'Abd Al-Qâdir al-Jazâ'irî
Le facoltà e gli atti del servitore coincidenti con l’ipseità del reale
È riportato in certe tradizioni profetiche:
È riportato in certe tradizioni profetiche:
“InvocateMi per mezzo della lingua con la quale non mi avete disobbedito”[1].
Sappi che la lingua del servitore, il suo udito, la sua vista e le sue altre facoltà esteriori e interiori sono nello stesso tempo l’ipseità del Reale, come Lui stesso l’ha detto: “Io sono il suo udito, la sua vista e la sua lingua, ecc…”[2], che il servitore ne sia cosciente o meno. Quando non è cosciente, si appropria della lingua, dell’udito, la vista e le altre facoltà, così come della totalità degli atti.
Ma, quando il servitore arriva allo svelamento e alla coscienza, attribuisce al Reale e non più a se stesso, tutti gli atti emananti, a prima vista, dalle sue facoltà, ma che nei fatti sono l’ipseità del Reale. Allora, egli invoca per mezzo di una lingua con la quale non ha disobbedito a Dio. Perché questa lingua è il Reale e non la lingua con la quale il servitore Gli disobbedisce, quando non si rende conto di ciò. Non disubbidisce dunque se non quando è al di fuori di questa visione delle cose. Questa è la prima differenza.
L’ordine di fare il bene non può rivolgersi alla gente comune, perché essi non sono impeccabili. Né può indirizzarsi all’élite impeccabile, ossia ai profeti, perché questo equivarrebbe a far accadere quel che è già successo.[3] Conviene dunque che quel che menzioniamo a proposito del senso di questa tradizione sia conforme a quello che Dio rivela a Mosé in questa tradizione ispirata: “Evocami per mezzo della lingua con la quale non Mi hai mai disobbedito”. La disobbedienza da parte di Mosé è impossibile. Di conseguenza, l’ordine di fare il bene è destinato alle genti di questa stazione in modo del tutto particolare.
Essi ringraziano Dio. Essi Lo ringraziano e Lo evocano tramite Lui stesso, perché conoscono la realtà e l’origine delle cose. Ciò che vuol dire: “Sii la causa della Mia evocazione con la lingua di un altro che te, perché chi Mi evoca lo fa tramite Me”. Anche se è in un altro senso che l’ha menzionato l’imâm dei conoscitori di Dio, il nostro shaykh Muhyî al-Dîn[4], ciò non nega che questo senso sia egualmente voluto. Così è bene che si prenda nello stesso senso ciò che è citato nella Raccolta della tradizione autentica di al-Bukhârî: “Colui il cui Amen corrisponda a quello degli angeli avrà tutti i propri peccati passati perdonati”[5]. Il senso di questa corrispondenza con l’Amen degli angeli altro non è che il rifiuto ad attribuire le parole e gli atti a un altro che non sia Dio e non una semplice coincidenza nel tempo che non comporterebbe alcun legame di causa ed effetto. Si tratta o della visione secondo la quale il servitore agisce tramite Dio: essa risulta dalla familiarità con le opere surerogatorie; o della visione secondo la quale Dio agisce per mezzo del servitore: essa risulta in tal caso dalla familiarità con le opere obbligatorie.
Mawqîf 116
[1] Tradizione non repertoriata da Wensinck.
[2] Al-Bukhârî, Riqâq, 38. questa tradizione è evocata anche in Mawqîf 28 e 149.
[3] Principio logico aristotelico utilizzato in Mawqîf 14, 98 e 210. vedere, su questo soggetto, Michel Lagarde, op. cit., pag. 44/L.
[4] Ossia Ibn ‘Arabî.
[5] Al-Bukhârî, Adhân, 111, 113 e 125; Muslim, Salât, 71 e 72; ecc…
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