"…la dottrina è infallibile, è a causa del fatto che essa è un’espressione della verità, la quale, in se stessa, è assolutamente indipendente dagli individui che la ricevono e che la comprendono. La garanzia della dottrina risiede in definitiva nel suo carattere «non-umano»". René Guénon, Considerazioni sull’iniziazione, cap. "Sull’infallibilità tradizionale"

venerdì 5 dicembre 2014

René Guénon, Il Regno della Quantità e i Segni dei Tempi - 24. Verso la dissoluzione

René Guénon
Il Regno della Quantità e i Segni dei Tempi 

24. Verso la dissoluzione

Dopo aver preso in considerazione la fine vera e propria del ciclo, ci tocca ora in qualche modo ritornare indietro per esaminare più compiutamente quanto nelle condizioni dell’epoca attuale può contribuire effettivamente a portare l’umanità e il mondo verso questa fine.
A tal proposito, dobbiamo fare la distinzione tra due tendenze che si esprimono mediante termini apparentemente antinomici: da un lato, la tendenza verso quella che abbiamo chiamato la «solidificazione» del mondo, della quale ci siamo finora interessati, dall’altro, la tendenza verso la dissoluzione, tendenza di cui dobbiamo ancora precisare l’azione, giacché occorre non dimenticare che ogni fine si presenta necessariamente come una dissoluzione del manifestato in quanto tale.
Già ora è d’altronde possibile constatare che la seconda delle due tendenze comincia a diventare predominante; infatti, innanzi tutto, il materialismo vero e proprio, che corrisponde ovviamente alla «solidificazione» nella sua forma più grossolana (quasi, si potrebbe dire, alla «pietrificazione», per analogia con quel che il minerale rappresenta sotto questo riguardo), ha ormai perduto molto terreno, per lo meno nel campo delle teorie scientifiche e filosofiche, quand’anche non ancora nella mentalità comune; questo è tanto vero, che in tali teorie, come abbiamo fatto notare in precedenza, la stessa nozione di «materia» ha cominciato a scomparire e quasi a dissolversi. Inoltre, e di pari passo con questo cambiamento, l’illusione di sicurezza che regnava quando il materialismo aveva raggiunto la sua massima influenza, e che era in certo qual modo inseparabile, a quel tempo, dall’idea che ci si faceva della «vita ordinaria», si è in gran parte dissipata in grazia degli stessi avvenimenti e della crescente velocità con cui questi ultimi evolvono, al punto che l’impressione predominante è oggi, al contrario, quella di un’instabilità che si estende a tutti i campi e poiché la «solidità» comporta necessariamente la stabilità, questa situazione sta chiaramente ad indicare che il punto di maggior «solidità» effettiva, nelle possibilità del nostro mondo, è stato non soltanto raggiunto, ma ormai oltrepassato, e che di conseguenza è veramente verso la dissoluzione che questo mondo si incammina ormai.
La stessa accelerazione del tempo, che va diventando sempre più esagerata, con la conseguenza di rendere i cambiamenti sempre più rapidi, sembra del resto andare da sola verso la dissoluzione, né sotto questo rispetto si può dire che la direzione generale degli avvenimenti si sia modificata, giacché il movimento del ciclo continua, senza nessun dubbio, a seguire il proprio cammino discendente. D’altronde, le teorie fisiche, a cui accennavamo poco fa, pur cambiando con rapidità via via crescente insieme a tutto il resto, non fanno che assumere un carattere sempre più esclusivamente quantitativo, essendo giunte ormai al punto di rivestire completamente l’apparenza di teorie puramente matematiche, ciò che del resto, come già abbiamo fatto notare, le allontana sempre più dalla realtà sensibile che pretendono di spiegare per trascinarle in un ambito che può soltanto situarsi al di sotto di questa realtà, secondo quel che affermammo parlando della quantità pura. Il «solido», del resto, anche nel suo stato di massima densità e impenetrabilità concepibile, non corrisponde assolutamente alla quantità pura, e possiede sempre almeno un minimo di elementi qualitativi; si tratta del resto, per definizione, di qualcosa di corporeo, anzi, in un certo qual senso, di ciò che di più corporeo possa esistere; ora, la «corporeità» implica che lo spazio, per quanto «compresso» possa essere nella condizione di «solido», le sia tuttavia necessariamente inerente, e lo spazio, non sarà male ricordarlo ancora una volta, non può assolutamente essere assimilato alla pura quantità. Quand’anche, per porsi momentaneamente dal punto di vista della scienza moderna, si volesse da un lato ridurre la «corporeità» all’estensione, come fece Cartesio, e dall’altro considerare lo spazio in sé soltanto come un semplice modo della quantità, ci si troverebbe ancora davanti a questa difficoltà, che si sarebbe sempre nell’ambito della quantità continua; quando si passi invece a quella della quantità discontinua, vale a dire a quello del numero, che solo può essere considerato rappresentare la quantità pura, è evidente che, proprio a causa di tale discontinuità, non si ha più assolutamente a che fare con il «solido», né tanto meno con qualcosa di corporeo.
Vi è dunque, nella riduzione graduale di tutte le cose alla quantità, un punto a partire dal quale tale riduzione non tende più alla «solidificazione», e questo è, grosso modo, quello a cui si arriva quando si vuol ricondurre la quantità continua stessa alla quantità discontinua; a questo punto i corpi non possono più sussistere come tali, e si riducono ad una specie di pulviscolo «atomico» privo di consistenza; si potrebbe perciò, a questo riguardo, parlare di una vera e propria «polverizzazione» del mondo, la quale è evidentemente una delle possibili forme della dissoluzione ciclica.[1] Tuttavia, se anche la dissoluzione può esser vista in questo modo secondo tale particolare prospettiva, essa assume, da un altro angolo visuale, e adottando un’espressione da noi già usata in precedenza, l’aspetto di una «volatilizzazione»: la «polverizzazione», per quanto completa la si supponga, lascia sempre dei «residui», fossero pure veramente impalpabili; d’altro canto, la fine del ciclo, per essere pienamente effettiva, comporta che tutto quel che è incluso nel ciclo di cui si tratta scompaia interamente in quanto manifestazione; sennonché questi due differenti modi di concepire le cose rappresentano ciascuno una certa parte della verità. Infatti, mentre i risultati positivi della manifestazione ciclica sono «cristallizzati» per essere in seguito «trasmutati» in germi delle possibilità del ciclo futuro, il che costituisce il risultato della «solidificazione» sotto il suo aspetto «benefico» (comportante essenzialmente la «sublimazione» che coincide con il «capovolgimento» finale), quel che non può essere utilizzato in questo modo, vale a dire in fondo tutto ciò in cui consistono i risultati esclusivamente negativi della stessa manifestazione, è «precipitato» sotto forma di caput mortuum, nel senso alchemico dell’espressione, nei «prolungamenti» più bassi del nostro stato d’esistenza, o in quella parte dell’ambito sottile che può veramente essere qualificata di «infracorporale».[2] Ma tanto nell’uno quanto nell’altro caso ci si trova in modalità extracorporee, superiori nell’uno e inferiori nell’altro, cosicché si può dire in conclusione che la manifestazione corporea in sé, per quanto riguarda il ciclo in questione, è realmente svanita o completamente «volatilizzata». Si comprende come, in tutto ciò e fino alla fine, sia necessario tener conto sempre dei due termini che corrispondono a quelle che l’ermetismo denomina rispettivamente «coagulazione» e «soluzione», e ciò secondo due aspetti contemporaneamente: sotto l’aspetto «benefico» si hanno la «cristallizzazione» e la «sublimazione»; sotto l’aspetto «malefico» la «precipitazione» e il ritorno finale all’indistinzione del «caos».[3] 
A questo punto si impone una domanda: è sufficiente, per giungere effettivamente alla dissoluzione, che il movimento secondo il quale il «regno della quantità» si afferma e si intensifica sempre più sia in qualche modo lasciato a se stesso e continui in tal modo semplicemente fino al suo termine estremo? La verità è che questa possibilità, che abbiamo d’altronde preso in considerazione partendo dall’esame delle attuali concezioni dei fisici e dal significato che esse comportano per così dire inconsapevolmente (perché è evidente che gli «scienziati» moderni non sanno assolutamente in quale direzione stanno procedendo), corrisponde piuttosto ad un modo teorico di vedere le cose, modo di vedere «unilaterale» che rappresenta soltanto in maniera molto parziale quanto dovrà realmente accadere; di fatto, per sciogliere i «nodi» provocati dalla «solidificazione» che è andata fin qui progredendo (con intenzione ci serviamo in quest’occasione della parola «nodi», perché essa evoca gli effetti di un certo genere di «coagulazione», appartenente principalmente al campo della magia), occorre l’intervento, più direttamente efficace sotto questo riguardo, di qualcosa che non appartiene più all’ambito, in fin dei conti abbastanza ristretto, a cui si riferisce propriamente il «regno della quantità». È facile capire, dagli accenni da noi fatti occasionalmente, che si tratta dell’azione di certe influenze di ordine sottile, azione che ha del resto incominciato ad esercitarsi sul mondo moderno da molto tempo, sia pure in modo poco appariscente al principio, e che sempre è coesistita con il materialismo dal momento stesso in cui quest’ultimo ha cominciato ad assumere una forma nettamente definita, come abbiamo visto parlando del magnetismo e dello spiritismo e dei prestiti tratti da questi ultimi dalla «mitologia» scientifica dell’epoca in cui hanno preso origine. Come dicevamo più sopra, se è vero che la forza di suggestione del materialismo va diminuendo, non per questo è il caso di essere oltremodo soddisfatti, perché, dal momento che la «discesa» ciclica non è ancora terminata, le «fenditure» a cui alludevamo in quell’occasione e sulla natura delle quali dovremo presto tornare, non possono prodursi che dal basso; per dirla in altri termini, quel che «interferisce» in tal modo con il mondo sensibile non può essere nient’altro che lo «psichismo cosmico» inferiore nel suo aspetto più distruttivo e «disgregante» e del resto è evidente che soltanto influenze di questo genere possono essere veramente atte ad agire in vista della dissoluzione. Date queste premesse, non è difficile rendersi conto che tutto ciò che tende a favorire e ad allargare le «interferenze» di cui stiamo dicendo non fa che corrispondere, sia in modo cosciente sia in modo inconscio, a una nuova fase di quella deviazione di cui il materialismo rappresentava in realtà uno stadio meno «avanzato», quali che possano essere le apparenze esteriori, spesso estremamente ingannevoli.
È infatti necessario far notare, a questo riguardo, che «tradizionalisti» mal informati[4] si rallegrano sconsideratamente nel vedere la scienza moderna, nei suoi diversi rami, uscire qualche po’ dai ristretti confini nei quali si rinchiudevano finora le sue concezioni, e assumere un atteggiamento meno grossolanamente materialistico di quello adottato nell’ultimo secolo; costoro pensano inoltre volentieri che in certo qual modo la scienza profana finirà col raggiungere la scienza tradizionale (scienza che essi non conoscono per nulla, e di cui si fanno un’idea stranamente inesatta, soprattutto fondata su certe deformazioni e «contraffazioni» moderne), il che, per ragioni di principio sulle quali abbiamo spesso insistito, è cosa assolutamente impossibile. Questi stessi «tradizionalisti» si rallegrano, e forse ancora di più, nel vedere certe manifestazioni di influenze sottili prodursi con evidenza sempre maggiore, senza pensare mai di domandarsi quale possa essere di fatto la «qualità» di tali influenze (o forse non sospettano neppure che una domanda del genere abbia necessità di porsi); costoro nutrono grandi speranze che quella che oggi si chiama «metapsichica» possa apportare qualche rimedio ai mali del mondo moderno, mali che essi si compiacciono solitamente di attribuire in esclusiva al solo materialismo, ciò che è un’altra ben triste illusione. Quello di cui non s’accorgono (e sotto questo profilo sono molto più intaccati di quanto non credano dallo spirito moderno, con tutte le insufficienze che gli sono proprie), è che tutti questi sono in realtà i sintomi di una nuova tappa nello sviluppo, perfettamente logico, anche se d’una logica veramente «diabolica», del «piano» secondo cui si attua la deviazione progressiva del mondo moderno; certamente il materialismo vi ha avuto la sua parte, e una parte incontestabilmente importantissima, ma a questo punto la negazione pura e semplice che esso rappresenta è diventata insufficiente; essa è servita efficacemente ad impedire all’uomo l’accesso alle possibilità d’ordine superiore, ma non sarebbe in grado di scatenare le forze inferiori che sole possono portare al suo acme l’opera di disordine e di dissoluzione.
L’atteggiamento dei materialisti, a causa della sua stessa limitatezza, non presenta che un pericolo egualmente limitato; la sua «ottusità», se così si può dire, pone chi vi si attenga al riparo da tutte le influenze sottili indistintamente, e gli conferisce, a questo riguardo, una sorta d’immunità abbastanza simile a quella del mollusco che rimane ermeticamente rinchiuso nel suo guscio, immunità dalla quale deriva al materialista quell’impressione di sicurezza di cui abbiamo detto; ma quando si pratichi in questo guscio, il quale rappresenta nell’occasione l’insieme delle concezioni scientifiche convenzionalmente ammesse e delle corrispondenti abitudini mentali, accompagnate dall’«incallimento» che ne consegue per la costituzione «psicofisiologica» dell’individuo,[5] un’apertura dal basso, come dicevamo paco fa, immediatamente le influenze sottili distruttive vi penetreranno, e con tanta maggior facilità in quanto, in seguito al lavoro negativo compiuto nella fase precedente, nessun elemento di ordine superiore potrà intervenire per opporsi alla loro azione. Si potrebbe anche dire che il periodo del materialismo costituisce solamente una specie di preparazione soprattutto teorica, mentre quello dello psichismo inferiore comporta una «pseudo-realizzazione», che si muove propriamente in direzione inversa rispetto a una vera realizzazione spirituale; su quest’ultimo punto dovremo del resto spiegarci in seguito. La derisoria sicurezza della «vita ordinaria» che era l’inseparabile sequela del materialismo è a cominciare da ora fortemente minacciata, questo è vero, ed è certo che sarà possibile accorgersi sempre più chiaramente e sempre più diffusamente che essa era solo un’illusione; ma quale ne sarà il vantaggio reale, se si finirà soltanto per cadere immediatamente in un’altra illusione, peggiore della prima e più pericolosa sotto ogni aspetto, in quanto comporta conseguenze molto più estese e più profonde, illusione che è quella d’una «spiritualità alla rovescia» di cui i diversi movimenti «neospiritualistici» che la nostra epoca ha visto nascere e svilupparsi, compresi quelli che presentano già il carattere più nettamente «sovversivo», sono ancora soltanto prodromi insignificanti e mediocri?



[1] «Solvet sæclum in favilla», dice testualmente la liturgia cattolica, la quale invoca a questo proposito tanto la testimonianza di Davide quanto quella della Sibilla che in fondo è un modo come un altro per affermare l’accordo unanime delle diverse tradizioni.
[2] Si tratta di quello che la Cabbala ebraica, come abbiamo già accennato, chiama «mondo delle scorze» (ôlam qlippoth); è il luogo dove cadono gli «antichi re di Edom», in quanto rappresentano i «residui» inutilizzabili dei Manvantara trascorsi. 
[3] Ci pare sia sufficientemente chiaro che i due aspetti che nell’occasione chiamiamo «benefico» e «malefico» corrispondono esattamente alla «destra» e alla «sinistra» dove sono raggruppati rispettivamente gli «eletti» e i «dannati» al momento del «Giudizio universale», vale a dire precisamente al momento della «discriminazione» finale dei risultati della manifestazione ciclica. 
[4] Il termine «tradizionalismo» designa di fatto soltanto una tendenza che può essere più o meno vaga e che spesso è mal applicata, in quanto non implica alcuna conoscenza effettiva delle verità tradizionali; su questo argomento del resto ritorneremo più avanti. 
[5] È curioso notare come il linguaggio corrente si serva volentieri dell’espressione «materialista incallito», certamente senza sospettare che non si tratta di una semplice immagine, bensì di una corrispondenza con qualcosa di ben reale.

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