"…la dottrina è infallibile, è a causa del fatto che essa è un’espressione della verità, la quale, in se stessa, è assolutamente indipendente dagli individui che la ricevono e che la comprendono. La garanzia della dottrina risiede in definitiva nel suo carattere «non-umano»". René Guénon, Considerazioni sull’iniziazione, cap. "Sull’infallibilità tradizionale"

lunedì 19 febbraio 2018

Guénon René, Considerazioni sull'Iniziazione -XXV - Sulle prove iniziatiche

Guénon René
Considerazioni sull'Iniziazione

XXV - Sulle prove iniziatiche

Affronteremo ora la questione di quelle che vengono chiamate le «prove» iniziatiche, le quali in fondo non sono che un caso particolare dei riti di questo tipo, ma un caso abbastanza importante perché meriti di essere trattato a parte, tanto più che anch’esso dà luogo a non poche concezioni sbagliate; la parola stessa «prove», di cui ci si serve sotto molteplici significati, entra probabilmente per qualcosa in questi equivoci, a meno che, forse, alcune delle accezioni che ha assunto correntemente non derivino già da precedenti confusioni, cosa che è del pari possibilissima. 

In effetti non si capisce bene per qual ragione si dia comunemente il nome di «prova» a qualsiasi accadimento doloroso, né perché di qualcuno che soffre si dica che è «provato»; è difficile vedere in un fatto del genere qualcosa di diverso da un semplice abuso di linguaggio, di cui potrebbe non essere senza interesse ricercare l’origine. Comunque stiano le cose, quest’idea comune delle «prove della vita» esiste, anche se non corrisponde a niente di ben definito, ed è quella che più di ogni altra ha fatto nascere certe false assimilazioni al riguardo delle prove iniziatiche, al punto di indurre qualcuno a vedere in queste ultime null’altro che un’immagine simbolica delle prime, cosa che, per uno strano rovesciamento delle cose, farebbe pensare che sono i fatti della vita umana esteriore ad avere un valore effettivo e a contare veramente dallo stesso punto di vista iniziatico. Se così fosse, le cose sarebbero veramente troppo semplici, e di conseguenza tutti gli uomini sarebbero, senza che lo sospettino, candidati all’iniziazione; basterebbe a ognuno aver incontrato e superato qualche circostanza difficile – cosa che accade più o meno a tutti – per ottenere tale iniziazione, di cui d’altronde sarebbe ben difficile dire da chi e in base a cosa sarebbe stata conferita. Crediamo di aver già detto abbastanza sulla vera natura dell’iniziazione per non dover insistere sull’assurdità di conseguenze simili; la verità è che la «vita ordinaria», come si intende oggi, non ha assolutamente nulla a che vedere con la sfera iniziatica, dal momento che corrisponde a una concezione totalmente profana; e se, al contrario, si guardasse alla vita umana secondo una concezione tradizionale e normale, si potrebbe dire che è essa che può essere assunta come simbolo, e non l’inverso.
Quest’ultimo punto merita che su di esso ci si soffermi un momento: è noto che il simbolo deve sempre appartenere a un ordine di realtà inferiore rispetto a ciò che viene simboleggiato (cosa che – è bene ricordarlo di sfuggita – basta per demolire tutte le interpretazioni «naturalistiche» immaginate dai moderni); le realtà della sfera corporea, poiché sono quelle dell’ordine più basso e più ristrettamente limitato, non potranno perciò essere simboleggiate da checchessia, e inoltre non lo necessitano affatto, dal momento che sono direttamente e immediatamente afferrabili da tutti. Per contro, qualsiasi avvenimento o fenomeno, per quanto insignificante, potrà sempre, a motivo della corrispondenza esistente tra tutti gli ordini di realtà, essere assunto come simbolo di una realtà di ordine superiore, della quale è in certo qual modo un’espressione sensibile, per la ragione stessa che esso ne procede come una conseguenza procede dal suo principio; e a tale titolo – per quanto possa in se stesso essere privo di valore e di interesse – potrà presentare un significato profondo per chi sia capace di vedere al di là delle apparenze immediate. Si tratterà di una trasposizione il cui risultato non avrà evidentemente più nulla in comune con la «vita ordinaria», né con la vita esteriore qualunque sia il modo in cui la si consideri, e questa avrà semplicemente fornito il punto d’appoggio che permetterà, a un essere dotato di speciali attitudini, di uscire dalle sue limitazioni; e tale punto d’appoggio – insistiamo su questo fatto – potrà essere del tutto qualunque, poiché quella che ha rilievo qui è la natura propria dell’essere che se ne servirà. Di conseguenza, e ciò ci riporta all’idea comune delle «prove», non è affatto impossibile che la sofferenza sia, in determinati casi particolari, l’occasione o il punto di partenza di uno sviluppo di possibilità latenti, ma questo esattamente come qualsiasi altra cosa può esserlo in altri casi; intendiamo dire un’occasione, e nulla più; e questo non può autorizzare ad attribuire alla sofferenza in sé nessuna speciale virtù che la privilegi, a onta di tutte le declamazioni che si profondono sull’argomento. Notiamo inoltre che questo ruolo assolutamente contingente e accidentale della sofferenza, quand’anche – come da noi fatto – ricondotto nelle sue giuste proporzioni, è certamente molto più ridotto in campo iniziatico che in certe altre «realizzazioni» di carattere più esteriore; è soprattutto nei mistici che esso diventa in certo qual modo abituale e sembra assumere un’importanza di fatto che può trarre in inganno (e – ovviamente – gli stessi mistici per primi), cosa che senza dubbio si spiega, per lo meno in parte, con considerazioni di natura specificamente religiosa[1]. C’è da aggiungere, inoltre, che la psicologia profana ha sicuramente contribuito per la sua parte a diffondere su questo tema le idee più confuse e più sbagliate; ma a ogni buon conto, si tratti di semplice psicologia oppure di misticismo, queste sono cose che non hanno assolutamente niente in comune con l’iniziazione.
Chiarito così l’argomento, ci resta ancora da indicare la spiegazione di un fatto che potrebbe sembrare, agli occhi di qualcuno, capace di provocare un’obiezione: quantunque le circostanze difficili o dolorose siano per certo, come dicevamo poco fa, comuni alla vita di tutti gli uomini, capita piuttosto di frequente che coloro che seguono una via iniziatica le vedano moltiplicarsi in modo insolito. Questo fatto è, assai semplicemente, dovuto a una sorta di ostilità inconsapevole dell’ambiente, ostilità a cui abbiamo già avuto modo di fare allusione in precedenza: sembra che questo mondo, intendiamo l’insieme degli esseri e delle cose stesse che costituiscono l’ambito dell’esistenza individuale, si sforzi in tutti i modi di trattenere chi stia accingendosi a sfuggirgli; reazioni simili tutto sommato sono perfettamente normali e comprensibili, e per quanto possano essere sgradevoli non è certamente il caso di stupirsene. Si tratta propriamente solo di ostacoli suscitati da forze ostili, e niente affatto, come sembra che talvolta qualcuno pensi a torto, di «prove» volute e imposte dalle potenze che presiedono all’iniziazione; bisogna finirla una volta per tutte con le favole di questo genere, sicuramente molto più prossime alle fantasticherie occultistiche che non alle realtà iniziatiche.
Quelle che vengono chiamate prove iniziatiche sono qualcosa di completamente diverso, e ci basteranno poche parole per metter fine a ogni equivoco in modo radicale: esse sono essenzialmente dei riti, cosa che le sedicenti «prove della vita» evidentemente non sono in nessun modo; né esse potrebbero esistere se non avessero tale carattere rituale, o essere sostituite da qualcosa che non possieda questo stesso carattere. Si può vedere subito, da quanto diciamo, come gli aspetti sui quali si insiste di più siano in realtà del tutto secondari: se queste prove fossero veramente destinate, secondo la nozione più «semplicistica» che si ha di esse, a far emergere se un candidato all’iniziazione possiede le qualità richieste, si sarà d’accordo che esse sarebbero alquanto prive di efficacia, ed è facile capire come coloro che si adeguano a questo modo di vedere siano tentati di giudicarle senza valore; sennonché, normalmente, chi sia stato ammesso a subirle deve già esser stato, con altri mezzi più adeguati, riconosciuto «bene e debitamente qualificato»[2]; bisogna perciò che si tratti di qualcosa di totalmente diverso. Si potrebbe dire, allora, che tali prove costituiscano un insegnamento dato in forma simbolica, e destinato a essere meditato in seguito; ciò è verissimo, ma potrebbe esser detto di qualsiasi altro rito, poiché tutti essi, come abbiamo affermato in precedenza, hanno in comune questo carattere simbolico, e conseguentemente un significato che tocca a ciascuno approfondire nella misura delle sue proprie capacità. La ragion d’essere essenziale del rito – come abbiamo spiegato in primo luogo – è l’efficacia che è legata a esso; questa efficacia è del resto – ovviamente – in diretto rapporto con il significato simbolico incluso nella sua forma, ma è ciò nondimeno indipendente da una comprensione attuale di tale senso in coloro che prendono parte al rito. È perciò opportuno porsi innanzi tutto da tale punto di vista dell’efficacia diretta del rito; il resto, quale ne sia l’importanza, non può venire che in secondo luogo, e tutto quel che abbiamo detto finora è sufficientemente esplicito a tal proposito da dispensarci di dilungarci ulteriormente.
Per maggior precisione diremo che le prove sono riti preliminari o propedeutici all’iniziazione vera e propria; esse ne costituiscono il preambolo necessario, per modo che l’iniziazione è in qualche modo la loro conclusione o il loro risultato finale immediato. Occorre osservare che esse rivestono spesso la forma di «viaggi» simbolici; questo punto, però, lo rileviamo soltanto di passata, perché non possiamo pensare di diffonderci qui sul simbolismo del viaggio in generale, e diremo solo che – sotto questo aspetto – le prove si presentano come una «ricerca» (o meglio una «cerca»[3], come si diceva nel linguaggio del medioevo) che conduce l’essere dalle «tenebre» del mondo profano alla «luce» iniziatica; sennonché tale forma, che sotto questo aspetto è autoesplicativa, è però in qualche modo solo accessoria, per quanto appropriata sia alla realtà che è in questione. In fondo, le prove sono essenzialmente dei riti di purificazione; ed è questo che fornisce la vera spiegazione della stessa parola «prove» che qui assume perciò un significato prettamente «alchemico», ben lontano dunque dal significato comune che ha dato origine agli errori da noi segnalati. Ora, quel che importa per conoscere il principio fondamentale del rito, è il prender atto che la purificazione avviene attraverso gli «elementi», nel senso cosmologico del termine, e il motivo di ciò può esser molto facilmente espresso in poche parole: chi dice elemento dice semplice, e chi dice semplice dice incorruttibile. Conseguentemente, la purificazione rituale avrà sempre come «supporto» materiale i corpi che simboleggiano gli elementi e ne portano le denominazioni (giacché deve esser ben compreso che gli elementi in sé non sono assolutamente i corpi ritenuti «semplici» – cosa che sarebbe del resto una contraddizione –, ma ciò a partire da cui tutti i corpi sono formati), o per lo meno uno di questi corpi; e ciò riceve parimenti applicazione in campo tradizionale exoterico, in particolare per quel che riguarda i riti religiosi, nei quali tale modo di purificazione è adottato non solo per gli esseri umani, ma altresì per altri esseri viventi, per oggetti inanimati e per luoghi o edifici. Se l’acqua sembra in questo caso rivestire un ruolo preminente nei confronti degli altri corpi presi per rappresentare gli elementi, bisogna dire che questo ruolo non è però esclusivo; forse si potrebbe spiegare tale preponderanza osservando che l’acqua è inoltre, in tutte le tradizioni, più particolarmente il simbolo della «sostanza universale». Comunque sia, è quasi inutile dire che i riti in questione, lustrazioni, abluzioni o aventi altre forme (compreso il rito cristiano del battesimo, riguardo al quale abbiamo già indicato che rientra anch’esso in tale categoria), non hanno assolutamente – alla stregua dei digiuni, anch’essi di carattere rituale, o del divieto di determinati alimenti – nulla a che vedere con prescrizioni di igiene o di pulizia corporale, secondo la concezione insipiente di taluni moderni che, intendendo per partito preso ricondurre ogni cosa a una spiegazione puramente umana, paiono compiacersi nello scegliere sempre l’interpretazione più grossolana che sia possibile immaginare. È però anche vero che le cosiddette spiegazioni «psicologiche», per quanto abbiano un’apparenza di maggior sottigliezza, non valgono in fondo di più; tutte trascurano similmente di tener conto della sola cosa che in realtà conti, vale a dire che l’azione effettiva dei riti non è né una «credenza» né un concetto teorico, ma un fatto positivo.

Si può ora capire perché, quando le prove rivestono la forma di «viaggi» successivi, questi ultimi siano messi rispettivamente in rapporto con i diversi elementi; e ci rimane soltanto da indicare in qual senso, dal punto di vista iniziatico, il termine «purificazione» deve essere compreso. Ciò a cui si mira è riportare l’essere a uno stato di semplicità indifferenziata, paragonabile, come abbiamo detto in precedenza, a quello della materia prima (intesa qui naturalmente in senso relativo), acciocché esso sia atto a ricevere la vibrazione del Fiat Lux iniziatico; occorre che l’influenza spirituale, la cui trasmissione gli conferirà tale prima «illuminazione», non incontri in lui nessun ostacolo dovuto a «preformazioni» disarmoniche provenienti dal mondo profano[4]; è questa la ragione per cui egli deve essere preventivamente ridotto a tale stato di materia prima, e ciò – se ci si vuol riflettere un istante – fa vedere con sufficiente chiarezza come il processo iniziatico e la «Grande Opera» ermetica siano in realtà una sola e stessa cosa: la conquista della Luce divina che è l’essenza unica di ogni spiritualità.


[1] Sarebbe però forse il caso di chiedersi se questa esaltazione della sofferenza sia veramente connaturata con la forma particolare della tradizione cristiana, o non le sia piuttosto stata «sovraimposta» in qualche modo dalle tendenze naturali del temperamento occidentale.
[2] Si veda, a proposito di questa espressione tradizionale, quanto abbiamo detto alla nota 2 di p. 42. [N.d.T.]
[3] «Queste», in francese. [N.d.T.]
[4] La purificazione è perciò anche – sotto questo aspetto – ciò che in linguaggio kabbalistico si direbbe una «dissoluzione delle scorze»; in relazione con questo punto abbiamo similmente segnalato in altra sede il significato simbolico dello «spogliamento dai metalli» (Cfr. Il Regno della Quantità e i Segni dei Tempi, cap. XXII).

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