"…la dottrina è infallibile, è a causa del fatto che essa è un’espressione della verità, la quale, in se stessa, è assolutamente indipendente dagli individui che la ricevono e che la comprendono. La garanzia della dottrina risiede in definitiva nel suo carattere «non-umano»". René Guénon, Considerazioni sull’iniziazione, cap. "Sull’infallibilità tradizionale"

venerdì 22 dicembre 2017

René Guénon, Considerazioni sull’Iniziazione, I - Via iniziatica e via mistica

René Guénon
Considerazioni sull’Iniziazione

I - Via iniziatica e via mistica

La confusione tra il dominio esoterico e iniziatico e l’ambito mistico, o, se si preferisce, tra i punti di vista che rispettivamente vi corrispondono, è una di quelle che più frequentemente si commettono oggi, e questo, sembrerebbe, in un modo che non è sempre completamente disinteressato; si tratta per altro di un atteggiamento piuttosto nuovo, o che almeno, in certi ambienti, è andato molto generalizzandosi in questi ultimi anni, ed è per questo che ci sembra necessario incominciare con lo spiegarci chiaramente su tale punto.
Va ora di moda, se così si può dire, trattare come «mistiche» persino le dottrine orientali, ivi comprese quelle in cui non c’è neppure l’ombra di un’apparenza esteriore che possa, per coloro che non sono capaci di andare oltre, dar luogo a una qualifica del genere; l’origine di questa falsa interpretazione è naturalmente imputabile ad alcuni orientalisti, i quali del resto possono non esservi stati indotti da un secondo fine chiaramente definito, ma soltanto dalla propria incomprensione e dal partito preso più o meno incosciente, che è loro abituale, di ricondurre tutto a punti di vista occidentali[1].
In seguito ne sono però venuti altri, che si sono impadroniti di questa assimilazione abusiva e, vedendo i vantaggi che se ne potevano trarre per i loro propri fini, si sforzano di propagarne l’idea al di fuori del mondo particolare, tutto sommato abbastanza circoscritto, degli orientalisti e della loro clientela; e questo è più grave, non soltanto perché è così che tale confusione si diffonde sempre più, ma anche perché non è difficile vedere in ciò dei segni non equivoci di un tentativo «annessionistico» contro il quale è opportuno stare in guardia. In effetti, coloro a cui ci riferivamo sono quelli che si possono considerare i negatori più «seri» dell’esoterismo, vogliamo dire gli exoteristi religiosi che non vogliono ammettere nulla al di fuori del loro proprio ambito, ma indubbiamente ritengono che tale assimilazione o «annessione» sia più abile di una negazione brutale; e, a giudicare dal modo in cui alcuni di loro si danno da fare per travestire da «misticismo» le dottrine più evidentemente iniziatiche, sembrerebbe veramente che questa bisogna abbia ai loro occhi un carattere particolarmente urgente[2]. A dire il vero, ci sarebbe pure, in quello stesso ambito religioso a cui appartiene il misticismo, qualcosa che, sotto certi aspetti, potrebbe prestarsi meglio a un accostamento, o piuttosto, a un’apparenza di accostamento: è ciò che viene denominato col termine «ascetica», perché si tratta per lo meno di un metodo «attivo», in luogo dell’assenza di metodo e della «passività» che caratterizzano il misticismo e sulle quali dovremo ritornare fra poco2; ma è ovvio che queste rassomiglianze sono del tutto esteriori, e d’altronde tale «ascetica» ha forse scopi solo troppo visibilmente circoscritti per poter essere utilizzata con vantaggio nel modo che indicavamo, mentre con il misticismo non si sa mai ben precisamente dove si va a parare, ed è proprio tale vaghezza che è sicuramente propizia alle confusioni. Soltanto che coloro che si dedicano a questo lavoro con proposito deliberato, analogamente a quelli che li seguono più o meno inconsapevolmente, non sembrano rendersi conto che, in tutto ciò che ha attinenza con l’iniziazione, in realtà non c’è niente di vago né di nebuloso, ma si tratta al contrario di cose molto precise e molto «positive»; e, di fatto, l’iniziazione è, per sua stessa natura, propriamente incompatibile con il misticismo.
Tale incompatibilità, del resto, non deriva da ciò che il termine «misticismo» implica originariamente, termine che è anzi manifestamente apparentato con l’antica denominazione dei «misteri», vale a dire con qualcosa che, al contrario, appartiene all’ambito iniziatico; soltanto che tale parola è una di quelle per le quali, lungi dal potersi riferire unicamente all’etimologia, si è rigorosamente obbligati, se ci si vuol far comprendere, a tener conto del senso che è stato loro imposto dall’uso, senso che è, di fatto, il solo che gli si attribuisca attualmente. Ora, ognuno sa cosa si intende con «misticismo», ormai già da molti secoli, cosicché non è più possibile servirsi di questo termine per indicare qualcos’altro; ed è questo che noi diciamo che non ha e non può avere niente in comune con l’iniziazione, in primo luogo perché il misticismo appartiene esclusivamente all’ambito religioso, vale a dire exoterico, e poi perché la via mistica differisce dalla via iniziatica in tutti i suoi caratteri essenziali, e questa differenza è tale che ne risulta tra di loro una vera incompatibilità. Precisiamo però che si tratta di una incompatibilità di fatto più che di principio, nel senso che non è che noi intendiamo negare il valore almeno relativo del misticismo, o di contestare il posto che gli può legittimamente competere in certe forme tradizionali; la via iniziatica e la via mistica possono coesistere perfettamente[3], ma quel che vogliamo dire è che è impossibile che qualcuno segua sia l’una sia l’altra, e questo senza neppure prendere in esame la questione dello scopo a cui devono condurre, anche se si può già prevedere, in ragione della differenza profonda dei domini a cui si riferiscono, che tale scopo non potrà in realtà essere il medesimo.
Abbiamo detto che la confusione che fa vedere a qualcuno del misticismo anche dove non ce n’è la minima traccia ha la sua origine nella tendenza a tutto ridurre ai modi di vedere occidentali; il fatto è che, in effetti, il misticismo propriamente detto è qualcosa di esclusivamente occidentale e, in fondo, di specificamente cristiano. A tal proposito, ci è capitato di fare una constatazione abbastanza curiosa perché la riportiamo qui: in un libro di cui abbiamo già parlato in un’altra sede[4], il filosofo Bergson, opponendo l’una all’altra quelle che egli chiama la «religione statica» e la «religione dinamica», vede la più alta espressione di quest’ultima nel misticismo, che del resto non capisce gran che, e ammira soprattutto per ciò che, al contrario, noi potremmo trovarvi di vago e persino di difettoso sotto certi rapporti; ma quel che può sembrare veramente strano da parte di un «non cristiano», è che per lui il «misticismo completo», per quanto poco soddisfacente sia l’idea che se ne fa, è comunque sia quello dei mistici cristiani. Per la verità, come conseguenza necessaria della poca stima che prova per la «religione statica», egli dimentica un po’ troppo che questi ultimi sono cristiani ancor prima di essere mistici, o per lo meno, per giustificarli di essere cristiani, pone indebitamente il misticismo all’origine dello stesso Cristianesimo; e per stabilire sotto questo profilo una sorta di continuità tra quest’ultimo e l’Ebraismo, arriva al punto di trasformare in «mistici» i profeti ebraici; evidentemente non ha la minima idea del carattere della missione dei profeti e della natura della loro ispirazione[5]. Comunque stiano le cose, se il misticismo cristiano, per quanto deformato e sminuito sia il concetto che egli se ne fa, è in tal modo ai suoi occhi il tipo stesso del misticismo, la ragione di ciò è in fondo molto facile da capire: essa è che, di fatto e rigorosamente parlando, non esiste altro misticismo all’infuori di quello cristiano; e anche i mistici che vengono chiamati «indipendenti», e che noi diremmo più volentieri «aberranti», in realtà si ispirano soltanto, fosse pure a loro insaputa, a idee cristiane denaturate e più o meno svuotate del loro contenuto originario. Ma anche questo, come tante altre cose, sfugge al nostro filosofo, il quale si sforza di scoprire, anteriormente al Cristianesimo, degli «abbozzi del misticismo futuro», mentre si tratta di cose totalmente diverse; in particolare, si trovano a tal proposito alcune pagine sull’India che rivelano una incomprensione inaudita. Ci si trovano anche i misteri greci, e qui l’accostamento, fondato sulla parentela etimologica che segnalavamo prima, si riduce tutto sommato a un ben brutto gioco di parole; del resto, Bergson stesso è obbligato a confessare che «la maggior parte dei misteri non ebbe nulla di mistico»; ma allora perché parlarne attribuendogli questa denominazione? Quanto a quel che furono questi misteri, egli se li rappresenta nel modo più profano che si possa immaginare; tutto ignorando dell’iniziazione, come potrebbe capire che si trattò, così come nel caso dell’India, di qualcosa che prima di tutto non aveva assolutamente un carattere religioso, e poi andava incomparabilmente più lontano del suo «misticismo», e, bisogna pur dirlo, anche del misticismo autentico, il quale, per il fatto stesso che si confina nell’ambito puramente exoterico, soffre necessariamente anch’esso delle sue limitazioni[6]?
Non ci proponiamo al presente di esporre nei particolari e in modo completo tutte le differenze che separano in realtà i due punti di vista iniziatico e mistico, giacché già solo questo richiederebbe un intero volume; la nostra intenzione è soprattutto di insistere qui sulla differenza in virtù della quale l’iniziazione, nel suo stesso processo, presenta caratteri completamente diversi da quelli del misticismo, vuoi addirittura opposti, il che basta per mostrare che di fatto si tratta di due «vie» non solo distinte, ma incompatibili nel senso già da noi precisato. Ciò che più spesso si dice a questo proposito, è che il misticismo è «passivo», mentre l’iniziazione è «attiva»; è una cosa verissima, a condizione di determinare bene l’accezione in cui si deve intenderla esattamente. Ciò significa soprattutto che, nel caso del misticismo, l’individuo si limita a ricevere semplicemente quel che gli si presenta, e come gli si presenta, senza intervenire per nulla; e diciamolo subito, è in questo che per lui risiede il pericolo principale, per il fatto che in tal modo è «aperto» a tutte le influenze, di qualunque ordine siano, e perché per di più, in generale e salvo rare eccezioni, non ha la preparazione dottrinale che sarebbe necessaria per permettergli di stabilire fra di esse una qualsivoglia discriminazione[7].
Nel caso dell’iniziazione, al contrario, è all’individuo che compete l’iniziativa di una «realizzazione» che proseguirà metodicamente, sotto un controllo rigoroso e incessante, e dovrà normalmente condurre al superamento delle possibilità stesse dell’individuo in quanto tale; è indispensabile aggiungere che tale iniziativa non è sufficiente, perché è ben evidente che l’individuo non potrebbe andare al di là di se stesso con i suoi propri mezzi, ma, ed è ciò che per il momento ci importa, è essa a costituire obbligatoriamente il punto di partenza di qualsiasi «realizzazione» per l’iniziato, mentre il mistico non ne ha nessuna, sia pure per cose che non vanno assolutamente al di là del campo delle possibilità individuali. Questa distinzione può già sembrare abbastanza netta, giacché fa vedere bene come non si possano seguire contemporaneamente le due vie iniziatica e mistica, tuttavia non è ancora sufficiente; potremmo anzi dire che essa corrisponde ancora soltanto all’aspetto più «exoterico» della questione, e, in ogni caso, è troppo incompleta per ciò che riguarda l’iniziazione, di cui è molto lontana dall’includere tutte le condizioni necessarie; sennonché, prima di affrontare lo studio di tali condizioni, ci restano ancora da dissipare alcune confusioni.





[1] È per questa ragione che, specialmente da quando l’orientalista inglese Nicholson si è permesso di tradurre taçawwuf con mysticism, si è convenuto in Occidente che l’esoterismo islamico sia qualcosa di essenzialmente «mistico»; anzi, in questo caso, non si parla più del tutto di esoterismo, ma unicamente di misticismo, vale a dire che si è arrivati a una vera e propria sostituzione di punti di vista. Il più bello è che, su questioni di questo tipo, l’opinione degli orientalisti, i quali queste cose le conoscono solo attraverso i libri, conta evidentemente molto di più, agli occhi degli Occidentali, del parere di coloro che ne hanno una conoscenza diretta ed effettiva!
[2] Come esempio di «ascetica» possiamo citare gli Esercizi spirituali di sant’Ignazio da Loyola, il cui spirito è incontestabilmente quanto c’è di meno mistico e per i quali è per lo meno verosimile che egli si sia in parte ispirato a certi metodi iniziatici di origine islamica, applicandoli beninteso a uno scopo completamente diverso.
[3] Potrebbe essere interessante, a questo proposito, fare un confronto con la «via secca» e la «via umida» degli alchimisti, ma ciò esulerebbe dall’argomento del presente studio.
[4] Les deux sources de la morale et de la religion. Si veda, sull’argomento, Il Regno della Quantità e i Segni dei Tempi, cap. XXXIII.
[5] Di fatto, si può, trovare un misticismo ebraico soltanto nello Hassidismo, vale a dire in un’epoca molto recente.
[6] Alfred Loisy ha voluto rispondere a Bergson sostenendo contro di lui che c’è una sola «fonte» della morale e della religione; nella sua qualità di specialista di «storia delle religioni», preferisce le teorie di Frazer a quelle di Durkheim, e l’idea di una «evoluzione» continua a quella di una «evoluzione» per mutazioni brusche; per noi si tratta di cose che si equivalgono tutte; ma c’è almeno un punto sul quale dobbiamo dargli ragione, ed esso è certamente frutto della sua formazione ecclesiastica: grazie a quest’ultima egli conosce i mistici molto meglio di Bergson, e fa notare che essi non hanno mai avuto il minimo sospetto dell’esistenza di qualcosa che assomigli anche soltanto un poco allo «slancio vitale»; evidentemente Bergson ha voluto fare di loro dei «bergsoniani» ante litteram, ciò che non è molto conforme alla pura e semplice verità storica; e il Loisy si stupisce inoltre giustamente, di vedere Giovanna d’Arco classificata fra i mistici. Segnaliamo di sfuggita, perché vale la pena di registrarlo, che il suo libro si apre con un’ammissione assai divertente: «L’autore del presente opuscolo», egli dichiara, «non si riconosce particolari inclinazioni per le questioni di ordine puramente speculativo». Lodevole franchezza; e, dal momento che è lui stesso che lo dice, e in modo del tutto spontaneo, gli crediamo volentieri sulla parola!
[7] È questo carattere di «passività» che spiega anche, benché non li giustifichi, gli errori moderni che tendono a confondere i mistici, vuoi con i «medium» e in genere con i «sensitivi», nel senso attribuito dagli «psichisti» a tale parola, vuoi con dei semplici malati.

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