Il vecchio pescatore *
A. Confucio, mentre
passeggiava nella foresta di Tzeu-wei, si sedette per riposare presso
il poggio Hiang-t’an.
I discepoli presero i loro libri. Il maestro suonò la sua cetra e si mise a cantare. – Il canto attirò un vecchio pescatore. I capelli brizzolati spettinati, le maniche rimboccate, il vecchio scese dalla sua barca, salì l’argine, si avvicinò, mise la mano sinistra sul ginocchio, prese il mento nella mano destra, e ascoltò attentamente. Quando il canto finì, chiamò con la mano Tzeu-kung e Tzeu-lu.
Quando furono vicini: «Chi è?» domandò il vecchio, indicando Confucio. – «È il Saggio di Lou», disse Tzeu-lu. – «Come si chiama?» domandò il vecchio. – «Si chiama K’oung», disse Tzeu-lu. – «E che fa questo K’oung?» domandò il vecchio. – «Si sforza, disse Tzeu-kung, di far rivivere la sincerità, la lealtà, la bontà e l’equità, i riti e la musica, per il bene del principato di Lou e dell’impero». – «È il principe?» domandò il vecchio. – «No», fece Tzeu-kung. – «È il ministro?» domandò il vecchio. – «No», fece ancora Tzeu-kung. – Il vecchio sorrise e si ritirò. Tzeu-kung lo sentì mormorare: «Bontà! equità! senza dubbio è molto bello, ma sarà fortunato se non si perde in questo gioco. In ogni caso, le preoccupazioni e l’affanno che si dà, consumando il suo spirito e il suo corpo, nuoceranno alla sua vera perfezione. Quanto è lontano dalla scienza del Principio!». – Tzeu-kung riferì queste parole a Confucio, che allontanò bruscamente la cetra sulle sue ginocchia, si alzò dicendo: «Ecco un Saggio», e discese l’argine per chiedere un colloquio al vecchio. Costui stava affondando la sua gaffa, per spingere la sua barca. Vedendo Confucio, si fermò e si voltò verso di lui. Confucio avanzò salutando. – «Che volete da me?» gli domandò il vecchio. – Confucio disse: «Avete pronunciato poco fa delle parole, di cui non penetro il senso. Vi chiedo rispettosamente di volermi istruire per il mio bene». – «Questo desiderio è molto lodevole», disse il vecchio.
I discepoli presero i loro libri. Il maestro suonò la sua cetra e si mise a cantare. – Il canto attirò un vecchio pescatore. I capelli brizzolati spettinati, le maniche rimboccate, il vecchio scese dalla sua barca, salì l’argine, si avvicinò, mise la mano sinistra sul ginocchio, prese il mento nella mano destra, e ascoltò attentamente. Quando il canto finì, chiamò con la mano Tzeu-kung e Tzeu-lu.
Quando furono vicini: «Chi è?» domandò il vecchio, indicando Confucio. – «È il Saggio di Lou», disse Tzeu-lu. – «Come si chiama?» domandò il vecchio. – «Si chiama K’oung», disse Tzeu-lu. – «E che fa questo K’oung?» domandò il vecchio. – «Si sforza, disse Tzeu-kung, di far rivivere la sincerità, la lealtà, la bontà e l’equità, i riti e la musica, per il bene del principato di Lou e dell’impero». – «È il principe?» domandò il vecchio. – «No», fece Tzeu-kung. – «È il ministro?» domandò il vecchio. – «No», fece ancora Tzeu-kung. – Il vecchio sorrise e si ritirò. Tzeu-kung lo sentì mormorare: «Bontà! equità! senza dubbio è molto bello, ma sarà fortunato se non si perde in questo gioco. In ogni caso, le preoccupazioni e l’affanno che si dà, consumando il suo spirito e il suo corpo, nuoceranno alla sua vera perfezione. Quanto è lontano dalla scienza del Principio!». – Tzeu-kung riferì queste parole a Confucio, che allontanò bruscamente la cetra sulle sue ginocchia, si alzò dicendo: «Ecco un Saggio», e discese l’argine per chiedere un colloquio al vecchio. Costui stava affondando la sua gaffa, per spingere la sua barca. Vedendo Confucio, si fermò e si voltò verso di lui. Confucio avanzò salutando. – «Che volete da me?» gli domandò il vecchio. – Confucio disse: «Avete pronunciato poco fa delle parole, di cui non penetro il senso. Vi chiedo rispettosamente di volermi istruire per il mio bene». – «Questo desiderio è molto lodevole», disse il vecchio.
B. Confucio s’inchinò,
poi, risollevatosi, disse: «Dalla mia giovinezza, fino
a quest’età di sessantanove (penultimo anno della sua vita), io K’iu
ho studiato incessantemente, senza essere istruito nella scienza suprema
(taoismo). Ora che l’occasione mi è data, considerate l’avidità con cui vi ascolterò». – Il vecchio disse: «Non so se
c’intenderemo; giacché la legge comune è che soli s’intendono coloro i cui
sentimenti si assomigliano. Comunque, e in ogni caso, vi
dirò i miei principi, e li applicherò alla vostra condotta. Voi vi occupate
esclusivamente degli affari degli uomini. L’imperatore, i signori, gli
ufficiali, la plebe, ecco i vostri temi; parliamone. Pretendete morigerare
queste quattro categorie, obbligarle a ben comportarsi, il risultato finale
sarebbe un ordine perfetto, nel quale tutti vivranno felici e contenti.
Arriverete davvero a creare un mondo senza mali e senza lamenti? Per affliggere
il plebeo, basta che il suo campo non produca, il suo tetto goccioli, manchino
cibo o vestiti, s’imponga una nuova tassa, le donne della
casa litighino, i giovani manchino di rispetto agli anziani. Contate davvero
d’arrivare a sopprimere tutte queste cose? Gli ufficiali si rattristano per le
difficoltà dei loro incarichi, i loro insuccessi, la negligenza dei loro
subordinati, il mancato riconoscimento dei loro meriti, lo stallo negli
avanzamenti. Potrete davvero cambiare tutto questo? I signori si lamentano per
la slealtà dei loro ufficiali, le ribellioni dei loro sudditi, la goffaggine
dei loro artigiani, la cattiva qualità dei benefici loro pagati in natura,
l’obbligo di recarsi spesso a corte a mani piene, lo scontento dell’imperatore
per i loro presenti. Davvero farete che tutto questo non sia più? L’imperatore s’affligge per i disordini nello yinn e lo yang,
il freddo e il caldo, che nuocciono all’agricoltura e fanno soffrire il popolo.
S’affligge per le dispute e le guerre dei suoi
vassalli, che costano la vita di molti uomini. S’affligge
perché le sue regole sui riti e la musica sono poco rispettate, le sue finanze
sono esaurite, le relazioni sono poco rispettate, il popolo si comporta male.
Come farete per sopprimere tutti questi disordini? Avete la qualità, avete il
potere, per questo? Voi che non siete né imperatore, né signore, neppure
ministro; semplice individuo, pretendete riformare l’umanità. Non è che vogliate più di quanto possiate? Prima di vedere
la realizzazione del vostro sogno, dovreste innanzitutto liberare gli uomini
dalle otto manie che vi voglio elencare: mania di
impicciarsi degli affari non propri; mania di parlare senza considerare prima;
mania di mentire; mania di adulare; mania di denigrare; mania di seminare
discordia; mania di fare agli amici una falsa reputazione; mania d’intrigare e
d’insinuare. Siete uomo da far scomparire tutti questi vizi? E i quattro abusi
seguenti: smania d’innovare per diventare famosi; usurpazione del merito altrui
per avanzare se stessi; testardaggine nei propri errori a dispetto delle
rimostranze; ostinazione nelle proprie idee a dispetto degli avvertimenti; cambierete tutto questo? Quando l’avrete fatto, allora
potrete cominciare a esporre agli uomini le vostre teorie sulla bontà e
l’equità, con qualche probabilità che vi capiscano qualcosa».
C. Il viso alterato e
sospirando per l’emozione, Confucio si inchinò per
ringraziare della lezione, si rialzò e disse: «Passi che sono un utopista, ma
non sono un malfattore. Allora perché dappertutto sono così odiato,
perseguitato, espulso? Che cosa m’attira tutti questi
mali? Non capisco». – «Non capite, esclamò il
vecchio sorpreso; davvero, siete ben limitato. È la vostra mania di occuparvi
di tutti e di tutto, di atteggiarvi a censore e giudice universale, che vi
attira queste tribolazioni. Ascoltate questa storia: Un uomo aveva paura
dell’ombra del suo corpo e delle impronte dei suoi passi. Per sbarazzarsene, cominciò a fuggire. Ora, più passi faceva, più impronte lasciava; per quanto veloce corresse,
la sua ombra non lo lasciava. Credendo comunque che alla fine l’avrebbe
spuntata con la velocità, corse tanto e a tal punto che ne
morì. Lo stolto! Se si fosse seduto in un luogo riparato, il suo corpo non
avrebbe più proiettato ombra; se fosse rimasto tranquillo, i suoi piedi non
avrebbero più lasciato impronte; doveva solo restare in pace, e tutti i suoi
mali sarebbero scomparsi. E voi che, invece di restare in pace, continuate a
cavillare sulla bontà e l’equità, sulle somiglianze e le dissomiglianze, su non
so quali sottigliezze oziose, vi meravigliate delle
conseguenze di questa mania, non capite che è irritando tutti che vi siete
attirato l’odio universale? Credetemi, il giorno in cui non vi occuperete che
di voi stesso, e vi applicherete a coltivare il vostro fondo naturale; il
giorno in cui, rendendo altri ciò che meritano, li lascerete tranquilli; da
questo giorno, non avrete più alcuna noia. È chiudendo gli occhi su voi stesso,
e aprendoli troppo sugli altri, che vi attirate tutte le vostre disgrazie».
D. Mortificato, Confucio
domandò: «Che è il mio fondo naturale?». – «Il fondo naturale, disse il
vecchio, è la semplicità, la sincerità, la rettitudine, che ciascuno
porta dalla nascita. Questo solo influenza gli uomini. Nessuno è toccato da una
falsa verbosità; da lacrime, risate, un pathos da commediante. Mentre
i veri sentimenti si comunicano agli altri, senza artifici di parole o gesti. È
che provengono dal fondo naturale, dalla verità innata. Da questo fondo nascono
tutte le vere virtù, l’affetto dei genitori e pietà dei figli, la lealtà verso
il principe, la gioia contagiosa nelle feste, la sincera compassione ai
funerali. Questi sentimenti sono spontanei e non hanno nulla d’artificiale,
mentre i riti in cui voi pretendete imprigionare tutti
gli atti della vita, sono una commedia fittizia. Il fondo naturale, è la parte
che ogni uomo ha ricevuto dalla natura universale. Il suo verdetto è invariabile.
È l’unica regola di condotta del Saggio, che disprezza ogni influenza umana.
Gli sciocchi fanno esattamente l’opposto. Non traggono nulla dal proprio fondo,
e sono alla mercede dell’influenza altrui. Non sanno stimare la verità che è in
loro, ma condividono gli affetti frivoli e volubili della gente comune. È un
peccato, maestro, che abbiate speso tutta la vostra vita nella menzogna, e
abbiate inteso esporre la verità solo così tardi».
E. Confucio si inchinò,
si rialzò, salutò e disse:
«Che fortuna avervi incontrato! Quale favore
celeste! Ah! maestro, non giudicatemi indegno di
diventare vostro servitore, in modo che servendovi abbia l’opportunità di
imparare di più. Ditemi, vi prego, dove dimorate. Starò con voi, per completare
la mia istruzione». – «No, disse il vecchio.
L’adagio dice: rivela i misteri solo a chi è in grado di seguirti; non
rivelarli a chi è incapace di comprenderli. I vostri pregiudizi sono troppo
radicati per essere curabili. Cercate altrove. Da
parte mia vi lascio». E così dicendo, il vecchio diede un colpo di gaffa, e scomparve con la sua barca tra le
verdi canne.
F. Mentre Yen-yuan
aveva preparato il carro per il ritorno, Tzeu-lu presentava il
bracciale. Ma Confucio non poteva staccarsi dalla
riva. Infine, quando la scia della barca scomparve del tutto, quando alcun
rumore di gaffa arrivò più al suo orecchio, si decise, come a malincuore, a prendere posto sul suo carro. Tzeu-lu che camminava
accanto, gli disse: «Maestro, è molto tempo che vi servo.
Mai vi ho visto mostrare tanto rispetto e deferenza, a chicchessia. Ricevuto da
principi e signori, trattato da loro da pari a pari, siete sempre stato
altezzoso e sprezzante. Ed ecco che oggi, davanti a questo vecchio appoggiato
sulla sua gaffa, vi siete flesso ad angolo retto per
ascoltarlo, vi siete prosternato prima di rispondergli. Queste testimonianze di
venerazione non avevano qualcosa d’eccessivo? Noi discepoli ne siamo sorpresi.
A quale titolo questo vecchio pescatore era degno di tali manifestazioni?».
– Reclinato sulla barra d’appoggio, Confucio sospirò e disse: «You,
sei decisamente incorreggibile; il mio insegnamento
scivola, senza effetto, sul tuo spirito troppo grossolano. Avvicinati e
ascolta! Non venerare un vecchio, significa mancare ai riti. Non onorare un
Saggio, significa mancare di giudizio. Non inchinarsi davanti alla virtù che
brilla in un altro, significa fare torto a se stessi. Ricorda questo, zoticone!
E se questo è vero per ogni virtù, quanto più è vero per la scienza del Principio,
mediante la quale tutto ciò che è sussiste, la cui conoscenza è vita e
l’ignoranza morte. Conformarsi al Principio dà il successo, opporsi a lui è la
rovina certa. È dovere del Saggio onorare la scienza del Principio ovunque l’incontra. Ora quel vecchio pescatore la possiede. Potevo
non onorarlo come ho fatto?».
* Estratto da Léon Wieger, Les pères du système taoïste,
Cathasia, Parigi, 1950, III.
Tchoang-Tzeu, cap. 31.
Una storia molto istruttiva
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