'Abd Al-Qâdir al-Jazâ'irî
L’attribuzione degli atti a Dio e al servitore* *Mawqîf 50
Dio ha detto:
“Non siete voi che li avete uccisi; Dio li ha uccisi”.[1]
Sappi che l’attribuzione dell’atto che a prima vista emana dalla creatura è compiuta più volte sia nel Libro sia nelle tradizioni. A volte l’atto è attribuito alla creatura; a volte a Dio con il concorso del servitore; altre al servitore con il concorso di Dio. È attribuito a Dio per il fatto che Egli è l’Esistenza reale e dunque il vero agente. È attribuito alla creatura per il fatto che apparentemente essa è all’origine dell’atto. È attribuito a Dio con il concorso della creatura per il fatto che essa è lo strumento dell’azione, così come lo strumento del carpentiere o quello del forgiatore. Ma l’agente è colui che compie (l’azione) non lo strumento.
È attribuito alla creatura con il concorso di Dio per il fatto che la creatura è a un tempo il supporto della manifestazione e fa da determinazione al reale. Ora il Reale è invisibile, mentre la creatura è visibile.
L’azione della creatura, in realtà, che essa sia animale, umana, angelica o altro, è ad un tempo e sotto lo stesso rapporto azione di Dio e azione della creatura, senza che vi sia confusione o unione. In effetti, la creatura, che essa sia chiamata uomo o altrimenti, comporta un aspetto apparente e un aspetto nascosto. Il suo aspetto nascosto si riferisce all’Esistenza reale; il suo aspetto apparente si riferisce alla forma sensibile che regge le predisposizioni immutabili e i loro stati, ossia le idee pure che si manifestato in una forma sensibile come saranno formate il giorno della resurrezione e durante la vita intermedia dell’istmo, in quanto forme sensibili che possono parlare e che si possono misurare, secondo ciò che è menzionato nelle tradizioni autentiche. Colui che non ha che una percezione sensibile dirà che l’azione è da attribuire al servitore; e significa con ciò necessariamente la sua forma apparente, limitata e determinata. Colui la cui percezione si limita a riconoscere che la perfezione e la potenza dell’atto non appartengono che a Dio dice che l’azione spetta a Dio; e significa necessariamente con ciò la realtà nascosta e, secondo lui, la forma composta e sensibile non è presa in considerazione che sotto l’aspetto dell’acquisizione dell’atto.[2] Le due scuole considerano che il Reale è contemporaneamente distinto e separato dal servitore e tuttavia legato a lui. Ed è sicuro che, secondo un certo punto di vista del servitore, il Reale non può evitare questo. Colui che è un perfetto conoscitore delle realtà e che possiede entrambi i punti di vista, dice che l’azione procede da Dio, pur rimanendo un’azione del servitore, e che essa perviene al servitore, pur rimanendo un’azione del Maestro. Dato che, nella stessa realtà, non vi è che l’Esistenza reale che si manifesta secondo le leggi dei prototipi immutabili, queste leggi sono delle relazioni concettuali all’Esistenza che è velata da esse.[3] Essa prende il nome di servitore e di creatura e, a questo grado, essa è dotata dei loro attributi. Tale è la manifestazione dell’Esistenza reale. Ciò che è sorprendente, è che, per essa, manifestarsi equivale a velarsi e che velarsi equivale a manifestarsi. Gli spiriti sono accecati in questa teofania: le loro conoscenze sono contraddittorie ed erronee in tutto ciò che dicono a proposito della libertà umana, della predestinazione divina, dell’acquisizione dell’atto da parte dell’uomo e della parte relativa alla scelta umana. Le conoscenze sono inutili per andare avanti, per operare la verifica, per eliminare i dissensi e per fare le distinzioni necessarie.
Il nostro imâm e maestro, Abû Hâmid al-Ghazâlî,[4] ha detto che la difficoltà dell’attribuzione a Dio o al servitore dell’atto che procede dal servitore non è risolta né dalla rivelazione, ossia, da una prova della Legge rivelata, né da una prova della ragione né per mezzo dello svelamento. Quanto a noi, Dio sia benedetto, questa difficoltà ci è stata risparmiata grazie allo svelamento, benché sappiamo in modo certo che lo svelamento in favore dello shaykh fosse molto più perfetto ed elevato, senza comparazione alcuna tra noi e lui. Dio solo sa quale fu il desiderio di vedere dello shaykh!
[1] Corano 8, 17. Questo versetto è ugualmente commentato in Mawqîf 1, 2, 75, 100, 102, 104, 137, 170 e 193.
[2] Famosa teoria ash’arita del kasb/iktisâb che l’autore, d’altra parte, ritiene assurda e incomprensibile (vedere Mawqîf 65).
[3] Vedere a questo proposito Mawqîf 15 dove è sviluppato il gioco delle relazioni tra l’apparente e il nascosto, l’inesistente e il Reale.
[4] Teologo, giurista, pensatore, mistico e riformatore religioso nato a Tûs nel 450/1058 e morto nel 505/1111. autore della Ihyâ’ ‘ulûm al-dîn e del Munqidh min al-dalâl.
Nessun commento:
Posta un commento