Paolo Urizzi
Il Salvatore escatologico in ambito islamico: l’Imâm atteso e il Cristo della seconda venuta – (II)
Parte 2 di 2
L’avvento del Mahdî segna
un ritorno alla Tradizione, all’armonia tra gli esseri e la natura; questo
“raddrizzamento”[1]
finale viene salutato come un rinnovato ordine del
micro e del macrocosmo: dopo la siccità e la sterilità del terreno, il cielo
tornerà a dare la sua pioggia e la terra a produrre le sue piante[2].
Il suo governo sarà veramente conforme all’Ordine divino nel senso più
profondo, non per una sterile applicazione della Legge e per una
ottusa lettura del Testo sacro, ma per la capacità intrinseca di
incarnarne la Sapienza che lo ispira, come lascia intravedere l’espressione Khalîfat Allâh che gli viene data.
Va
ricordato, infatti, che secondo la dottrina esoterica del Califfato, questa
funzione comporta non soltanto l’aspetto esteriore del potere temporale, ma
anche quello interiore dell’autorità spirituale, cui si può accedere solo dopo una effettiva e completa realizzazione iniziatica[3].
La khilâfa, infatti, intesa come
“luogotenenza divina” ha la sua origine nella natura primordiale dell’Uomo,
creato “secondo la forma di Dio”[4], e il fatto che perfino i “Califfi bendiretti” (al-khulafâ’ al-rashidûn) – che pur
possedevano questa funzione anche da un punto di vista interiore – si
limitassero a portare il titolo di Khalîfat
Rasûl Allâh, ossia di “rappresentante dell’Inviato di Dio”, permette di
intuire tutta la portata di un tale appellativo per il Mahdî[5].
Tuttavia si tratta di un
ritorno al sacro che verrà condotto non senza
difficoltà e dovrà scontrarsi con la più temibile delle calamità[6],
quella del capovolgimento tradizionale, della pura sovversione di ogni
principio di ordine superiore: il regno dell’Anticristo. Il termine Anticristo lo si trova sovente nella forma costrutta al-Masîh al-Dajjâl, letteralmente il
“Messia impostore”, il “Falso Cristo”, ma col mutamento morfologico di una
consonante araba (la hâ finale di Masîh, “Messia”, trasformata in khâ) viene anche chiamato semplicemente al-Masîkh, il “Deforme”, lo “Sfigurato”,
appellativo che gli viene attribuito in primis
per le fattezze che lo contraddistingueranno, poiché ci viene descritto come
avente «l’occhio destro che assomiglia a un acino sporgente»[7], deformità fisica che non è altro che il riflesso esteriore
della sua deformità interiore. La parodia della “contro-tradizione” non
potrebbe essere meglio descritta di queste parole del Profeta: «Egli verrà con un Paradiso e un Inferno, ma
il suo Paradiso sarà un Inferno e il suo Inferno un
Paradiso»[8]. La
gente, ha detto ancora il Profeta, «fuggirà
dal Dajjâl fino a cercar rifugio tra le montagne»[9].
Viene poi precisato che la sua comparsa avverrà su una
strada tra la Siria e l’‘Irâq e rimarrà sulla terra per quaranta giorni, «uno come un anno, uno come un mese, uno
come una settimana e il resto dei suoi giorni come i vostri»[10].
L’Anticristo dilagherà per la terra con «la
rapidità della pioggia portata dal vento»; coloro che risponderanno
al suo appello[11]
troveranno prosperità ed egli manifesterà dei prodigi: il cielo produrrà
pioggia e la terra raccolti, ed egli farà riaffiorare i tesori nascosti della
terra; coloro che lo sconfesseranno verranno invece privati d’ogni bene[12].
Secondo quanto riportato da Muslim, l’Anticristo non dominerà sulla terra che «per quaranta giorni, uno come un anno, uno
come unmese, uno come una settimana e i restanti
giorni come i vostri giorni»[13].
Ad ogni modo, per quanto effimero e destinato a non durare molto, il suo
dominio sul mondo appare pressoché assoluto: «non vi sarà alcuna terra che non sia ‘coperta’ dall’Anticristo, eccetto
Mecca e Medina»[14].
Dove si troverà il Mahdî in
questo stato di cose? Non è dato di saperlo con precisione, ma dalle tradizioni
sembra di poter evincere che, almeno negli atti conclusivi dello scontro tra la
luce e le tenebre, scenario dell’apocalittico Harmaghedon, egli si troverà a
Gerusalemme, ed è a questo punto che Gesù scenderà per aiutare il Mahdî a
sconfiggere l’Anticristo. È ancora lo stesso hadîth, poc’anzi citato nella versione di Nawwâs ibn Sam‘ân[15], che ci dà una delle versioni più complete dell’evento: «E mentre egli (il Dajjâl) sarà occupato in
queste cose, Dio invierà il Messia figlio di Maria, che discenderà presso il
bianco minareto orientale di Damasco (fa-yanzilu ‘inda-l-manârat al-bayâ’sharqî
Dimashq)[16], indossando due vesti tinte di giallo[17] e poggiando i palmi delle mani sulle ali di due angeli[18].
Quando abbasserà il capo esso gocciolerà e quando lo solleverà
cadranno gocce argentee come perle. E non è permesso a nessun miscredente
(kâfir) sentire il profumo del suo alito senza morire, ed
il suo alito abbraccia l’estensione del suo sguardo. Quindi lo cercherà
(l’Anticristo), finché lo raggiungerà alla porta di Ludd[19] e lo ucciderà». Il hadîth
prosegue col racconto dei compagni di Gesù, di Gog e Magog e degli eventi
ultimi fino al sorgere dell’Ora, ma prima di ritornarvi è opportuno confrontare
questo testo con altre tradizioni, poiché mettono in luce dei particolari
importanti che bisogna aver cura di rilevare. Benché la maggior parte delle
versioni attestino la discesa di Gesù presso il bianco
minareto orientale di Damasco[20],
il dotto ‘Alî al-Qârî riporta nel suo Commento al Mishkât al-maâbî[21],
sull’autorità di Ibn Kathîr, che in alcune varianti è detto che discenderà a
Gerusalemme (Bayt al-maqdis) e
aggiunge che, a suo parere, questa è la versione preferibile (arja).
Troviamo, infatti, che
un’altra non meno famosa tradizione documenta l’incontro di Gesù col Mahdî a
Gerusalemme; secondo questa testimonianza, mentre il Profeta parlava degli
eventi che accompagneranno la venuta del Dajjâl, qualcuno gli chiese: «O Inviato di Dio, quale sarà la condizione
degli Arabi in quell’epoca?» Rispose: «Saranno
pochi all’epoca; la maggior parte si troverà a Gerusalemme e il loro Imâm sarà
un uomo retto (râjul âli)[22].
È proprio quando il loro Imâm si porrà in avanti per compiere assieme a loro la
Preghiera del Mattino (al-subh), che, in quel preciso momento, scenderà su di
loro Gesù figlio di Maria (idhâ nazala ‘alayhim ‘Îsâ
bnu Maryam al-subh). Quell’Imâm allora si ritirerà, camminando all’indietro,
per lasciar dirigere la Preghiera a Gesù[23],
ma Gesù porrà la mano tra le sue spalle dicendogli: “Avanza e continua
(a dirigere) la Preghiera. È perché tu la diriga che è stato fatto l’appello
alla Preghiera (laka uqimat);
prega dunque quale loro Imâm”. Al termine, Gesù – su di lui la Pace!
– dirà: “Aprite la porta!”. La porta verrà
aperta e dietro a essa si troverà il Dajjâl con settantamila Ebrei, tutti
armati con spade decorate, di teak. Ma non appena l’Anticristo poserà il suo
sguardo su Gesù, si dissolverà come sale nell’acqua e s’affretterà
a fuggire. Gesù – su di lui la Pace! – dirà: “Ho
in serbo per te un colpo a cui non potrai sottrarti”; lo raggiungerà quindi
presso la porta orientale di Ludd e lì l’annienterà»[24], poiché «a nessuno è dato il potere
di distruggere il Dajjâl se non a Gesù»[25].
Ci
si potrebbe stupire che Gesù segua la Preghiera dietro il Mahdî, ma essere guidati nella
Preghiera non implica necessariamente inferiorità di rango[26]; la superiorità di Gesù è confermata del resto dal gesto
del Mahdî. In una versione riportata da Muslim Gesù declina l’offerta di dirigere la Preghiera dicendo: «No, alcuni sono
preposti a condurre gli altri (lâ,
ba‘akum ‘alâ ba‘in umarâ’). Questo
è l’onore da parte di Dio per questa Comunità (takrimat Allâh hadhihi-l-umma)»[27]. L’atteggiamento del Cristo sta qui ad indicare, piuttosto, una convalida da parte sua
della funzione del Mahdî, nonché la sua propria sottomissione alla Legge islamica[28].
I testi islamici affermano
ripetutamente che il Cristo della parusìa sarà un Musulmano e gli ahâdîth
che descrivono la funzione spirituale
che eserciterà al fianco del Mahdî nella Comunità islamica sono altrettanto numerosi, se non di più, di quelli che lo
vedono in veste di giustiziere dell’Anticristo. Nella loro forma più tipica
queste tradizioni affermano che Gesù scenderà in mezzo ai Musulmani –
ossia come uno di loro – quale giudice imparziale (akaman muqsian) e giusto Imâm (imâman ‘adlan), ed egli spezzerà la croce (yaksiru-l-salîb), ucciderà il maiale (yaqtulu-l-khinzîr), abolirà la tassa dei non-Musulmani (yaa‘u-l-jizya)[29]
ed elargirà la ricchezza (yafîdu-l-mâl) al punto che
nessuno avrà più bisogno di prenderne oltre[30].
Non
si può fare a meno di notare, a questo riguardo, che alcuni attributi che
caratterizzano la funzione del Cristo si sovrappongono in modo sorprendente a quelli del Mahdî: per
prima cosa quelli di equità e giustizia
(qis wa ‘adl), poi il fatto di distribuire le ricchezze;
a complicare il tutto si aggiunge la parola del Profeta riportata da Anas: «Non vi è Mahdî se non Gesù figlio di Maria»[31].
Una
certa perplessità di fronte a questa ambivalenza si
può intuire anche presso i sapienti musulmani che si sono sforzati di trovare
comunque una soluzione giustificativa a tali propositi enigmatici consegnati
dalla tradizione. Qurtubî dedica una sezione della Tadhkira
al hadîth
appena citato[32]
e, dopo aver argomentato sulla sua solidità, fa notare
che in ultima analisi non può trattarsi di commistione e la prova più
convincente – oltre a quella che vede Gesù dietro a lui durante la
Preghiera – è data dalle tradizioni che ne fanno un discendente di Fatima (min walad Fâtima)[33], quindi ne conclude che la tradizione citata può voler solo
dire che «non vi è Mahdî perfetto e impeccabile (kâmil ma‘ûm) se non Gesù». Il giudizio dei dottori musulmani si è espresso unanimemente sul fatto
di distinguere queste due figure anche se, come scrive Ibn ‘Arabî
parlando del Mahdî, «può accadere talvolta che i suoi attributi assomiglino
intimamente a quelli del Sigillo (dei santi)[34], e che i loro Segni (annunciatori) possano essere confusi», sottolineando egli stesso la necessità di
stabilire una certa distinzione (tamyîz) tra le due funzioni e, di conseguenza, tra
coloro che ne sono investiti[35].
Il grande maestro andaluso
rimane sicuramente una delle fonti maggiori per comprendere la dottrina
esoterica di queste tradizioni e non vi è dubbio che, pur avendo dato ampio
rilievo ad una lettura iniziatica e interiorizzata
degli eventi escatologici mediante la loro trasposizione a livello
microcosmico, a cui egli si richiama costantemente nell’‘Anqâ’ mughrib[36],
è impensabile che sia mai stata messa in discussione o anche soltanto sminuita
la portata effettiva e finale di questi avvenimenti e dei loro protagonisti in
rapporto al piano delle contingenze storiche e delle vicende umane. Il
personaggio concreto del Cristo della parusìa,
che proprio a partire da questo maestro viene visto
quale apoteosi finale e conclusiva del ciclo della Santità e investito come
tale del titolo di Khâtim al-walâya al-mulaqa, il “Sigillo della santità
assoluta” che fa in qualche nodo da contrappunto al “Sigillo della santità
muammadiana” (al-khâtim al-walâya al-muammadiyya)[37], è notevolmente presente nella sua opera e soprattutto nelle
monumentali Futûhât al-makkiyya; la
figura del Mahdî, per contro, non viene trattata in questo testo che nel
capitolo 366, dedicato appunto al Mahdî e ai suoi Ministri (wuzarâ’)[38].
Già dal titolo di questo lungo capitolo: «Sulla conoscenza dei Ministri del Mahdî
che si manifesterà alla Fine dei tempi,
il quale è stato annunciato dall’Inviato di Dio –
su di lui la Grazia e la Pace divine! –
e appartiene alle Genti della Casa
(profetica)», si evince sia la concretezza storica dell’annuncio,
sia il suo essere una figura distinta dal Cristo. Il
dato originale dell’insegnamento akbariano al riguardo è però quello sui
“Ministri” del Mahdî che lo shaykh desume dal racconto coranico[39] degli Ashâb al-Kahf, i “Compagni della
Caverna”[40], il cui carattere escatologico è suffragato da una lunga
tradizione, e non solo in ambito islamico.
Per lo Shaykh
al-Akbar questi Ministri sono i veri aiutanti del Mahdî nell’opera di
restaurazione e di “raddrizzamento” tradizionale, e siamo messi in guardia dal
non considerarli dei subalterni, poiché essi «sono le “guide” (al-hudât), mentre egli è “il guidato”
(al-mahdî)»[41].
Costoro, dice Ibn ‘Arabî, sono degli «uomini divini (rijâl ilâhiyûn) che si
faranno carico della sua missione di chiamare gli uomini (alla vera Religione[42]) (yuqîmûna
da‘watahu) e che lo sosterranno»[43], «un gruppo (di uomini spirituali) che Dio ha tenuto
nascosti per lui (il Mahdî) nei segreti
recessi del Suo dominio invisibile. L’Altissimo ha
fatto loro conoscere mediante lo svelamento intuitivo (kashf)
e la percezione diretta (shuhûd) le realtà (divine, al-haqâ’iq) e i contenuti dell’Ordine di Dio
riguardante i Suoi servitori. Il Mahdî, dunque, effettuerà le sue decisioni e pronuncerà i suoi giudizi in base alla consultazione
che avrà con loro, poiché essi sono i veri Conoscitori, coloro che sanno
effettivamente i contenuti di quanto si trova Colà (nella Realtà divina)»[44].
Un dato interessante è sicuramente quello che questi Aiutanti saranno tutti
degli a‘jâm, dei “non-Arabi”, benché
non parleranno se non l’Arabo[45]
e, quale che sia il loro numero – a questo
riguardo lo Shaykh è incerto[46],
anche se non potrà comunque essere superiore a 9 – per assolvere la loro
funzione dovranno possedere in tutto nove qualità, che deve comunque possedere
anche l’Imâm dell’epoca: 1) una visione penetrante (nifûdh al-baar); 2) saper cogliere l’appello divino quando viene
rivolto (ma‘rifa al-khiâb alilâhî
‘inda-l-ilqâ’); 3) saper tradurre quanto viene da Dio (‘ilm al-tarjama ‘an Allâh); 4) stabilire le diverse classi di
coloro che esercitano un’autorità tradizionale (ta‘în al-marâtib li-walât al-amr); 5) avere misericordia nel rigore
(alrama fî-l-ghaab); 6) (conoscere)
le diverse forme di sostentamento, spirituale e sensisbile, di cui ha bisogno
chi governa (mâ yatâj ilayhi-l-malik min
al-arzâq al-masûsa wa-l-ma‘qûla); 7) saper interpretare gli avvenimenti (‘ilm tadâkhil al-umûr baahâ ‘ala ba‘);
8) sforzarsi al limite delle proprie forze per soddisfare i bisogni degli
uomini (al-mubâlagha wa-l-istiqâ’ fî qaâ’
awâ’ij al-nâs); 9) possedere la scienza dell’Invisibile (al-uqûf ‘alâ ‘ilm al-ghayb)[47].
Rimane da definire il ruolo
e la misteriosa identità del loro “guardiano” (âfiz), «uno che non
appartiene alla loro specie, che non disobbedisce mai a Dio, ed è il più speciale dei Ministri (aksa al-wuzarâ’) e il più
eccellente dei “fidati” (afal al-umanâ’) (del Mahdî)»[48].
È ovvio che lo Shaykh al-Akbar sta parlando qui del
“Cane” (kalb)[49]
dei “Compagni della Caverna”, menzionato sempre in modo autonomo nel Corano, ma
su di lui e la sua funzione non ci viene detto però nulla di più. È evidente
che si tratta di uno dei Wuzarâ’ del Mahdî,
ma negli scritti di Ibn ‘Arabî non troviamo nulla che consenta di determinarlo con
precisione, anche se alcuni indizi farebbero pensare di poterlo identificare
col Cristo stesso. Anche il Cristo, infatti, fa parte dei Ministri del Mahdî,
come si può evincere dal verso preliminare del capitolo in questione: Inna-l-Imâm ilâ-l-Wazîr faqîr, wa ‘alayhimâ
fulk al-wujûd yadûr, «Certamente l’Imâm ha bisogno del Ministro, e la sfera
dell’esistenza ruota attorno a loro due». L’Imâm di cui si parla non è
altri che il Mahdî e quanto al “Ministro” non può trattarsi qui semplicemente
di un singolare impiegato erga omnes,
poiché il seguito del versetto sottolinea con l’uso del duale (‘alayhumâ) la presenza di due
individualità specifiche aventi un’importanza unica nell’economia delle funzioni
spirituali[50]. E
colui di cui il Madhî abbisogna in modo eminente non è altri che il Cristo, che
appare dunque come uno dei suoi Aiutanti o Ministri e sicuramente il più
elevato ed importante di tutti, come è detto appunto del “Cane”[51].
Un’ulteriore e non secondaria conferma documentaria ci viene fornita da alcune
tradizioni; la prima, riportata da Ibn Hammâd, vede Gesù, al momento dell’incontro
col Mahdî che lo invita a dirigere la Preghiera, replicare: «Sono stato mandato come Ministro (wazîr),
non come Principe (amîr)»[52];
la seconda invece, presente in Qurtubî, precisa che i discepoli di Gesù (awârî ‘Îsâ) al tempo della parusìa
saranno i “Compagni della Caverna (ashâb
al-kahf) e al-Raqîm” e che questi apparterranno alla Comunità muammadiana[53].
Si tratta evidentemente dei Compagni di Gesù che ritroviamo in altre tradizioni
islamiche sulla fine dei tempi; tuttavia, l’ultima tradizione pone il problema
di al-Raqîm, menzionato nel Corano e rimasto di difficile decifrazione anche
per gli esegeti; qualcuno l’ha interpretato come il nome del “cane”, il che
evidentemente lo porrebbe in antitesi con l’interpretazione qui proposta, e
sicuramente non sembra convenirgli neppure l’interpretazione che, in linea con
il significato etimologico, l’interpreta nel senso di una “tavola di pietra
contenente un’iscrizione” che si trovava all’entrata della Caverna. Possiamo
dunque dedurne che il Cane non sia altri che Gesù? lo Shaykh al-Akbar non lo
afferma da nessuna parte. La questione rimane dunque ambigua, dal momento che
neppure in ambito cristiano troviamo, in tutta la vastità del bestiarium cristico, alcun riscontro con
una simbologia cinomorfa[54].
Quale che sia
l’interpretazione al riguardo, il dato rilevante rimane piuttosto nella
determinazione della natura della parusìa del Cristo della Seconda venuta. Come
noto, benché i testi cristiani parlino sovente della “venuta nella Gloria del
Padre”[55],
la forma di questa manifestazione o epiphaneia
rimane alquanto indeterminata quanto a tempi emodi[56].
Per la Chiesa il Cristo apparirà come “giudice dei vivi e dei morti”[57],
e per Paolo si tratta di un’apparizione essenzialmente gloriosa che viene ad
inaugurare il regno messianico e celeste[58].
Per la tradizione islamica,
invece, egli è lo strumento della restaurazione tradizionale che precede la
fine di questo mondo, colui che, investito dell’autorità spirituale (l’imâma / sacerdotium), affianca il Mahdî
(la khilâfa / imperium) nella sua
opera ordinatrice. La funzione islamica del Cristo della Seconda venuta è
fondamentalmente di “questo mondo”, non solo perché viene a porre fine all’iniquità
del falso Messia, ma anche perché svolge un ruolo diretto nell’ambito della
Legge islamica (dove appare come un “giusto Imâm”) e del suo rinnovamento (ad
es. con l’abolizione della jizya),
nonostante quest’ultima sembri essere più una caratteristica primaria del Mahdî
che non di Gesù. È il Mahdî, infatti, che, stando alla descrizione di Ibn
‘Arabî, «manifesterà la Religione com’essa
è (realmente) in se stessa, la Religione mediante la quale lo stesso Inviato di
Dio giudicherebbe e guiderebbe se si trovasse presente. Egli eliminerà le
differenti scuole (di legge religiosa) di modo che non rimarrà che la Religione
Pura (Cor. 39: 3), e i suoi nemici
saranno quelli che seguono ciecamente gli “ulamâ”, la gente dell’ijtihâd[59],
poiché costoro vedranno il Mahdî giudicare in modo diverso da quello seguito
dai loro imâm»[60].
Entrambi queste figure sono
in realtà investite di un alto magistero spirituale: quello del Mahdî
sicuramente di carattere anche exoterico, intrinsecamente inscindibile dalla
sua funzione “califfale” che si svolge sul piano degli eventi temporali; quella
del Cristo, invece, è probabilmente d’un carattere più interiore, anche se si
tratta in ambedue i casi d’un magistero che procede eminentemente dall’ordine
delle realtà iniziatiche. In alcuni detti extracanonici[61]
viene riferito che il Mahdî riporterà alla luce da una grotta nei pressi di
Antiochia l’Arca dell’Alleanza (tâbût al-sakîna)[62]
in cui vi saranno la Toràh e il Vangelo originarî e che egli diramerà le
questioni tra gli Ebrei in base alla Toràh e quelle tra i Cristiani in base al
Vangelo. Simili resoconti lascerebbero intendere che, nonostante si affermi che
alla fine non rimarrà che l’Islam sulla faccia della terra, la sua funzione si
estenda al di fuori dei limiti dell’Islam attuale. Ma di quale Islam si tratta?
A parte il dubbio valore di questi dati, da quel che si è potuto appurare ci è
permesso di capire che alla fine abbiamo comunque a che fare con la Tradizione
nella sua primigenia purezza, ancorché veicolata dal Verbo coranico e dalla
forma muhammadiana che ne costituisce la sintesi finale. Ciò viene sottolineato
del resto dal grado iniziatico che verrà a coprire il Cristo della parusìa
quale ce lo descrive Ibn ‘Arabî, ossia quello di “Sigillo della Santità assoluta”
(khâtim al-walâya al-mulaqa) o
“universale” (‘âmma)[63].
Senza poter entrare qui nel merito delle caratteristiche specifiche di questa
funzione spirituale e del suo rapporto con il “Sigillo della santità muhammadiana”
(khâtim al-walâya al-muammadiyya)[64],
basta dire che egli è la conclusione degli aspetti generali della “santità” (walâya) comuni ad ogni forma
tradizionale. Nell’ottica della Philosophia
perennis diremmo volentieri che egli, in quanto “Sigillo”, è il deposito
sintetico delle differenti forme di saggezza inerenti a ciascuna Legge rivelata
destinate al ciclo futuro[65];
è solo in questo modo che trovano allora tutta la loro giustificazione, e in
qualche modo il loro complementarismo, le formulazioni che vediamo espresse sia
da parte cristiana che islamica.
Non bisogna pensare che
l’Islam misconosca la natura unica del Cristo, anche se gli sviluppi storici
della dottrina canonica hanno tendenziosamente velato la portata eccezionale
che gli viene attribuita nella rivelazione coranica. È quanto mai curioso
constatare che nella parte finale dell’‘Anqâ’
mughrib, la “Fenice meravigliosa”, dedicato proprio al “Sigillo della
santità”, Ibn ‘Arabî mascheri i versetti coranici che gli si riferiscono dietro
una criptografia esoterica, versetti che ci ricordano che il Cristo è «un Verbo
che procede da Lui» (Cor. 3: 45), ecc.[66].
Viene da chiedersi quale motivo l’abbia spinto a questa dissimulazione. Difficile
dirlo con precisione; certo è, però, che un’esaltazione della realtà cristica
non trova una grande accoglienza nell’ambiente islamico, anche se la sua
origine è in ultima analisi puramente coranica. Molto probabilmente, è per lo
stesso motivo che, in seno all’umma islamica, tra queste due figure
inscindibili vi è sempre stata maggior attesa per l’avvento del Mahdî, ed è
sicuramente il suo personaggio quello che ha maggiormente esaltato e infiammato
l’immaginario collettivo. Tuttavia, non si può trascurare il fattore umano di questa
figura carismatica: il Mahdî, anche se è uno sharîf, nobile discendente del Profeta, rimane pur sempre più
abbordabile e vicino alle masse di colui che non è interamente di “questo mondo”
ed è stato elevato vivente in Cielo, pertanto anche storicamente più definibile
e oggetto di numerose contraffazioni[67].
Il “regno” e la funzione del Mahdî, unitamente a quella del Cristo benintesto, vanno
sì inseriti nella prospettiva d’una restaurazione tradizionale, dunque di
ordine sacro e di armonia cosmica e spirituale, ma saremmo indotti in errore se
ci illudessimo che il “regno messianico” è di questo mondo e che la fantomatica
“Età dell’Acquario” trovi riscontro al di fuori di una sincretistica mentalità
new age. Lo scopo di questa “restaurazione”, peraltro di breve durata –
per il regno del Mahdî si parla il più sovente di sette, otto o nove anni[68]
– serve soprattutto a riunire gli “ultimi eletti”, compito che è
riservato in modo abbastanza palese al Cristo. Infatti, quantunque il periodo
di ordine tradizionale mantenuto con mano ferma dal Mahdî[69]
si sfaldi dopo la sua scomparsa, la missione ed il compito di Gesù non si
esaurisce che quando tutto quel che doveva essere compiuto in questo mondo
prima della sua fine sarà stato portato a termine.
Dopo l’uccisione
dell’Anticristo, a conclusione del hadîth
di Nawwâs ibn Sam‘ân che si è citato più in alto[70],
è detto: «Poi Gesù verrà ad un popolo che
Dio avrà preservato per lui, e divinerà (i loro stati) dai loro volti, e
illustrerà loro i gradi che essi avranno nel Paradiso[71].
E mentre egli sarà occupato in queste cose, ecco che Dio Altissimo rivelerà a
Gesù: “Ho suscitato dei Miei servi tali che nessuno avrà mani per poterli
uccidere: offri un asilo ai Miei servi portandoli sul Monte (al-Tûr)”[72].
E Dio susciterà allora Gog e Magog, ed “essi si precipiteranno da ogni altura”:
e i primi di loro passeranno dal lago di Tiberiade, e ne berranno quanto
contiene; e passeranno gli ultimi di loro e diranno: “C’era acqua una volta
qui”. E saranno circondati il Profeta di Dio Gesù e i suoi compagni, al punto
che la testa di un toro sarà per uno di loro più cara che cento dìnar oggi per
uno di voi; e il Profeta di Dio Gesù e i suoi compagni – Iddio sia
soddisfatto di loro – supplicheranno Dio Altissimo, e Iddio manderà nei
colli di quelli i vermi[73],
e al mattino si troveranno uccisi come un sol uomo. Allora il Profeta di Dio
Gesù e i suoi compagni – Iddio sia soddisfatto di loro – “scenderanno”
sulla terra[74],
e su di essa non vi troveranno lo spazio di una spanna che il lezzo e il fetore
di quelli non abbiano riempito; il Profeta di Dio Gesù e i suoi compagni
– Iddio sia soddisfatto di loro – supplicheranno Dio Altissimo e
Dio invierà un uccello simile al collo dei cammelli di Battriana, che li porterà
via gettandoli dove Dio vuole. Poi Dio Potente e Glorioso manderà una pioggia
dalla quale non si sottrarrà nessuna casa, né di fango né di pelle, e laverà la
terra fino a lasciarla come uno specchio. Poi sarà detto alla terra: “Produci i
tuoi frutti e offri la tua abbondanza di beni”: e allora la comunità mangerà
della granata e si metterà all’ombra della sua scorza[75],
ed Egli benedirà il latte, al punto che la femmina da latte del cammello
basterà alla tribù degli uomini, e la femmina da latte degli ovini sarà
sufficiente a un ramo della tribù. E mentre essi si troveranno in questo stato,
Dio Altissimo susciterà una brezza soave, che arriverà loro sotto le ascelle: e
verrà ritirato lo spirito vitale di ogni credente e di ogni sottomesso, e
resteranno i malvagi degli uomini, a montare come montano gli asini. E su di
essi si leverà l’Ora»[76].
I tempi di questa fase
finale, però, rimangono tutto sommato avvolti in una certa vaghezza. Questo
vale, lo si è visto, per il tempo del regno del Mahdî, e si ripresenta per la
durata della missione del Cristo; se da un lato è indubbio che rimarrà sulla
terra per un certo tempo, vi sono nondimeno al riguardo due versioni, entrambi
classificate come autentiche (aî): l’una dà un periodo di
quarant’anni[77],
l’altra, invece, parla di sette soltanto[78].
Se la versione maggiormente accreditata dovesse risultare quella dei sette
anni, si potrebbe allora ragionevolmente supporre che il regno del Mahdî e il
periodo della missione cristica scorrano in modo abbastanza parallelo, anche se
non ci è dato sapere quale dei due avrà termine per primo. Tuttavia, dalla fine
del hadîth sopra
citato sappiamo che verrà un momento in cui tutti i credenti renderanno l’anima
a Dio e qui, come in altre versioni, l’episodio è sempre formulato
all’intenzione del Cristo e dei suoi discepoli, e non vi è mai menzione del
Mahdî; ciò indurrebbe dunque a pensare che, a quel punto, la scena si sarebbe
già conclusa per lui.
Del periodo che intercorre
tra l’uccisione dell’Anticristo e la comparsa di Gog e Magog, quel che colpisce
maggiormente è l’ordine divino impartito a Gesù di ritirarsi con i “Compagni
della Caverna” sul Tûr, il “Monte”, che per l’animo musulmano
evoca immediatamente il luogo della “teofania sinaitica”[79];
ciò lascia intendere che si tratti non solo di un luogo di rifugio – come
lo sarà al tempo di Gog e Magog –[80],
ma anche, e soprattutto, di un luogo di contemplazione e di compimento
spirituale. Tutto quel che avverrà in seguito, a conclusione della storia,
rimane nel dominio del destino ineluttabile e della inesorabile consumazione
ciclica finale. Che il Centro spirituale maggiore sia esso stesso destinato a
soccombere e a ritirarsi in una sfera non soggetta al tempo e alla distruzione
è messo in luce dalle tradizioni che parlano della distruzione della Ka‘ba da
parte degli Etiopi, forse all’epoca stessa di Gesù o, il che è più probabile, dopo
la sua morte, quando lo stesso Corano verrà “ritirato” dall’animo dei credenti
e dalle copie scritte[81].
L’inizio della fine avverrà
proprio con l’avvento delle orde apocalittiche di Gog e Magog: le tradizioni ci
informano che a quel tempo i credenti saranno 12.000 più le loro donne e i loro
bambini[82],
i quali, dopo essersi riuniti a Gerusalemme al tempo dell’Anticristo e aver
fatto ritorno ai loro paesi d’origine durante il periodo di pace, torneranno da
Gesù affinché li liberi da quella drammatica situazione[83].
La sua preghiera sarà non solo efficace nel liberare gli uomini da questa
calamità, ma – stando a numerose tradizioni – farà sì che sulla
terra si ripristini l’ordine primordiale: «…astio e rancore scompariranno, ogni
pernicioso aculeo sarà rimosso al punto che il fanciullino introdurrà la sua
mano nella (bocca della) serpe senza esserne leso, e la fanciullina metterà in
fuga il leone senza subire ingiurie; il lupo starà in mezzo ai greggi come
fosse il loro cane da guardia, e la terra sarà riempita di pace come il
recipiente viene riempito dall’acqua. Vi sarà allora una sola parola, e non si
adorerà altri che Dio e la guerra deporrà i suoi ministri.…e la terra
sarà come una tavola d’argento che fa germinare le sue piante come all’epoca di
Adamo»[84].
Non
è difficile cogliere un’incongruenza tra questa terra e questa pace restaurate[85]
e la brezza soave che prenderà lo spirito vitale dei credenti lasciando il
resto dell’umanità nella barbarie in attesa dei restanti segni maggiori che preannunciano
l’avvento dell’Ora. Questa apparente difficoltà fa sì che alcuni trasmettitori
abbiano confuso il periodo di pace che, a titolo di prefigurazione, si
concretizzerà col regno del Mahdî, e quello ben più
radicale, tale da ristabilire l’originale ordine cosmico, che si dice avverrà
dopo la distruzione di Gog e Magog; capita così di vedere talvolta
procrastinati i sette anni del periodo messianico in questa seconda fase[86],
non realizzando che ciò a cui tutti questi hadîth fanno allusione è in realtà il periodo millenario del vero Sanctum Regnum, regno che non è certo di “questo mondo”, anche se comporta la discesa
sulla terra della “Gerusalemme celeste”[87].
Fine parte 2 di 2
[1] Segnaliamo di sfuggita che è a lui che si riferiscono molte predizioni
occidentali sulla venuta del “Gran Monarca” (cfr. anche R.GUÉNON, op. cit., pp.
305 n. 1, e 313 n. 1).
[2] QURUBÎ, Tadhkira, p. 700.
[3] Cfr. P. URIZZI, “Regalità e Califfato”, parte I, in Perennia Verba, 3 (1999), Il Cerchio,
Rimini, pp. 136-147.
[4] Innâ ‘Llâha khalaqa Âdam ‘alâ ûratihi (BUKHÂRÎ, Isti‘dhân, 1; MUSLIM, Birr 115, Janna 28, IBN HANBAL, II, 244, 251, 315, ecc.). È lo stesso Corano
a porre in relazione la creazione dell’Uomo con la funzione della “luogotenenza
divina” (cfr. Cor. 2: 30).
[5] Anche se gli ahâdîth menzionano il conferimento
del potere (sulâna) da parte di alcuni delegati, bisogna comprendere che
l’investitura dell’autorità al Khalîfat
Allâh, il “Rappresentante di Dio” sulla terra, non può venire che
dall’alto, ossia dalla stessa Autorità divina: «Costoro sono coloro cui Noi demmo il Libro e l’autorità e la profezia;
costoro sono coloro che Dio ha guidato, quindi seguite la loro guida» (Cor. 6: 89-90).
[6] «Dal tempo di
Adamo all’avvento dell’Ora finale non vi è affare più grave dell’Anticristo (mâ…amr akbar min al-dajjâl)»
(IBN HANBAL, IV, 19;MUSLIM, Fitan, 126-127; cfr. MUTTAQÎ, Kanz, XIV, 300-301).
[7] Wa inna al-masî al-dajjâl a‘war al-?ayn
al-yumnâ, ka’anna ‘aynuhu ‘anaba âfiya (BUKHÂRÎ, Tawhîd, 17;
MUSLIM, Fitan, 100; IBNMÂJA, Fitan,
33; IBN HANBAL, II, 124; V. 38; cfr.
MUTTAQÎ, Kanz, XIV, 284).
[8] Ma‘hu janna wa nâr fa-nâruhu janna wa
jannahu nâr (MUSLIM, Fitan, 104; IBN
MÂJA, Fitan, 33; cfr. MUTTAQÎ, Kanz, XIV, 299). In un altro hadîth
è detto: «Quando verrà il
Dajjâl porterà un’acqua e un fuoco, ma quello che agli uomini sembrerà del
fuoco sarà invece una fresca acqua, e quello che sembrerà loro come fresca
acqua sarà invece fuoco bruciante; chi sarà presente a quell’epoca si diriga
verso quel che gli sembrerà del fuoco, perché lo troverà fresco e piacevole»
(BUKHÂRÎ, Anbiyâ’, 50; cfr. MUTTAQÎ, Kanz, XIV, 301).
[9] Lâ yafirranna al-nâs min al-dajjâl attâ
yalaqû bi-l-jibâl (MUSLIM, Fitan, 125; TIRMIDHÎ, Manâqib, 70).
[10] BUKHÂRÎ, Tafsîr
39.3;MUSLIM, Fitan, 116; ABÛ DÂWUD, Malâim, 14; TIRMIDHÎ, Fitan,
59; IBNMÂJA, Fitan, 33. Si tratta di un hadîth trasmesso
da NAWWÂS IBN SAM‘ÂN; le versoni più
complete sono quelle di MUSLIM, IBN MÂJA e TIRMIDHÎ e la prima è riportata anche ne Il Giardino dei
devoti di NAWAWÎ, Trieste 1990, pp.
496-497.
[11] Fa-ya’ti ‘alâ-l-qawm fa-yad‘ûhum
fa-yu’minûna bihi wa yastajibûn (MUSLIM, Fitan, 116, cfr. Apocalisse, XVI.16).
[12] Cfr. ibid.
[13] MUSLIM, Fitan, 116; cfr. anche IBN AMMÂD, Kitâb al-Fitan, p. 337; QURUBÎ, Tadhkira, p. 753; in Ibn Hammâd
troviamo però anche altre versioni: in
un hadîth di ASMÂ’ AL-ANARIYYA
è detto che rimarrà 40 anni, dove un anno è come un mese, il mese come una
settimana ecc. (ibid.); mentre SALMÂN AL-FARSÎ avrebbe detto due anni e
mezzo (ibid), ma anche quaranta giorni (ibid., p. 338 ).
[14] MUSLIM, Fitan, 122. In IBN AMMÂD
troviamo che anche Gerusalemme, Najrân e il Monte Sinai saranno preservate dal
suo male (Kitâb al-Fitan, pp. 343-344).
[15] MUSLIM, Fitan, 116. Sulle diverse varianti e per il commento di
questo hadîth, cfr. MU.
ANWAR SHÂH, Al-tarî bi-mâ tawâtara fî
nuzûl al-masî, ad. n. 5, pp.
102-126.
[16] È uno dei minareti della Moschea degli Omayyadi
[17] Bayna mahrûdatayn, letter. “tra due tinte di giallo”, che si riferisca a
delle vesti è interpretazione tradizionale.
[18] Come avviene per la tradizione cristiana (cfr. Atti, 1:9-11), anche in quella islamica il ritorno del Cristo
appare dunque del tutto analogo a quello della sua assunzione celeste.
[19] L’odierna Lod (antica Lydda, incendiata nel I sec. d.C.), situata a
vicino a Ramla, a 37 km a NO di Gerusalemme, sulla strada che porta a Tel
Aviv-Giaffa. È improponibile l’interpretazione di G.T. ELMORE, che situa la
“porta di Lod” in Damasco (cfr. Islamic
Sainthood in the Fullness of Time, Leiden-Boston-Köln 1999, p. 503). Vedere
anche l’art. “Ludd”, in EI2, V, pp. 598-803 (M. SHARON).
[20] Perlopiù sono soltanto varianti del hadîth di NAWWÂS (cfr. ABÛ DÂWÛD, Malâim, 14; TIRMIDHÎ, Fitan,
59; IBN MÂJA, Fitan, 33; IBN HANBAL;
vedi MUTTAQÎ, Kanz, XIV, 286), ma lo
troviamo menzionato anche in alcuni hadîth
riportati da altri trasmettitori (cfr. MUTTAQÎ, Kanz, XIV, 335, 337).
[21] Mirqât al-mafâtî, V, p. 197. IBN KATHÎR sembra comunque avvalorare la sua
discesa a Damasco, cfr. Kitâb al-nihâya,
ed. Dâr al-kutub al-adîtha, Il Cairo s.d., I, p. 127, e lo stesso fa, sul
versante opposto, un esponente maggiore dell’esoterismo islamico quale IBN
‘ARABÎ (cfr. Futûât, III, 327.32).
[22] Allude al Mahdî.
[23] È il gesto che fa l’imâm,
quando ha già iniziato la Preghiera, per lasciare il posto ad un altro nei rari
casi in cui la sua direzione viene meno per qualche motivo.
[24] IBN MÂJA, Fitan, 33. Una versione un po’ differente è riportata
anche da al-Hâkim (Mustadrak, IV, 478), dove si ribadisce la discesa di
Gesù all’Alba (fajr) e il suo
incontro col Mahdî che lo invita a dirigere la Preghiera chiamandolo “Spirito
di Dio” (rûh Allâh, cfr. Cor. 4: 171), ma non vi è menzionata Gerusalemme, come accade invece nella
versione di Ibn Hammâd, Kitâb
al-fitan, p. 346; vedi anche pp.
348-349.
[25] Lam yusalli ‘alâ qatl al-Dajjâl illâ ‘Îsâ bnu Maryam (AYÂLISÎ, Musnad,
p. 327, hadîth n. 2504).
[26] Anche ‘Abd al-Ramân ibn ‘Awf, in una occasione, aveva fatto da imâm
davanti al Profeta nella Preghiera.
[27] MUSLIM, Îmân, 247.
[28] Sulla funzione della Missione muhammadiana e dell’universalità della
sua rivelazione, cfr. P.URIZZI, “Regalità e Califfato”, parte II, in Perennia Verba, 4 (2000), Il Cerchio,
Rimini, pp. 162-169; GILIS, Lo Spirito
universale dell’Islam, Rimini 1999, cap. 22.
[29] Si tratta della tassa che i non-Musulamani tra le “Genti del Libro”,
ossia Ebrei, Cristiani e Mazdei, devono versare all’autorità statale quando
vivono in territorio islamico. Cfr. art. “Djizya”, in EI2, II, pp. 559-567 (P.
HARDY).
[30] Cfr. BUKHÂRÎ, Anbiyâ’, 49; Buyû‘, 102; MUSLIM, Îmân, 242-243; TIRMIDHÎ, Fitan,
54; IBNMÂJA, Fitan, 33; IBN HANBAL,
II, 240, 272, 394, 411, 482, 294, 539; VI, 75; IBN HAMMÂD, Kitâb al-fitan, 350; cfr. anche MUSLIM, Îmân, 245; ÂKIM, Mustadrak,
II, 595; MUTTAQÎ, Kanz, XIV, 337.
[31] Walâ Mahdî illâ ‘Îsâ bnu Maryam (IBNMÂJA, Fitan, 24; ÂKIM, Mustadrak, IV, 440; MUTTAQÎ, Kanz, XIV, 263, ecc.).
[32] Tadhkira,
pp. 701-702.
[33] Come Gesù viene costantemente designato “figlio di Maria” (Ibn
Maryam), il Mahdî viene chiamato per antonomasia “il Fâtimide”, cfr. IBN
KHALDÛN, Muqaddima, trad. di V.
MONTEIL, Discours sur l’Histoire
universelle, Paris, 1978, II, p. 632.
[34] S’intende qui il “Sigillo della santità universale” (khâtim al-walâya al-khâmma) che, nella
dottrina dello Shaykh al-Akbar, è ritenuto essere Gesù al tempo della sua
Seconda venuta. Vedere infra, nota
145.
[35] ‘Anqâ’ mughrib, ed. Al-maba‘a al-ramâniyya, Il Cario 1353 h., p. 71;
vedre anche la trad. di G.T. ELMORE, Islamic
Sainthood in the Fullness of Time, cit., p. 508.
[36] Il titolo completo è: ‘Anqâ’ mughrib fî khatm al-awliyâ’ wa-›ams
al-maghrib, «La Fenice stupefacente sul Sigillo dei santi ed il Sole
d’occidente», dove gli eventi escatologici sono spesso trattati alla luce di
una lettura esoterica e puramente iniziatica degli stessi. Questa chiave di
lettura è stata adottata, in modo ancor più sistematico, da ‘ABD AL-KARÎM
AL-JÎLÎ nel suo Al-insân al-kâmil,
ed. Dâr rašâd aladîthiyya, Casablanca, cap. 61, pp. 212-218.
[37] Per la dottrina del “Sigillo dei santi” e per la distinzione tra
questi due aspetti di tale funzione, cfr. M. CHODKIEWICZ, Le Sceau des saints, cit., capp. VIII e IX.
[38] J.W. Morris, che l’ha parzialmente tradotto e studiato, ci sembra
dare, almeno in questo caso, eccessivo spazio alla visione interiorizzata degli
eventi in oggetto. Cfr. J.W.MORRIS, “At the End of Time” (trad. parziale del
cap. 366) in Les Illuminations de La
Mecque, a cura di M. CHODKIEWICZ, Paris 1989, pp. 117-147, e note pp.
511-530; e soprattutto “Ibn ‘Arabi’s Messianic Secret: From ‘the Mahdi’ to the
Imamate of Every Soul”, in Journal of the
Muhyiddîn Ibn ‘Arabî Society, vol. XXX, 2001, pp. 1-19.
[39] Come noto la quarta sezione delle Futûhât,
che esamina 114 “Dimore spirituali” (manâzil)
oggetto di altrettanti capitoli dell’opus
magnus di Ibn ‘Arabî (dal 270 al 383), si sviluppa in parallelo alle 114
Sûre del Corano, seguendone però il percorso inverso, ossia iniziando a partire
dall’ultima Sûra per terminare con la Fâtiha,
l’“Aprente (il Libro)”. Sulla sezione delle “Dimore”, cfr. M. CHODKIEWICZ, Un Océan san rivage. Ibn Arabi, le Livre et
la Loi, Paris 1992, cap. 3, pp. 81-101, e CH.A. GILIS, “Les clés des
Demeures spirituelles dans les Futûât d’Ibn Arabî”, in René Guénon et l’avènement du troisième Sceau, Paris 1991, pp.
67-114.
[40] Detti anche “Genti della Caverna” (ahl
al-kahf). Questo racconto, che troviamo nell’omonima Sûra (Cor. 18: 9-25),
viene interpretato da molti esegeti e orientalisti come riferentesi alla storia
dei “Sette dormienti di Efeso” vissuti all’epoca dell’imperatore Decio (249-251).
Si tratta di sette giovani cristiani che, per sfuggire alla persecuzione
dell’imperatore, trovarono rifugio in una caverna assieme ad un cane che li
aveva seguiti; colà addormentatisi, non si risvegliarono che al tempo
dell’imperatore cristiano Teodosio – il Grande (379-395) o il Giovane
(408-450) –, risveglio miracoloso che farà di loro un segno della vita
post-mortem e della Resurrezione. Tuttavia la prima versione greca di questo
racconto è quella di Simone Metafrasto attorno all’870 d.C. (cfr. MIGNE, P.G., vol. CXV, pp. 427-448), posteriore
dunque al testo del Corano. Tradizioni
analoghe si riscontrano un po’ ovunque e in epoche diverse e, a parte il
carattere paradigmatico del racconto coranico, non è sicuro che esso si
riferisca specificatamente alla storia dei “sette dormienti” di Efeso. Anche se
la presenza del cane in entrambe i racconti lo farebbe pensare, altri elementi
non sembrano combaciare; ad esempio il numero dei “dormienti”, che il Corano
pone come incerto, e soprattutto il periodo in cui sarebbero rimasti nello
stato di letargia: il Testo sacro dà in tutto 309 anni, mentre la massima
estensione possibile tra le date degli imperatori menzionati è di 201 anni. Il
prof. M. HAMIDULLAH fa un’interessante accostamento con l’ambiente degli Esseni
(cfr. Le Saint Coran , Paris
1985/1405 h., p. 381). Vedere anche l’art. “Ashâb
al-Kahf”, in EI2, I, p. 691 (R. Paret); inoltre per la bibliografia, oltre al
suddetto art., anche J. KOCH, Die
Siebenschlafereigende, ihr Ursprung u. ihre Verbreitung, Leipzig 1883, e il
sito ?.
[41] Futûhât,
III, 329.27-28; cfr. Les Illuminations de
La Mecque, cit., p. 511, n. 2.
[42] La “Religione Pura” (al-dîn
al-khâli, Cor. 39:3) menzionata nella stessa pagina (Futûhât, III, 327.29), che si identifica con il Dîn al-hanîf, la ?.
[43] Futûhât,
III, 327.31. Lo Shaykh trova una conferma del sostegno di questi Aiutanti nel
versetto: «Il vittorioso sostegno degli
uomini di fede è per Noi obbligatorio (wa kâna aqqan ‘alaynâ nar
al-mu’mînîn)» (Cor. 30: 47), versetto che è anche
l’invocazione costante (hajîr) di
questi uomini spirituali (cfr. Futûhât,
III, 328.15-17).
[44] Ibid.,
III, 328,11-13.
[45] Ibid.,
III, 328, 16.
[46] È l’incertezza, precisa lo stesso IBN ‘ARABÎ (Ibid., III.331.35-332.1;
cfr. anche Les Illuminations de La Mecque,
cit., pp. 124 e 514 n. 18), espressa dal Profeta sul numero degli anni che il
Mahdî avrebbe regnato, che poteva essere di “cinque, sette o nove anni” (il
numero degli Aiutanti viene così equiparato e assimilato a quello degli anni di
regno), la quale riflette l’imprecisione coranica sul numero dei “Compagni
della Caverna”: «Si dirà: “(Essi erano)
tre, quarto il loro cane”. O diranno: “Cinque, sesto il loro cane”,
congetturando sull’invisibile. O (ancora) diranno: “Sette, ottavo il loro
cane”. Dì: “Il mio Signore ha una conoscenza migliore del loro numero. Solo
pochi lo sanno”» (Cor. 18: 22).
[47] Futûhât,
III, 332.2-4. Queste nove qualità verranno sviluppate e commentate in esteso da
IBN‘ARABÎ nel corso dello stesso capitolo (cfr. Ibid., III.332.17-338.2; cfr.
la trad. di J. MORRIS, Illuminations de
La Mecque, cit., pp. 126-144).
[48] Ibid.,
III, 328.16-17. La frase può anche essere letta: «…è il più speciale dei Ministri (del Mahdî) e il più eccellente dei
fiduciari (umanâ’)», ossia degli Afrâd, dal momento che gli Umanâ’ costituiscono
il grado più eminente dei Malâmiyya,
con cui gli Afrâd essenzialmente s’identificano (cfr. M. CHODKIEWICZ, Un Océan sans rivage, cit., pp. 70-71),
e qui perfettamente simboleggiato nella tipologia del cane. Vista la riluttanza
degli Arabi per i cani – vengono tollerati solo quelli utili all’uomo
(cfr. l’art. “Kalb” di F. VIRE, in EI2, IV, pp. 489-492) –, quale miglior
espressione della malâma, il
“biasimo” dei profani che non sono in grado di percepire, e quindi non
riconoscono, le celate virtù interiori ed il nascosto stato d’intimità divina?
(Sui Malâmiyya o Malâmatiyya, vedere M. CODKIEWICZ, Le Sceau des saints, cit., pp. 136-138, e R. GUÉNON, Iniziazione e realizzazione spirituali,
capp. XVIII, XXIX e XXXII).
[49] Ricordiamo che il termine kalb,
il “cane” in arabo, ha valore numerico 52, lo stesso dei termini hamd (lode) e walâya (santità).
[50] Dire che l’esistenza “ruota attorno” a loro equivale ad indicare una
funzione polare (qutbiyya).
[51] L’interpretazione che ruota attorno alla simbologia del cane è sempre
alquanto complessa e delicata, come rilevava già A. DE GUBERNATIS (Mythologie zoologique, Milano 1987, II,
p. 18; cfr. anche J. CHEVALIER e A. GHEERBRANT, Dizionario dei simboli, Milano 1994, I, p. 185). Esso si presenta
ovunque ed in modo prevalente come mitologema legato alla morte, agli inferi e
al mondo ctonio (Anubis, Cerbero, Xolotl, Garm, ecc.), spesso come psicopompo
(Sârameya), ma non mancano i riferimenti ad una funzione maggiore, celeste e di
“resurrezione” come nel caso del T’ien-k’uan estremo orientale (identificato
con la stella Sirio).
[52] IBN AMMÂD,
Kitâb Fitan, p. 347 (da Ka‘b).
[53] QURUBÎ, Tadhkira, pp. 773-774.
[54] Cfr. L. CHARBONNEAU-LASSAY, Le
Bestiaire du Christ, Milano 1964.
[55]
Cfr. αυτον οταν ελθη εν δοξη του πατρος, Mt. 16:27;
Mc. 8:38; Lc. 9:26. Il termine parusìa (παρουσια, “venuta” o “visita” solenne)
viene esplicitamente menzionato per indicare la Seconda venuta in: Mt. 24:3,
27, 39; I Cor. 15:23; I Tess. 2:19; 3:13; 4:15; 5:23; II Tess. 2:1, 8; Giac.
5:7-8; II Piet. 1:16; 3:4, 12; I Giov.2:28. L’apostolo Paolo userà anche le
espressioni come il “Giorno del Signore” (ημερα κυριου, I Tess. 5:2), il
“Giorno di Cristo” (ημερα χριστου, Fil. 1:6), la “manifestazione del Signore
Gesù” (αποκαλυψις του κυριου, II Tess. 1:7), l’“epifania del Signore” (επιφανεια
του κυριου, I Tim. 6:14).
[56] Cfr. I Tess. 1: 3.
[57] Cfr. il credo apostolico, niceo-costantinopoliano e atanasiano.
[58] Cfr. I Tess. 4: 15-17.
[59] Questo termine indica, nel linguaggio giuridico islamico, l’esercizio
speculativo al fine di farsi un’opinione personale (zann) in materia
legale. Cfr. art “Idjtihâd”, in EI2, III, p. 1026-1027 (J. SCHATCH, D.B.
MACDONALD).
[60] Futûhât,
III, 327.27-29; cfr. tr. ingl. in Les
Illuminations de La Mecque, cit., pp. 121-122.
[61] IBN HAMMÂD,
Kitâb Fitan, p. 220-221 (da Ka‘b).
[62] Qurtubî (Tadhkira, p. 708)
riferisce invece che verrà trovata nel tesoro della “Chiesa d’oro” (kanîsat al-dhahab), molto probabilmente
Santiago di Compostella (cfr. EI2, II, p. 541b). Il termine Tâbût al-sakîna, che richiama l’ebr. shekhinâh, andrebbe tradotto con “Arca
della Presenza divina”.
[63] Nonostante il Cristo della Seconda venuta possieda eminentemente la
dignità di Profeta, questa rimane coperta dalla santità (walâya). Cfr. M. CHODKIEWICZ, Le
Sceau du saints, cit., p. 147.
[64] Cfr. Ibid., pp. 150-151,
156-157; sul “Sigillo dei santi” si veda anche QAYSARÎ, La Scienza iniziatica, Torino 2003, sez. finale.
[65] Ciò può essere meglio compreso se studiato alla luce della dottrina
tradizionale dei cicli cosmici; si veda in particolare R. GUÉNON, Simboli della Scienza sacra, Milano
1975, capp. 19, 22 e 23.
[66] Cfr. ‘Anqâ’ mughrib, cit., p. 74 (i brani criptografati si trovano
alle pp. 72-77; assenti invece nell’ed. più recente, ma molto difettosa, di ‘ÂLAM AL-FIKR, Il Cairo1997).
[67] Cfr. il già citato art. “Mahdî”, in EI2 (vedi supra, nota
8).
[68] IBN HANBAL, III, 21; IBN AMMÂD, Kitâb Fitan, pp. 233-234; QURTUBÎ, Tadhkira, pp. 699-700. vedere supra n. 122.
[69] Cfr. Futûhât, III, 327.30;
cfr. tr. ingl. in Les Illuminations de La
Mecque, cit., p. 122.
[70] Muslim, Fitan, 116; vedere supra, note 87 e 90.
[71] Fa-yamsau ‘an wujûhihim wa-yuaddithuhum
bi-darajâtihim fî-l-janna, ‘A. SIDDÎQÎ,
traduce l’inizio della frase con “he would wipe their face”. Il verbo masaa ‘an significa “pulir via da…, cancellare
strofinando, passando sopra la mano”; essendo il termine della stessa radice
che forma la parola Masî, “Messia, Unto”, è difficile non vedervi anche un atto
ad un tempo di “consacrazione” e di “purificazione” (un Cristiano potrebbe
parlare di “battesimo nello Spirito”). È quanto adombra anche Nawawî, il quale
afferma che questa “pulitura” esteriore dei loro volti deve essere intesa come
un atto di benedizione e di carità (tabarrukan
wa-birran) nei loro confronti per quanto intuisce del loro stato di
difficoltà e di angoscia.
[72] In genere interpretato coranicamente come il Monte Sinai.
[73] Naghaf
(sing. naghfa), un verme che nasce
nel naso degli ovini e dei cammelli.
[74] Yahbiu…ilâ al-ard; lo stesso verbo viene usato nel Corano per la “caduta”
dal Paradiso terrestre (cfr. Cor. 2:38).
[75] Allusione alla grandezza dei frutti, che secondo altre versioni
saranno tali da soddisfare la fame di un’intera tribù di persone, una
caratteristica che corrisponde a quella dei frutti paradisiaci.
[76] MUSLIM, Fitan,
116; trad. in NAWAWÎ, Il Giardino dei
devoti, cit., p. 497.
[77] ABÛDÂWUD, Malâim, 14; IBN HANBAL, II. 406; cfr. anche,MU. ANWAR‹ÂH, Al-tarî, ad. n. 1, pp. 95-96. In
alcune tradizioni riportate da IBN AMMÂD, Ka‘b avrebbe detto che Gesù rimmarrà
ventiquattro anni e compirà venti pellegrinaggi (Kitâb al-Fitan, p. 353); altre ancora secondo
cui rimarrà, dopo l’Anticristo, altri trent’anni, andando ogni anno alla Mecca
(ibid., p. 355).
[78] MUSLIM, Fitan, 116; IBNHANBAL, II, 166; ÂKIM, Mustadrak, IV, 550; cfr. anche,MU. ANWAR SHÂH, Al-tarî, ad. n. 6, pp. 126-129. Lo Shaykh Amad al-Tijânî riferisce che,
durante un sogno in cui vide il
Profeta, lo interrogò in proposito e il Profeta gli avrebbe risposto che
la versione corretta era quella che parlava di sette anni (‘ALÎ ARÂZIM, Jawâhir al-ma‘ânî, ed. Dâr al-kutub
al-‘ilmiyya, Beirut 1997/1417 h., I, p.
43).
[79] Cfr. Cor. 7:143, in cui Mosè, dopo che Dio gli ebbe parlato sul Sinai,
Gli chiese di mostrarsi a lui dicendo: «O mio Signore, fatti vedere ch’io Ti
guardi»; Dio gli rispose: «“Tu non Mi vedrai, ma guarda il Monte: se rimarrà
fisso al suo posto, allora Mi vedrai!”. Ma appena il suo Signore si fu
manifestato al Monte, lo ridusse in polvere e Mosè cadde al suolo folgorato»;
ed è in questo stato, scrive IBN ‘ARABÎ, che Mosè avrebbe visto il suo Signore
(cfr. Futûhât, III, 349.21-350.5, e
la tr. ingl. Di J. MORRIS in Les
Illuminations de La Mecque, cit., pp. 375-377).
[80] Cfr. IBN AMMÂD, Kitâb al-Fitan,
p. 356 (da Ka‘b).
[81] Cfr. QURTUBÎ, Tadhkira, p. 194, che riportata le tradizioni su cui si
appoggiano entrambi le tesi.
[82] Cfr. IBN AMMÂD, Kitâb al-Fitan,
pp. 357-359.
[83] Cfr. IBN HANBAL, I. 375.
[84] IBN MÂJA Fitan, 33.
[85] Cfr. anche IBN AMMÂD, Kitâb
al-Fitan, pp. 346-351.
[86] Ibid.,
p. 349 (da Ka‘b).
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