"…la dottrina è infallibile, è a causa del fatto che essa è un’espressione della verità, la quale, in se stessa, è assolutamente indipendente dagli individui che la ricevono e che la comprendono. La garanzia della dottrina risiede in definitiva nel suo carattere «non-umano»". René Guénon, Considerazioni sull’iniziazione, cap. "Sull’infallibilità tradizionale"

giovedì 8 febbraio 2018

René Guénon Considerazioni sull'Iniziazione - XX - A proposito di «magia cerimoniale»

René Guénon
Considerazioni sull'Iniziazione

XX - A proposito di «magia cerimoniale»

Per completare quel che è stato detto sulle cerimonie e sulle loro differenze con i riti, prenderemo ancora in considerazione un caso speciale di esse, caso che abbiamo intenzionalmente lasciato da parte finora: tale caso è quello delle «cerimonie magiche», e anche se esso è certamente al di fuori dell’argomento principale del nostro studio, non crediamo inutile trattarne un po’ dettagliatamente perché la magia è, come già abbiamo detto, qualcosa che dà luogo a buona parte degli equivoci creati e mantenuti, riguardo all’iniziazione, da una folla di pseudo-iniziati d’ogni tipo; inoltre, il termine «magia» è oggi continuamente applicato, a ragione e a torto, alle cose più diverse, e a volte senza il minimo rapporto con quel che realmente indicherebbe. 

Tutto quel che sembra più o meno singolare, tutto quel che esce dall’ordinario (o da ciò che si è convenuto di considerar tale), per qualcuno è «magico»; abbiamo già segnalato l’attribuzione che taluni fanno di quest’epiteto all’efficacia propria dei riti, la maggior parte delle volte con l’intenzione – del resto – di negarne la realtà; e a dire il vero, nel linguaggio comune questa parola ha finito con il non aver più altro significato se non quello. Per altri, la «magia» assume l’aspetto di una cosa piuttosto «letteraria», un po’ al modo in cui abitualmente si parla anche di una «magia dello stile»; ed è soprattutto alla poesia (o per lo meno a una certa poesia, se non indistintamente a tutta) che essi vogliono attribuire tale carattere «magico». In quest’ultimo caso la confusione è forse meno grossolana, ma proprio per questo è più importante dissiparla: è esatto dire che la poesia, alle sue origini e prima che degenerasse in semplice «letteratura» e in espressione di una pura fantasia individuale, era qualcosa di totalmente diverso, la cui nozione può in fondo ricollegarsi direttamente a quella dei mantra[1]; poteva allora esistere, realmente una poesia magica, così come poteva esistere una poesia destinata a produrre effetti di natura assai più elevata[2]; ma quando si tratti al contrario di poesia profana (ed è proprio a questa che i moderni intendono inevitabilmente riferirsi, giacché, anche quando gli capiti di trovarsi in presenza dell’altra non sanno distinguerla da essa, e credono ancora di essere alle prese con semplice «letteratura»), non può più esser questione di nulla del genere, né – checché se ne possa dire (e anche questo è un abuso di linguaggio) – di «ispirazione» nell’unico vero significato della parola, vale a dire in senso propriamente «sovrumano». Noi non mettiamo in dubbio, sia ben chiaro, che la poesia profana – come del resto qualsiasi espressione di idee o sentimenti di diversa natura – possa produrre effetti psicologici; ma questa è cosa del tutto differente e, precisamente, non ha proprio nulla a che vedere con la magia; a ogni buon conto, è questo un punto da tener presente, perché può essere causa d’una confusione che in tal caso sarebbe semplicemente correlata a un altro errore che i moderni commettono frequentemente sempre sulla natura della magia, e sul quale ci toccherà ritornare in seguito.
Detto questo, ricorderemo che la magia è propriamente una scienza, si può dire addirittura una scienza «fisica» nel senso etimologico della parola, poiché si tratta delle leggi e della produzione di determinati fenomeni (e del resto, come abbiamo indicato, è il carattere «fenomenico» della magia che interessa certi Occidentali moderni, in quanto soddisfa le loro tendenze «sperimentalistiche»); soltanto, è importante precisare che le forze che intervengono appartengono all’ambito sottile, e non a quello corporeo, ed è a causa di ciò che sarebbe totalmente falso il voler identificare questa scienza con la «fisica» intesa nel senso ristretto in cui è presa dai moderni; di fatto è questo un errore che si incontra anch’esso, visto che qualcuno ha creduto di poter far risalire i fenomeni magici all’elettricità o a «radiazioni» di qualche tipo, della stessa natura. Ora, se la magia possiede tale carattere di scienza, ci si domanderà forse com’è possibile che si parli di riti magici, e occorre riconoscere che questo deve essere un serio motivo di imbarazzo per i moderni, vista l’idea che essi si fanno delle scienze; dovunque vedano dei riti, costoro pensano che necessariamente si tratti di qualcos’altro che non di scienza, qualcosa che cercano quasi sempre di identificare più o meno completamente con la religione; sennonché – è bene dirlo chiaramente subito – i riti magici in realtà non hanno, per quel che riguarda il loro fine proprio, nessun punto in comune con i riti religiosi, né d’altronde (e saremmo tentati di dire a maggior ragione) con i riti iniziatici, come vorrebbero che sia, invece, i seguaci di alcune delle concezioni pseudo-iniziatiche che hanno corso nella nostra epoca; e tuttavia, benché siano totalmente fuori da queste categorie, esistono di fatto anche dei riti magici.
La spiegazione in fondo è assai semplice: come abbiamo detto, la magia è una scienza, ma una scienza tradizionale; ora, in tutto quel che presenti tale carattere, si tratti di scienze, di arte o di mestieri, ci sono sempre – o per lo meno quando non ci si limiti a studi semplicemente teorici – delle cose che, se ben capite, vanno intese come veri e propri riti; né c’è ragione di stupirsene, giacché qualsiasi azione compiuta seguendo regole tradizionali, quale che sia il campo nel quale si situa, è in realtà un’azione rituale, come abbiamo già in precedenza indicato. Naturalmente tali riti dovranno, in ciascun caso, essere di un tipo speciale, poiché la loro «tecnica» dovrà essere necessariamente appropriata al fine particolare al quale sono destinati; per questo occorre che si evitino accuratamente tutte le confusioni e tutte le false assimilazioni come quelle che abbiamo ricordato poco fa, e questo sia per quanto riguarda i riti veri e propri, sia per quanto riguarda i campi diversi al quali essi rispettivamente si riferiscono, le due cose essendo del resto rigorosamente correlate; i riti magici, di conseguenza, non sono nient’altro che una specie di riti fra molte altre, alla stessa stregua, ad esempio, dei riti terapeutici che devono anch’essi sembrare, agli occhi dei moderni, una cosa piuttosto straordinaria e addirittura incomprensibile, di cui però è incontestabile l’esistenza nelle civiltà tradizionali.
È opportuno ricordare che la magia è, fra le scienze tradizionali, una di quelle che appartengono all’ambito più basso, giacché va compreso che in tale materia tutto dev’essere considerato rigorosamente gerarchizzato secondo la sua natura e il suo campo proprio; è indubbiamente per questo che essa è più d’ogni altra soggetta a deviazioni e degenerazioni[3]. Accade talvolta che essa assuma sviluppi del tutto sproporzionati alla sua reale importanza, giungendo a soffocare in qualche modo le conoscenze più elevate e degne d’interesse, e alcune civiltà antiche sono morte a causa di questo sviluppo abnorme della magia, così come la civiltà moderna rischia di morire a causa di quello della scienza profana, la quale rappresenta del resto una deviazione ancor più grave, giacché la magia, nonostante tutto, è tuttavia una scienza tradizionale. In certi casi, inoltre, la magia sopravvive per così dire a se stessa, sotto le specie di vestigia più o meno informi e incomprese, ma ancora in grado di fornire qualche risultato effettivo, e in tal caso può scadere al livello dell’infima stregoneria – caso che è fra i più comuni e diffusi –, o degenerare in qualche altro modo. Finora non abbiamo però ancora parlato di cerimonie, ma lo faremo adesso, poiché esse rivestono i caratteri stessi di una di simili degenerazioni della magia, al punto che quest’ultima ha ricevuto da esse la sua denominazione di «magia cerimoniale».
Gli occultisti saranno certamente poco disposti ad ammettere che questa «magia cerimoniale», la sola che conoscano e che tentino di praticare, è soltanto una magia degenerata, e tuttavia le cose stanno in questo modo; senza volerla assolutamente far simile alla stregoneria, potremmo addirittura dire che essa è ancor più degenerata di quest’ultima sotto certi riguardi, quantunque in un’altra maniera. Su questo punto è opportuno che ci spieghiamo più chiaramente: lo stregone esegue determinati riti e pronuncia certe formule, generalmente senza capirne il significato, ma accontentandosi di ripetere il più esattamente possibile quel che gli è stato insegnato da coloro che glieli hanno trasmessi (questo è un punto particolarmente importante dal momento che si tratta di qualcosa che presenta un carattere tradizionale, come si può comprendere facilmente da quanto abbiamo spiegato in precedenza); e tali riti e formule, che nella maggior parte dei casi non sono che resti più o meno deformati di cose molto antiche, e che certamente non sono accompagnati da nessuna cerimonia, tuttavia, in molti casi, hanno un’efficacia sicura (qui non dobbiamo fare distinzioni tra le intenzioni benefiche o malefiche che possono intervenire nel corso del loro uso, giacché quella che è in questione è unicamente la realtà degli effetti ottenuti).
L’Occultista, invece, che fa della «magia cerimoniale», generalmente non ottiene nessun risultato serio, per quanta cura ponga nel conformarsi a una quantità di prescrizioni minuziose e complicate, le quali egli del resto ha imparato solo dai libri, e certo non per una trasmissione qualsivoglia; talvolta capita che riesca a illudersi, ma questa è tutta un’altra cosa; e si potrebbe dire che tra le pratiche dello stregone e le sue ci sia la stessa differenza che c’è tra una cosa viva, foss’anche in uno stato di decrepitezza, e una cosa morta.
Tale insuccesso del «magista» (questa è la parola di cui si servono di preferenza gli occultisti, senza dubbio ritenendola più onorevole e meno banale dell’appellativo di «mago») ha una duplice ragione: da un lato, nella misura in cui si può ancora parlare di riti in un caso simile, egli li simula più che non li effettui veramente, poiché gli manca la trasmissione che sarebbe necessaria per «vivificarli», e a cui la semplice intenzione non potrebbe supplire in alcun modo; dall’altro, tali riti sono letteralmente soffocati dal «formalismo» vuoto delle cerimonie, giacché, incapace di distinguere l’essenziale dall’accidentale (e i libri a cui egli fa capo sono del resto assai lontani dal poterlo aiutare, perché in genere essi contengono una mescolanza inestricabile di elementi, qualche volta forse intenzionale, altre volte involontaria), il «magista» si interesserà naturalmente soprattutto all’aspetto esteriore, che più lo colpisce e che è più «impressionante»; e in fondo è questo che giustifica il nome stesso di «magia cerimoniale». Di fatto, la maggior parte di coloro che in questo modo credono di «fare della magia», in realtà non fanno nient’altro che autosuggestionarsi in modo puro e semplice; la cosa più strana che accade è però che le cerimonie riescono a influire, non soltanto sugli spettatori, se ce ne sono, ma su coloro stessi che le eseguono, i quali, quando sono sinceri (è solo di questo caso che dobbiamo occuparci, non dovendo tener conto dei casi in cui intervenga l’impostura) sono veramente, come dei bambini, vittime del loro proprio gioco. Costoro non ottengono perciò, e non possono ottenere, se non effetti di natura esclusivamente psicologica, vale a dire della stessa natura di quelli che in generale producono le cerimonie, e che sono del resto tutta la ragion d’essere di queste ultime; ma anche quando siano rimasti sufficientemente coscienti di quel che succede in loro e attorno a loro da rendersi conto che tutto non si riduce che a questo, essi sono ben lontani dal sospettare che, se le cose stanno così, è solo a causa della loro incapacità e della loro ignoranza. Allora si ingegnano di costruire teorie in accordo con le concezioni più moderne – che in tal modo si accostano, loro malgrado, a quelle della stessa «scienza ufficiale» – per spiegare che la magia e i suoi effetti appartengono totalmente alla sfera psicologica, così come altri dicono dei riti in generale; il male è che ciò di cui parlano non è affatto la magia, dal cui punto di vista effetti simili sono perfettamente nulli e inesistenti, e che, confondendo i riti con le cerimonie, confondono anche la realtà con ciò che ne è soltanto caricatura o parodia; e se gli stessi «magisti», sono ridotti a questo, come stupirsi che confusioni di tal genere prendano poi corpo nel «gran pubblico»?
Queste annotazioni saranno sufficienti, da un lato per ricollegare il caso delle cerimonie magiche a quel che abbiamo detto all’inizio sulle cerimonie in generale, e dall’altro per far vedere da dove provengano alcuni dei principali errori moderni che riguardano la magia. Certamente «fare della magia» – foss’anche nel modo più autentico che possa esserci – non è un’occupazione che possa sembrarci molto degna d’interesse in sé e per sé; dobbiamo però riconoscere che si tratta di una scienza i cui risultati, checché si possa pensare del loro valore, sono tanto reali nel loro ordine quanto quelli di qualsiasi altra scienza, e non hanno niente in comune con illusioni e vaneggiamenti «psicologici». Quel che bisogna è che si sappia per lo meno determinare la vera natura di ogni cosa e situarla nel posto che le compete, ma è proprio questo che la maggior parte dei nostri contemporanei si dimostra totalmente incapace di fare, e quello che già abbiamo avuto occasione di chiamare lo «psicologismo», ossia quella tendenza a tutto ricondurre a interpretazioni psicologiche di cui qui abbiamo un esempio assai evidente, non è – fra le manifestazioni tipiche della loro mentalità – una delle meno bizzarre e delle meno significative; in fondo, essa non è del resto che una delle forme più recenti che abbia assunto l’«umanesimo», vale a dire la tendenza più generale dello spirito moderno a pretendere di tutto ridurre a elementi puramente umani.



[1] I libri sacri, o per lo meno alcuni fra di essi, possono essere «poemi» in tale senso, ma certo non lo sono nel senso «letterario» in cui pretendono che lo siano i «critici» moderni, i quali così facendo vogliono nuovamente ricondurli a un livello puramente umano.
[2] Le sole vestigia di poesia magica che si possano trovare ancora attualmente in Occidente fanno parte di quelle che i nostri contemporanei hanno convenuto di chiamare le «superstizioni popolari»; in effetti è nella stregoneria delle campagne che se ne incontrano principalmente.
[3] Cfr. Il Regno della Quantità e i Segni dei Tempi, capp. XXVI e XXVII.

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