» serve a designare l'iniziato al Tasawwuf fin dal principio del suo cammino iniziatico, in questo caso, come in molti punti del testo precedente, esso si riferisce ad esseri già giunti ad un elevato grado di realizzazione effettiva, come testimonia la loro qualità di Intimi (awliyâ'). La denominazione di «poveri» deriva loro dal fatto che è proprio per mezzo della «povertà nei confronti di Allâh» che essi sono arrivati al loro grado di realizzazione, come viene precisato da Muhyiddîn ibn 'Arabî nel cap. 70 delle Al-Futûhâtu-l-Makkiyyah: «...per noi il vero povero, al di sopra del quale non c'è altro grado di povertà, è colui che ha bisogno di ogni cosa e di cui nessuno e nulla ha bisogno: fino ad ora non ho incontrato nessuno che abbia realizzato per mezzo di questa qualità ...questo povero vede Allah come l'essenza di ogni cosa e, nella sua adorazione, quando vede Allah lo chiama con il nome di ogni cosa di cui egli ha bisogno. Non esiste nulla di cui qualcuno non abbia bisogno, ma di lui nessuno ha bisogno, poiché questo povero si ferma al versetto: "O uomini, voi siete i poveri verso Allâh ed Allâh è il Ricco, il Lodato" e realizza per mezzo di questo versetto...».
[15] Rimandiamo il lettore alla parte iniziale di questo capitolo, la cui traduzione è apparsa nel n. 49 di questa rivista.

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