Considerazioni sull’Iniziazione
IV - Sulle condizioni dell’iniziazione
Possiamo ora tornare alla questione delle condizioni
dell’iniziazione, e per cominciare diremo subito, anche se la cosa può sembrare
ovvia, che la prima di tali condizioni è una certa attitudine o disposizione
naturale, senza la quale qualunque sforzo risulterebbe vano, giacché
l’individuo può evidentemente sviluppare solo le possibilità che porta in se
stesso fin dall’origine; tale attitudine, che caratterizza quello che taluni
chiamano l’«iniziabile», costituisce propriamente la «qualificazione» che
richiedono tutte le tradizioni iniziatiche[1].
Si tratta del resto della sola condizione che sia in certo qual senso comune sia all’iniziazione sia al misticismo, poiché è chiaro che anche il mistico deve avere una disposizione naturale particolare, quantunque completamente diversa da quella dell’«iniziabile», per certi versi addirittura opposta; sennonché, se tale condizione è per lui del pari necessaria, è per di più sufficiente; non ce ne sono altre che debbano aggiungersi a essa, e le circostanze faranno tutto il resto, facendo passare a loro piacere dalla «potenza» all’«atto» queste o quelle possibilità che comporta la disposizione in questione. Ciò risulta direttamente da quel carattere di «passività» di cui parlavamo in precedenza: in un simile caso non sarà infatti mai questione di uno sforzo o di un lavoro personale qualsivoglia, che il mistico abbia da effettuare, dal quali, anzi, dovrà invece guardarsi con cura, evitandoli come qualcosa che sarebbe in opposizione con la sua «via»[2], mentre al contrario. per quanto riguarda l’iniziazione e a motivo del carattere «attivo» di essa, un lavoro del genere costituisce un’altra condizione non meno necessaria della prima, e senza la quale il passaggio dalla «potenza» all’«atto», da cui è propriamente costituita la «realizzazione», non potrebbe assolutamente effettuarsi[3].
Si tratta del resto della sola condizione che sia in certo qual senso comune sia all’iniziazione sia al misticismo, poiché è chiaro che anche il mistico deve avere una disposizione naturale particolare, quantunque completamente diversa da quella dell’«iniziabile», per certi versi addirittura opposta; sennonché, se tale condizione è per lui del pari necessaria, è per di più sufficiente; non ce ne sono altre che debbano aggiungersi a essa, e le circostanze faranno tutto il resto, facendo passare a loro piacere dalla «potenza» all’«atto» queste o quelle possibilità che comporta la disposizione in questione. Ciò risulta direttamente da quel carattere di «passività» di cui parlavamo in precedenza: in un simile caso non sarà infatti mai questione di uno sforzo o di un lavoro personale qualsivoglia, che il mistico abbia da effettuare, dal quali, anzi, dovrà invece guardarsi con cura, evitandoli come qualcosa che sarebbe in opposizione con la sua «via»[2], mentre al contrario. per quanto riguarda l’iniziazione e a motivo del carattere «attivo» di essa, un lavoro del genere costituisce un’altra condizione non meno necessaria della prima, e senza la quale il passaggio dalla «potenza» all’«atto», da cui è propriamente costituita la «realizzazione», non potrebbe assolutamente effettuarsi[3].
Comunque sia, la cosa non è finita qui: tutto sommato
abbiamo finora sviluppato soltanto la distinzione, che avevamo posta
all’inizio, dell’«attività» iniziatica e della «passività» mistica, per trarne
la conseguenza che, per quanto riguarda l’iniziazione, siamo in presenza di una
condizione che per il misticismo non è richiesta, né potrebbe esserlo;
sennonché c’è un’ulteriore condizione non meno necessaria di cui non abbiamo
parlato, la quale si situa in qualche modo in mezzo a quelle di cui abbiamo già
fatto menzione. Tale condizione, sulla quale occorre tanto più insistere in
quanto gli Occidentali sono in generale abbastanza portati a ignorarla o a
trascurarne l’importanza, è inoltre, per la verità, la più caratteristica di
tutte, quella che permette di definire l’iniziazione al di fuori di ogni
possibile equivoco, e di non confonderla con qualche altra cosa; in virtù di
essa, il caso dell’iniziazione è delineato assai meglio di quanto non potrebbe
essere quello del misticismo, per il quale nulla di simile esiste. È spesso
molto difficile, se non del tutto impossibile, distinguere il vero misticismo
dal falso; il mistico è per definizione un isolato e un «irregolare», e
talvolta non sa neppure lui cos’è veramente; e il fatto che nel suo caso non si
tratti di conoscenza allo stato puro, ma che quella che è conoscenza reale sia
sempre influenzata da una mescolanza di sentimento e di immaginazione, è
inoltre ben lungi dal semplificare la questione; in tutti i casi, si è in
presenza di qualcosa che sfugge a qualsiasi controllo, cosa che potremmo
esprimere dicendo che non esiste per il mistico nessun «mezzo di
riconoscimento»[4]. Si potrebbe dire, anche,
che il mistico non ha «genealogia», che egli non è tale se non per una sorta di
«generazione spontanea», e confidiamo che espressioni di questo genere siano
facili da capire senza ulteriori spiegazioni; conseguentemente, come si
potrebbe avere la presunzione di affermare indubitabilmente che qualcuno sia un
mistico, mentre un altro non lo è, quando invece tutte le apparenze possono
essere sensibilmente le medesime? Per contro, le contraffazioni
dell’iniziazione possono sempre essere infallibilmente rivelate grazie all’assenza
della condizione a cui ci stiamo riferendo, la quale altro non è che il
ricollegamento a una organizzazione tradizionale regolare.
Ci sono degli ignoranti i quali immaginano che «ci si inizi»
da soli, il che è una sorta di contraddizione in termini; dimenticando, se mai
l’hanno saputo, che la parola initium
significa «entrata» o «avvio», costoro confondono l’atto vero e proprio
dell’iniziazione, compresa secondo il suo senso rigorosamente etimologico, con
il lavoro che occorre compiere in seguito perché tale iniziazione, da virtuale
che è in principio, diventi più o meno effettiva. L’iniziazione, capita in
questo modo, è ciò che tutte le tradizioni si accordano nel denominare «seconda
nascita»; come potrebbe, perciò, un essere agire in modo autonomo ancor prima
di essere nato?[5] Sappiamo che cosa si potrà
obiettare a questa considerazione: se l’essere è veramente «qualificato», porta
già in sé le possibilità che dovranno essere sviluppate; perché, se le cose
stanno in questo modo, tali possibilità non potrebbero essere realizzate grazie
a un suo proprio sforzo, senza bisogno di interventi esterni? In effetti, si
tratta di una cosa che è permesso prendere in considerazione teoricamente, a
condizione di concepirla come il caso di un uomo «nato due volte» fin dal primo
momento della sua esistenza individuale; ma, se ciò non presenta impossibilità
di principio, esiste tuttavia un’impossibilità di fatto, nel senso che si
tratta di qualcosa che è contrario all’ordine stabilito per il nostro mondo,
per lo meno nelle condizioni attuali. Non siamo infatti nell’epoca primordiale,
in cui tutti gli uomini erano in possesso, in modo normale e spontaneo, di uno
stato che oggi è in rapporto con un elevato grado di iniziazione[6]; e, a
vero dire, in quell’epoca la stessa parola iniziazione non poteva avere nessun
senso. Siamo nel Kali-Yuga, ossia in
un tempo in cui la conoscenza spirituale è diventata nascosta, e in cui solo
qualcuno può ancora raggiungerla, purché si ponga nelle condizioni richieste
per ottenerla; ora, una di tali condizioni è precisamente quella di cui stiamo
parlando, così come un’altra condizione è quella di uno sforzo di cui non
avevano ugualmente bisogno gli uomini delle prime età, giacché in essi lo
sviluppo spirituale avveniva in modo altrettanto naturale quanto lo sviluppo
corporeo.
Si tratta perciò di una condizione la cui necessità si
impone in conformità con le leggi che governano il nostro mondo attuale; e per
farlo meglio comprendere, possiamo ricorrere qui a un’analogia: tutti gli
esseri che si svilupperanno nel corso di un ciclo sono contenuti fin dal
principio, nello stato di germi sottili, nell’«Uovo del Mondo»; di conseguenza,
perché non potrebbero nascere nello stato corporeo da soli e senza genitori?
Neppure questa è una impossibilità assoluta, ed è possibile concepire un mondo
in cui le cose si svolgano in tal modo; solo che, di fatto, questo mondo non è
il nostro. Facciamo, beninteso, una riserva per le anomalie; può accadere che
esistano casi eccezionali di «generazione spontanea», e nel campo della
spiritualità, abbiamo noi stessi assegnato poco fa quest’espressione al caso
del mistico; ma abbiamo anche detto che questi è un «irregolare», mentre
l’iniziazione è una cosa essenzialmente «regolare», la quale non ha nulla a che
fare con le anomalie. E inoltre, occorrerebbe sapere esattamente fin dove
queste ultime possono spingersi; anch’esse devono pur rientrare in definitiva
in qualche legge, perché ogni cosa non può esistere se non come elemento
dell’ordine totale e universale. E già solo questo, se ci si volesse riflettere
un po’, potrebbe esser sufficiente per far pensare che gli stati realizzati dal
mistico non possono esser precisamente gli stessi dell’iniziato, giacché, se la
loro realizzazione non è soggetta alle stesse leggi è perché si tratta di fatto
di qualcos’altro; ma ora possiamo lasciar perdere definitivamente il caso del
misticismo, a proposito del quale abbiamo detto abbastanza per quel che ci
proponevamo di assodare, e non considerare più se non quello dell’iniziazione.
In effetti, ci resta da precisare la funzione del
ricollegamento a un’organizzazione tradizionale, ricollegamento che, beninteso,
non può dispensare in nessun modo dal lavoro interiore che ciascuno deve fare
soltanto da sé, ma che è richiesto, in quanto condizione preventiva perché tale
lavoro possa portare i suoi frutti. Si deve capire bene fin d’ora che coloro
che sono stati stabiliti come depositari della conoscenza iniziatica non
possono comunicarla in un modo che sia più o meno paragonabile a quello di cui
si serve un professore, nell’insegnamento profano, per comunicare ai suoi
allievi formule libresche che costoro dovranno solo immagazzinare nella propria
memoria; qui si tratta di qualcosa che, nella sua stessa essenza, è
propriamente «incomunicabile», giacché si tratta di stati che sono da
realizzare interiormente. Quelli che si possono insegnare sono solo metodi
preparatori per l’ottenimento di tali stati; quel che può essere fornito dal di
fuori sotto questo aspetto, è in fondo un aiuto, un appoggio che facilita molto
il lavoro da compiere, così come pure un controllo che elimini gli ostacoli e i
pericoli che possono presentarsi; sono tutte cose tutt’altro che trascurabili,
e colui che ne fosse privo correrebbe il grosso rischio di incorrere in un
insuccesso, ma, anche così, non si giustificherebbe completamente quel che
abbiamo detto quando parlavamo di una condizione necessaria. E di fatto, non è
quello a cui intendevamo riferirci, per lo meno in modo immediato; sono tutte
cose che intervengono solo secondariamente, e in certo qual modo a titolo di
conseguenze, dopo l’iniziazione intesa nel suo senso più stretto, quale abbiamo
indicato in precedenza, e allorché si tratti di sviluppare di fatto la
virtualità che è da essa costituita; ma prima di tutto occorre che simile
virtualità preesista. È dunque in modo diverso che deve essere intesa la
trasmissione iniziatica propriamente detta, e non potremmo delinearla meglio se
non dicendo che essa è essenzialmente la trasmissione di un influsso
spirituale; su quest’argomento dovremo tornare più in esteso, ma per il momento
ci conterremo alla determinazione in modo più esatto della funzione che ricopre
tale influsso, che si pone tra l’attitudine naturale preventiva propria
dell’individuo e il lavoro di realizzazione che egli effettuerà in seguito.
Abbiamo fatto notare in altro luogo che le fasi
dell’iniziazione, così come quelle della «Grande Opera» ermetica, la quale in
fondo non è se non una delle sue espressioni simboliche, riproducono quelle del
processo cosmogonico[7]; tale
analogia, che è fondata direttamente su quella che esiste tra il «microcosmo» e
il «macrocosmo», permette, meglio di ogni altra considerazione, di illuminare
la questione di cui si tratta.
Si può dire, infatti, che le attitudini o possibilità incluse
nella natura individuale sono inizialmente, in quanto tali, soltanto una materia prima, cioè una pura
potenzialità, nella quale non c’è nulla di sviluppato o di differenziato[8]; si
tratta perciò di uno stato caotico e tenebroso, che il simbolismo iniziatico fa
precisamente corrispondere al mondo profano, e nel quale si trova l’essere che
non è ancora pervenuto alla «seconda nascita». Perché questo caos possa
incominciare a prender forma e a organizzarsi, occorre che una vibrazione
iniziale gli venga comunicata dalle potenze spirituali che la Genesi ebraica indica con il nome di Elohim; tale vibrazione è il Fiat Lux che illumina il caos, ed è il
punto di partenza necessario di ogni sviluppo ulteriore; e, dal punto di vista
iniziatico, questa illuminazione è precisamente costituita dalla trasmissione
dell’influenza spirituale della quale abbiamo detto ora[9]. In
conseguenza di essa, e in virtù di tale influenza, le possibilità spirituali
dell’essere non sono più la semplice potenzialità che erano prima; esse sono
diventate una virtualità pronta a svilupparsi in atto nei diversi stadi della
realizzazione iniziatica.
Possiamo riassumere tutto ciò che precede dicendo che
l’iniziazione implica tre condizioni che si presentano in modo successivo, e
che si potrebbero far corrispondere rispettivamente ai tre termini di
«potenzialità», «virtualità» e «attualità»:
1. la «qualificazione», costituita da determinate possibilità inerenti
alla natura propria dell’individuo, le quali sono la materia prima sulla quale dovrà effettuarsi il lavoro iniziatico;
2. la trasmissione, per il tramite del ricollegamento a un’organizzazione
tradizionale, di un’influenza spirituale che conferisce all’essere
l’«illuminazione» che gli permetterà di ordinare e di sviluppare queste
possibilità che egli porta in sé;
3. il lavoro interiore mediante il quale, con
l’aiuto di «ausili» o «supporti» esteriori eventuali e soprattutto durante i
primi stadi, tale sviluppo si realizzerà gradualmente, facendo passare
l’essere, di scalino in scalino, attraverso i differenti gradi della gerarchia
iniziatica, per condurlo alla meta finale della «Liberazione» o «Identità
Suprema».
[1] Si
vedrà però, dallo studio speciale che dedicheremo in seguito alla questione
delle qualificazioni iniziatiche, che tale argomento presenta in realtà aspetti
molto più complessi di quanto si potrebbe credere a un primo approccio e se ci
si arrestasse alla sola nozione assai generica che ne forniamo ora.
[2] Per
cui i teologi vedono volentieri, e non senza ragione, un «falso mistico».in
colui che cerca, con uno sforzo qualsiasi, di ottenere visioni o stati
straordinari, quand’anche lo sforzo si limitasse a concepire un semplice
desiderio.
[3] Da
ciò discende, fra altre conseguenze, che le conoscenze di tipo dottrinale, che
sono indispensabili per l’iniziato, e la comprensione teorica delle quali
costituisce una condizione preventiva per qualsiasi «realizzazione», possono
far totale difetto al mistico; da qui proviene, in quest’ultimo, oltre la
possibilità di errori e di molteplici confusioni, una strana incapacità a
esprimersi in modo intelligibile. Si deve però capir bene che le conoscenze in
questione non hanno assolutamente nulla a che vedere con tutto quel che abbia
soltanto un carattere di istruzione esteriore o di «sapere» profano, i quali
non hanno nessun valore in questo campo, come spiegheremo ancora in seguito, e
costituirebbero anzi in molti casi piuttosto un ostacolo che non un aiuto, se
si tiene conto di che cos’è l’istruzione moderna; un uomo può benissimo non
saper né leggere né scrivere e pervenire ciò nonostante al gradi più elevati
dell’iniziazione; casi di questo genere non sono rarissimi in Oriente, mentre
ci sono degli «scienziati», e persino dei «geni», secondo il modo di vedere del
mondo profano, che non sono «iniziabili» sotto nessun riguardo.
[4] Non
intendiamo con ciò riferirci a parole o a segni esteriori e convenzionali, ma a
ciò di cui simili mezzi in realtà non sono che la rappresentazione simbolica.
[5] Ricordiamo qui l’adagio scolastico elementare: «per agire, bisogna essere».
[6] È
quello che nella tradizione indù è indicato con la parola Hamsa, attribuita come nome alla casta unica che esisteva in
origine, e denotava in modo proprio uno stato che è ativarna, vale a dire di là dalla distinzione delle caste attuali.
[7] Cfr. L’Ésoterisme de Dante, in particolare le
pp. 63-4 e 94 (ediz. franc.).
[8] È
sottinteso che si tratta, in termini rigorosi, solo di una materia prima in senso relativo, non in senso assoluto; sennonché
tale distinzione non ha importanza dal punto di vista da cui noi qui ci
poniamo, e d’altronde lo stesso si può dire della materia prima di un mondo come il nostro, il quale, essendo in un
certo modo già determinato, non è in realtà, nei confronti della sostanza
universale, se non una materia secunda
(cfr. Il Regno della Quantità e i Segni
dei Tempi, cap. II); per modo che, anche secondo questo aspetto, l’analogia
con lo sviluppo del nostro mondo a partire dal caos iniziale è rigorosamente
esatta.
[9] Da
qui provengono espressioni come quelle di «dare la luce» e di «ricevere la
luce», usate per indicare, con riferimento rispettivamente all’iniziatore e
all’iniziato, l’iniziazione in senso stretto, vale a dire la trasmissione vera
e propria di cui stiamo trattando. Da notare inoltre, per quanto concerne gli Elohim, che il numero settenario loro
assegnato è in relazione con la costituzione delle organizzazioni iniziatiche,
la quale deve in effetti essere un’immagine dello stesso ordine cosmico.
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