Seyyed Hossein Nasr
Intelletto e intuizione: la loro relazione dalla prospettiva islamica[1]
In un mondo dove l’intelletto è diventato
sinonimo di ragione e l’intuizione equivale ad un
sesto senso “biologico” concernente la predizione di eventi futuri, risulta
difficile comprendere cosa possano significare intelletto e intuizione –
queste due facoltà chiave sulle quali è basata la conoscenza – nel
contesto del pensiero islamico. Per intendere il significato di questi termini
nell’universo islamico tradizionale, dove la luce dell’Uno domina l’intera
molteplicità e la molteplicità è sempre vista alla luce dell’Unità, è
necessario esaminare la terminologia esatta utilizzata negli idiomi islamici,
soprattutto l’arabo e il persiano, per riferirsi ai concetti di
intelletto e intuizione.
Nelle lingue occidentali moderne si è
soliti dimenticare la fondamentale distinzione tra intelletto e ragione,
giungendo ad usarli come sinonimi. In arabo e in altre
lingue proprie del mondo islamico è utilizzato un solo termine, al-‘aql,
per designare tanto la ragione come l’intelletto, ma tenendo sempre a mente la
distinzione tra i due, così come la loro interrelazione e la dipendenza della
ragione rispetto all’intelletto. Il termine arabo al-‘aql proviene
dalla radice ‘-q-l, che significa
fondamentalmente unire. È questa facoltà che unisce l’uomo a Dio, alla sua
Origine. Grazie all’esser dotato di al-‘aql, l’uomo diventa uomo e partecipa nell’attributo della conoscenza, al-‘ilm,
che in ultimo appartiene solo a Dio. Il possesso di al-‘aql occupa
una natura così positiva che il Sacro Corano si riferisce in più occasioni al
ruolo fondamentale di al-‘aql e dell’intellezione (ta’aqqul o tafaqquh)
nella vita religiosa dell’uomo e nella sua salvezza[2].
Al-‘aql è comunque usato anche nel senso di intelligenza, acutezza di percezione, precauzione, senso
comune e molti altri concetti simili. D’altra parte ogni scuola di pensiero
islamica ha elaborato dettagliatamente certi aspetti del significato
dell’intelletto in ciò che si riferisce alla sua prospettiva ed
alla sua struttura interna.
In quanto alla parola intuizione,
sono stati utilizzati abitualmente termini come hads e firāsah.
Questi termini implicano una “partecipazione” in una conoscenza che non è
semplicemente razionale, sebbene non opposta a quella intellettuale, così come è inteso questo termine nel suo senso tradizionale. Un
altro insieme di termini più frequenti nei testi di filosofia, teologia e
sufismo sono dhawq, ishrāq, mukāshafah, basīrah, nazhar e badīhah.
Tutti essi sono relazionati alla visione diretta e partecipazione nella
conoscenza della verità, in contrasto con la conoscenza indiretta sulla quale
si basa tutto il raziocinio. Questo contrasto si accentua con l’uso
dell’espressione al-‘ilm al-hudūrī o «conoscenza
presenziale» come opposta a al-‘ilm
al-husūlī o «conoscenza acquisita»[3], ma questi termini si riferiscono alla differenza tra
l’intuizione come forma di conoscenza basata nell’esperienza immediata e il
raziocinio come conoscenza indiretta basata su concetti mentali. Comunque,
nessuno di questi termini, nella modalità nella quale
sono stati utilizzati nelle lingue islamiche tradizionali, si oppone ad al-‘aql;
piuttosto, essi servono come suo complemento nel suo senso più profondo.
L’Islam non è mai stato testimone della
dicotomia tra intelletto e intuizione, ma ha creato una gerarchia della
conoscenza e dei metodi per raggiungerla in accordo ai quali
i distinti gradi di intellezione e intuizione vengono armonizzati in un ordine
che abbraccia tutti i mezzi di conoscenza a disposizione dell’uomo, dalla
conoscenza dei sensi fino alla «conoscenza del cuore».
Per comprendere pienamente la relazione
tra intelletto e intuizione nell’Islam è necessario ricorrere a queste
prospettive intellettuali islamiche che hanno attualizzato diverse possibilità
inerenti alla rivelazione islamica. Per ciò che si riferisce alla presente
discussione, esse includono le scienze puramente religiose come gli studi
coranici e quelli della sharī‘ia, la teologia, le varie scuole
di filosofia e infine il sufismo.
Nelle scienze religiose la funzione
dell’intelletto è contemplata solo nella misura della sua capacità di
delucidare le verità della rivelazione. È la rivelazione il
mezzo fondamentale per raggiungere la verità, ed è inoltre la rivelazione che
illumina l’intelletto e rende possibile il suo corretto funzionamento. Questo
matrimonio tra rivelazione e intelletto permette di fatto
alla mente di “partecipare” nella verità per mezzo di questo “atto” o “salto”
solitamente conosciuto come intuizione e che è inseparabile dalla fede, la
quale rende possibile la conoscenza della verità.
Alcuni dei più esoterici esegeti del
Sacro Corano hanno enfatizzato il carattere complementare di rivelazione e intelletto,
il quale, di fatto, è stato definito come rivelazione particolare o parziale (al-wahy
al-juz’ī), mentre la rivelazione oggettiva che origina e stabilisce
una nuova religione è conosciuta come rivelazione universale (al-wahy
al-kullī). Solo attraverso la rivelazione obiettiva e universale
giungono ad attualizzarsi le potenzialità dell’intelletto.
È solo sottomettendosi alla rivelazione
oggettiva che questa rivelazione soggettiva nell’uomo,
che è l’intelletto, diventa completa in sé, capace non solo di analizzare ma
anche di sintetizzare e unificare. Nella sua funzione unificatrice,
l’intelletto è sano ed in grado di salvare l’anima
della schiavitù della molteplicità e della separazione. Lo strumento della
rivelazione, l’Arcangelo Gabriele, è anche lo Spirito Santo che illumina
l’intelletto e gli permette di possedere la facoltà dell’intuizione.
Alla luce della rivelazione, l’intelletto
non si riduce alla ragione ma possiede anche un’intuizione intellettuale che,
unita alla fede, permette all’uomo di penetrare nel significato della
religione, e più particolarmente nella parola di Dio così come figura nel Sacro
Corano. L’uomo deve esercitare la sua intelligenza per comprendere la
rivelazione di Dio, ma per comprendere la rivelazione divina
l’intelletto deve essere già illuminato dalla luce della fede e toccato
dalla grazia proveniente dalla rivelazione.[4]
In quanto alla teologia islamica o Kalām,
essa si dedica più a comprendere la volontà di Dio che a raggiungere la
dimensione universale dell’intelletto. Questo vale specialmente nella scuola di
teologia fondata da Abu’l-Hasan al-Ash‘arī,
maggioritaria nel mondo sunnita. La scuola ash‘arita si basa su un volontarismo
che riduce la funzione dell’intelletto ad un livello
puramente umano e si mantiene quasi aliena all’aspetto della Divinità in quanto
Verità e Conoscenza oggettiva.[5]
Per questa scuola, la verità è ciò che
Dio ha ordinato e l’intelletto non svolge alcuna funzione al di fuori dei dogmi
esterni della religione. Sebbene la forma estrema di
volontarismo che possiamo trovare nella prima scuola ash‘arita venne modificata in parte da una scuola posteriore (al-muta’akhkhirūn)
da uomini come al-Ghazzālī e Fakhr al-Dīn al-Rāzī,
l’ash‘arismo si è mantenuto lungo la storia come una scuola di teologia nella
quale l’intelletto rimane subordinato alla volontà di Dio e non viene
considerato nella sua funzione di ricondurre l’uomo alla Divinità e penetrare
nel cuore del tawhīd.[6]
In altre scuole di kalām,
che si tratti del mu‘tazilismo e del māturidismo nel mondo sunnita o della
teologia sciita duodecimana, si attribuisce un ruolo più importante alla
ragione come mezzo per interpretare la volontà di Dio
come si manifesta nella Sua rivelazione, senza giungere, comunque, al tipo di
“dottrina” conosciuta nell’Occidente moderno come razionalismo. Come
l’ash‘arismo, neanche queste scuole di teologia considerano il ruolo della
funzione universale dell’intelletto che include ciò che è conosciuto come
intuizione, come mezzo per ottenere la vera
conoscenza.
Nel corso della storia islamica la
funzione del kalām è sempre stata di fornire i mezzi
razionali per proteggere la cittadella della fede (al-imān), invece
di permettere all’intelletto di penetrare all’interno del
cortile della fede e diventare la scala che conduce al cuore stesso della
verità della religione. In realtà, non è tanto nella teologia quanto nella
filosofia religiosa e nella gnosi dove dobbiamo
cercare una spiegazione del pieno significato dell’intelletto e dell’intuizione
e una metodologia completa della conoscenza dell’Islam.
Nella filosofia islamica possiamo
distinguere almeno tre scuole che si sono occupate a fondo della metodologia
della conoscenza e di tutti gli aspetti del significato dell’intelletto nella
sua relazione con l’intuizione: la filosofia peripatetica (mashshā’ī),
la teosofia illuminazionista (ishrāqī) e la «teosofia
trascendente» di Sadr al-Dīn Shirāzī[7].
Sebbene la scuola mashshā’ī nell’Islam
abbia preso la maggior parte dei suoi insegnamenti da fonti aristoteliche e
neoplatoniche, non è una scuola razionalista, nel significato usuale di questo
termine nella filosofia occidentale. La scuola mashshā’ī si
basa su una visione dell’intelletto che propriamente parlando è metafisica, e
non semplicemente filosofica. Distingue inoltre con chiarezza tra la riflessione
dell’intelletto sulla mente umana, rappresentata dalla ragione, e l’intelletto
in sé stesso, che trascende l’ambito individuale[8].
Negli scritti di Ibn Sīnā
[Avicenna, N.d.T.], massimo rappresentante dei peripatetici
musulmani, possiamo trovare una trattazione completa dell’intelletto e «una teoria della conoscenza». Basandosi sui trattati
sull’intelletto (al-Risālah fi’l-‘aql) di al-Kindī e al-Fārābī[9], Ibn Sīnā realizzò un’ampia analisi del
significato dell’intelletto in varie sue opere, specialmente ne «Il libro
della cura» (al-Shifa’a), ne «Il libro della salvezza» (al-Najāt)
e nella sua ultima opera maestra, «Il libro delle direttive e dei
commentari» (Kitāb al-ishārāt wa’l-tanbīhāt).
Basandosi sui commentaristi alessandrini
di Aristotele come Temistio e Alessandro di Afrodisia, e avendo piena
conoscenza della dottrina coranica della rivelazione, Ibn Sīnā
distingue tra l’Intelletto Attivo (al-‘aql al-fa‘‘āl), che è
universale e indipendente dall’individuo, e la funzione intellettuale
nell’uomo. Ogni essere umano possiede l’intelligenza virtualmente. Questa è
chiamata intelligenza materiale o potenziale (bi’l-quwwah).
Nella misura in cui l’essere umano cresce in conoscenza, le prime forme
intelligibili si situano nell’anima dall’alto e l’uomo raggiunge il livello
dell’intelligenza abituale (bi’l-malakah).
Quando gli intelligibili diventano completamente attualizzati nella mente,
l’uomo raggiunge il livello dell’intelletto vero (bi’l
fi‘l), e per ultimo, quando questo processo è completato, raggiunge l’intelligenza
acquisita (mustafād).
Infine, al di sopra di
queste tappe e stati si situa l’Intelletto Attivo (al-‘aql al-fa‘‘āl),
che è Divino e illumina la mente attraverso l’atto della conoscenza[10].
Secondo Ibn Sīnā, ogni atto di
cognizione coinvolge l’illuminazione della mente mediante l’Intelletto Attivo,
il quale conferisce alla mente la forma la cui
conoscenza è quella del soggetto in questione. Sebbene Ibn Sīnā
rifiutasse le idee platoniche, senza dubbio era più vicino ai realisti
dell’Occidente medievale che ai nominalisti[11].
Non è casuale che i seguaci di
Sant’Agostino si riunissero intorno agli insegnamenti di Ibn Sīnā,
dopo la traduzione delle sue opere in latino, e che si formò una scuola che
doveva la sua origine tanto a Sant’Agostino quanto a Ibn Sīna[12].
La dottrina mashshā’ī sull’intelletto
e l’intuizione può riassumersi dicendo che esistono gradi dell’intelletto,
ottenuti in base all’avanzamento dell’uomo nella conoscenza, con l’aiuto
dell’Intelletto Attivo. Nella misura in cui l’intelletto cresce in forza e
universalità, inizia ad acquisire funzioni e facoltà che si identificano
con l’intuizione piuttosto che con l’intelletto nella sua funzione analitica
connessa con l’atto del raziocinio. Il mezzo per acquisire la conoscenza
metafisica è, secondo Ibn Sīnā, l’intuizione intellettuale, che deve
essere tradotto ta‘aqqul piuttosto che mero raziocinio.
Comunque, per intuizione non intendiamo qui un potere sensuale o biologico che
compie salti nel buio, ma un potere che illumina e rimuove i limiti della ragione
e dell’esistenza individuale.
Nelle fonti islamiche tradizionali, la
scuola mashshā’ī è solitamente definita hikmah
bahthiyyah (filosofia razionale o, più esattamente, filosofia
argomentativa), in contrasto con la scuola ishrāqī,
conosciuta come hikmah dhawqiyyah (filosofia intuitiva).
Sebbene, come è stato detto prima, la filosofia mashshā’ī non
sia una semplice filosofia razionalista, è nella scuola ishrāqī o
iluminazionista della sapienza, fondata dallo Shaykh al-ishrāq Shihāb
al-Dīn Suhrawardī che l’aspetto intuitivo dell’intelletto viene
pienamente enfatizzato, descrivendo tutta una gerarchia che va dalla conoscenza
dei sensi fino alla conoscenza metafisica dei principi.
Al pari di alcuni metafisici occidentali
come Sant’Agostino e San Tommaso, Suhrawardī enfatizza il principio di
adeguazione o adaequatio (adaequatio rei et intellectus)
secondo il quale a ogni piano della realtà corrisponde uno strumento di
conoscenza adeguato a questo livello particolare di realtà. Ma
ciò che caratterizza e distingue l’epistemologia ishrāqī è
che, secondo questa scuola, ogni forma di conoscenza è il risultato di
un’illuminazione della mente attraverso le luci del mondo puramente spirituale
o intelligibile.
Anche l’atto della visione fisica è
possibile perché l’anima dell’osservatore è illuminata da una luce che
nell’atto stesso di vedere abbraccia l’oggetto della visione. In ugual modo,
conoscere un concetto logico è possibile grazie all’illuminazione della mente
nel momento in cui la forma stessa del concetto logico in questione è presente
in essa.
Quanto alle forme più elevate di
conoscenza che raggiungono il cielo della gnosi e della metafisica, anch’esse
sono il frutto naturale della luce del mondo spirituale che illumina la mente.
Per tanto, nella sapienza ishrāqī non c’è intellezione senza illuminazione e nessuna conoscenza vera
senza il vero “assaporamento” (dhawq) dell’oggetto di questa conoscenza,
questa degustazione che non è altra cosa che la sapientia (la
cui radice latina, sapere, significa letteralmente “assaporare”) o
conoscenza intuitiva nella sua accezione più elevata.[13]
Per quanto riguarda la terza scuola,
relazionata a Mullā Sadrā, incorpora tanto le idee dei peripatetici
quanto quelle degli illuminazionisti, insieme con la dottrina sufi della «conoscenza
del cuore», in un’estesa metodologia della conoscenza nella quale tutte le
diverse facoltà cognitive si trovano integrate in una gerarchia che va dal
sensuale allo spirituale[14].
Secondo Mullā Sadrā, ogni atto
di conoscenza coinvolge l’essere del conoscitore e la gerarchia delle facoltà
della conoscenza che corrispondono alla gerarchia dell’esistenza.
Risulta di particolare interesse l’insistenza di
Mullā Sadrā sull’importanza del potere dell’immaginazione (takhayyul)
come uno strumento di conoscenza corrispondente al «mondo dell’immaginazione»
(‘ālam al-khayāl) o mundus imaginalis, il quale
possiede una realtà oggettiva e si trova tra l’ambito fisico dell’esistenza e
quello puramente spirituale.[15]
In corrispondenza con questo mondo,
l’uomo possiede uno strumento di conoscenza che non è né sensuale né
intellettuale, ma che occupa un dominio intermedio. Questo potere
dell’immaginazione creatrice che raggiunge il suo apice solo nell’Uomo
Universale (al-insān al-kāmil)[16] è capace di creare forme nel mondo immaginale e conoscere
queste forme ontologicamente. Secondo Mullā Sadrā l’esistenza stessa
di queste forme equivale alla conoscenza di esse,
nello stesso modo in cui, secondo Suhrawardī, la conoscenza del mondo da
parte di Dio è la realtà stessa del mondo. In ogni caso,
l’armonia e l’equilibrio tra intelletto e intuizione sono perfezionati da
Mullā Sadrā attraverso il suo ricorso a questa facoltà
intermedia per conoscere questo dominio, facoltà che altro non è che il potere dell’ “immaginazione” (takhayyul), il quale risiede
nell’anima ed è integralmente relazionato con le facoltà razionali,
intellettuali e intuitive dell’anima.
Il significato completo dell’intelletto e
della sua funzione universale si trova nella ma‘rifah o
gnosi, la quale occupa il cuore della rivelazione islamica e si cristallizza
nella dimensione esoterica dell’Islam, identificata in gran misura con il
sufismo. Esistono versetti del Sacro Corano e ahadith del Santo Profeta che
alludono al cuore come sede dell’intelligenza e della conoscenza. Il cuore è lo
strumento della vera conoscenza, al pari di come la sua afflizione è la causa
dell’ignoranza e della dimenticanza. È per questo che
il messaggio della rivelazione si rivolge in maggior misura al cuore che alla
mente, così come rivelano i seguenti versetti (ayat) del Sacro Corano:
«O uomini, vi è giunta un’esortazione da parte del vostro Signore, guarigione per ciò che è nei petti (vale a dire il cuore), guida e misericordia per i credenti» (Sura X, versetto 57).
Allo stesso modo, è la conoscenza
acquisita dal cuore la più importante per Dio. Di nuovo citiamo il Sacro
Corano:
«Allah non vi punirà per la leggerezza nei vostri giuramenti, vi punirà per ciò che i vostri cuori avranno espresso. Allah è perdonatore paziente» (Sura II, versetto 225).
Ugualmente, la conoscenza del cuore,
almeno ad un certo livello, è considerata essenziale
per la salvezza, giacché coloro che rifiutano di identificare sé stessi con il
cuore o il centro della loro vita perdono la possibilità di entrare in
Paradiso, che già risiede nel centro del cuore, secondo il famoso detto di
Cristo «il regno di Dio è dentro di voi». Il Sacro Corano afferma:
«In verità creammo molti dei démoni e molti degli uomini per l’Inferno: hanno cuori che non comprendono (lahum qulub la yafqahuna biha)…» (Sura VII, versetto 179)
Nella letteratura degli ahadith esistono
inoltre numerosi riferimenti alla conoscenza del cuore, una conoscenza
essenziale che si identifica con la fede, come
dimostra il seguente hadith citato da Bukhari:
«La fede discende alla radice dei
cuori degli uomini; poi discende il Corano e [la gente] apprende dal Corano e
dall’esempio [del Profeta]»[17].
Inoltre, il cuore che è in grado di
acquisire conoscenza è considerato lodevole, visto che
il Santo Profeta ha detto «benedetto chi rende il suo cuore ansioso [di
conoscenza]».[18]
Di fatto, potrebbe dirsi che, nel
linguaggio del Sacro Corano e degli ahadith, il cuore è essenzialmente la sede
della conoscenza o lo strumento per ottenere la conoscenza. È basandosi su
questo che i sufi hanno sviluppato la dottrina della «conoscenza
del cuore», la quale ha occupato tanti dei grandi maestri del sufismo. I sufi
parlano dell’«occhio del cuore» (‘ayn al-qalb in arabo e cheshm-e
del in
persiano) come il «terzo occhio» che è capace di ottenere una conoscenza
differente da quella ricavata attraverso gli occhi fisici, sebbene sia diretta
e immediata come la visione fisica.[19]
Come afferma il famoso poeta persiano
Hāfez:
«Apri l’ “occhio
del cuore” affinché tu possa vedere lo spirito e raggiungere la visione di ciò
che è invisibile»
Questa conoscenza identificata con il
cuore è una conoscenza principiale [in cui in tutta la molteplicità
esistenziale si afferra il Principio, N.d.R.] ottenuta attraverso
uno strumento che è identificato con il cuore o il centro dell’essere
dell’uomo, piuttosto che con la mente che conosce solo in maniera indiretta e
che è una proiezione del cuore. Il cuore non si identifica
solo con i sentimenti, i quali nella filosofia moderna si contrappongono alla
ragione. L’uomo non possiede soltanto la facoltà della ragione e sentimenti ed
emozioni, che si contrappongono alla ragione, ma è capace di una conoscenza
intellettuale che trascende il dualismo e la dicotomia tra ragione ed emozione,
o la mente e il cuore, come questi si intendono
abitualmente. È la perdita della gnosi o della vera
conoscenza intellettuale a livello operativo e realizzato nel mondo
moderno quella che ha provocato l’eclisse della concezione tradizionale
della «conoscenza del cuore», una conoscenza che è sia intellettuale che
intuitiva nel senso più profondo di questi due termini.
Per comprendere pienamente la conoscenza
intellettuale che si identifica con il cuore è
necessario ritornare alla distinzione tra conoscenza “presenziale” (hudurī)
e conoscenza “acquisita” (husūlī): ogni conoscenza razionale è
resa possibile attraverso dei concetti “acquisiti” dalla mente. Ogni conoscenza
mentale è conoscenza “acquisita”. Con la mente e la ragione l’uomo può conoscere solo il fuoco e l’acqua mediante
i concetti di fuoco e di acqua astratti attraverso i sensi e disponibili grazie
alle diverse facoltà mentali che la facoltà analitica della mente identifica
con la ragione.
Esiste comunque un altro tipo di
conoscenza, accessibile per tutti gli uomini, ma nella pratica ottenuta solo da
pochi. È una conoscenza che è diretta e immediata senza la conoscenza
identificata con il cuore. La conoscenza del cuore è diretta e immediata come
quella dei sensi, ma riguarda il mondo intelligibile o spirituale. Quando
l’uomo conosce il profumo di una rosa mediante l’esperienza diretta della
facoltà olfattiva, non acquisisce una conoscenza del concetto del profumo della rosa, ma una sua conoscenza diretta. Per la
maggioranza degli uomini, questo tipo di conoscenza è limitato al mondo dei
sensi, ma per lo gnostico, il cui occhio del cuore è aperto mediante la pratica
spirituale, è possibile una conoscenza che possieda la immediatezza
dell’esperienza sensuale ma riguardante le realtà celesti. Dal punto di vista
di questa conoscenza “presenziale” – questa
suprema forma di conoscenza nella quale, in ultima analisi, il soggetto e
l’oggetto della conoscenza sono la stessa cosa, la più concreta di tutte le
realtà è il Principio Supremo. Ogni altra cosa è, relativamente parlando, un’astrazione. Conoscere è, in ultima istanza, conoscere Dio mediante una conoscenza che è
contemporaneamente intellezione e intuizione nel senso più elevato di questi
termini. È conoscere il fuoco venendo da esso bruciato e consumato; è conoscere
l’acqua venendo sommerso nell’oceano dell’Esistenza
Universale.
Per tanto, nella prospettiva islamica, si
può parlare di una gerarchia della conoscenza che va dalla conoscenza
dei sensi, passando per quella immaginale e razionale, fino all’intellettuale,
anch’essa intuitiva e identificata con il cuore. Comunque, come la facoltà
razionale della conoscenza non si oppone alla sensualità, quella intellettuale
e intuitiva non è opposta a quella razionale. La mente è piuttosto un riflesso
del cuore, il centro del microcosmo.
La dottrina islamica dell’Unità (al-tawhīd)
è stata capace di integrare tutti i modelli di conoscenza in gradi
complementari distinti e non opposti di una gerarchia che conduce a questa
forma suprema di conoscenza, questa gnosi del cuore purificato che, in ultima istanza non è altra cosa che la conoscenza intuitiva e
unificatrice dell’Uno e la più profonda realizzazione dell’Unità (al-tawhīd),
l’Alfa e l’Omega della rivelazione islamica.
Traduzione a cura di
Islamshia.org
[1] Articolo apparso
originariamente in Studies in Comparative Religion, Vol. 13, nº 1
& 2, Inverno/Primavera 1979. Seyyed Hosseyn Nasr (Teheran, Iran,
1933) è Professore nel Dipartimento di Studi Islamici dell’Università George
Washington. Filosofo ed esperto in religioni comparate, sufismo, filosofia
della scienza e metafisica, ha scritto molteplici libri sull’Islam, diversi dei quali tradotti in italiano. Altri articoli
dell’autore tradotti in italiano sul sito: Rivelazione, intelletto e ragione
nel Corano; Il matrimonio temporaneo (mut‘ah); Principi dell’arte islamica;
Gesù visto attraverso l’Islam; Perché i musulmani digiunano?;
Una nota sui Jinn; L’Islam e il problema della violenza; Filosofia islamica: riorientamento
o ricomprensione; Il modernismo e le religioni comparate; L’uomo e l’Universo;
Commento alla Sura al-Ikhlas, [N.d.T.].
[2] Cfr. per esempio: «E diranno: “Se avessimo ascoltato o compreso (na‘qilu), non saremmo tra i compagni della Fiamma”». (Sura LXVII, 10). In questo versetto, il rifiuto di comprendere o letteralmente “intelletto” è equiparato alla perdita del paradiso. In altri versetti vengono utilizzate diverse forme del verbo faqaha con lo stesso senso di ‘aqala. Per esempio: «Certamente abbiamo dispiegato i segni per coloro che capiscono (yafqahūn)». (Sura VI, versetto 97).
[3] Su al-‘ilm al-hudūri e al-‘ilm al-husūlī, cfr. S. H. Nasr, Islamic Science — An Illustrated Study, Londra, 1976, p. 14.
[4] Sulla relazione tra fede e intelletto o rivelazione e ragione, cfr. F. Schuon, Le stazioni della Saggezza (Edizioni Mediterranee, Roma, 1958).
[5] Sul volontarismo ash‘arita, cfr. F. Schuon, Islam and the Perennial Philosophy, trans. J.P. Hobson, Londra, 1976, capitolo 7.
[6] Sull’ash‘arismo e i suoi punti di vista riguardo l’intelletto, cfr. L. Gardet, Introduction à la théologie musulmane, Parigi, 1948.
[7] Su queste scuole, cfr. H. Corbin (in collaborazione con S. H. Nasr e O. Yahia), Storia della filosofia islamica, vol. 1, Adelphi, 1991; Nasr, Three Muslim Sages, Albany (N.Y.) 1975; Nasr, The Transcendent Theosophy of Sadr al-Dīn Shīrāzī, Londra, 1978.
[8] La filosofia classica, prima della sua decadenza, non può essere ridotta a mera filosofia profana o a semplice ispirazione umana. Piuttosto è basata su una saggezza di origine divina. È soltanto il razionalismo del pensiero moderno che ha ridotto l’intera antica filosofia quale “inoffensivo” antecedente della filosofia moderna e rifiuta di vedere in un Pitagora o un Platone qualcosa di più di un professore di filosofia un poco più intelligente di uno di una qualsiasi università occidentale contemporanea. Bisogna ricordare che i musulmani chiamarono Platone il «divino Platone» (Aflātūn al-ilāhī). Rispetto all’intuizione intellettuale come intesa nel contesto della saggezza tradizionale, o la philosophia perennis, e il raziocinio nella filosofia moderna, F. Schuon scrive: «L’intuizione intellettuale comunica a priori la realtà dell’Assoluto. Il pensiero razionalista deduce l’Assoluto a partire dal relativo; quindi esso non agisce mediante l’intuizione intellettuale, sebbene non la escluda necessariamente. Per la filosofia (nel senso profano) gli argomenti hanno un valore assoluto; per l’intuizione spirituale, il loro valore è simbolico e provvisorio» (Prospettive spirituali e fatti umani, Edizioni Mediterranee, Roma, 2011).
[9] Questi trattati hanno esercitato una profonda influenza sulla scolastica occidentale e furono ben conosciuti da maestri medioevali come San Tommaso e Duns Scoto.
[10] Cfr. Ibn Sīnā, Le livre des directives et remarques (trad. A. M. Goichon), Beirut, 1951, pp. 324-326; Nasr, An Introduction to Islamic Cosmological Doctrines, Londra, 1978, capitolo 14; cfr. anche F. Rahman, Prophecy in Islam, Londra, 1958, pp. 11-29, libro che contiene la traduzione di estratti rilevanti da al-Shifā’.
[11] Il nominalismo è una dottrina filosofica secondo la quale tutte le cose esistenti sono particolari. Questo si afferma generalmente in opposizione a chi sostiene l’esistenza degli universali o delle entità astratte. Il nominalismo nega l’esistenza degli universali tanto in maniera immanente (nei particolari) quanto trascendente (fuori dai particolari). Di rigore, la dottrina opposta al nominalismo non è il realismo, che accetta l’esistenza tanto dei particolari quanto degli universali, ma l’universalismo, che sostiene che tutte le cose esistenti sono universali (N.d.T.).
[12] Cfr. E. Gilson, Les sources greco-arabes de l’augustinisme avicennisant, Archives d’Histoire Doctrinale et Littéraire du Moyen-âge , Parigi, Vol. 4, 1929, pp. 5-149.
[13] L’epistemologia di Suhrawardī è esposta nel secondo libro del suo Hikmat al-ishrāq, ma non può essere pienamente compresa senza i commentari di Qutb al-Dīn al-Shīrāzī e Shams al-Dīn al-Shahrazūrī. Cfr. Il prologo di H. Corbin al vol. 11 di Suhrawardī, Oeuvres philosophiques et mystiques, Tehran-Parigi, 1977.
[14] Su Mullā Sadrā, cfr. S. H. Nasr, Sadr al-Dīn Shīrāzī and His Transcendent Theosophy; l’introduzione di H. Corbin a Mullā Sadrā, Le livre des pénétrations métaphysiques, Tehran-Parigi, 1964; e F. Rahman, The Philosophy of Mullā Sadrā, New York, 1975, il quale, comunque, offre un’interpretazione eccessivamente razionalista del maestro della «teosofia transcendente». [Dell’opera di Mullā Sadrā esiste una traduzione italiana con tiratura limitata, ad opera dall’Istituto per gli Studi Filosofici di Napoli, 2010, realizzata da B. Pirone, dal titolo Il libro dei penetrali, N.d.T.].
[15] La limitata visione moderna della realtà non solo ha bandito gli angeli dal cosmo dopo Leibnitz, ma ha anche ridotto il mundus imaginalis a puro capriccio e fantasia con i quali la parola “immaginazione” è oggi identificata. Forse, come H. Corbin, bisognerebbe utilizzare il termine “immaginale” per distinguere il significato tradizionale di imaginalis da tutto ciò che la parola “immaginazione” porta alla mente. Riguardo a questo mondo immaginale, cfr. H. Corbin, L’immagine creativa nel sufismo di Ibn ‘Arabī (Laterza, 2005) ed anche Corbin, Corpo spirituale e terra celeste: dall’Iran mazdeo all’Iran sciita (Adelphi, 1986).
[16] Per maggiori informazioni, cfr. Abd al-Karim al-Jili, L’Uomo Universale, Ed. Mediterranee (N.d.T.)
[17] Riportato in Sayings of Muhammad (ed. e trad. Mirzā Abu’l-Fadl), Allahabad, 1924, p. 51.
[18] Ibid, p. 229.
[19] Sul simbolismo dell’«occhio del cuore», cfr. F. Schuon, L’Occhio del Cuore (Ed. Mediterranee, Roma, 1982).
[2] Cfr. per esempio: «E diranno: “Se avessimo ascoltato o compreso (na‘qilu), non saremmo tra i compagni della Fiamma”». (Sura LXVII, 10). In questo versetto, il rifiuto di comprendere o letteralmente “intelletto” è equiparato alla perdita del paradiso. In altri versetti vengono utilizzate diverse forme del verbo faqaha con lo stesso senso di ‘aqala. Per esempio: «Certamente abbiamo dispiegato i segni per coloro che capiscono (yafqahūn)». (Sura VI, versetto 97).
[3] Su al-‘ilm al-hudūri e al-‘ilm al-husūlī, cfr. S. H. Nasr, Islamic Science — An Illustrated Study, Londra, 1976, p. 14.
[4] Sulla relazione tra fede e intelletto o rivelazione e ragione, cfr. F. Schuon, Le stazioni della Saggezza (Edizioni Mediterranee, Roma, 1958).
[5] Sul volontarismo ash‘arita, cfr. F. Schuon, Islam and the Perennial Philosophy, trans. J.P. Hobson, Londra, 1976, capitolo 7.
[6] Sull’ash‘arismo e i suoi punti di vista riguardo l’intelletto, cfr. L. Gardet, Introduction à la théologie musulmane, Parigi, 1948.
[7] Su queste scuole, cfr. H. Corbin (in collaborazione con S. H. Nasr e O. Yahia), Storia della filosofia islamica, vol. 1, Adelphi, 1991; Nasr, Three Muslim Sages, Albany (N.Y.) 1975; Nasr, The Transcendent Theosophy of Sadr al-Dīn Shīrāzī, Londra, 1978.
[8] La filosofia classica, prima della sua decadenza, non può essere ridotta a mera filosofia profana o a semplice ispirazione umana. Piuttosto è basata su una saggezza di origine divina. È soltanto il razionalismo del pensiero moderno che ha ridotto l’intera antica filosofia quale “inoffensivo” antecedente della filosofia moderna e rifiuta di vedere in un Pitagora o un Platone qualcosa di più di un professore di filosofia un poco più intelligente di uno di una qualsiasi università occidentale contemporanea. Bisogna ricordare che i musulmani chiamarono Platone il «divino Platone» (Aflātūn al-ilāhī). Rispetto all’intuizione intellettuale come intesa nel contesto della saggezza tradizionale, o la philosophia perennis, e il raziocinio nella filosofia moderna, F. Schuon scrive: «L’intuizione intellettuale comunica a priori la realtà dell’Assoluto. Il pensiero razionalista deduce l’Assoluto a partire dal relativo; quindi esso non agisce mediante l’intuizione intellettuale, sebbene non la escluda necessariamente. Per la filosofia (nel senso profano) gli argomenti hanno un valore assoluto; per l’intuizione spirituale, il loro valore è simbolico e provvisorio» (Prospettive spirituali e fatti umani, Edizioni Mediterranee, Roma, 2011).
[9] Questi trattati hanno esercitato una profonda influenza sulla scolastica occidentale e furono ben conosciuti da maestri medioevali come San Tommaso e Duns Scoto.
[10] Cfr. Ibn Sīnā, Le livre des directives et remarques (trad. A. M. Goichon), Beirut, 1951, pp. 324-326; Nasr, An Introduction to Islamic Cosmological Doctrines, Londra, 1978, capitolo 14; cfr. anche F. Rahman, Prophecy in Islam, Londra, 1958, pp. 11-29, libro che contiene la traduzione di estratti rilevanti da al-Shifā’.
[11] Il nominalismo è una dottrina filosofica secondo la quale tutte le cose esistenti sono particolari. Questo si afferma generalmente in opposizione a chi sostiene l’esistenza degli universali o delle entità astratte. Il nominalismo nega l’esistenza degli universali tanto in maniera immanente (nei particolari) quanto trascendente (fuori dai particolari). Di rigore, la dottrina opposta al nominalismo non è il realismo, che accetta l’esistenza tanto dei particolari quanto degli universali, ma l’universalismo, che sostiene che tutte le cose esistenti sono universali (N.d.T.).
[12] Cfr. E. Gilson, Les sources greco-arabes de l’augustinisme avicennisant, Archives d’Histoire Doctrinale et Littéraire du Moyen-âge , Parigi, Vol. 4, 1929, pp. 5-149.
[13] L’epistemologia di Suhrawardī è esposta nel secondo libro del suo Hikmat al-ishrāq, ma non può essere pienamente compresa senza i commentari di Qutb al-Dīn al-Shīrāzī e Shams al-Dīn al-Shahrazūrī. Cfr. Il prologo di H. Corbin al vol. 11 di Suhrawardī, Oeuvres philosophiques et mystiques, Tehran-Parigi, 1977.
[14] Su Mullā Sadrā, cfr. S. H. Nasr, Sadr al-Dīn Shīrāzī and His Transcendent Theosophy; l’introduzione di H. Corbin a Mullā Sadrā, Le livre des pénétrations métaphysiques, Tehran-Parigi, 1964; e F. Rahman, The Philosophy of Mullā Sadrā, New York, 1975, il quale, comunque, offre un’interpretazione eccessivamente razionalista del maestro della «teosofia transcendente». [Dell’opera di Mullā Sadrā esiste una traduzione italiana con tiratura limitata, ad opera dall’Istituto per gli Studi Filosofici di Napoli, 2010, realizzata da B. Pirone, dal titolo Il libro dei penetrali, N.d.T.].
[15] La limitata visione moderna della realtà non solo ha bandito gli angeli dal cosmo dopo Leibnitz, ma ha anche ridotto il mundus imaginalis a puro capriccio e fantasia con i quali la parola “immaginazione” è oggi identificata. Forse, come H. Corbin, bisognerebbe utilizzare il termine “immaginale” per distinguere il significato tradizionale di imaginalis da tutto ciò che la parola “immaginazione” porta alla mente. Riguardo a questo mondo immaginale, cfr. H. Corbin, L’immagine creativa nel sufismo di Ibn ‘Arabī (Laterza, 2005) ed anche Corbin, Corpo spirituale e terra celeste: dall’Iran mazdeo all’Iran sciita (Adelphi, 1986).
[16] Per maggiori informazioni, cfr. Abd al-Karim al-Jili, L’Uomo Universale, Ed. Mediterranee (N.d.T.)
[17] Riportato in Sayings of Muhammad (ed. e trad. Mirzā Abu’l-Fadl), Allahabad, 1924, p. 51.
[18] Ibid, p. 229.
[19] Sul simbolismo dell’«occhio del cuore», cfr. F. Schuon, L’Occhio del Cuore (Ed. Mediterranee, Roma, 1982).
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