"…la dottrina è infallibile, è a causa del fatto che essa è un’espressione della verità, la quale, in se stessa, è assolutamente indipendente dagli individui che la ricevono e che la comprendono. La garanzia della dottrina risiede in definitiva nel suo carattere «non-umano»". René Guénon, Considerazioni sull’iniziazione, cap. "Sull’infallibilità tradizionale"

sabato 16 dicembre 2017

'Abd Al-Qâdir al-Jazâ'irî, Sull’attribuzione degli atti umani (Mawfiq 266)

'Abd Al-Qâdir al-Jazâ'irî
Sull’attribuzione degli atti umani

Mawfiq 266

Dio ha detto:
“Dio osserverà le vostre azioni”[1].

“Coloro che assolvono la preghiera; coloro che fanno l’elemosina dei beni di cui Noi li abbiamo provvisti”[2].
“Coloro che fanno l’elemosina”[3].
“Ciò che essa (la comunità passata) ha acquisito questo gli appartiene”[4].
“Il tuo Signore non è indifferente a quel che fate”[5].
“Dio sa perfettamente quel che fanno”[6].

Vi sono altri versetti che menzionano l’attribuzione dell’atto alle creature. Egli ha egualmente detto:
“Siete voi a seminare o siamo Noi i seminatori?”[7].
“Dio accoglie le anime al momento della morte”[8].
“Dì: tutto viene da Dio”[9].
“Ma era Dio che tirava”[10].
“Ma è Dio che li ha uccisi”[11].

Vi sono altri versetti che menzionano l’attribuzione a Dio solo dell’atto delle creature.
Egli ha detto anche:
“Ogni bene che ti giunge viene da Dio; ogni male che ti arriva viene da te stesso”[12].

“Dio li castigherà per mano vostra”[13].
“Quante volte, con il permesso di Dio, piccoli drappelli hanno vinto contro truppe numerose”[14].
“È a Te che chiediamo aiuto”[15].

“Dio vi ha creato, voi e tutto ciò che fate”[16].

“Egli ha fatto scendere dal cielo un’acqua grazie alla quale fa nascere i frutti”[17].

“Chi dunque compie in ogni anima quel che essa acquisisce?”[18].


Vi sono altri versetti dove Dio associa il Reale e la creatura nella realizzazione dell’atto. 
Queste informazioni divine e questi versetti coranici si presentano in modi diversi relativamente agli atti che procedono dalle creature, a causa della diversità dei punti di vista secondo i quali si applica la scienza eterna e di cui testimoniano coloro che li hanno, quando esistono. In effetti, un gruppo considera l’atto come non proveniente che da Dio solo. Questa visione, anche se giusta in una certa misura, è tuttavia pericolosa, quando è rigida in colui che la formula, perché conduce a considerare come vana la Legge rivelata e a negare la responsabilità. Allora, costui non ha più due occhi, per vedere con uno la Legge rivelata e con l’altro, la realtà. A questo modo di vedere si riferisce e si collega la teoria jabrita.[19] Questa teoria è rifiutata dalla responsabilità legale basata sull’ordine e la difesa. Perché non è a se stessi che si può imputare la responsabilità, ma bisogna che vi sia qualcun altro che ammetta questa responsabilità e al quale il discorso (morale) possa rivolgersi.
Un altro gruppo considera l’atto come non procedente che dalle creature, perché è abbagliato dallo splendore del nome del ‘Manifesto’, dato che l’intero universo altro non è che l’epifania del Reale, grazie al Suo nome di ‘Manifesto’. Poi, la luminosità si spegne[20] e allora questo gruppo non vede più la realtà come essa è. Separa il Reale dalla creatura; li distingue e li differenzia, perché a lui spetta la responsabilità e ciò che il Legislatore vi ha connesso come ricompensa e punizione; perché la responsabilità non conviene che a colui che ha la capacità degli atti di cui è responsabile. Assume lui stesso ciò che vieta di perpetrare il crimine e si trova legato a questa realtà. Da questo assunto nasce la teoria mu’tazilita, secondo la quale il servitore crea i suoi propri atti liberi. Nel nome del grado della trascendenza assoluta, essi separano dal Reale il fatto che si possa attribuirGli qualsiasi cosa di biasimevole in nome della Legge o del costume.
Un altro gruppo considera che l’atto spetta a Dio e che il servitore ne è parte pregnante e che gli viene attribuito, sia in virtù dell’acquisizione, e questa è la teoria di al-Ash’arî, sia in virtù di una partecipazione del libero arbitrio e tale è la teoria di Abû Mansûr al-Mâturîdî. È a queste due teorie che si limita quella dei teologi sunniti. Essa si avvicina alla verità, anche se non la raggiunge a causa della debolezza della visione e perché si ferma alla pura ragione. Ora la ragione, in quanto tale, è incapace di percepire le epifanie divine nei luoghi di manifestazione creati che hanno il loro fondamento nel Libro, la tradizione e lo svelamento da parte di Colui che ha l’abitudine a svelarSi. Siamo là nel grado dell’immanenza che tutti i teologi negano, salvo coloro cui il mio Signore fa misericordia. Dunque manca loro una metà della conoscenza di Dio, poiché una metà risiede nella Sua trascendenza e l’altra, nella Sua immanenza. Dio ha detto: “Niente è simile a Lui”[21]. Sottolinea qui la Sua trascendenza.[22] Segna anche la Sua immanenza, perché la determinazione delle due parti,[23] ossia del soggetto e dell’attributo, indica la restrizione.[24]
L’imâm dei conoscitori di Dio e loro modello, Muhyî al-Dîn al-Hâtimî,[25] ha detto: “Non si può fare assolutamente fare l’economia dell’unicità divina nella questione dell’attribuzione degli atti emananti dalle creature né dal punto di vista dello svelamento né da quello dell’informazione”. Ossia, dalle informazioni divine che sono le indicazioni della rivelazione ben più adeguate di quelle della ragione. Dato che queste ultime si respingono l’un l’altra, sono in conflitto e si contraddicono. Di conseguenza, il teologo equilibrato che sia sunnita o mu’tazilita, non può dispensarsi dall’attribuire l’atto, a un tempo, solo a Dio e al solo servitore. Quanto al teologo non equilibrato, cioè, parziale, pretende di dispensarsene, preconizzando l’attribuzione dell’atto solo a Dio, se è jabrita, al servitore, se è mu’tazilita e a Dio, pur accordandone l’acquisizione[26] dell’atto al servitore, se è ash’arita, o ancora la partecipazione del libero arbitrio, se è mâturîdita. Quanto ai testimoni dello svelamento e dell’estasi, essi sono le genti della sublime perplessità e della più grande sospensione,[27] a causa del conflitto e della differenza tra le teofanie e dell’impossibilità di fissarle secondo un unico modo e un genere preciso. Essi cambiano dunque, come il camaleonte, in funzione delle teofanie. Essi non arrivano a fissarsi su un modo d’attribuzione, perché la diversificazione dei generi d’attribuzione dell’atto, a volte così, a volte diversamente, dipende da quella dei generi di teofanie. Ma essi hanno ragione di affermare che la questione dipende, a un tempo, dal Reale e dalla creatura. Non si può liquidarla a favore del solo Reale, dal punto di vista dell’Esistenza-Essenza, né a favore del solo servitore, dal punto di vista della forma. In effetti, l’universo intero, in quanto tale, non è né totalmente creatura né totalmente Reale; ma è sia creatura da un certo punto di vista, sia Reale da un altro. È come l’alba che non è né la pura notte né il giorno puro e semplice.
Il nostro maestro, Muhyî al-Dîn, ha detto:
Non riguarda la creatura,
spogliandola del tutto dal Reale.
Non riguarda il Reale, 
rivestendoLo del tutto da altra cosa che il creato.

Afferma, a un tempo, sia la Sua trascendenza e la Sua immanenza:
mantieniti seduto sul seggio della verità.[28]

Se l’universo si spogliasse del Reale, non sarebbe più, anche se l’Essenza stessa del Reale è ciò che Egli ha creato. Ecco perché lo statuto della creatura precede il Reale, così come lo statuto del Reale precede la creatura; gli attributi avventizi precedono il Reale, così come gli attributi pre-eterni precedono la creatura. Dunque il Reale non è né separabile né distinto dalla creatura, senza che ci sia, tuttavia, né fusione né unione né mescolanza. Di conseguenza, Egli non attribuisce gli atti alla creatura se non nella misura in cui è essa che li attribuisce a Lui, l’ipseità nascosta e l’Essenza stessa del Reale. Egli non nega l’atto della creatura, quando dice: “Non sei stato tu a lanciare”[29]; “Egli vi ha creato e voi non agite”[30], nel senso negativo;[31] “Non siete voi che li avete uccisi”[32]; ecc… Egli non lo nega che in rapporto alla forma, in modo specifico, nel senso che l’atto non appartiene solamente che alla forma, contrariamente a quel che vede e pensa la gente comune e quando l’ordine superiore dei sufi e il partito dei salvati riconoscono che è così, essi non se la cavano altrettanto. Perché l’atto appartiene al servitore e al Signore, in quanto realtà comune. Dunque se dici che appartiene a Dio, secondo quel che sanno le genti di Dio alle quali la realtà delle cose è stata svelata, tu hai ragione, ma non secondo quel che dicono i jabriti, i murdji’iti[33] e i sostenitori dell’acquisizione dell’atto o della partecipazione del libero arbitrio. Se dici che spetta al servitore, secondo quanto riconoscono le genti di Dio, tu hai ragione, ma non secondo ciò che dicono i qadariti[34], pur non essendo intimoriti dalla responsabilità personale, perché procede da un nome divino per poggiare su un altro nome divino.
Per chiarire questo segreto, diremo che la realtà dei possibili non ha mai respirato il profumo dell’esistenza e non lo respirerà né in questo mondo né nell’altro. Ora il Reale non può manifestarSi senza un supporto di manifestazione né in questo mondo né nell’altro, secondo l’avviso unanime dei testimoni dello svelamento e dell’estasi. Perché lo svelamento della realtà ci dà modo di sapere che quel che si chiama mondo e servitore non è che l’Esistenza reale che si manifesta nello statuto dei possibili. Questa struttura divina è alla base di ogni struttura dell’universo. Nessuno conosce la sua modalità al di fuori di Dio. Ecco perché, l’uomo non sa, in funzione della sua forma, se non quando conoscerà il Reale in quanto Esistenza-Essenza. Ora il Reale non può mai essere conosciuto. Dunque la scienza, nell’uomo, in funzione della sua forma, non può essere che generale e non circostanziata. Ma, malgrado ciò, le buone maniere divine fanno in modo che il servitore creato sia affermato nel suo essere, nella misura in cui Dio lo conferma e dove l’atto gli è attribuito, come Dio dice: “Ho diviso la preghiera in due parti, tra Me stesso e il Mio servitore. Quando il servitore dice: ‘Lode a Dio’ lo dice anche Dio e quando il servitore dice questo, Dio dice ugualmente…”[35]. Egli ha detto del pari: “Dì: Lui, Dio, è uno”[36]; “Dì: oh voi infedeli!”[37]; “Dì: io mi rifugio…”[38]; ecc… Così l’atto è attribuito al servitore, nella misura in cui esso non è apparentemente lodevole, dal punto di vista della Legge o del costume. Ed è attribuito a Dio, nella misura in cui Dio Se lo attribuisce esplicitamente o nella misura in cui è un atto lodevole legalmente o abitualmente. Quando il Reale non lo attribuisce né al servitore né a Se Stesso, esso è fondamentalmente attribuito al Reale. Perché, in realtà, non vi è nulla di esistente al di fuori di Lui. Dunque, di fatto, non vi sono agenti al di fuori di Lui. Impara a comprendere! Perché, quando comprenderai i segreti che ho provato a farti cogliere in questo discorso, allora tu sarai sollevato dalla fatica di voler distinguere e separare il Reale dalla creatura. Tu non potrai mai arrivarci e tu rimarrai sempre nell’imbarazzo a causa della perplessità inerente alla condizione di ogni conoscitore di Dio, non a causa di quella che è propria ai sostenitori della riflessione e delle prove.
“Lode a Dio che ci porta a questo, in quanto non ci saremmo stati condotti, se Dio non ci avesse guidati”[39]. Gli inviati del nostro Signore ci hanno apportato la verità. Grazie a Lui per averci insegnato quel che non sapevamo,[40] che per noi è un immenso favore di Dio.
Dopo aver scritto questo Mawqîf, l’ispirazione si è manifestata per mezzo della Sua Parola: “Dio innalzerà su gradi elevati coloro tra voi che credono in coloro che hanno ricevuto la scienza”[41].

[1] Corano 9, 105
[2] Corano 2, 3
[3] Corano 23, 4
[4] Corano 2, 134
[5] Corano 11, 123
[6] Corano 23, 41
[7] Corano 56, 64
[8] Corano 39, 42
[9] Corano 4, 78
[10] Corano 8, 17
[11] Corano 8, 17
[12] Corano 4, 79
[13] Corano 9, 14
[14] Corano 2, 249
[15] Corano 1, 5
[16] Corano 37, 96
[17] Corano 2, 22
[18] Corano 13, 33
[19] È quella dei sostenitori del potere costrittivo di Dio sull’uomo.
[20] In luogo di intafat, preferiamo leggere intafa’at.
[21] Corano 42, 11
[22] Aggiungere qui fa-nazzaha, conformemente a MBA.
[23] Si tratta delle due parti della proposizione nominale.
[24] Il soggetto della proposizione nominale ‘Egli’ è determinato dall’essenza, poiché è un pronome; l’attributo “l’Udente e il Vedente” è determinato dall’articolo. Ora, secondo questo principio linguistico già evocato in Mawqîf 15, 106 e 108, si può formare il seguente sillogismo formulato in Mawqîf 106: “Ogni vivente è intendente e vedente (maggiore); ora l’Intendente e il Vedente, è Dio solo ad esclusione di ogni altro (minore); dunque se ne conclude che ogni vivente è Dio e nient’altro (conclusione).” Di qui l’immanenza di Dio il quale, attraverso l’unicità dell’essere, è anche il creato. 
[25] Ossia, Ibn ‘Arabî.
[26] L’acquisizione formale e estrinseca dell’atto o kasb è una teoria che il nostro autore qualifica d’altronde come incomprensibile e assurda.
[27] Sospensione o sosta tra l’inesistenza della tappa da cui si arriva e quella della tappa in cui si va; da cui la sospensione dell’esercizio del giudizio e di tutte le facoltà.
[28] Questi versetti sono estratti dai Fusûs al-Hikam, Dâr ihyâ’ al-kutub al-‘arabiyya, 1365/1946, t. 1, p. 93.
[29] Corano 8, 17
[30] Corano 37, 96
[31] Wa mâ ta’malûna, dice il Corano; cioè: “voi e quel che fate”. Ma il nostro autore interpreta il mâ come una negazione (né… no), allorché in, realtà, si tratta di un relativo indeterminato (ciò che).
[32] Corano 8, 17
[33] Movimento politico-religioso dell’islam primitivo. Questo termine designa, in seguito, coloro che identificano la fede all’adesione interiore e alla sua professione, all’esclusione degli atti.
[34] Dell’8° secolo, ci sono coloro che affermano il libero arbitrio presso l’uomo. Essi sono rappresentati soprattutto da al-Hasan al-Basrî.
[35] Citazione approssimativa della tradizione santa riportata da Muslim, Salât, 38, 40; Abû Dâwud, Salât, 132; ecc…
[36] Corano 112, 1
[37] Corano 109, 1
[38] Corano 113, 1; 114, 1
[39] Non sembra che si tratti di una tradizione profetica.
[40] Vedi Corano 96, 5.
[41] Corano 58, 11

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