"…la dottrina è infallibile, è a causa del fatto che essa è un’espressione della verità, la quale, in se stessa, è assolutamente indipendente dagli individui che la ricevono e che la comprendono. La garanzia della dottrina risiede in definitiva nel suo carattere «non-umano»". René Guénon, Considerazioni sull’iniziazione, cap. "Sull’infallibilità tradizionale"

sabato 3 febbraio 2018

René Guénon Considerazioni sull'Iniziazione - XVIII -Simbolismo e filosofia

René Guénon
Considerazioni sull'Iniziazione

XVIII -Simbolismo e filosofia

Se il simbolismo è, come abbiamo spiegato poco fa, essenzialmente inerente a tutto ciò che presenta un carattere tradizionale, esso è anche, nello stesso tempo, uno dei tratti per cui le dottrine tradizionali, nel loro insieme (giacché questa considerazione si applica ugualmente alle due sfere esoterica ed exoterica), si distinguono, in qualche modo a prima vista, dal pensiero profano, al quale il simbolismo è totalmente estraneo, e ciò in modo necessario, perché esso traduce propriamente qualcosa di «non-umano» che in tal caso non può assolutamente esistere.

Ciò nonostante, i filosofi, i quali, se così si può dire, del pensiero profano sono i rappresentanti per eccellenza, ma che nondimeno hanno la pretesa di occuparsi delle cose più diverse. quasi che la loro competenza si estendesse a tutto, si occupano talvolta anche del simbolismo, e gli capita allora di esprimere idee e teorie ben strane; è così che alcuni di loro hanno voluto costituire una «psicologia del simbolismo», cosa che si ricollega a quell’errore specificamente moderno che può essere indicato col termine «psicologismo», e che in sé non costituisce se non un caso particolare della tendenza a ridurre tutto a elementi esclusivamente umani. Alcuni altri, però riconoscono che il simbolismo non fa parte della filosofia; ma l’intenzione di questi ultimi è di dare a tale asserzione un senso visibilmente sfavorevole, come se il simbolismo fosse ai loro occhi una cosa inferiore e financo trascurabile; e ci si può domandare, anzi, vedendo il modo in cui ne parlano, se non lo confondano semplicemente con lo pseudo-simbolismo di certi letterati, assumendo come vero significato della parola quello che ne è soltanto un uso del tutto abusivo e distorto. In realtà, se il simbolismo è, come si dice, una «forma del pensiero», ciò che in un certo senso è vero, ma non impedisce che esso sia anche e prima di tutto qualcos’altro, la filosofia ne è un’altra, radicalmente differente, e anche opposta sotto diversi riguardi. Ma si può dire di più: la forma di pensiero rappresentata dalla filosofia corrisponde soltanto a un punto di vista specialissimo e non può, anche nei casi più favorevoli, esser valida se non in un campo molto ristretto, campo del quale il suo torto più grande, comune del resto a tutto il pensiero profano in quanto tale, è forse di non sapere o di non voler riconoscere i limiti; il simbolismo, come ci si può rendere conto da ciò che abbiamo già spiegato, ha tutta un’altra portata; e quand’anche non si vedano in entrambi se non due forme di pensiero (il che significa propriamente confondere l’uso del simbolismo con la sua essenza vera e propria), sarebbe tuttavia un grave errore il volerli mettere sullo stesso piano. Che i filosofi siano tutt’altro che di questo avviso, è qualcosa che non prova nulla; per mettere le cose al loro giusto posto occorre innanzi tutto prenderle in esame con imparzialità, e questo essi non sono in grado di fare nella fattispecie; per quel che ci riguarda, noi siamo infatti perfettamente persuasi che, in quanto filosofi, essi non riusciranno mai a penetrare il senso profondo del minimo simbolo, perché si tratta di qualcosa che è completamente fuori del loro modo di pensare e supera inevitabilmente la loro comprensione.
Coloro che conoscono già tutto quel che abbiamo detto della filosofia in molte altre occasioni, non possono stupirsi vedendoci accordarle soltanto un’importanza molto mediocre; del resto, senza neppure andare al fondo delle cose, per rendersi conto che la sua posizione non può essere che in qualche modo subalterna è sufficiente ricordarsi che qualunque modo di espressione, quale esso sia, ha necessariamente un carattere simbolico, nel senso più generale del termine, in rapporto a ciò che esprime. I filosofi non possono far altro che servirsi di parole, e, come abbiamo detto in precedenza, le parole, in se stesse, non possono essere nient’altro che simboli; è dunque in un certo modo la filosofia a rientrare, anche se del tutto incoscientemente, nel campo del simbolismo, e non l’inverso.
Sotto un altro rapporto, tuttavia, esiste un’opposizione tra filosofia e simbolismo, quando si intenda quest’ultimo nell’accezione più ristretta che gli si dà più abitualmente e che è d’altronde anche quella in cui noi lo assumiamo quando lo consideriamo come propriamente caratteristico delle dottrine tradizionali: questa opposizione consiste nel fatto che la filosofia è, come tutto quel che si esprime nelle forme ordinarie del linguaggio, essenzialmente analitica, mentre il simbolismo propriamente detto è essenzialmente sintetico. La forma del linguaggio è, per sua stessa definizione, «discorsiva» come la ragione umana della quale è lo strumento proprio e di cui segue o riproduce il processo nel modo più esatto possibile; al contrario, il simbolismo propriamente detto è veramente «intuitivo», il che, del tutto naturalmente, lo rende incomparabilmente più adatto del linguaggio a servire come punto d’appoggio all’intuizione intellettuale e sovrarazionale, ed è precisamente questa la ragione per cui esso costituisce il modo d’espressione per eccellenza di ogni insegnamento iniziatico. Quanto alla filosofia, essa rappresenta in qualche modo il tipo del pensiero discorsivo (il che, beninteso, non vuol dire che tutto il pensiero discorsivo abbia un carattere specificamente filosofico), ed è questo a imporle dei limiti dai quali non può liberarsi; di contro, il simbolismo, in quanto supporto dell’intuizione trascendente, apre possibilità veramente illimitate.
La filosofia, a causa del suo carattere discorsivo, è cosa esclusivamente razionale, giacché tale carattere è quello che appartiene in proprio alla stessa ragione; il campo della filosofia e le sue possibilità non possono perciò in nessun caso estendersi di là da ciò a cui la ragione è in grado di attingere; e inoltre essa rappresenta solo una certa utilizzazione abbastanza particolare di questa facoltà, perché è evidente, non foss’altro che per il fatto che esistono delle scienze indipendenti, che ci sono, nella stessa sfera della conoscenza razionale, molte cose che non sono di competenza della filosofia. D’altronde, non è che si contesti qui il valore della ragione nel suo proprio campo e finché essa non pretende di oltrepassarlo[1]; sennonché questo valore può essere soltanto relativo, come relativo è pure tale campo; del resto, la stessa parola ratio non ha come suo primo senso quello di «rapporto»? Né maggiormente contestiamo, entro certi limiti, la legittimità della dialettica, quantunque i filosofi ne abusino troppo spesso; solo che la dialettica, in ogni caso, non deve mai essere altro che un mezzo, non un fine in sé, e inoltre può essere che tale mezzo non sia applicabile indistintamente a tutto; soltanto che, per rendersi conto di ciò, bisogna uscire dai confini della dialettica, e questo è qualcosa che non può fare il filosofo in quanto tale.
Anche ammettendo che la filosofia vada tanto lontano quanto le è teoricamente possibile, intendiamo dire fino ai confini estremi del campo della ragione, in verità si tratterà ancora di ben poco, giacché, per servirci di un’espressione evangelica, «solo una cosa è necessaria», ed è precisamente questa cosa che le resterà sempre preclusa, perché essa è al di sopra e al di là di ogni conoscenza razionale. Cosa possono i metodi discorsivi del filosofo di fronte all’inesprimibile, il quale è, come spiegavamo prima, il «mistero» nel senso più vero e più profondo della parola? Al contrario, il simbolismo, lo ripetiamo nuovamente, ha come funzione essenziale quella di fare «assentire» questo inesprimibile, di fornire il supporto che permetterà all’intuizione intellettuale di avere effettivamente accesso ad esso; chi dunque, che abbia compreso questo, oserebbe ancora negare l’immensa superiorità del simbolismo e contestare che la sua portata supera incomparabilmente quella di ogni possibile filosofia? Per quanto eccellente e perfetta nel suo genere possa essere una filosofia (e non è certamente ai filosofi moderni che noi pensiamo quando ammettiamo una simile ipotesi), essa non è ancora altro «che paglia»; l’espressione è dello stesso san Tommaso d’Aquino, il quale tuttavia, si deve riconoscerlo, non doveva essere portato a deprezzare oltre misura il pensiero filosofico, ma aveva per lo meno coscienza delle sue limitazioni.
Ma c’è di più: quando si considera il simbolismo una «forma di pensiero», in definitiva non lo si intende se non sotto il profilo puramente umano, che è del resto evidentemente il solo del quale sia possibile una comparazione con la filosofia; senza dubbio esso deve essere considerato in questo modo, in quanto è un modo di espressione a uso dell’uomo, ma, in verità, questo è ben lungi dall’essere sufficiente e, poiché non tocca assolutamente la sua essenza, rappresenta soltanto l’aspetto più esteriore della questione. Abbiamo già insistito abbastanza sull’aspetto «non-umano» del simbolismo perché non sia necessario ritornarci a lungo; tutto sommato è sufficiente constatare che esso ha il suo fondamento nella natura stessa degli esseri e delle cose, che è in perfetta conformità con le leggi di questa natura, e riflettere che le leggi naturali stesse in fondo non sono che un’espressione e un’esteriorizzazione, se così si può dire, della Volontà divina o principiale. Il vero fondamento del simbolismo è, come abbiamo detto, la corrispondenza che esiste fra tutti gli ordini di realtà, corrispondenza che li ricollega l’uno all’altro e si estende, di conseguenza, dall’ordine naturale preso nel suo insieme, allo stesso ordine sovrannaturale; in virtù di questa corrispondenza, l’intera natura non è altro che un simbolo, vale a dire che essa riceve il suo significato vero soltanto se la si considera un supporto per elevarsi alla conoscenza delle verità sovrannaturali, o «metafisiche» nel senso proprio ed etimologico della parola, e questa è precisamente la funzione essenziale del simbolismo, così com’è anche la ragion d’essere profonda di ogni scienza tradizionale[2]. In ragione di ciò, vi è necessariamente nel simbolismo qualcosa la cui origine risale più in alto e più lontano dell’umanità, e si potrebbe dire che questa origine è nell’opera stessa del Verbo divino: essa è prima di tutto nella stessa manifestazione universale, e in seguito, più specialmente in relazione con l’umanità, nella Tradizione primordiale, la quale è anch’essa «rivelazione» del Verbo; questa Tradizione, di cui tutte le altre sono soltanto forme derivate, si incorpora per così dire nei simboli che si sono trasmessi di età in età senza che si possa assegnar loro alcuna origine «storica», e il processo di questa specie di incorporazione simbolica è nuovamente analogo, nel suo ordine, a quello della manifestazione[3].
Di fronte a questi titoli del simbolismo, che ne costituiscono il valore trascendente, quali sono quelli che la filosofia potrebbe avere da rivendicare? L’origine del simbolismo si confonde veramente con l’origine dei tempi, quand’anche non sia, in un certo senso, al di là dei tempi, giacché questi ultimi in realtà comprendono soltanto un modo speciale della manifestazione[4]; non esiste d’altronde, come già abbiamo fatto notare, nessun simbolo autenticamente tradizionale che si possa riferire a un inventore umano, di cui si possa dire che è stato immaginato da questo o da quell’individuo; e questo fatto stesso non dovrebbe dar da riflettere a coloro che ne sono capaci? Qualsiasi filosofia, al contrario, non risale se non a un’epoca determinata e, in definitiva, sempre recente, anche se si tratta dell’antichità «classica», la quale è soltanto un’antichità molto relativa (il che prova per certo, del resto, che anche umanamente questa forma speciale di pensiero non ha nulla di essenziale)[5]; essa è l’opera di un uomo di cui conosciamo sia il nome sia la data in cui è vissuto, ed è questo nome che in genere serve a indicarla, ciò che mostra chiaramente che si tratta solo di qualcosa di umano e di individuale. Per questo dicevamo poco fa che non si può stabilire un paragone qualsiasi tra la filosofia e il simbolismo se non a condizione di limitarsi a considerare quest’ultimo esclusivamente sotto un aspetto umano, giacché, per tutto il resto, non si è in grado di trovare nel campo della filosofia un’equivalenza, e neppure una corrispondenza, di qualsiasi genere.
La filosofia è perciò, se si vuole, e per mettere le cose nel migliore dei modi, la «saggezza umana», o una delle sue forme, ma in ogni caso è soltanto questo, e per tale ragione dicevamo che in fondo essa è ben poca cosa; essa è solo questo perché è una speculazione esclusivamente razionale, e perché la ragione è una facoltà puramente umana, quella stessa facoltà per cui si definisce essenzialmente la natura individuale umana in quanto tale. «Saggezza umana»; come dire «saggezza mondana», nel senso in cui il «mondo» è inteso in particolare nel Vangelo[6]; potremmo anche, nello stesso senso, dire altrettanto correttamente «saggezza profana»; in fondo tutte queste espressioni sono sinonimi, e indicano chiaramente che non si tratta affatto della saggezza vera, che si tratta al massimo di un’ombra piuttosto vana di essa, troppo spesso addirittura «capovolta»[7]. E in effetti la maggior parte delle filosofie non sono neppure un’ombra della saggezza, per quanto deformata la si voglia supporre; esse sono soltanto, soprattutto quando si tratta delle filosofie moderne, dalle quali sono scomparse anche le più piccole vestigia delle antiche conoscenze tradizionali, delle costruzioni prive di qualsiasi fondamento solido, delle accozzaglie di ipotesi più o meno fantasiose, e, in tutti i casi, delle semplici opinioni individuali senza autorità e senza reale portata.
Possiamo, per concludere su questo punto, riassumere in poche parole l’essenza del nostro pensiero: la filosofia è propriamente soltanto un «sapere profano» e non può pretendere di essere niente di più, mentre il simbolismo, inteso nel suo vero significato, fa essenzialmente parte della «scienza sacra», la quale senza di esso non potrebbe neppure esistere veramente o per lo meno «esteriorizzarsi», giacché le mancherebbe allora qualsiasi mezzo di espressione adeguato. Sappiamo assai bene che molti dei nostri contemporanei, in realtà la più gran parte, sono sfortunatamente incapaci di fare, come occorre, la distinzione tra questi due ordini di conoscenza (se pure una conoscenza profana merita veramente tale nome); ma, beninteso, non è a costoro che ci rivolgiamo, perché, come abbiamo già dichiarato spesso in altre occasioni, per parte nostra è unicamente di «scienza sacra» che intendiamo occuparci.



[1] Facciamo notare a questo proposito che «sovra-razionale» non è assolutamente sinonimo di «irrazionale»: ciò che è al di sopra della ragione non è affatto contrario alla ragione, ma le sfugge in modo puro e semplice.
[2] Questa è la ragione per cui il mondo è come un linguaggio divino per coloro che sanno capirlo: secondo l’espressione biblica, Coeli enarrant gloriam Dei (Salmo XIX, 2).
[3] Ricorderemo ancora una volta a tal proposito, per non lasciar spazio a nessun equivoco, che rifiutiamo nel modo più assoluto di dare il nome di «tradizione» a ciò che è puramente umano e profano, e, in particolare, a una qualsivoglia dottrina filosofica.
[4] È perciò abbastanza poco comprensibile che un certo Rito massonico, la cui «regolarità» è del resto molto contestabile, pretenda datare i suoi documenti a partire da un’era computata Ab Origine Symbolismi.
[5] Sarebbe forse il caso di domandarsi perché la filosofia abbia avuto origine nel VI secolo prima dell’era cristiana, epoca che presenta caratteri piuttosto singolari sotto più di un aspetto, così come abbiamo fatto notare in diverse occasioni.
[6] In sanscrito la parola laukika, «mondano» (aggettivo derivato da loka, «mondo»), è spesso inteso nella stessa accezione del linguaggio evangelico, vale a dire in definitiva col senso di «profano», e tale concordanza ci sembra assai degna di nota.
[7] Del resto, anche considerando solo il senso puro e semplice delle parole, dovrebbe essere evidente che philosophia non è per nulla sophia, «saggezza»; non può normalmente trattarsi, in relazione a quest’ultima, se non di una preparazione o di un avvicinamento; così si potrebbe anche dire che la filosofia diventa illegittima a partire dal momento in cui non ha più il fine di condurre a qualcosa che la oltrepassa. Del resto è questo che riconoscevano gli scolastici del medioevo quando dicevano: «Philosophia ancilla theologiae»; sennonché, pur se affermavano questo, il loro punto di vista era ancora troppo ristretto, giacché la teologia, la quale appartiene solo alla sfera exoterica, è estremamente lontana dal poter rappresentare la saggezza tradizionale nella sua integralità.

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