"…la dottrina è infallibile, è a causa del fatto che essa è un’espressione della verità, la quale, in se stessa, è assolutamente indipendente dagli individui che la ricevono e che la comprendono. La garanzia della dottrina risiede in definitiva nel suo carattere «non-umano»". René Guénon, Considerazioni sull’iniziazione, cap. "Sull’infallibilità tradizionale"

martedì 9 dicembre 2014

René Guénon, Il Regno della Quantità e i Segni dei Tempi - 26. Sciamanesimo e stregoneria

René Guénon
Il Regno della Quantità e i Segni dei Tempi 

26. Sciamanesimo e stregoneria
 

L’epoca attuale, per la ragione stessa che corrisponde alle ultime fasi di una manifestazione ciclica, deve esaurirne le possibilità inferiori; è per ciò che essa utilizza in qualche modo tutto quel che era stato trascurato dalle epoche anteriori: se si osserva bene, le scienze sperimentali e quantitative dei moderni e le loro applicazioni industriali, in particolare, non rivestono altro carattere; da questo dipende che le scienze profane costituiscano spesso, come dicemmo, dei veri e propri «residui» di qualcuna delle antiche scienze tradizionali,[1] e ciò non soltanto con riferimento al loro contenuto, ma addirittura secondo un punto di vista puramente storico.
Un altro fatto che concorda con i precedenti, per poco che si sia capaci di afferrarne il vero significato, è l’accanimento con cui i moderni hanno intrapreso ad esumare le vestigia di epoche passate e di civiltà scomparse, delle quali in verità sono assolutamente incapaci di comprendere qualcosa; e questo è un sintomo abbastanza poco rassicurante, a causa della natura delle influenze sottili che permangono legate a tali vestigia, le quali, senza che coloro che indagano ne abbiano il minimo sospetto, sono in tal modo riportate alla luce con esse e messe per così dire in libertà dall’atto stesso della loro esumazione. Perché si possa meglio comprendere, saremo obbligati a trattare brevemente di certe cose che, in se stesse, sono in realtà completamente al di fuori del mondo moderno, ma sono tuttavia tali da poter essere usate per esercitare su questo un’azione particolarmente «disaggregante». Quanto ne diremo sarà perciò soltanto in apparenza una digressione, e d’altronde nello stesso tempo un’occasione per mettere in luce certe questioni troppo poco conosciute.
È opportuno, prima di tutto, dissipare una confusione e un errore d’interpretazione dovuti alla mentalità moderna: l’idea che esistano cose puramente «materiali», concezione esclusivamente propria di tale mentalità, non corrisponde ad altro, in fondo, sbarazzata da tutte le complicazioni secondarie sovrappostevi dalle teorie particolari dei fisici, se non all’idea che esistano esseri e cose soltanto corporei, la cui esistenza e la cui costituzione non comporterebbero alcun elemento di natura diversa. Quest’idea è, a ben guardare, legata in modo diretto al punto di vista profano in sé, quale si afferma nella sua forma in qualche modo più completa nelle scienze attuali, giacché, queste ultime essendo caratterizzate dall’assenza d’ogni possibile legame con principi d’ordine superiore, le cose che formano l’oggetto del loro studio devono essere anch’esse concepite come prive dello stesso legame (e qui riappare palesemente, una volta di più, il carattere «residuale» di tali scienze); si potrebbe dire che si tratta d’una condizione necessaria perché la scienza sia adeguata al suo oggetto, perché se ammettesse che le cose stanno in un altro modo, essa dovrebbe con ciò riconoscere che la vera natura del proprio oggetto le sfugge. Non è forse da cercare altrove la ragione per cui gli «scientisti» si sono tanto accaniti a gettare il discredito su tutte le concezioni diverse da questa, facendole apparire semplici «superstizioni» dovute all’immaginazione dei «primitivi», i quali, per essi, non possono essere che selvaggi, o uomini dalla mentalità infantile, come vogliono le teorie «evoluzionistiche»; di fatto, si tratti da parte loro di pura e semplice incomprensione oppure di partito preso volontario, essi riescono a suggerirne un’idea sufficientemente caricaturale perché tale apprezzamento possa sembrare perfettamente giustificato a tutti coloro che li credono sulla parola, cioè alla grande maggioranza dei nostri contemporanei. Così avviene, in particolare, per le teorie degli etnologi riguardanti quello che essi hanno convenuto di chiamare l’«animismo»; a rigore, un termine di questo genere potrebbe anche avere un senso accettabile, ma, beninteso, alla condizione di intenderlo in un modo completamente diverso dal loro, e di non vedervi altro che il suo significato etimologico.
Di fatto, nella realtà il mondo corporeo non può essere considerato come un tutto sufficiente a se stesso, né come qualcosa d’isolato nell’insieme della manifestazione universale; quali che possano essere le apparenze dovute attualmente alla «solidificazione», esso, al contrario, procede interamente dall’ordine sottile, dove si può dire che abbia il suo principio immediato e per il cui tramite si ricollega, per gradi sempre più prossimi, prima alla manifestazione informale e poi al non-manifestato; se le cose non stessero in questo modo, la sua esistenza sarebbe un’illusione pura e semplice, una sorta di fantasmagoria dietro la quale non vi sarebbe nulla, ciò che tutto sommato equivale a dire che non esisterebbe in alcun modo. In queste condizioni non può esserci, nel mondo corporeo, cosa la cui esistenza non riposi in ultima analisi sopra elementi d’ordine sottile e, oltre questi, su un principio che può esser detto «spirituale», senza il quale nessuna manifestazione è possibile, a qualunque livello la si voglia pensare. Per arrestarci alla considerazione degli elementi sottili, i quali di conseguenza debbono esser presenti in tutte le cose, quand’anche vi siano più o meno nascosti secondo i casi, possiamo dire che essi corrispondono, nelle cose, a quel che forma in modo proprio l’ordine «psichico» nell’essere umano; si potrà perciò, in virtù di un’estensione perfettamente naturale e non comportante alcun «antropomorfismo», bensì esclusivamente un’analogia perfettamente legittima, chiamarli anch’essi «psichici» in tutti i casi (ed è questa la ragione per cui abbiamo già parlato in precedenza di «psichismo cosmico»), oppure «animici», poiché questi due termini, quando ci si riferisca al loro significato primitivo, data la loro derivazione rispettivamente greca e latina, sono in fondo esattamente sinonimi. Da tutto ciò risulta che non possono esistere realmente oggetti «inanimati», e questa d’altronde è la ragione per la quale la «vita» è una delle condizioni a cui è sottoposta ogni esistenza corporea senza eccezioni; con questo si spiega anche perché nessuno sia mai stato capace di definire in modo soddisfacente la distinzione tra «vivente» e «non vivente», questione che, come tante altre che si ritrovano nella filosofia e nella scienza moderne, è insolubile soltanto perché non ha alcun motivo di porsi veramente, giacché il «non vivente» non ha posto nella sfera considerata, e giacché, in definitiva, tutto si riduce, sotto questo aspetto, semplicemente a una differenza di gradi.
Si può perciò, se si vuole, chiamare «animismo» un simile modo di vedere le cose, volendo intendere con tale parola niente d’altro o di più dell’affermazione che in queste ultime ci sono degli elementi «animici»; ed è chiaro che l’«animismo» si oppone in modo diretto al meccanicismo, nello stesso modo in cui la realtà stessa si oppone alla semplice apparenza esteriore; è altresì evidente che una concezione di questo genere è «primitiva», ma ciò semplicemente perché è vera, il che è quasi esattamente il contrario di quanto gli «evoluzionisti» vogliono dire quando la qualificano in tale modo. Nello stesso tempo, e per la medesima ragione, questa concezione è di necessità comune a tutte le dottrine tradizionali; potremmo perciò dire che essa è «normale», mentre l’idea opposta, quella cioè delle cose «inanimate» (la quale trovò una delle sue espressioni estreme nella teoria cartesiana degli «animali-macchine»), costituisce una vera anomalia, com’è del resto per ogni idea specificamente moderna e profana. Ma dev’essere ben chiaro che non si è affatto di fronte a una «personificazione» di quelle forze naturali che i fisici studiano a modo loro, e meno ancora alla loro «adorazione», come pretendono coloro per i quali l’«animismo» costituisce quel che essi credono di poter chiamare la «religione primitiva»; si tratta in realtà di concezioni che appartengono unicamente all’ambito della cosmologia, le quali possono trovare la loro applicazione in differenti scienze tradizionali. È assiomatico altresì che quando entrano in discussione elementi «psichici» inerenti alle cose, o forze di quest’ordine che si esprimono e si manifestano per il tramite di esse, si tratta sempre di qualcosa che non ha assolutamente niente di «spirituale». La confusione di questi due ambiti è anch’essa puramente moderna, e indubbiamente non è estranea all’idea di fare una «religione» di quel che è scienza nel senso più esatto della parola. Nonostante la loro pretesa alle «idee chiare e distinte» (eredità diretta anch’essa del meccanicismo e del «matematicismo universale» di Cartesio), i nostri contemporanei mescolano in modo ben strano le cose più eterogenee e più essenzialmente distinte! Quel che qui ci preme è di far notare come gli etnologi abbiano l’abitudine di considerare «primitive» certe forme che, al contrario, sono degenerate in proporzioni più o meno variabili, anche se, molto spesso, non siano di livello così basso quanto farebbero supporre le loro interpretazioni. Comunque stiano le cose, questo spiega come l’«animismo», il quale tutto sommato costituisce soltanto un punto particolare di una dottrina, abbia potuto essere assunto a caratterizzare codesta per intero. In effetti, nei casi di degenerazione, è naturalmente la parte superiore della dottrina, vale a dire il suo lato metafisico e «spirituale», che scompare sempre più o meno completamente; di conseguenza, quel che in origine era soltanto secondario, ed in particolare l’aspetto cosmologico e «psichico», al quale appartengono propriamente l’«animismo» e le sue applicazioni, assume inevitabilmente un’importanza preponderante; il resto, quand’anche persista ancora, almeno in una certa misura, può facilmente sfuggire a chi osservi le cose dall’esterno, tanto più che costoro, ignorando il significato profondo dei riti e dei simboli, saranno incapaci di riconoscere in essi quanto appartiene ad una sfera superiore (allo stesso modo in cui non lo riconoscono nelle vestigia delle civiltà interamente scomparse), e crederanno di poter indistintamente spiegare tutto in termini di «magia», se non addirittura, talvolta, di «stregoneria» pura e semplice.
Un esempio molto chiaro di quanto stiamo dicendo si può trovare in un caso come quello dello «sciamanismo», che è generalmente considerato una delle forme tipiche dell’«animismo»; la sua stessa denominazione, il cui etimo è piuttosto incerto, designa propriamente l’insieme delle dottrine e delle pratiche tradizionali di certe popolazioni mongole della Siberia; ma alcuni l’estendono a quel che, anche in altre località, presenta caratteri più o meno simili. Per molti, «sciamanismo» è pressoché sinonimo di stregoneria, ciò che è sicuramente inesatto, poiché si tratta di ben altro; questa parola ha subito in certo qual modo una deviazione inversa di quella di «feticismo», che ha sì, dal punto di vista etimologico, il senso di stregoneria, ma è stata invece applicata a cose nelle quali si ritrova, analogamente, anche qualcos’altro. A tale proposito, segnaleremo che la distinzione da taluni voluta stabilire tra «sciamanismo» e «feticismo», considerati come due varietà dell’«animismo», non può essere né così netta né così importante come essi la ritengono: che siano esseri umani, come nel prima caso, o oggetti qualsiasi, come nel secondo, a fungere principalmente da «supporti» o da «condensatori», se così si può dire, per certe influenze sottili, si tratta soltanto di una semplice differenza di modalità «tecniche», la quale, in fondo, non ha nulla di assolutamente essenziale.[2]
Se si esamina lo «sciamanismo» propriamente detto, si constata in esso l’esistenza di una cosmologia molto sviluppata, la quale potrebbe fornire il motivo di accostamenti con quelle di altre tradizioni quanto a numerosi punti, cominciando dalla divisione dei «tre mondi» che pare costituirne il fondamento stesso. Inoltre si riscontrano in esso riti paragonabili ad alcuni di quelli che appartengono a tradizioni del rango più elevato: certuni, ad esempio, ricordano in modo stupefacente taluni riti vedici, fra quelli, anche, che più manifestamente procedono dalla tradizione primordiale, come i riti in cui i simboli dell’albero e del cigno hanno una parte preponderante. Perciò non v’è dubbio che si tratti di qualcosa che, almeno alle sue origini, costituiva una forma tradizionale regolare e normale; d’altronde si è conservata nello «sciamanismo», fino all’epoca attuale, una certa «trasmissione» dei poteri necessari all’esercizio delle funzioni dello «sciamano»; ma, quando si constata che questi consacra la sua attività soprattutto alle scienze tradizionali più basse, quali la magia e la divinazione, è relativamente facile sospettare che deve essersi prodotta una degenerazione ben reale, e vien da chiedersi se essa non si sia spinta addirittura fino a diventare una vera e propria deviazione, deviazione a cui non possono che troppo facilmente dar luogo le cose di quest’ordine quando prendano uno sviluppo così eccessivo. A dire il vero, sono presenti, sotto questo riguardo, indizi piuttosto inquietanti: uno di questi è il legame che si stabilisce tra lo «sciamano» e un animale, legame che riguarda esclusivamente un individuo, e che di conseguenza non è in alcun modo assimilabile al legame collettivo che costituisce quello che, a torto o a ragione, viene chiamato «totemismo». Occorre dire però, che ciò a cui ci troviamo di fronte potrebbe essere, in se stesso, suscettibile di un’interpretazione affatto legittima, senza rapporto alcuno con la stregoneria; sennonché quel che gli conferisce un carattere più sospetto è il fatto che almeno presso certe popolazioni, se non in tutte, l’animale è allora considerato in qualche modo come una forma dello stesso «sciamano»; e da una identificazione del genere alla «licantropia», quale esiste in particolare presso i popoli di razza nera,[3] il passo non è poi così lungo come forse si sarebbe tentati di pensare.
Ma occorre ancora che aggiungiamo qualcosa che ha più diretta attinenza con il nostro argomento: gli «sciamani», fra le influenze psichiche con le quali hanno a che fare, ne distinguono in modo molto naturale di due sorte, le une benefiche e le altre malefiche, e poiché evidentemente non c’è nulla da temere dalle prime, è delle seconde che si occupano quasi esclusivamente; questo almeno sembra essere il caso più frequente, giacché potrebbe anche darsi che lo «sciamanismo» comprenda forme relativamente varie, fra le quali sarebbe forse opportuno fare certe differenze sotto questo riguardo. Del resto non si tratta affatto di un «culto» reso alle influenze malefiche, che sarebbe allora una specie di «satanismo» cosciente, com’è stato talvolta supposto a torto; si tratta unicamente, in linea di principio, di impedir loro di nuocere, di neutralizzarne o di stornarne l’azione. La stessa considerazione potrebbe pure applicarsi ad altri pretesi «adoratori del diavolo» che esistono in differenti regioni; in linea generale, non è molto verosimile che il «satanismo» reale possa intaccare tutto un popolo. Ciò nonostante, non è men vero che, qualunque possa essere l’intenzione primitiva, la manipolazione di influenze di questo genere, senza che sia fatto appello a influenze di un ordine superiore (e a maggior ragione a influenze propriamente spirituali), porta per forza di cose a costituire una vera e propria stregoneria, anche se molto diversa da quella dei volgari «stregoni di campagna» occidentali, la quale non è costituita che dagli ultimi resti di una conoscenza magica ridotta e degenerata al massimo grado e sul punto di scomparire completamente.
La parte magica dello «sciamanismo» ha certamente tutt’altra vitalità, ed è per questo che essa è qualcosa di veramente temibile sotto più di un rispetto; in effetti il contatto per così dire costante con le forze psichiche inferiori è fra i più pericolosi, innanzi tutto per lo «sciamano» stesso, questo è evidente, poi anche sotto un altro aspetto, il cui interesse è molto meno strettamente «localizzato». Di fatto, può accadere che certi individui, operanti in modo più cosciente e con conoscenze più ampie – ciò che non vuol dire affatto d’ordine più elevato – utilizzino queste stesse forze per fini completamente diversi, all’insaputa degli «sciamani» o di coloro che agiscono nello stesso modo, i quali non rappresenteranno allora che la semplice parte di strumenti per l’accumulazione delle forze in questione in punti determinati. Noi sappiamo infatti che esiste nel mondo un certo numero di «serbatoi» d’influenze la cui disposizione non ha certamente niente di «fortuito», e i quali non servono che troppo bene i disegni di certe «potenze» responsabili di tutta la deviazione moderna; sennonché questo richiede altre spiegazioni, giacché ci si potrebbe, a prima vista, stupire che i resti di ciò che fu un tempo una tradizione autentica si prestino a una «sovversione» di tal genere.



[1] Diciamo di qualcuna soltanto, poiché ci sono altre scienze tradizionali di cui nel mondo moderno non è rimasta la minima traccia, per quanto deformata o deviata possa immaginarsi. D’altra parte è assiomatico che tutte le enumerazioni e le classificazioni dei filosofi riguardano le sole scienze profane, e che le scienze tradizionali non possono assolutamente rientrare in schemi ristretti e «sistematici»; alla nostra epoca si può, a questo proposito, applicare, meglio che a qualunque altra, il detto arabo secondo cui «esistono molte scienze, ma pochi scienziati» (el-ulûm kathîr, walaken el-ulamâ qalîl).
[2] In quel che segue ci serviremo di un certo numero di indicazioni riguardanti lo «sciamanismo» contenute in un’esposizione dal titolo Shamanism of the Natives of Siberia, di I.M. Casanovicz (estratta dallo Smithsonian Report for 1924), la cui comunicazione dobbiamo alla gentilezza di A.K. Coomaraswamy.
[3] Secondo testimonianze degne di fede esiste, in particolare, in una remota zona del Sudan, un’intera popolazione di «licantropi», formata da almeno una ventina di migliaia d’individui; esistono pure, in altre contrade dell’Africa, organizzazioni segrete, come quella a cui è stato dato il nome di «Società del Leopardo», nelle quali hanno un’importanza preponderante determinate forme di «licantropia».

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