"…la dottrina è infallibile, è a causa del fatto che essa è un’espressione della verità, la quale, in se stessa, è assolutamente indipendente dagli individui che la ricevono e che la comprendono. La garanzia della dottrina risiede in definitiva nel suo carattere «non-umano»". René Guénon, Considerazioni sull’iniziazione, cap. "Sull’infallibilità tradizionale"

martedì 14 novembre 2017

Paolo Urizzi, Il Salvatore escatologico in ambito islamico: l’Imâm atteso e il Cristo della seconda venuta – (II)

Paolo Urizzi
Il Salvatore escatologico in ambito islamico: l’Imâm atteso e il Cristo della seconda venuta – (II)

Parte 2 di 2

L’avvento del Mahdî segna un ritorno alla Tradizione, all’armonia tra gli esseri e la natura; questo “raddrizzamento[1] finale viene salutato come un rinnovato ordine del micro e del macrocosmo: dopo la siccità e la sterilità del terreno, il cielo tornerà a dare la sua pioggia e la terra a produrre le sue piante[2].
Il suo governo sarà veramente conforme all’Ordine divino nel senso più profondo, non per una sterile applicazione della Legge e per una ottusa lettura del Testo sacro, ma per la capacità intrinseca di incarnarne la Sapienza che lo ispira, come lascia intravedere l’espressione Khalîfat Allâh che gli viene data.
Va ricordato, infatti, che secondo la dottrina esoterica del Califfato, questa funzione comporta non soltanto l’aspetto esteriore del potere temporale, ma anche quello interiore dell’autorità spirituale, cui si può accedere solo dopo una effettiva e completa realizzazione iniziatica[3]. La khilâfa, infatti, intesa come “luogotenenza divina” ha la sua origine nella natura primordiale dell’Uomo, creato “secondo la forma di Dio[4], e il fatto che perfino i “Califfi bendiretti” (al-khulafâ’ al-rashidûn) – che pur possedevano questa funzione anche da un punto di vista interiore – si limitassero a portare il titolo di Khalîfat Rasûl Allâh, ossia di “rappresentante dell’Inviato di Dio”, permette di intuire tutta la portata di un tale appellativo per il Mahdî[5].
Tuttavia si tratta di un ritorno al sacro che verrà condotto non senza difficoltà e dovrà scontrarsi con la più temibile delle calamità[6], quella del capovolgimento tradizionale, della pura sovversione di ogni principio di ordine superiore: il regno dell’Anticristo. Il termine Anticristo lo si trova sovente nella forma costrutta al-Masîh al-Dajjâl, letteralmente il “Messia impostore”, il “Falso Cristo”, ma col mutamento morfologico di una consonante araba (la finale di Masîh, “Messia”, trasformata in khâ) viene anche chiamato semplicemente al-Masîkh, il “Deforme”, lo “Sfigurato”, appellativo che gli viene attribuito in primis per le fattezze che lo contraddistingueranno, poiché ci viene descritto come avente «l’occhio destro che assomiglia a un acino sporgente»[7], deformità fisica che non è altro che il riflesso esteriore della sua deformità interiore. La parodia della “contro-tradizione” non potrebbe essere meglio descritta di queste parole del Profeta: «Egli verrà con un Paradiso e un Inferno, ma il suo Paradiso sarà un Inferno e il suo Inferno un Paradiso»[8]. La gente, ha detto ancora il Profeta, «fuggirà dal Dajjâl fino a cercar rifugio tra le montagne»[9]. Viene poi precisato che la sua comparsa avverrà su una strada tra la Siria e l’‘Irâq e rimarrà sulla terra per quaranta giorni, «uno come un anno, uno come un mese, uno come una settimana e il resto dei suoi giorni come i vostri»[10]. L’Anticristo dilagherà per la terra con «la rapidità della pioggia portata dal vento»; coloro che risponderanno al suo appello[11] troveranno prosperità ed egli manifesterà dei prodigi: il cielo produrrà pioggia e la terra raccolti, ed egli farà riaffiorare i tesori nascosti della terra; coloro che lo sconfesseranno verranno invece privati d’ogni bene[12]. Secondo quanto riportato da Muslim, l’Anticristo non dominerà sulla terra che «per quaranta giorni, uno come un anno, uno come unmese, uno come una settimana e i restanti giorni come i vostri giorni»[13]. Ad ogni modo, per quanto effimero e destinato a non durare molto, il suo dominio sul mondo appare pressoché assoluto: «non vi sarà alcuna terra che non sia ‘coperta’ dall’Anticristo, eccetto Mecca e Medina»[14].
Dove si troverà il Mahdî in questo stato di cose? Non è dato di saperlo con precisione, ma dalle tradizioni sembra di poter evincere che, almeno negli atti conclusivi dello scontro tra la luce e le tenebre, scenario dell’apocalittico Harmaghedon, egli si troverà a Gerusalemme, ed è a questo punto che Gesù scenderà per aiutare il Mahdî a sconfiggere l’Anticristo. È ancora lo stesso hadîth, poc’anzi citato nella versione di Nawwâs ibn Sam‘ân[15], che ci dà una delle versioni più complete dell’evento: «E mentre egli (il Dajjâl) sarà occupato in queste cose, Dio invierà il Messia figlio di Maria, che discenderà presso il bianco minareto orientale di Damasco (fa-yanzilu ‘inda-l-manârat al-bayâ’sharqî Dimashq)[16], indossando due vesti tinte di giallo[17] e poggiando i palmi delle mani sulle ali di due angeli[18]. Quando abbasserà il capo esso gocciolerà e quando lo solleverà cadranno gocce argentee come perle. E non è permesso a nessun miscredente (kâfir) sentire il profumo del suo alito senza morire, ed il suo alito abbraccia l’estensione del suo sguardo. Quindi lo cercherà (l’Anticristo), finché lo raggiungerà alla porta di Ludd[19] e lo ucciderà». Il hadîth prosegue col racconto dei compagni di Gesù, di Gog e Magog e degli eventi ultimi fino al sorgere dell’Ora, ma prima di ritornarvi è opportuno confrontare questo testo con altre tradizioni, poiché mettono in luce dei particolari importanti che bisogna aver cura di rilevare. Benché la maggior parte delle versioni attestino la discesa di Gesù presso il bianco minareto orientale di Damasco[20], il dotto ‘Alî al-Qârî riporta nel suo Commento al Mishkât al-maâbî[21], sull’autorità di Ibn Kathîr, che in alcune varianti è detto che discenderà a Gerusalemme (Bayt al-maqdis) e aggiunge che, a suo parere, questa è la versione preferibile (arja).
Troviamo, infatti, che un’altra non meno famosa tradizione documenta l’incontro di Gesù col Mahdî a Gerusalemme; secondo questa testimonianza, mentre il Profeta parlava degli eventi che accompagneranno la venuta del Dajjâl, qualcuno gli chiese: «O Inviato di Dio, quale sarà la condizione degli Arabi in quell’epoca?» Rispose: «Saranno pochi all’epoca; la maggior parte si troverà a Gerusalemme e il loro Imâm sarà un uomo retto (râjul âli)[22]. È proprio quando il loro Imâm si porrà in avanti per compiere assieme a loro la Preghiera del Mattino (al-subh), che, in quel preciso momento, scenderà su di loro Gesù figlio di Maria (idhâ nazala ‘alayhim ‘Îsâ bnu Maryam al-subh). Quell’Imâm allora si ritirerà, camminando all’indietro, per lasciar dirigere la Preghiera a Gesù[23], ma Gesù porrà la mano tra le sue spalle dicendogli: “Avanza e continua (a dirigere) la Preghiera. È perché tu la diriga che è stato fatto l’appello alla Preghiera (laka uqimat); prega dunque quale loro Imâm”. Al termine, Gesù – su di lui la Pace! – dirà: “Aprite la porta!”. La porta verrà aperta e dietro a essa si troverà il Dajjâl con settantamila Ebrei, tutti armati con spade decorate, di teak. Ma non appena l’Anticristo poserà il suo sguardo su Gesù, si dissolverà come sale nell’acqua e s’affretterà a fuggire. Gesù – su di lui la Pace! – dirà: “Ho in serbo per te un colpo a cui non potrai sottrarti”; lo raggiungerà quindi presso la porta orientale di Ludd e lì l’annienterà»[24], poiché «a nessuno è dato il potere di distruggere il Dajjâl se non a Gesù»[25].
Ci si potrebbe stupire che Gesù segua la Preghiera dietro il Mahdî, ma essere guidati nella Preghiera non implica necessariamente inferiorità di rango[26]; la superiorità di Gesù è confermata del resto dal gesto del Mahdî. In una versione riportata da Muslim Gesù declina l’offerta di dirigere la Preghiera dicendo: «No, alcuni sono preposti a condurre gli altri (lâ, ba‘akum ‘alâ ba‘in umarâ’). Questo è l’onore da parte di Dio per questa Comunità (takrimat Allâh hadhihi-l-umma)»[27]. L’atteggiamento del Cristo sta qui ad indicare, piuttosto, una convalida da parte sua della funzione del Mahdî, nonché la sua propria sottomissione alla Legge islamica[28]. I testi islamici affermano ripetutamente che il Cristo della parusìa sarà un Musulmano e gli ahâdîth che descrivono la funzione spirituale che eserciterà al fianco del Mahdî nella Comunità islamica sono altrettanto numerosi, se non di più, di quelli che lo vedono in veste di giustiziere dell’Anticristo. Nella loro forma più tipica queste tradizioni affermano che Gesù scenderà in mezzo ai Musulmani – ossia come uno di loro – quale giudice imparziale (akaman muqsian) e giusto Imâm (imâmanadlan), ed egli spezzerà la croce (yaksiru-l-salîb), ucciderà il maiale (yaqtulu-l-khinzîr), abolirà la tassa dei non-Musulmani (yaa‘u-l-jizya)[29] ed elargirà la ricchezza (yafîdu-l-mâl) al punto che nessuno avrà più bisogno di prenderne oltre[30].
Non si può fare a meno di notare, a questo riguardo, che alcuni attributi che caratterizzano la funzione del Cristo si sovrappongono in modo sorprendente a quelli del Mahdî: per prima cosa quelli di equità e giustizia (qis wa ‘adl), poi il fatto di distribuire le ricchezze; a complicare il tutto si aggiunge la parola del Profeta riportata da Anas: «Non vi è Mahdî se non Gesù figlio di Maria»[31].
Una certa perplessità di fronte a questa ambivalenza si può intuire anche presso i sapienti musulmani che si sono sforzati di trovare comunque una soluzione giustificativa a tali propositi enigmatici consegnati dalla tradizione. Qurtubî dedica una sezione della Tadhkira al hadîth appena citato[32] e, dopo aver argomentato sulla sua solidità, fa notare che in ultima analisi non può trattarsi di commistione e la prova più convincente – oltre a quella che vede Gesù dietro a lui durante la Preghiera – è data dalle tradizioni che ne fanno un discendente di Fatima (min walad Fâtima)[33], quindi ne conclude che la tradizione citata può voler solo dire che «non vi è Mahdî perfetto e impeccabile (kâmil ma‘ûm) se non Gesù». Il giudizio dei dottori musulmani si è espresso unanimemente sul fatto di distinguere queste due figure anche se, come scrive IbnArabî parlando del Mahdî, «può accadere talvolta che i suoi attributi assomiglino intimamente a quelli del Sigillo (dei santi)[34], e che i loro Segni (annunciatori) possano essere confusi», sottolineando egli stesso la necessità di stabilire una certa distinzione (tamyîz) tra le due funzioni e, di conseguenza, tra coloro che ne sono investiti[35].
Il grande maestro andaluso rimane sicuramente una delle fonti maggiori per comprendere la dottrina esoterica di queste tradizioni e non vi è dubbio che, pur avendo dato ampio rilievo ad una lettura iniziatica e interiorizzata degli eventi escatologici mediante la loro trasposizione a livello microcosmico, a cui egli si richiama costantemente nell’‘Anqâ’ mughrib[36], è impensabile che sia mai stata messa in discussione o anche soltanto sminuita la portata effettiva e finale di questi avvenimenti e dei loro protagonisti in rapporto al piano delle contingenze storiche e delle vicende umane. Il personaggio concreto del Cristo della parusìa, che proprio a partire da questo maestro viene visto quale apoteosi finale e conclusiva del ciclo della Santità e investito come tale del titolo di Khâtim al-walâya al-mulaqa, il “Sigillo della santità assoluta” che fa in qualche nodo da contrappunto al “Sigillo della santità muammadiana” (al-khâtim al-walâya al-muammadiyya)[37], è notevolmente presente nella sua opera e soprattutto nelle monumentali Futûhât al-makkiyya; la figura del Mahdî, per contro, non viene trattata in questo testo che nel capitolo 366, dedicato appunto al Mahdî e ai suoi Ministri (wuzarâ’)[38]. Già dal titolo di questo lungo capitolo: «Sulla conoscenza dei Ministri del Mahdî che si manifesterà alla Fine dei tempi, il quale è stato annunciato dall’Inviato di Dio – su di lui la Grazia e la Pace divine! – e appartiene alle Genti della Casa (profetica)», si evince sia la concretezza storica dell’annuncio, sia il suo essere una figura distinta dal Cristo. Il dato originale dell’insegnamento akbariano al riguardo è però quello sui “Ministri” del Mahdî che lo shaykh desume dal racconto coranico[39] degli Ashâb al-Kahf, i “Compagni della Caverna”[40], il cui carattere escatologico è suffragato da una lunga tradizione, e non solo in ambito islamico.
Per lo Shaykh al-Akbar questi Ministri sono i veri aiutanti del Mahdî nell’opera di restaurazione e di “raddrizzamento” tradizionale, e siamo messi in guardia dal non considerarli dei subalterni, poiché essi «sono le “guide” (al-hudât), mentre egli è “il guidato” (al-mahdî[41]. Costoro, dice IbnArabî, sono degli «uomini divini (rijâl ilâhiyûn) che si faranno carico della sua missione di chiamare gli uomini (alla vera Religione[42]) (yuqîmûna da‘watahu) e che lo sosterranno»[43], «un gruppo (di uomini spirituali) che Dio ha tenuto nascosti per lui (il Mahdî) nei segreti recessi del Suo dominio invisibile. L’Altissimo ha fatto loro conoscere mediante lo svelamento intuitivo (kashf) e la percezione diretta (shuhûd) le realtà (divine, al-haqâ’iq) e i contenuti dell’Ordine di Dio riguardante i Suoi servitori. Il Mahdî, dunque, effettuerà le sue decisioni e pronuncerà i suoi giudizi in base alla consultazione che avrà con loro, poiché essi sono i veri Conoscitori, coloro che sanno effettivamente i contenuti di quanto si trova Colà (nella Realtà divina)»[44]. Un dato interessante è sicuramente quello che questi Aiutanti saranno tutti degli a‘jâm, dei “non-Arabi”, benché non parleranno se non l’Arabo[45] e, quale che sia il loro numero – a questo riguardo lo Shaykh è incerto[46], anche se non potrà comunque essere superiore a 9 – per assolvere la loro funzione dovranno possedere in tutto nove qualità, che deve comunque possedere anche l’Imâm dell’epoca: 1) una visione penetrante (nifûdh al-baar); 2) saper cogliere l’appello divino quando viene rivolto (ma‘rifa al-khiâb alilâhî ‘inda-l-ilqâ’); 3) saper tradurre quanto viene da Dio (‘ilm al-tarjama ‘an Allâh); 4) stabilire le diverse classi di coloro che esercitano un’autorità tradizionale (ta‘în al-marâtib li-walât al-amr); 5) avere misericordia nel rigore (alrama fî-l-ghaab); 6) (conoscere) le diverse forme di sostentamento, spirituale e sensisbile, di cui ha bisogno chi governa (mâ yatâj ilayhi-l-malik min al-arzâq al-masûsa wa-l-ma‘qûla); 7) saper interpretare gli avvenimenti (‘ilm tadâkhil al-umûr baahâ ‘ala ba‘); 8) sforzarsi al limite delle proprie forze per soddisfare i bisogni degli uomini (al-mubâlagha wa-l-istiqâ’ fî qaâ’ awâ’ij al-nâs); 9) possedere la scienza dell’Invisibile (al-uqûf ‘alâ ‘ilm al-ghayb)[47].
Rimane da definire il ruolo e la misteriosa identità del loro “guardiano” (âfiz), «uno che non appartiene alla loro specie, che non disobbedisce mai a Dio, ed è il più speciale dei Ministri (aksa al-wuzarâ’) e il più eccellente dei “fidati” (afal al-umanâ’) (del Mahdî)»[48]. È ovvio che lo Shaykh al-Akbar sta parlando qui del “Cane” (kalb)[49] dei “Compagni della Caverna”, menzionato sempre in modo autonomo nel Corano, ma su di lui e la sua funzione non ci viene detto però nulla di più. È evidente che si tratta di uno dei Wuzarâ’ del Mahdî, ma negli scritti di Ibn ‘Arabî non troviamo nulla che consenta di determinarlo con precisione, anche se alcuni indizi farebbero pensare di poterlo identificare col Cristo stesso. Anche il Cristo, infatti, fa parte dei Ministri del Mahdî, come si può evincere dal verso preliminare del capitolo in questione: Inna-l-Imâm ilâ-l-Wazîr faqîr, wa ‘alayhimâ fulk al-wujûd yadûr, «Certamente l’Imâm ha bisogno del Ministro, e la sfera dell’esistenza ruota attorno a loro due». L’Imâm di cui si parla non è altri che il Mahdî e quanto al “Ministro” non può trattarsi qui semplicemente di un singolare impiegato erga omnes, poiché il seguito del versetto sottolinea con l’uso del duale (‘alayhumâ) la presenza di due individualità specifiche aventi un’importanza unica nell’economia delle funzioni spirituali[50]. E colui di cui il Madhî abbisogna in modo eminente non è altri che il Cristo, che appare dunque come uno dei suoi Aiutanti o Ministri e sicuramente il più elevato ed importante di tutti, come è detto appunto del “Cane”[51]. Un’ulteriore e non secondaria conferma documentaria ci viene fornita da alcune tradizioni; la prima, riportata da Ibn Hammâd, vede Gesù, al momento dell’incontro col Mahdî che lo invita a dirigere la Preghiera, replicare: «Sono stato mandato come Ministro (wazîr), non come Principe (amîr)»[52]; la seconda invece, presente in Qurtubî, precisa che i discepoli di Gesù (awârî ‘Îsâ) al tempo della parusìa saranno i “Compagni della Caverna (ashâb al-kahf) e al-Raqîm” e che questi apparterranno alla Comunità muammadiana[53]. Si tratta evidentemente dei Compagni di Gesù che ritroviamo in altre tradizioni islamiche sulla fine dei tempi; tuttavia, l’ultima tradizione pone il problema di al-Raqîm, menzionato nel Corano e rimasto di difficile decifrazione anche per gli esegeti; qualcuno l’ha interpretato come il nome del “cane”, il che evidentemente lo porrebbe in antitesi con l’interpretazione qui proposta, e sicuramente non sembra convenirgli neppure l’interpretazione che, in linea con il significato etimologico, l’interpreta nel senso di una “tavola di pietra contenente un’iscrizione” che si trovava all’entrata della Caverna. Possiamo dunque dedurne che il Cane non sia altri che Gesù? lo Shaykh al-Akbar non lo afferma da nessuna parte. La questione rimane dunque ambigua, dal momento che neppure in ambito cristiano troviamo, in tutta la vastità del bestiarium cristico, alcun riscontro con una simbologia cinomorfa[54].
Quale che sia l’interpretazione al riguardo, il dato rilevante rimane piuttosto nella determinazione della natura della parusìa del Cristo della Seconda venuta. Come noto, benché i testi cristiani parlino sovente della “venuta nella Gloria del Padre”[55], la forma di questa manifestazione o epiphaneia rimane alquanto indeterminata quanto a tempi emodi[56]. Per la Chiesa il Cristo apparirà come “giudice dei vivi e dei morti”[57], e per Paolo si tratta di un’apparizione essenzialmente gloriosa che viene ad inaugurare il regno messianico e celeste[58].
Per la tradizione islamica, invece, egli è lo strumento della restaurazione tradizionale che precede la fine di questo mondo, colui che, investito dell’autorità spirituale (l’imâma / sacerdotium), affianca il Mahdî (la khilâfa / imperium) nella sua opera ordinatrice. La funzione islamica del Cristo della Seconda venuta è fondamentalmente di “questo mondo”, non solo perché viene a porre fine all’iniquità del falso Messia, ma anche perché svolge un ruolo diretto nell’ambito della Legge islamica (dove appare come un “giusto Imâm”) e del suo rinnovamento (ad es. con l’abolizione della jizya), nonostante quest’ultima sembri essere più una caratteristica primaria del Mahdî che non di Gesù. È il Mahdî, infatti, che, stando alla descrizione di Ibn ‘Arabî, «manifesterà la Religione com’essa è (realmente) in se stessa, la Religione mediante la quale lo stesso Inviato di Dio giudicherebbe e guiderebbe se si trovasse presente. Egli eliminerà le differenti scuole (di legge religiosa) di modo che non rimarrà che la Religione Pura (Cor. 39: 3), e i suoi nemici saranno quelli che seguono ciecamente gli “ulamâ”, la gente dell’ijtihâd[59], poiché costoro vedranno il Mahdî giudicare in modo diverso da quello seguito dai loro imâm»[60].
Entrambi queste figure sono in realtà investite di un alto magistero spirituale: quello del Mahdî sicuramente di carattere anche exoterico, intrinsecamente inscindibile dalla sua funzione “califfale” che si svolge sul piano degli eventi temporali; quella del Cristo, invece, è probabilmente d’un carattere più interiore, anche se si tratta in ambedue i casi d’un magistero che procede eminentemente dall’ordine delle realtà iniziatiche. In alcuni detti extracanonici[61] viene riferito che il Mahdî riporterà alla luce da una grotta nei pressi di Antiochia l’Arca dell’Alleanza (tâbût al-sakîna)[62] in cui vi saranno la Toràh e il Vangelo originarî e che egli diramerà le questioni tra gli Ebrei in base alla Toràh e quelle tra i Cristiani in base al Vangelo. Simili resoconti lascerebbero intendere che, nonostante si affermi che alla fine non rimarrà che l’Islam sulla faccia della terra, la sua funzione si estenda al di fuori dei limiti dell’Islam attuale. Ma di quale Islam si tratta? A parte il dubbio valore di questi dati, da quel che si è potuto appurare ci è permesso di capire che alla fine abbiamo comunque a che fare con la Tradizione nella sua primigenia purezza, ancorché veicolata dal Verbo coranico e dalla forma muhammadiana che ne costituisce la sintesi finale. Ciò viene sottolineato del resto dal grado iniziatico che verrà a coprire il Cristo della parusìa quale ce lo descrive Ibn ‘Arabî, ossia quello di “Sigillo della Santità assoluta” (khâtim al-walâya al-mulaqa) o “universale” (‘âmma)[63]. Senza poter entrare qui nel merito delle caratteristiche specifiche di questa funzione spirituale e del suo rapporto con il “Sigillo della santità muhammadiana” (khâtim al-walâya al-muammadiyya)[64], basta dire che egli è la conclusione degli aspetti generali della “santità” (walâya) comuni ad ogni forma tradizionale. Nell’ottica della Philosophia perennis diremmo volentieri che egli, in quanto “Sigillo”, è il deposito sintetico delle differenti forme di saggezza inerenti a ciascuna Legge rivelata destinate al ciclo futuro[65]; è solo in questo modo che trovano allora tutta la loro giustificazione, e in qualche modo il loro complementarismo, le formulazioni che vediamo espresse sia da parte cristiana che islamica.
Non bisogna pensare che l’Islam misconosca la natura unica del Cristo, anche se gli sviluppi storici della dottrina canonica hanno tendenziosamente velato la portata eccezionale che gli viene attribuita nella rivelazione coranica. È quanto mai curioso constatare che nella parte finale dell’‘Anqâ’ mughrib, la “Fenice meravigliosa”, dedicato proprio al “Sigillo della santità”, Ibn ‘Arabî mascheri i versetti coranici che gli si riferiscono dietro una criptografia esoterica, versetti che ci ricordano che il Cristo è «un Verbo che procede da Lui» (Cor. 3: 45), ecc.[66]. Viene da chiedersi quale motivo l’abbia spinto a questa dissimulazione. Difficile dirlo con precisione; certo è, però, che un’esaltazione della realtà cristica non trova una grande accoglienza nell’ambiente islamico, anche se la sua origine è in ultima analisi puramente coranica. Molto probabilmente, è per lo stesso motivo che, in seno all’umma islamica, tra queste due figure inscindibili vi è sempre stata maggior attesa per l’avvento del Mahdî, ed è sicuramente il suo personaggio quello che ha maggiormente esaltato e infiammato l’immaginario collettivo. Tuttavia, non si può trascurare il fattore umano di questa figura carismatica: il Mahdî, anche se è uno sharîf, nobile discendente del Profeta, rimane pur sempre più abbordabile e vicino alle masse di colui che non è interamente di “questo mondo” ed è stato elevato vivente in Cielo, pertanto anche storicamente più definibile e oggetto di numerose contraffazioni[67]. Il “regno” e la funzione del Mahdî, unitamente a quella del Cristo benintesto, vanno sì inseriti nella prospettiva d’una restaurazione tradizionale, dunque di ordine sacro e di armonia cosmica e spirituale, ma saremmo indotti in errore se ci illudessimo che il “regno messianico” è di questo mondo e che la fantomatica “Età dell’Acquario” trovi riscontro al di fuori di una sincretistica mentalità new age. Lo scopo di questa “restaurazione”, peraltro di breve durata – per il regno del Mahdî si parla il più sovente di sette, otto o nove anni[68] – serve soprattutto a riunire gli “ultimi eletti”, compito che è riservato in modo abbastanza palese al Cristo. Infatti, quantunque il periodo di ordine tradizionale mantenuto con mano ferma dal Mahdî[69] si sfaldi dopo la sua scomparsa, la missione ed il compito di Gesù non si esaurisce che quando tutto quel che doveva essere compiuto in questo mondo prima della sua fine sarà stato portato a termine.
Dopo l’uccisione dell’Anticristo, a conclusione del hadîth di Nawwâs ibn Sam‘ân che si è citato più in alto[70], è detto: «Poi Gesù verrà ad un popolo che Dio avrà preservato per lui, e divinerà (i loro stati) dai loro volti, e illustrerà loro i gradi che essi avranno nel Paradiso[71]. E mentre egli sarà occupato in queste cose, ecco che Dio Altissimo rivelerà a Gesù: “Ho suscitato dei Miei servi tali che nessuno avrà mani per poterli uccidere: offri un asilo ai Miei servi portandoli sul Monte (al-Tûr)”[72]. E Dio susciterà allora Gog e Magog, ed “essi si precipiteranno da ogni altura”: e i primi di loro passeranno dal lago di Tiberiade, e ne berranno quanto contiene; e passeranno gli ultimi di loro e diranno: “C’era acqua una volta qui”. E saranno circondati il Profeta di Dio Gesù e i suoi compagni, al punto che la testa di un toro sarà per uno di loro più cara che cento dìnar oggi per uno di voi; e il Profeta di Dio Gesù e i suoi compagni – Iddio sia soddisfatto di loro – supplicheranno Dio Altissimo, e Iddio manderà nei colli di quelli i vermi[73], e al mattino si troveranno uccisi come un sol uomo. Allora il Profeta di Dio Gesù e i suoi compagni – Iddio sia soddisfatto di loro – “scenderanno” sulla terra[74], e su di essa non vi troveranno lo spazio di una spanna che il lezzo e il fetore di quelli non abbiano riempito; il Profeta di Dio Gesù e i suoi compagni – Iddio sia soddisfatto di loro – supplicheranno Dio Altissimo e Dio invierà un uccello simile al collo dei cammelli di Battriana, che li porterà via gettandoli dove Dio vuole. Poi Dio Potente e Glorioso manderà una pioggia dalla quale non si sottrarrà nessuna casa, né di fango né di pelle, e laverà la terra fino a lasciarla come uno specchio. Poi sarà detto alla terra: “Produci i tuoi frutti e offri la tua abbondanza di beni”: e allora la comunità mangerà della granata e si metterà all’ombra della sua scorza[75], ed Egli benedirà il latte, al punto che la femmina da latte del cammello basterà alla tribù degli uomini, e la femmina da latte degli ovini sarà sufficiente a un ramo della tribù. E mentre essi si troveranno in questo stato, Dio Altissimo susciterà una brezza soave, che arriverà loro sotto le ascelle: e verrà ritirato lo spirito vitale di ogni credente e di ogni sottomesso, e resteranno i malvagi degli uomini, a montare come montano gli asini. E su di essi si leverà l’Ora»[76].
I tempi di questa fase finale, però, rimangono tutto sommato avvolti in una certa vaghezza. Questo vale, lo si è visto, per il tempo del regno del Mahdî, e si ripresenta per la durata della missione del Cristo; se da un lato è indubbio che rimarrà sulla terra per un certo tempo, vi sono nondimeno al riguardo due versioni, entrambi classificate come autentiche (): l’una dà un periodo di quarant’anni[77], l’altra, invece, parla di sette soltanto[78]. Se la versione maggiormente accreditata dovesse risultare quella dei sette anni, si potrebbe allora ragionevolmente supporre che il regno del Mahdî e il periodo della missione cristica scorrano in modo abbastanza parallelo, anche se non ci è dato sapere quale dei due avrà termine per primo. Tuttavia, dalla fine del hadîth sopra citato sappiamo che verrà un momento in cui tutti i credenti renderanno l’anima a Dio e qui, come in altre versioni, l’episodio è sempre formulato all’intenzione del Cristo e dei suoi discepoli, e non vi è mai menzione del Mahdî; ciò indurrebbe dunque a pensare che, a quel punto, la scena si sarebbe già conclusa per lui.
Del periodo che intercorre tra l’uccisione dell’Anticristo e la comparsa di Gog e Magog, quel che colpisce maggiormente è l’ordine divino impartito a Gesù di ritirarsi con i “Compagni della Caverna” sul Tûr, il “Monte”, che per l’animo musulmano evoca immediatamente il luogo della “teofania sinaitica”[79]; ciò lascia intendere che si tratti non solo di un luogo di rifugio – come lo sarà al tempo di Gog e Magog –[80], ma anche, e soprattutto, di un luogo di contemplazione e di compimento spirituale. Tutto quel che avverrà in seguito, a conclusione della storia, rimane nel dominio del destino ineluttabile e della inesorabile consumazione ciclica finale. Che il Centro spirituale maggiore sia esso stesso destinato a soccombere e a ritirarsi in una sfera non soggetta al tempo e alla distruzione è messo in luce dalle tradizioni che parlano della distruzione della Ka‘ba da parte degli Etiopi, forse all’epoca stessa di Gesù o, il che è più probabile, dopo la sua morte, quando lo stesso Corano verrà “ritirato” dall’animo dei credenti e dalle copie scritte[81].
L’inizio della fine avverrà proprio con l’avvento delle orde apocalittiche di Gog e Magog: le tradizioni ci informano che a quel tempo i credenti saranno 12.000 più le loro donne e i loro bambini[82], i quali, dopo essersi riuniti a Gerusalemme al tempo dell’Anticristo e aver fatto ritorno ai loro paesi d’origine durante il periodo di pace, torneranno da Gesù affinché li liberi da quella drammatica situazione[83]. La sua preghiera sarà non solo efficace nel liberare gli uomini da questa calamità, ma – stando a numerose tradizioni – farà sì che sulla terra si ripristini l’ordine primordiale: «…astio e rancore scompariranno, ogni pernicioso aculeo sarà rimosso al punto che il fanciullino introdurrà la sua mano nella (bocca della) serpe senza esserne leso, e la fanciullina metterà in fuga il leone senza subire ingiurie; il lupo starà in mezzo ai greggi come fosse il loro cane da guardia, e la terra sarà riempita di pace come il recipiente viene riempito dall’acqua. Vi sarà allora una sola parola, e non si adorerà altri che Dio e la guerra deporrà i suoi ministri.…e la terra sarà come una tavola d’argento che fa germinare le sue piante come all’epoca di Adamo»[84].
Non è difficile cogliere un’incongruenza tra questa terra e questa pace restaurate[85] e la brezza soave che prenderà lo spirito vitale dei credenti lasciando il resto dell’umanità nella barbarie in attesa dei restanti segni maggiori che preannunciano l’avvento dell’Ora. Questa apparente difficoltà fa sì che alcuni trasmettitori abbiano confuso il periodo di pace che, a titolo di prefigurazione, si concretizzerà col regno del Mahdî, e quello ben più radicale, tale da ristabilire l’originale ordine cosmico, che si dice avverrà dopo la distruzione di Gog e Magog; capita così di vedere talvolta procrastinati i sette anni del periodo messianico in questa seconda fase[86], non realizzando che ciò a cui tutti questi hadîth fanno allusione è in realtà il periodo millenario del vero Sanctum Regnum, regno che non è certo di “questo mondo”, anche se comporta la discesa sulla terra della “Gerusalemme celeste”[87].

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[1] Segnaliamo di sfuggita che è a lui che si riferiscono molte predizioni occidentali sulla venuta del “Gran Monarca” (cfr. anche R.GUÉNON, op. cit., pp. 305 n. 1, e 313 n. 1).

[2] QURUBÎ, Tadhkira, p. 700.

[3] Cfr. P. URIZZI, “Regalità e Califfato”, parte I, in Perennia Verba, 3 (1999), Il Cerchio, Rimini, pp. 136-147.

[4] Innâ ‘Llâha khalaqa Âdam ‘alâ ûratihi (BUKHÂRÎ, Isti‘dhân, 1; MUSLIM, Birr 115, Janna 28, IBN HANBAL, II, 244, 251, 315, ecc.). È lo stesso Corano a porre in relazione la creazione dell’Uomo con la funzione della “luogotenenza divina” (cfr. Cor. 2: 30).

[5] Anche se gli ahâdîth menzionano il conferimento del potere (sulâna) da parte di alcuni delegati, bisogna comprendere che l’investitura dell’autorità al Khalîfat Allâh, il “Rappresentante di Dio” sulla terra, non può venire che dall’alto, ossia dalla stessa Autorità divina: «Costoro sono coloro cui Noi demmo il Libro e l’autorità e la profezia; costoro sono coloro che Dio ha guidato, quindi seguite la loro guida» (Cor. 6: 89-90).

[6] «Dal tempo di Adamo all’avvento dell’Ora finale non vi è affare più grave dell’Anticristo (mâ…amr akbar min al-dajjâl)» (IBN HANBAL, IV, 19;MUSLIM, Fitan, 126-127; cfr. MUTTAQÎ, Kanz, XIV, 300-301).

[7] Wa inna al-masî al-dajjâl a‘war al-?ayn al-yumnâ, ka’anna ‘aynuhu ‘anaba âfiya (BUKHÂRÎ, Tawhîd, 17; MUSLIM, Fitan, 100; IBNMÂJA, Fitan, 33; IBN HANBAL, II, 124; V. 38; cfr. MUTTAQÎ, Kanz, XIV, 284).

[8] Ma‘hu janna wa nâr fa-nâruhu janna wa jannahu nâr (MUSLIM, Fitan, 104; IBN MÂJA, Fitan, 33; cfr. MUTTAQÎ, Kanz, XIV, 299). In un altro hadîth è detto: «Quando verrà il Dajjâl porterà un’acqua e un fuoco, ma quello che agli uomini sembrerà del fuoco sarà invece una fresca acqua, e quello che sembrerà loro come fresca acqua sarà invece fuoco bruciante; chi sarà presente a quell’epoca si diriga verso quel che gli sembrerà del fuoco, perché lo troverà fresco e piacevole» (BUKHÂRÎ, Anbiyâ’, 50; cfr. MUTTAQÎ, Kanz, XIV, 301).

[9] Lâ yafirranna al-nâs min al-dajjâl attâ yalaqû bi-l-jibâl (MUSLIM, Fitan, 125; TIRMIDHÎ, Manâqib, 70).

[10] BUKHÂRÎ, Tafsîr 39.3;MUSLIM, Fitan, 116; ABÛ DÂWUD, Malâim, 14; TIRMIDHÎ, Fitan, 59; IBNMÂJA, Fitan, 33. Si tratta di un hadîth trasmesso da NAWWÂS IBN SAM‘ÂN; le versoni più complete sono quelle di MUSLIM, IBN MÂJA e TIRMIDHÎ e la prima è riportata anche ne Il Giardino dei devoti di NAWAWÎ, Trieste 1990, pp. 496-497.

[11] Fa-ya’ti ‘alâ-l-qawm fa-yad‘ûhum fa-yu’minûna bihi wa yastajibûn (MUSLIM, Fitan, 116, cfr. Apocalisse, XVI.16).

[12] Cfr. ibid.

[13] MUSLIM, Fitan, 116; cfr. anche IBN AMMÂD, Kitâb al-Fitan, p. 337; QURUBÎ, Tadhkira, p. 753; in Ibn Hammâd troviamo però anche altre versioni: in un hadîth di ASMÂ’ AL-ANARIYYA è detto che rimarrà 40 anni, dove un anno è come un mese, il mese come una settimana ecc. (ibid.); mentre SALMÂN AL-FARSÎ avrebbe detto due anni e mezzo (ibid), ma anche quaranta giorni (ibid., p. 338 ).

[14] MUSLIM, Fitan, 122. In IBN AMMÂD troviamo che anche Gerusalemme, Najrân e il Monte Sinai saranno preservate dal suo male (Kitâb al-Fitan, pp. 343-344).

[15] MUSLIM, Fitan, 116. Sulle diverse varianti e per il commento di questo hadîth, cfr. MU. ANWAR SHÂH, Al-tarî bi-mâ tawâtara fî nuzûl al-masî, ad. n. 5, pp. 102-126.

[16] È uno dei minareti della Moschea degli Omayyadi

[17] Bayna mahrûdatayn, letter. “tra due tinte di giallo”, che si riferisca a delle vesti è interpretazione tradizionale.

[18] Come avviene per la tradizione cristiana (cfr. Atti, 1:9-11), anche in quella islamica il ritorno del Cristo appare dunque del tutto analogo a quello della sua assunzione celeste.

[19] L’odierna Lod (antica Lydda, incendiata nel I sec. d.C.), situata a vicino a Ramla, a 37 km a NO di Gerusalemme, sulla strada che porta a Tel Aviv-Giaffa. È improponibile l’interpretazione di G.T. ELMORE, che situa la “porta di Lod” in Damasco (cfr. Islamic Sainthood in the Fullness of Time, Leiden-Boston-Köln 1999, p. 503). Vedere anche l’art. “Ludd”, in EI2, V, pp. 598-803 (M. SHARON).

[20] Perlopiù sono soltanto varianti del hadîth di NAWWÂS (cfr. ABÛ DÂWÛD, Malâim, 14; TIRMIDHÎ, Fitan, 59; IBN MÂJA, Fitan, 33; IBN HANBAL; vedi MUTTAQÎ, Kanz, XIV, 286), ma lo troviamo menzionato anche in alcuni hadîth riportati da altri trasmettitori (cfr. MUTTAQÎ, Kanz, XIV, 335, 337).

[21] Mirqât al-mafâtî, V, p. 197. IBN KATHÎR sembra comunque avvalorare la sua discesa a Damasco, cfr. Kitâb al-nihâya, ed. Dâr al-kutub al-adîtha, Il Cairo s.d., I, p. 127, e lo stesso fa, sul versante opposto, un esponente maggiore dell’esoterismo islamico quale IBN ‘ARABÎ (cfr. Futûât, III, 327.32).

[22] Allude al Mahdî.

[23] È il gesto che fa l’imâm, quando ha già iniziato la Preghiera, per lasciare il posto ad un altro nei rari casi in cui la sua direzione viene meno per qualche motivo.

[24] IBN MÂJA, Fitan, 33. Una versione un po’ differente è riportata anche da al-Hâkim (Mustadrak, IV, 478), dove si ribadisce la discesa di Gesù all’Alba (fajr) e il suo incontro col Mahdî che lo invita a dirigere la Preghiera chiamandolo “Spirito di Dio” (rûh Allâh, cfr. Cor. 4: 171), ma non vi è menzionata Gerusalemme, come accade invece nella versione di Ibn Hammâd, Kitâb al-fitan, p. 346; vedi anche pp. 348-349.

[25] Lam yusalli ‘alâ qatl al-Dajjâl illâ ‘Îsâ bnu Maryam (AYÂLISÎ, Musnad, p. 327, hadîth n. 2504).

[26] Anche ‘Abd al-Ramân ibn ‘Awf, in una occasione, aveva fatto da imâm davanti al Profeta nella Preghiera.

[27] MUSLIM, Îmân, 247.

[28] Sulla funzione della Missione muhammadiana e dell’universalità della sua rivelazione, cfr. P.URIZZI, “Regalità e Califfato”, parte II, in Perennia Verba, 4 (2000), Il Cerchio, Rimini, pp. 162-169; GILIS, Lo Spirito universale dell’Islam, Rimini 1999, cap. 22.

[29] Si tratta della tassa che i non-Musulamani tra le “Genti del Libro”, ossia Ebrei, Cristiani e Mazdei, devono versare all’autorità statale quando vivono in territorio islamico. Cfr. art. “Djizya”, in EI2, II, pp. 559-567 (P. HARDY).

[30] Cfr. BUKHÂRÎ, Anbiyâ’, 49; Buyû‘, 102; MUSLIM, Îmân, 242-243; TIRMIDHÎ, Fitan, 54; IBNMÂJA, Fitan, 33; IBN HANBAL, II, 240, 272, 394, 411, 482, 294, 539; VI, 75; IBN HAMMÂD, Kitâb al-fitan, 350; cfr. anche MUSLIM, Îmân, 245; ÂKIM, Mustadrak, II, 595; MUTTAQÎ, Kanz, XIV, 337.

[31] Walâ Mahdî illâ ‘Îsâ bnu Maryam (IBNMÂJA, Fitan, 24; ÂKIM, Mustadrak, IV, 440; MUTTAQÎ, Kanz, XIV, 263, ecc.).

[32] Tadhkira, pp. 701-702.

[33] Come Gesù viene costantemente designato “figlio di Maria” (Ibn Maryam), il Mahdî viene chiamato per antonomasia “il Fâtimide”, cfr. IBN KHALDÛN, Muqaddima, trad. di V. MONTEIL, Discours sur l’Histoire universelle, Paris, 1978, II, p. 632.

[34] S’intende qui il “Sigillo della santità universale” (khâtim al-walâya al-khâmma) che, nella dottrina dello Shaykh al-Akbar, è ritenuto essere Gesù al tempo della sua Seconda venuta. Vedere infra, nota 145.

[35] ‘Anqâ’ mughrib, ed. Al-maba‘a al-ramâniyya, Il Cario 1353 h., p. 71; vedre anche la trad. di G.T. ELMORE, Islamic Sainthood in the Fullness of Time, cit., p. 508.

[36] Il titolo completo è: ‘Anqâ’ mughrib fî khatm al-awliyâ’ wa-›ams al-maghrib, «La Fenice stupefacente sul Sigillo dei santi ed il Sole d’occidente», dove gli eventi escatologici sono spesso trattati alla luce di una lettura esoterica e puramente iniziatica degli stessi. Questa chiave di lettura è stata adottata, in modo ancor più sistematico, da ‘ABD AL-KARÎM AL-JÎLÎ nel suo Al-insân al-kâmil, ed. Dâr rašâd aladîthiyya, Casablanca, cap. 61, pp. 212-218.

[37] Per la dottrina del “Sigillo dei santi” e per la distinzione tra questi due aspetti di tale funzione, cfr. M. CHODKIEWICZ, Le Sceau des saints, cit., capp. VIII e IX.

[38] J.W. Morris, che l’ha parzialmente tradotto e studiato, ci sembra dare, almeno in questo caso, eccessivo spazio alla visione interiorizzata degli eventi in oggetto. Cfr. J.W.MORRIS, “At the End of Time” (trad. parziale del cap. 366) in Les Illuminations de La Mecque, a cura di M. CHODKIEWICZ, Paris 1989, pp. 117-147, e note pp. 511-530; e soprattutto “Ibn ‘Arabi’s Messianic Secret: From ‘the Mahdi’ to the Imamate of Every Soul”, in Journal of the Muhyiddîn Ibn ‘Arabî Society, vol. XXX, 2001, pp. 1-19.

[39] Come noto la quarta sezione delle Futûhât, che esamina 114 “Dimore spirituali” (manâzil) oggetto di altrettanti capitoli dell’opus magnus di Ibn ‘Arabî (dal 270 al 383), si sviluppa in parallelo alle 114 Sûre del Corano, seguendone però il percorso inverso, ossia iniziando a partire dall’ultima Sûra per terminare con la Fâtiha, l’“Aprente (il Libro)”. Sulla sezione delle “Dimore”, cfr. M. CHODKIEWICZ, Un Océan san rivage. Ibn Arabi, le Livre et la Loi, Paris 1992, cap. 3, pp. 81-101, e CH.A. GILIS, “Les clés des Demeures spirituelles dans les Futûât d’Ibn Arabî”, in René Guénon et l’avènement du troisième Sceau, Paris 1991, pp. 67-114.

[40] Detti anche “Genti della Caverna” (ahl al-kahf). Questo racconto, che troviamo nell’omonima Sûra (Cor. 18: 9-25), viene interpretato da molti esegeti e orientalisti come riferentesi alla storia dei “Sette dormienti di Efeso” vissuti all’epoca dell’imperatore Decio (249-251). Si tratta di sette giovani cristiani che, per sfuggire alla persecuzione dell’imperatore, trovarono rifugio in una caverna assieme ad un cane che li aveva seguiti; colà addormentatisi, non si risvegliarono che al tempo dell’imperatore cristiano Teodosio – il Grande (379-395) o il Giovane (408-450) –, risveglio miracoloso che farà di loro un segno della vita post-mortem e della Resurrezione. Tuttavia la prima versione greca di questo racconto è quella di Simone Metafrasto attorno all’870 d.C. (cfr. MIGNE, P.G., vol. CXV, pp. 427-448), posteriore dunque al testo del Corano. Tradizioni analoghe si riscontrano un po’ ovunque e in epoche diverse e, a parte il carattere paradigmatico del racconto coranico, non è sicuro che esso si riferisca specificatamente alla storia dei “sette dormienti” di Efeso. Anche se la presenza del cane in entrambe i racconti lo farebbe pensare, altri elementi non sembrano combaciare; ad esempio il numero dei “dormienti”, che il Corano pone come incerto, e soprattutto il periodo in cui sarebbero rimasti nello stato di letargia: il Testo sacro dà in tutto 309 anni, mentre la massima estensione possibile tra le date degli imperatori menzionati è di 201 anni. Il prof. M. HAMIDULLAH fa un’interessante accostamento con l’ambiente degli Esseni (cfr. Le Saint Coran , Paris 1985/1405 h., p. 381). Vedere anche l’art. “Ashâb al-Kahf”, in EI2, I, p. 691 (R. Paret); inoltre per la bibliografia, oltre al suddetto art., anche J. KOCH, Die Siebenschlafereigende, ihr Ursprung u. ihre Verbreitung, Leipzig 1883, e il sito ?.

[41] Futûhât, III, 329.27-28; cfr. Les Illuminations de La Mecque, cit., p. 511, n. 2.

[42] La “Religione Pura” (al-dîn al-khâli, Cor. 39:3) menzionata nella stessa pagina (Futûhât, III, 327.29), che si identifica con il Dîn al-hanîf, la ?.

[43] Futûhât, III, 327.31. Lo Shaykh trova una conferma del sostegno di questi Aiutanti nel versetto: «Il vittorioso sostegno degli uomini di fede è per Noi obbligatorio (wa kâna aqqan ‘alaynâ nar al-mu’mînîn (Cor. 30: 47), versetto che è anche l’invocazione costante (hajîr) di questi uomini spirituali (cfr. Futûhât, III, 328.15-17).

[44] Ibid., III, 328,11-13.

[45] Ibid., III, 328, 16.

[46] È l’incertezza, precisa lo stesso IBN ‘ARABÎ (Ibid., III.331.35-332.1; cfr. anche Les Illuminations de La Mecque, cit., pp. 124 e 514 n. 18), espressa dal Profeta sul numero degli anni che il Mahdî avrebbe regnato, che poteva essere di “cinque, sette o nove anni” (il numero degli Aiutanti viene così equiparato e assimilato a quello degli anni di regno), la quale riflette l’imprecisione coranica sul numero dei “Compagni della Caverna”: «Si dirà: “(Essi erano) tre, quarto il loro cane”. O diranno: “Cinque, sesto il loro cane”, congetturando sull’invisibile. O (ancora) diranno: “Sette, ottavo il loro cane”. Dì: “Il mio Signore ha una conoscenza migliore del loro numero. Solo pochi lo sanno”» (Cor. 18: 22).

[47] Futûhât, III, 332.2-4. Queste nove qualità verranno sviluppate e commentate in esteso da IBN‘ARABÎ nel corso dello stesso capitolo (cfr. Ibid., III.332.17-338.2; cfr. la trad. di J. MORRIS, Illuminations de La Mecque, cit., pp. 126-144).

[48] Ibid., III, 328.16-17. La frase può anche essere letta: «…è il più speciale dei Ministri (del Mahdî) e il più eccellente dei fiduciari (umanâ’)», ossia degli Afrâd, dal momento che gli Umanâ’ costituiscono il grado più eminente dei Malâmiyya, con cui gli Afrâd essenzialmente s’identificano (cfr. M. CHODKIEWICZ, Un Océan sans rivage, cit., pp. 70-71), e qui perfettamente simboleggiato nella tipologia del cane. Vista la riluttanza degli Arabi per i cani – vengono tollerati solo quelli utili all’uomo (cfr. l’art. “Kalb” di F. VIRE, in EI2, IV, pp. 489-492) –, quale miglior espressione della malâma, il “biasimo” dei profani che non sono in grado di percepire, e quindi non riconoscono, le celate virtù interiori ed il nascosto stato d’intimità divina? (Sui Malâmiyya o Malâmatiyya, vedere M. CODKIEWICZ, Le Sceau des saints, cit., pp. 136-138, e R. GUÉNON, Iniziazione e realizzazione spirituali, capp. XVIII, XXIX e XXXII).

[49] Ricordiamo che il termine kalb, il “cane” in arabo, ha valore numerico 52, lo stesso dei termini hamd (lode) e walâya (santità).

[50] Dire che l’esistenza “ruota attorno” a loro equivale ad indicare una funzione polare (qutbiyya).

[51] L’interpretazione che ruota attorno alla simbologia del cane è sempre alquanto complessa e delicata, come rilevava già A. DE GUBERNATIS (Mythologie zoologique, Milano 1987, II, p. 18; cfr. anche J. CHEVALIER e A. GHEERBRANT, Dizionario dei simboli, Milano 1994, I, p. 185). Esso si presenta ovunque ed in modo prevalente come mitologema legato alla morte, agli inferi e al mondo ctonio (Anubis, Cerbero, Xolotl, Garm, ecc.), spesso come psicopompo (Sârameya), ma non mancano i riferimenti ad una funzione maggiore, celeste e di “resurrezione” come nel caso del T’ien-k’uan estremo orientale (identificato con la stella Sirio).

[52] IBN AMMÂD, Kitâb Fitan, p. 347 (da Ka‘b).

[53] QURUBÎ, Tadhkira, pp. 773-774.

[54] Cfr. L. CHARBONNEAU-LASSAY, Le Bestiaire du Christ, Milano 1964.

[55]  Cfr. αυτον οταν ελθη εν δοξη του πατρος, Mt. 16:27; Mc. 8:38; Lc. 9:26. Il termine parusìa (παρουσια, “venuta” o “visita” solenne) viene esplicitamente menzionato per indicare la Seconda venuta in: Mt. 24:3, 27, 39; I Cor. 15:23; I Tess. 2:19; 3:13; 4:15; 5:23; II Tess. 2:1, 8; Giac. 5:7-8; II Piet. 1:16; 3:4, 12; I Giov.2:28. L’apostolo Paolo userà anche le espressioni come il “Giorno del Signore” (ημερα κυριου, I Tess. 5:2), il “Giorno di Cristo” (ημερα χριστου, Fil. 1:6), la “manifestazione del Signore Gesù” (αποκαλυψις του κυριου, II Tess. 1:7), l’“epifania del Signore” (επιφανεια του κυριου, I Tim. 6:14).

[56] Cfr. I Tess. 1: 3.

[57] Cfr. il credo apostolico, niceo-costantinopoliano e atanasiano.

[58] Cfr. I Tess. 4: 15-17.

[59] Questo termine indica, nel linguaggio giuridico islamico, l’esercizio speculativo al fine di farsi un’opinione personale (zann) in materia legale. Cfr. art “Idjtihâd”, in EI2, III, p. 1026-1027 (J. SCHATCH, D.B. MACDONALD).

[60] Futûhât, III, 327.27-29; cfr. tr. ingl. in Les Illuminations de La Mecque, cit., pp. 121-122.

[61] IBN HAMMÂD, Kitâb Fitan, p. 220-221 (da Ka‘b).

[62] Qurtubî (Tadhkira, p. 708) riferisce invece che verrà trovata nel tesoro della “Chiesa d’oro” (kanîsat al-dhahab), molto probabilmente Santiago di Compostella (cfr. EI2, II, p. 541b). Il termine Tâbût al-sakîna, che richiama l’ebr. shekhinâh, andrebbe tradotto con “Arca della Presenza divina”.

[63] Nonostante il Cristo della Seconda venuta possieda eminentemente la dignità di Profeta, questa rimane coperta dalla santità (walâya). Cfr. M. CHODKIEWICZ, Le Sceau du saints, cit., p. 147.

[64] Cfr. Ibid., pp. 150-151, 156-157; sul “Sigillo dei santi” si veda anche QAYSARÎ, La Scienza iniziatica, Torino 2003, sez. finale.

[65] Ciò può essere meglio compreso se studiato alla luce della dottrina tradizionale dei cicli cosmici; si veda in particolare R. GUÉNON, Simboli della Scienza sacra, Milano 1975, capp. 19, 22 e 23.

[66] Cfr. ‘Anqâ’ mughrib, cit., p. 74 (i brani criptografati si trovano alle pp. 72-77; assenti invece nell’ed. più recente, ma molto difettosa, di ‘ÂLAM AL-FIKR, Il Cairo1997).

[67] Cfr. il già citato art. “Mahdî”, in EI2 (vedi supra, nota 8).

[68] IBN HANBAL, III, 21; IBN AMMÂD, Kitâb Fitan, pp. 233-234; QURTUBÎ, Tadhkira, pp. 699-700. vedere supra n. 122.

[69] Cfr. Futûhât, III, 327.30; cfr. tr. ingl. in Les Illuminations de La Mecque, cit., p. 122.

[70] Muslim, Fitan, 116; vedere supra, note 87 e 90.

[71] Fa-yamsau ‘an wujûhihim wa-yuaddithuhum bi-darajâtihim fî-l-janna, ‘A. SIDDÎQÎ, traduce l’inizio della frase con “he would wipe their face”. Il verbo masaa ‘an significa “pulir via da…, cancellare strofinando, passando sopra la mano”; essendo il termine della stessa radice che forma la parola Masî, “Messia, Unto”, è difficile non vedervi anche un atto ad un tempo di “consacrazione” e di “purificazione” (un Cristiano potrebbe parlare di “battesimo nello Spirito”). È quanto adombra anche Nawawî, il quale afferma che questa “pulitura” esteriore dei loro volti deve essere intesa come un atto di benedizione e di carità (tabarrukan wa-birran) nei loro confronti per quanto intuisce del loro stato di difficoltà e di angoscia.

[72] In genere interpretato coranicamente come il Monte Sinai.

[73] Naghaf (sing. naghfa), un verme che nasce nel naso degli ovini e dei cammelli.

[74] Yahbiu…ilâ al-ard; lo stesso verbo viene usato nel Corano per la “caduta” dal Paradiso terrestre (cfr. Cor. 2:38).

[75] Allusione alla grandezza dei frutti, che secondo altre versioni saranno tali da soddisfare la fame di un’intera tribù di persone, una caratteristica che corrisponde a quella dei frutti paradisiaci.

[76] MUSLIM, Fitan, 116; trad. in NAWAWÎ, Il Giardino dei devoti, cit., p. 497.

[77] ABÛDÂWUD, Malâim, 14; IBN HANBAL, II. 406; cfr. anche,MU. ANWAR‹ÂH, Al-tarî, ad. n. 1, pp. 95-96. In alcune tradizioni riportate da IBN AMMÂD, Ka‘b avrebbe detto che Gesù rimmarrà ventiquattro anni e compirà venti pellegrinaggi (Kitâb al-Fitan, p. 353); altre ancora secondo cui rimarrà, dopo l’Anticristo, altri trent’anni, andando ogni anno alla Mecca (ibid., p. 355).

[78] MUSLIM, Fitan, 116; IBNHANBAL, II, 166; ÂKIM, Mustadrak, IV, 550; cfr. anche,MU. ANWAR SHÂH, Al-tarî, ad. n. 6, pp. 126-129. Lo Shaykh Amad al-Tijânî riferisce che, durante un sogno in cui vide il Profeta, lo interrogò in proposito e il Profeta gli avrebbe risposto che la versione corretta era quella che parlava di sette anni (‘ALÎ ARÂZIM, Jawâhir al-ma‘ânî, ed. Dâr al-kutub al-‘ilmiyya, Beirut 1997/1417 h., I, p. 43).

[79] Cfr. Cor. 7:143, in cui Mosè, dopo che Dio gli ebbe parlato sul Sinai, Gli chiese di mostrarsi a lui dicendo: «O mio Signore, fatti vedere ch’io Ti guardi»; Dio gli rispose: «“Tu non Mi vedrai, ma guarda il Monte: se rimarrà fisso al suo posto, allora Mi vedrai!”. Ma appena il suo Signore si fu manifestato al Monte, lo ridusse in polvere e Mosè cadde al suolo folgorato»; ed è in questo stato, scrive IBN ‘ARABÎ, che Mosè avrebbe visto il suo Signore (cfr. Futûhât, III, 349.21-350.5, e la tr. ingl. Di J. MORRIS in Les Illuminations de La Mecque, cit., pp. 375-377).

[80] Cfr. IBN AMMÂD, Kitâb al-Fitan, p. 356 (da Ka‘b).

[81] Cfr. QURTUBÎ, Tadhkira, p. 194, che riportata le tradizioni su cui si appoggiano entrambi le tesi.

[82] Cfr. IBN AMMÂD, Kitâb al-Fitan, pp. 357-359.

[83] Cfr. IBN HANBAL, I. 375.

[84] IBN MÂJA Fitan, 33.

[85] Cfr. anche IBN AMMÂD, Kitâb al-Fitan, pp. 346-351.

[86] Ibid., p. 349 (da Ka‘b).


[87] Cfr. R. GUÉNON, L’esoterismo di Dante, cap. VIII.

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