René Guénon
Il Regno della Quantità e i Segni dei Tempi
30. Il rovesciamento dei simboli
Talvolta ci si stupisce che ad uno stesso simbolo possano essere attribuiti due significati, almeno in apparenza, opposti l’uno all’altro: non si tratta qui semplicemente di quella molteplicità di significati che, in generale, ogni simbolo può presentare secondo il lato o il livello al quale viene considerato, e che del resto fa sì che il simbolismo non possa mai essere in alcun modo «sistematizzato», ma, più precisamente, di due aspetti legati tra loro da un certo rapporto di correlazione presentante la forma di un’opposizione, di modo che l’uno è per così dire l’inverso o il «negativo» dell’altro.
Per comprendere ciò, occorre partire dal concetto di dualità quale presupposto di ogni manifestazione e quale elemento che la condiziona in tutti i suoi modi, nei quali essa deve sempre ritrovarsi sotto una forma o un’altra.[1]
30. Il rovesciamento dei simboli
Talvolta ci si stupisce che ad uno stesso simbolo possano essere attribuiti due significati, almeno in apparenza, opposti l’uno all’altro: non si tratta qui semplicemente di quella molteplicità di significati che, in generale, ogni simbolo può presentare secondo il lato o il livello al quale viene considerato, e che del resto fa sì che il simbolismo non possa mai essere in alcun modo «sistematizzato», ma, più precisamente, di due aspetti legati tra loro da un certo rapporto di correlazione presentante la forma di un’opposizione, di modo che l’uno è per così dire l’inverso o il «negativo» dell’altro.
Per comprendere ciò, occorre partire dal concetto di dualità quale presupposto di ogni manifestazione e quale elemento che la condiziona in tutti i suoi modi, nei quali essa deve sempre ritrovarsi sotto una forma o un’altra.[1]
Certamente questa dualità è, in verità, un complementarismo e non un’opposizione; ma due termini, che sono in realtà complementari, se vengono esaminati da un punto di vista più esteriore e contingente, possono anche apparire opposti.[2] Ogni opposizione esiste come tale solo ad un certo livello, poiché un’opposizione irriducibile non può esistere: ad un livello più elevato essa si riduce ad un complementarismo, nel quale i due termini si trovano già conciliati ed armonizzati prima d’entrare infine nell’unità del principio comune donde entrambi procedono. Si può pertanto dire che la prospettiva del complementarismo è, in un certo senso, intermedia tra quella dell’opposizione e quella dell’unificazione; ognuna di queste prospettive ha la sua ragion d’essere ed un suo proprio valore nell’ordine in cui trova applicazione, anche se, evidentemente, esse non si situano nello stesso grado di realtà. Quel che è importante è dunque il saper mettere ogni aspetto al suo posto gerarchico e di non pretendere di trasporlo in un ambito ove non avrebbe più alcun significato accettabile.
Si può così comprendere che il considerare in un simbolo due aspetti contrari è in queste condizioni del tutto legittimo, e che la considerazione di uno di questi aspetti non esclude affatto quella dell’altro, ognuno di essi essendo vero sotto un certo rapporto, e che, proprio a motivo della loro correlazione, la loro esistenza è in qualche modo solidale. È quindi un errore, del resto assai frequente, ritenere che la considerazione dell’uno o dell’altro di questi aspetti debba essere connessa a dottrine o scuole esse stesse in opposizione;[3] tutto dipende dalla predominanza che può essere attribuita ad uno degli aspetti, o anche talvolta dallo scopo cui il simbolo è destinato, ad esempio come un elemento di certi riti oppure come mezzo di riconoscimento per i membri di particolari organizzazioni; ma è questo un punto sul quale ritorneremo ancora. I due aspetti possono trovarsi riuniti in una medesima figurazione simbolica complessa, e ciò dimostra che essi non si escludono affatto e che possono essere colti simultaneamente. A questo proposito, anche se è un punto che non possiamo qui svolgere completamente, è bene notare che una dualità, avente il carattere dell’opposizione o della complementarità a seconda della prospettiva assunta, può disporsi, quanto alla reciproca situazione dei suoi termini, in senso verticale oppure orizzontale; ciò risulta immediatamente dallo schema a forma di croce del quaternario, il quale può scomporsi in due dualità, l’una verticale e l’altra orizzontale. La dualità verticale può essere riferita alle due estremità di un asse, o alle due opposte direzioni secondo le quali questo asse può essere percorso; la dualità orizzontale è quella dei due elementi situati simmetricamente ai lati di questo stesso asse. Un esempio del primo caso è dato dai due triangoli che formano, il Sigillo di Salomone (ed anche da tutti quegli altri simboli dell’analogia che hanno una disposizione geometrica similare), mentre, quale esempio del secondo caso, abbiamo i due serpenti del Caduceo. Solo nella dualità verticale i due termini si distinguono nettamente l’uno dall’altro per la loro posizione invertita, mentre, nella dualità orizzontale, se li si considera separatamente, possono sembrare del tutto simili o equivalenti, anche se indicano pur sempre una opposizione. Possiamo ancora dire che, nell’ordine spaziale, la dualità verticale è quella costituita dall’alto e dal basso e la dualità orizzontale quella della destra e della sinistra. Questa osservazione sembrerà forse persin troppo evidente, ma ha nondimeno una sua importanza, perché, simbolicamente (e ciò ci riporta al valore propriamente qualitativo delle direzioni dello spazio), queste due coppie di termini sono in se stesse suscettibili di molteplici applicazioni, di cui non è difficile scoprire tracce perfino nel linguaggio corrente, il che dimostra che si tratta di cose di portata assai generale.
Poste queste fondamentali premesse, si possono trarre alcune deduzioni riguardanti ciò che potremmo chiamare l’uso pratico dei simboli; ma, a tal fine, occorre anche tener conto di alcune considerazioni, di un carattere più particolare, concernenti il caso in cui i due aspetti contrari sono rispettivamente considerati come «benefico» e «malefico». Abbiamo dovuto adoperare queste due espressioni in mancanza di meglio, come già abbiamo fatto in casi analoghi: esse, in effetti, presentano l’inconveniente di far supporre che si tratti di una interpretazione in qualche modo «morale», mentre in realtà non vi è nulla di tutto ciò, dovendosi invece intendere in un senso puramente «tecnico». Inoltre, deve anche essere ben chiaro che la qualità «benefica» o «malefica» non è pertinente in modo assoluto ad uno dei due aspetti, cui conviene invece solo in un’applicazione speciale alla quale sarebbe impossibile ridurre indistintamente ogni opposizione, e che in tutti i casi necessariamente scompare quando si abbandoni il punto di vista dell’opposizione per quello del complementarismo, al quale una tale considerazione è del tutto estranea. Entro questi limiti, e tenendo conto di tutte le riserve fin qui esposte, una simile prospettiva ha normalmente un suo posto fra le altre possibili; ma è proprio da questa prospettiva, o meglio, dagli abusi cui dà luogo, che può risultare, nell’interpretazione e nell’uso del simbolismo, quella sovversione di cui intendiamo qui occuparci in modo speciale, sovversione che costituisce uno dei «marchi» caratteristici di tutto ciò che, coscientemente o no, dipende dall’ambito della «contro-iniziazione» o si trova più o meno direttamente sottoposto alla sua influenza.
Questa sovversione può consistere sia nell’attribuire all’aspetto «malefico», pur riconoscendolo tale, il posto che deve normalmente competere all’aspetto «benefico», e perfino una specie di supremazia su questo, sia nell’interpretare i simboli in senso contrario a quello legittimo, ritenendo «benefico» l’aspetto che è in realtà «malefico» e viceversa. Bisogna inoltre notare che, come abbiamo poc’anzi spiegato, questa sovversione può non apparire chiaramente nella rappresentazione dei simboli, poiché ve ne sono che non presentano alcuna differenza esteriore riconoscibile a prima vista: ad esempio, nelle figurazioni che si riferiscono a ciò che viene per lo più chiamato, molto impropriamente del resto, il «culto del serpente», è sovente impossibile, se ci si limita a considerare unicamente il serpente in se stesso, dire a priori se si tratta dell’Agathodaimon o del Kakodaimon; di qui equivoci a non più finire, soprattutto da parte di coloro che, ignorando questo doppio significato, sono portati a vedervi, dappertutto e sempre, solo un simbolo «malefico», caso questo caratteristico, ormai da molto, di quasi tutti gli Occidentali.[4] Quel che abbiamo detto del serpente vale per molti altri animali simbolici, di cui, per vari motivi, d’abitudine viene ormai colto solo uno dei due aspetti contrari che essi posseggono in realtà. Per i simboli che possono presentare due posizioni invertite, ed in special modo per quelli riducibili a forme geometriche, la differenza sembrerebbe apparire molto più nettamente; tuttavia non è sempre così, dacché le due posizioni dello stesso simbolo sono entrambe suscettibili di avere un significato legittimo ed inoltre la loro relazione non è sempre necessariamente quella del tipo «benefico» e «malefico»; questa, diciamolo ancora, non è che una semplice applicazione fra molte altre. In un caso del genere, è soprattutto importante stabilire se si è in presenza di quella che potremmo definire una volontà di «rovesciamento», in contraddizione formale con il valore legittimo e normale di un simbolo; per questo motivo, per esempio, l’impiego del triangolo capovolto è lungi dall’essere, come molti ritengono,[5] un segno di «magia nera», anche se lo è effettivamente in certi casi, quelli in cui gli si attribuisce l’intento di contrastare ciò che rappresenta il triangolo con il vertice rivolto verso l’alto; e, notiamolo di sfuggita, un simile intenzionale «rovesciamento» viene applicato pure su parole e formule, sì da formare delle specie di mantra alla rovescia, come è dato constatare in certe pratiche di stregoneria, anche nella semplice «stregoneria delle campagne» quale esiste ancora in Occidente.
La questione del rovesciamento dei simboli è dunque assai complessa, diremmo volentieri estremamente sottile, poiché ciò che si deve esaminare, per vedere con che cosa si ha veramente a che fare nei singoli casi, non sono tanto le raffigurazioni prese nella loro «materialità», quanto le interpretazioni che le accompagnano e con le quali si spiega l’intenzione che ha suggerito la loro adozione. Anzi, la sovversione più abile e più pericolosa è certamente quella che non presenta singolarità troppo evidenti e che chiunque può facilmente individuare, che deforma il significato dei simboli e rovescia il loro valore senza apportare la pur minima variazione al loro aspetto esteriore. Ma l’inganno più diabolico è forse quello che consiste nell’attribuire allo stesso simbolismo ortodosso esistente nelle organizzazioni veramente tradizionali, e più particolarmente nelle organizzazioni iniziatiche che soprattutto sono in tal caso prese di mira, l’interpretazione alla rovescia, la quale è appunto caratteristica della contro-iniziazione: quest’ultima non rifugge infatti da questo mezzo pur di provocare quelle confusioni e quegli equivoci da cui spera di trarre profitto. Questo è, in fondo, tutto il segreto di certe manovre, così significative per caratterizzare la nostra epoca, messe in atto sia contro l’esoterismo in generale, sia contro questa o quella forma iniziatica in particolare, con l’aiuto inconsapevole di persone, gran parte delle quali sarebbero molto stupite, e persino spaventate, se potessero rendersi conto del fine per cui vengono utilizzate; è così che talvolta, purtroppo, coloro che credono di combattere il diavolo, qualunque del resto sia l’idea che se ne fanno, si trovano invece, senza averne il minimo sentore, trasformati nei suoi migliori servitori!
[1] Come per altre improprietà di linguaggio, assai frequenti e certamente non prive di gravi inconvenienti, occorre precisare che «dualità» e «dualismo» sono due concetti del tutto distinti: il dualismo (di cui la concezione cartesiana di «spirito» e «materia» è uno degli esempi più noti) consiste propriamente nel considerare una dualità come qualcosa di irriducibile e nel non saper scorgere niente al di là di essa, il che implica la negazione del principio comune dal quale, in realtà, i due termini di questa dualità procedono per polarizzazione.
[2] Cfr. Le Symbolisme de la Croix, cit., cap. VII.
[3] Un errore di questo genere è stato da noi segnalato parlando della raffigurazione dello swastika con gli uncini volti in modo da indicare due sensi di rotazione opposti (Le Symbolisme de la Croix, cit., cap. X).
[4] È per questo motivo che il drago della tradizione estremo-orientale, il quale è in realtà un simbolo del Verbo, è stato sovente interpretato come un simbolo «diabolico» dall’ignoranza di certi Occidentali.
[5] C’è chi è arrivato al punto d’interpretare in tal modo i triangoli capovolti che figurano tra i simboli alchemici degli elementi!
Nessun commento:
Posta un commento