"…la dottrina è infallibile, è a causa del fatto che essa è un’espressione della verità, la quale, in se stessa, è assolutamente indipendente dagli individui che la ricevono e che la comprendono. La garanzia della dottrina risiede in definitiva nel suo carattere «non-umano»". René Guénon, Considerazioni sull’iniziazione, cap. "Sull’infallibilità tradizionale"

venerdì 14 novembre 2014

Ibn ‘Arabî, Fusûs al-Hikam: La sapienza divina (al-hikmat al-ilâhiyah) nel Verbo di Adamo

Ibn ‘Arabî
Fusûs al-Hikam - La saggezza dei Profeti

La sapienza divina (al-hikmat al-ilâhiyah) nel Verbo di Adamo*

Dio (al-haqq) volle vedere le essenze (a'yan)[1] dei suoi nomi perfettissimi (al-asma al-husna), che il numero non può esaurire - e se vuoi, puoi anche dire: Dio volle vedere la propria essenza ('ayn)[2] - in un oggetto (kawn) totale che, essendo dotato dell'esistenza (al-wujûd)[3], riassuma l'intero ordine divino (al-amr)[4], per manifestare cosf il suo mistero (sirr) a Se stesso[5].
Difatti la visione (ru'yah)[6] che l'essere[7] ha di sé in se stesso non è uguale a quella offertagli da un'altra realtà di cui fa uso come di uno specchio: esso vi si manifesta a se stesso nella forma derivante dal «luogo» della visione; questa non esisterebbe senza tale «piano di riflessione» e il raggio che vi si riflette. Dio ha dapprima creato il mondo intero come una cosa amorfa[8] e priva di grazia[9], e simile a uno specchio che non è stato ancora levigato[10]; ora una regola dell'attività divina è quella di non preparare alcun «luogo» senza che questo riceva uno Spirito divino, la qual cosa è espressa [nel Corano] dall'insufflazione dello Spirito divino in Adamo[11]; e ciò non è altro [in una prospettiva complementare alla prima] che l'attualizzazione della predisposizione (al-isti'dâd) posseduta da una determinata forma, preliminarmente disposta, a ricevere l'effusione (al-fayd)[12] inesauribile della rivelazione (at-tajallî)[13] essenziale.
Quindi [fuori dalla realtà divina] vi è soltanto un puro ricettacolo (qâbil)[14]; ma anch'esso proviene dall’«Effusione santissima» (al-fayd al-aqdas) [cioè dalla manifestazione principiate, metacosmica, dove le «essenze immutabili» sono divinamente «concepite», prima della loro apparente proiezione nell'esistenza relativa][15]. L'intera realtà (al-amr)[16] infatti, dal principio alla fine, deriva unicamente da Dio, e a Lui ritorna[17]. Perciò l'ordine divino (al-amr) esigeva la chiarificazione dello specchio del mondo; e Adamo divenne la chiarezza stessa di questo specchio e lo spirito di questa forma[18].
Circa gli angeli [di cui si parla nel racconto coranico della creazione di Adamo][19], essi rappresentano alcune facoltà di quella «forma»[20] del mondo chiamata dai sufi il «Grande Uomo» (al-insân al-kabîr), cosicché gli angeli sono per questa ciò che le facoltà spirituali e fisiche sono per l'organismo umano[21]. Ciascuna di tali facoltà [cosmiche] è come velata dalla propria natura; non concepisce nulla che sia superiore alla propria essenza [relativa], poiché vi è in essa qualcosa che pretende d'essere degna di grado elevato e di ogni dimora eccelsa presso Dio. È cosi dal momento che essa partecipa [in un certo modo] alla sintesi divina (al-jam'îyat al-ilâhiyah)[22] che regge quanto proviene, sia dal lato divino (al-janâb al-ilahî)[23], sia da quello della Realtà delle realtà (haqîqat al-haqâiq)[24], sia ancora - per mezzo di quest'organismo, sostegno di ogni facoltà - dalla Natura universale (tabî’at al-kull)[25], che include tutti i ricettacoli (qawâbil) del mondo, da cima a fondo[26]. Ma la ragione discorsiva non comprenderà mai ciò, giacché tale ordine di conoscenza deriva unicamente dall'intuizione divina (al-kashf al-ilahî); solo grazie a questa si conoscerà la radice delle forme del mondo, in quanto sono ricettive nei confronti degli spiriti che le governano[27].
Cosi l'essere [adamitico] fu denominato «uomo» (insân) e «vicario » (khalîfah) di Dio. Circa la sua qualità d'uomo, essa ne definisce la natura sintetica [comprendente virtualmente tutte le altre nature create] e la capacità di contenere tutte le verità essenziali. L'uomo è per Dio (al-haqq) ciò che la pupilla è per l'occhio [la pupilla in arabo è detta «l'uomo nell'occhio»], poiché la pupilla è lo strumento dello sguardo; difatti per il suo tramite [ossia mediante l'Uomo universale] Dio contempla la sua creazione e le dispensa la sua misericordia. Tale è l'uomo a un pari effimero ed eterno, essere creato perpetuo e immortale, Verbo discriminante [per la sua conoscenza distintiva] e unente [per la sua essenza divina][28]. Con la sua esistenza il mondo fu compiuto. Egli è per il mondo quello che il castone è per l'anello: il castone reca il sigillo che il re imprime sulle casse del tesoro; e perciò l'uomo [universale] è detto il vicario di Dio, del quale custodisce la creazione, come si custodiscono i tesori con un sigillo: finché il sigillo del re è impresso sulle casse del tesoro, nessuno osa aprirle senza il suo permesso; cosi l'uomo si vede affidata la tutela divina del mondo, e il mondo non cesserà di essere custodito fino a quando vi dimorerà l'Uomo universale (al-insân al-kâmil). Non vedi che appena egli scomparirà e sarà tolto dalle casse del nostro mondo, nulla rimarrà di quanto Dio conservava in esse, e ne uscirà tutto ciò che contenevano, ogni parte raggiungendo la sua parte [corrispondente], e il tutto verrà trasferito nell'al di là, dove [l'Uomo universale] sarà perpetuamente il sigillo sulle cassse dell'altro mondo?
Tutto quel che è contenuto nella «forma divina», ossia la totalità dei nomi [o qualità universali], si manifesta in questa struttura umana, che quindi si distingue [dalle altre creature] a motivo dell'integrazione [simbolica] dell'intera esistenza. Da qui l'argomento divino di condanna per gli angeli [che non capivano la ragione d'essere né la superiorità intrinseca di Adamo]; rammentalo,
Dio infatti ti esorta con l'esempio altrui, e considera come il giudizio colpisca colui che esso colpisce. Gli angeli non comprendevano cosa comportasse l'istituzione del vicario [di Dio in terra], e neppure cosa implicasse l'adorazione essenziale (dhâtiyah) di Dio, giacché ognuno conosce di Dio solamente quanto arguisce da sé. Ora gli angeli non posseggono la natura totale di Adamo; non attuavano dunque i nomi divini la cui conoscenza è il privilegio di tale natura e mediante i quali questa «loda» Dio [affermandone gli aspetti di bellezza e di bontà] e lo «proclama santo» [attestandone la trascendenza essenziale]; essi non sapevano che Iddio possiede nomi che si sottraggono alla loro conoscenza e con cui non lo possono pertanto né «lodare» né
«proclamare santo».
Gli angeli furono vittime della propria limitazione quando dissero, circa la creazione [di Adamo sulla terra]: «Vuoi porre in essa qualcuno che semini la corruzione?». Ma cos'è questa corruzione se non la rivolta, quindi appunto ciò che proprio essi manifestavano? Quanto dicevano di Adamo conviene al loro atteggiamento verso Dio. Se tale possibilità [di rivolta] non fosse per altro nella loro natura, non l'avrebbero inconsapevolmente affermata a proposito di Adamo; se avessero avuto la conoscenza di se stessi, sarebbero stati esenti, in virtu di questa conoscenza, dalle limitazioni che subirono; non avrebbero insistito [nella loro accusa ad Adamo] fino a menar vanto della propria «lode» di Dio e di quello con cui lo «proclamavano santo», mentre Adamo attuava i nomi divini che gli angeli ignoravano, cosicché né la loro «lode» (tasbîh) né la loro «proclamazione della santità divina» (taqdîs) erano simili a quelle d'Adamo.
Iddio ci descrive ciò affinché siamo cauti e apprendiamo il retto atteggiamento nei suoi confronti - a Lui la lode – liberi da pretese su quanto abbiamo attuato o capito con la nostra scienza individuale; come potremmo d'altronde pretendere di possedere qualcosa che ci oltrepassa [nella sua realtà universale] e che non conosciamo [essenzialmente]? Sii dunque attento a questo ammaestramento divino sul modo con cui Dio punisce i suoi servi piu obbedienti e piu fedeli, i suoi rappresentanti piu vicini [secondo la gerarchia generale degli esseri].
Torniamo ora alla sapienza [divina in Adamo]. Al riguardo possiamo dire che le idee universali (al-umûr al-kulliyah)[29], le quali non hanno evidentemente in sé un'esistenza individuale, sono tuttavia presenti, in maniera intelligibile e distinta, nella mente; esse rimangono sempre interiori rispetto all'esistenza individuale, ma determinano tutto ciò che le appartiene. Inoltre quanto esiste individualmente è soltanto [l'espressione di] tali idee universali, senza che cessino per questo d'essere in sé puramente intelligibili. Sono pertanto esteriori in quanto determinazioni implicate nell'esistenza individuale e, d'altra parte, interiori in quanto realtà intelligibili. Tutto quello che esiste individualmente procede dalle idee, che rimangono nondimeno inseparabilmente unite all'intelletto e non possono essere individualmente manifestate in modo da uscire dalla loro esistenza puramente intelligibile, si tratti di manifestazione individuale nel tempo o fuori da esso[30]; difatti la relazione tra l'essere individuale e l'idea universale è sempre la medesima, sia l'essere sottoposto o meno alla condizione temporale. Ma l'idea universale assume a sua volta certe condizioni proprie delle esistenze individuali, a seconda delle realtà (haqâiq) che definiscono le esistenze stesse. È cosi, ad esempio, per la relazione che unisce la conoscenza e il conoscitore o la vita e il vivente: la conoscenza e la vita sono realtà intelligibili, distinte tra loro; ora noi affermiamo che Dio è conoscitore e vivente, e affermiamo pure che l'angelo è conoscitore e vivente, e altrettanto diciamo dell'uomo; in questi casi la realtà intelligibile della conoscenza o quella della vita rimane la medesima, e la sua relazione col conoscitore e col vivente è ogni volta identica; eppure si dice che la conoscenza divina è eterna e quella dell'uomo effimera; vi è quindi in questa realtà intelligibile qualcosa d'effimero per la sua dipendenza da una condizione [limitativa]. Considera tale interdipendenza tra le realtà ideali e quelle individuali[31]: come la conoscenza determina colui che vi partecipa - è detto infatti conoscitore - cosi ciò che è caratterizzato dalla conoscenza la determina a sua volta, di modo che questa è effimera in connessione con l'effimero ed eterna in connessione con l'eterno; e ciascun aspetto è, nei confronti dell'altro, insieme determinante e determinato. Ovviamente le idee universali, malgrado la loro intelligibilità, non hanno in sé esistenza [propria], ma posseggono soltanto un'esistenza principiate; del pari quando sono attribuite agli individui, esse ne accettano la condizione (hukm) senza tuttavia assumerne la distinzione e la divisibilità; sono interamente presenti in ogni cosa da esse caratterizzata, come l'umanità [la qualità di uomo], per esempio, è totalmente presente in ogni essere particolare di quella specie senza subire la distinzione e il numero che concernono gli individui, e senza cessare d'essere in sé una realtà meramente intellettuale.
Ora, dal momento che vi è interdipendenza tra quanto ha un'esistenza individuale [o sostanziale] e quanto non l'ha ed è, a rigor di termini, solo una relazione non esistente[32] come tale, è facile capire che gli esseri sono uniti tra loro; poiché in questo caso vi è sempre un termine intermedio, ossia l'esistenza in sé, mentre nel primo caso la reciproca relazione esiste nonostante l'assenza di un termine intermedio.
Indubbiamente l'effimero è concepibile in quanto tale, cioè nella sua natura caduca e relativa, unicamente in connessione con un principio da cui deriva la propria possibilità, cosicché non possiede in se stesso l'essere, ma lo riceve da un altro cui è legato per la sua dipendenza. E certamente questo principio è in sé necessario, è sussistente per se stesso e indipendente, nel suo essere, da ogni altra cosa. Appunto questo principio, mediante la sua stessa essenza, conferisce l'essere all'effimero che ne dipende.
Ma giacché [il principio] esige di per sé [l'esistenza] dell'[essere] effimero, questo si rivela, in tale prospettiva, [non solamente « possibile » bensì anche] «necessario». E poiché l'effimero dipende essenzialmente dal suo principio, deve anche apparire nella «forma» [qualitativa] di questo in tutto ciò che ne deriva, come i nomi e le qualità, ad eccezione tuttavia dell'autonomia principiale che non conviene all'essere effimero, sebbene sia «necessario»; difatti è necessario in virtu di un altro, non di se stesso.
Dato che l'essere effimero manifesta la «forma» dell'eterno, proprio attraverso la contemplazione dell'effimero Dio ci comunica la conoscenza di Sé; Egli dice [nel Corano] che ci mostra i suoi «segni» nell'effimero [«Mostreremo loro i nostri segni sugli orizzonti e in loro stessi... », XLI, 53]. Movendo da noi stessi perveniamo a Lui; non attribuiamo a Lui alcuna qualità senza essere noi stessi questa qualità, con l'eccezione dell'autonomia principiate.
Giacché lo conosciamo attraverso di noi e a principiare da noi, attribuiamo a Lui tutto ciò che attribuiamo a noi stessi, e appunto per questo d'altronde ci fu data la rivelazione per bocca degli interpreti [ossia dei profeti] e Dio si descrisse a noi per mezzo di noi. Contemplandolo ci contempliamo, e contemplandoci Egli si contempla, quantunque siamo evidentemente numerosi come individui e generi; noi siamo uniti, è vero, in una sola e medesima realtà essenziale, ma esiste nondimeno una distinzione tra individui, diversamente non vi sarebbe, per altro, molteplicità nell'unità.
Parimente, sebbene siamo qualificati in tutti gli aspetti dalle qualità che spettano a Dio medesimo, vi è [tra Lui e noi] una differenza certa, cioè la nostra dipendenza da Lui, per quanto concerne l'Essere, e la nostra conformità essenziale a Lui, a motivo della nostra stessa possibilità; ma Egli è indipendente da tutto ciò che ci fa indigenti. In questo senso vanno comprese l'eternità senza inizio (al-azal) e l'antichità (al-qidam) di Dio, che aboliscono d'altronde la priorità (al-awwaliyah) divina significante il passaggio dalla non esistenza all'esistenza: quantunque Dio sia il Primo (al-awwal) e l'Ultimo (al-âkhir), non può essere detto il Primo nel significato temporale, poiché sarebbe allora l'Ultimo nella stessa accezione; ora le possibilità di manifestazione non hanno fine: sono inesauribili. Dio è chiamato l'Ultimo perché ogni realtà alla fine torna a Lui, dopo essere stata riferita a noi: la sua qualità di Ultimo è cosi essenzialmente la sua qualità di Primo, e viceversa.
Sappiamo inoltre che Dio si è descritto come l'«Esteriore» (az-zâhir) e come l'«Interiore » (al-bâtin), e che ha manifestato il mondo a un tempo come interiore e come esteriore, affinché conoscessimo l'aspetto «interiore» [di Dio] con il nostro interiore, e quello «esteriore» con il nostro esteriore. Egli si è descritto del pari con le qualità della clemenza e della collera, e ha manifestato il mondo come un luogo di timore e di speranza, affinché temessimo la sua collera e sperassimo nella sua clemenza. Si è descritto con la bellezza e la maestà e ci ha dotati di timore reverenziale (al-haybah) e d'intimità (al-uns). Così per tutto ciò che si riferisce a Lui e con cui si è designato. Egli ha simboleggiato queste coppie di qualità [complementari] nelle due mani che protese verso la creazione dell'Uomo universale, il quale riunisce in sé tutte le realtà essenziali (haqâiq) del mondo, sia nella sua totalità che in ciascuno dei suoi individui. Il mondo è l'apparente, e il vicario [di Dio in esso] è l'occulto. In questo modo il sultano rimane invisibile, e in tal senso Dio dice di nascondersi dietro veli di tenebre - ossia i corpi naturali - e veli di luce - ossia gli spiriti sottili[33] - poiché il mondo si compone di sostanza grossa (kathîf) e di sostanza sottile (latîf).
[Il mondo] fa da velo a se stesso, cosicché non può vedere Dio proprio perché vede sé; non può mai liberarsi da solo del velo, pur sapendo di essere connesso, a motivo della dipendenza, col suo Creatore. Il mondo infatti non partecipa all'autonomia dell'Essere essenziale, di modo che non lo concepisce mai. In questo aspetto Dio rimane sempre sconosciuto, sia all'intuizione che alla contemplazione, giacché l'effimero non può agire su ciò [vale a dire sull'eterno].
Quando Dio disse a Iblis: «...cosa t'impedisce di prosternarti dinanzi a colui che ho creato con le mie due mani?»[34], la menzione delle due mani indica un privilegio per Adamo; Dio allude così all’unione in Adamo delle due forme, cioè la forma del mondo [analoga alle qualità divine passive] e la «forma divina» [analoga alle qualità divine attive], che sono le due mani di Dio[35]. Quanto a Iblis, egli non è che un frammento del mondo; non ricevette la natura sintetica in virtù della quale Adamo è il vicario di Dio. Se Adamo non fosse manifestato nella «forma» di Colui che gli affidò la sua funzione vicariale sugli altri, non sarebbe il suo vicario; e se non contenesse tutto quello di cui abbisogna il gregge che deve custodire - difatti da lui dipende il gregge, ed egli deve provvedere a tutte le sue necessità – non sarebbe il vicario di Dio per le altre [creature].
La dignità vicariale di Dio spetta unicamente all'Uomo universale, la cui forma esteriore è creata dalle realtà (haqâiq) e dalle forme del mondo, e quella interiore corrisponde alla «forma» di Dio [cioè alla «somma» dei nomi e delle qualità divine]. Per questo Iddio ha detto di lui: «Io sono il suo udito e la sua vista», non ha detto: «il suo occhio e il suo orecchio», ma ha distinto tra le due «forme»[36].
Lo stesso avviene per ogni essere del mondo nell'ottica della sua realtà [trascendente]; tuttavia nessun essere contiene una sintesi simile a quella che contraddistingue il vicario, che supera gli altri soltanto in virtu di tale sintesi.
Se Dio non penetrasse con la sua «forma»[37] l'esistenza, il mondo non sarebbe; cosi gli individui non sarebbero determinati se non vi fossero le idee universali. L'esistenza del mondo, secondo questa verità, consiste nella sua dipendenza da Dio. In realtà ognuno dipende [dall'altro: la «forma divina» da quella del mondo, e viceversa], nessuno è indipendente [dall'altro]; è la pura verità, non ci esprimiamo con metafore. D'altronde, quando parlo di quanto è assolutamente indipendente, sai cosa voglio significare con ciò [ossia l'Essenza infinita e incondizionata]. Ognuno [sia la «forma divina» che il mondo] è dunque unito all'altro, e nessuno può essere separato dall'altro, capite bene quel che vi dico!
Ora conosci il significato spirituale della creazione del corpo d'Adamo, cioè della sua forma apparente, e della «creazione» del suo spirito, che è la sua «forma» interiore. Adamo è quindi a un pari Dio e creatura. E hai compreso quale sia il suo grado [cosmico], vale a dire quello della sintesi [di tutte le qualità cosmiche]; e grazie a tale sintesi è il vicario di Dio.
Adamo è l'«anima unica» (an-nafs al-wâhidah) da cui fu creato il genere umano, secondo la parola divina [nel Corano]: « O voi, uomini, temete il vostro Signore che vi ha creato da un'anima unica, creando da questa la sua compagna, e diffondendo da tale coppia molti uomini e donne» (IV, l). Le parole « temete il vostro Signore» significano: fate della vostra forma apparente una protezione per il vostro Signore, e fate del vostro interiore - ossia del vostro Signore - una protezione per voi medesimi; ogni atto [o ogni ordine divino] consiste in biasimo e in lode [in negazione e in affermazione]; siate pertanto la sua protezione nel biasimo [cioè in quanto creature limitate] e prendetela come protettore nella lode[38], affinché abbiate, tra tutti gli esseri, l'atteggiamento piu retto [verso Dio].
Dopo averlo creato, Dio fece vedere ad Adamo tutto quello che aveva posto in lui; ed Egli tenne il tutto nelle sue due mani: l'una conteneva il mondo, l'altra Adamo e i suoi discendenti, poi indicò a questi i gradi che occupano nell'interno di Adamo[39].
Poiché Iddio mi mostrò quanto immise nel procreatore primordiale, ne ho qui trascritto la parte attribuitami, e non tutto quello che ho attuato; difatti nessun libro né il mondo attuale possono contenere ciò. Tra le cose da me contemplate e che poterono essere trascritte in questo libro, nella misura attribuitami dall'Inviato di Dio - su di lui la benedizione e la pace! - vi era la sapienza divina nel verbo di Adamo: di essa si tratta nel capitolo.

* Traduzione di Titus Burckhardt, La Sapienza dei Profeti, Edizioni Mediterranee, Roma, 1982; Versione italiana di Giorgio Jannaccone.

[1] Traduciamo a'yan con «essenze», poiché si tratta delle essenze dei nomi in contrapposizione alle loro forme verbali o ideali. L'oggetto della «visione» divina risiede nelle possibilità essenziali che corrispondono ai «nomi perfettissimi», cioè gli « aspetti » universali e permanenti dell'Essere. Quando si parla dell'Essenza una e sola di tutti i nomi o qualità divine, si usa il termine adh-dhât.

[2] La parola al-'ayn (singolare di a'yân) comporta i significati di «determinazione essenziale», «essenza personale», «archetipo», «occhio», «sorgente». La frase significa pertanto che Dio volle vedere Se stesso, con la restrizione che la sua «visione» non si riferisce alla sua Essenza assoluta (adh-dhât), che trascende ogni determinazione perfino principiale, bensi alla sua determinazione immediata ('aynah), al suo «aspetto personale», che è appunto caratterizzato dalle qualità perfette la cui espressione sono i nomi.

[3] O dell'Essere, il termine al-wujûd ha infatti i due significati. Qualche manoscritto reca la variante: «...essendo provvisto di volti (al-wujûd)...», ossia di molteplici «piani di riflessione» che differenziano l'irradiamento (at-tajalli) divino.

[4] L'ordine divino è simboleggiato dalla parola «sii!» (kun), ed è quindi ipentico al principio dell'esistenza.

[5] Allusione alla parola divina (hadith qudsi) rivelata per bocca del Profeta: «Ero un tesoro nascosto, ho voluto essere conosciuto (o conoscere) e ho creato il mondo».

[6] L'atto visivo è assunto a simbolo della conoscenza nella sua natura universale.

[7] Letteralmente «la cosa» (ash-shay'). lbn 'Arabi adopera il vocabolo «cosa» per designare una realtà che non vuole definire in alcun modo; egli non dice «l'Essenza» (adh-dhât), per non affermare la trascendenza e la non manifestazione di ciò di cui si parla, e neppure dice « l'Essere o «l'esistenza» (al-wujûd), per non farne risaltare l'immanenza e la manifestazione.

[8] Od «omogenea» (musawwi), cioè non recante ancora l'impronta qualitativa e differenziata dello Spirito.

[9] Rawh: «grazia», «libertà»; alcuni leggono ruh, «spirito».

[10] E il caos primordiale, dove le possibilità di manifestazione, ancora virtuali, si confondono nell'indifferenziazione della loro materia.

[11] «E quando l'avrò formato e avrò insufflato in lui il mio Spirito…» (Cor., XV, 29).

[12] L'immagine di un'«effusione», di un «traboccamento» o di una «emanazione» dell'Essere (al-wujûd) o della luce divina (an-nûr) nelle «forme» ricettive del mondo non va considerata come un'emanazione sostanziale, poiché l'Essere - o la luce divina increata - non procede fuori da se stesso. L'immagine esprime invece la sovrana sovrabbondanza della realtà divina, che dispiega e illumina le possibilità relative del mondo, quantunque sia «ricca in se stessa» (ghanî binafsih) e l'esistenza del mondo non aggiunga nulla alla sua infinità. Il simbolismo dell'«effusione» (al-fayd) divina
si riferisce alla parola del Profeta: «Dio creò il mondo nelle tenebre, poi versò (afâda) su di esso la sua luce».

[13] At-tajallî significa «rivelazione» (in un senso generico), «svelamento» e «irradiamento»: quando il sole, coperto di nubi, si «svela», la sua luce «irradia» sulla terra.

[14] Il ricettacolo corrisponde, nella prospettiva cosmologica, alla sostanza passiva, la materia prima o principio plastico di un mondo o di un essere. Il ricettacolo che, nella visuale puramente metafisica, si contrappone - in maniera del tutto principiale e logica - all'«effusione» incessante del l'Essere, si riduce alla possibilità principiale, l'archetipo o l'«essenza immutabile» (al-a'yn ath-thâbitah) di un mondo o di un essere.

[15] Il passo è cosi spiegato dal sufi persiano Nûr ad-din 'Abd ar-Rahmân Jamî: «La maestà di Dio (al-haqq) si rivela in due modi: l'uno, che corrisponde alla rivelazione interiore, puramente intelligibile, denominato dai sufi l'Effusione santissima, consiste nell'autorivelazione di Dio che si manifesta dall'eternità a Se stesso nella forma degli archetipi e di ciò che questi implicano come caratteri e capacità; l'altro è l'epifania esteriore, oggettiva, detta l'Effusione santa (al-fayd al-muqaddas), e consiste nella manifestazione di Dio mediante l'impronta degli stessi archetipi. La seconda rivelazione è susseguente alla prima, ed è il teatro dove compaiono le perfezioni che, secondo la prima rivelazione, sono virtualmente contenute nei caratteri e nelle capacità degli archetipi» (Lawaih, cap. XXX, testo persiano e traduzione inglese editi da E.H. Whinfield e Mirza Muhammad Kazvini, «Oriental Translation Fund» della Royal Asiatic Society, new series vol. XVI). Nel testo citato le espressioni «forme» o «caratteri», riferite agli archetipi,
vanno comprese come semplici «allusioni», poiché gli archetipi o «essenze immutabili» sono evidentemente al di là di qualunque individuazione o distinzione formale.

[16] La parola amr significa anzitutto «ordine», «comando», ma comporta inoltre il senso di «realtà» e di «atto». L'ordine divino «sii!», corrisponde all'atto puro.

[17] «A Lui appartiene il regno dei cieli e della terra. A Dio le realtà faranno ritorno» (al-umur, ossia le realtà increate delle creature) (Cor., LVII, 5).

[18] Nel testo originale tutta la parte iniziale del capitolo, fino alla parola soprascritta, forma una sola frase con piu proposizioni incidentali; è un insieme logico che descrive tutti gli aspetti essenziali della manifestazione divina.

[19] «E quando il tuo Signore disse agli angeli: In verità, costituirò un vicario in terra, risposero: Porrai in essa qualcuno che seminerà la corruzione e verserà il sangue, mentre noi celebriamo le tue lodi e proclamiamo la tua santità? Iddio rispose: In verità, Io so ciò che non sapete. E insegnò ad Adamo tutti i nomi, poi li mostrò agli angeli dicendo: Fatemi
sapere i loro nomi, se siete veridici! Risposero: Gloria a te, non abbiamo scienza fuorché quella che ci hai insegnato, poiché Tu sei il Conoscitore, il Sapiente! Disse Dio: O Adamo, fa' conoscere ad essi i loro nomi! E quando li ebbe fatti conoscere, Egli disse: Non vi avevo detto che conosco il segreto dei cieli e della terra e so ciò che manifestate e ciò che celate? E quando dicemmo agli angeli: Prosternatevi dinanzi ad Adamo, si prosternarono tutti tranne Iblis [il diavolo], che rifiutò, s'inorgoglì e divenne infedele» (Cor., II, 30-34).

[20] L'espressione «forma» (çurah) viene usata, come altre, molto liberamente dagli autori sufici, è infatti suscettibile di diverse trasposizioni al di là del suo significato più rigoroso di «delimitazione»; la forma di una cosa comporta un aspetto meramente qualitativo, la qualità essendo di natura essenziale; d'altra parte in quanto la forma di un essere si contrappone al suo spirito, essa è riducibile simbolicamente alla funzione ricettiva della materia.

[21] Secondo l'adagio sufico: «L'uomo è un piccolo cosmo, e il cosmo è come un grande uomo».

[22] L'unicità divina, in virtu della quale ogni essere è unico.

[23] Il «lato divino» è la somma delle qualità divine, la Divinità in quanto crea e domina il mondo (il «lato creaturale »).

[24] La «Realtà delle realtà» o «Verità delle verità» corrisponde al Verbo (Logos) come «luogo» di tutte le possibilità di manifestazione. Essa è l'eterno mediatore, la «realtà mohammediana » (al-haqîqat al-muhammadiyah), l’«istmo» (barzakh) sia tra l'Essere puro e l'esistenza relativa che tra la non manifestazione e la manifestazione. È il prototipo di tutte le cose, e non vi è nulla che non porti la sua impronta.

[25] La Natura universale è il potere ricettivo universale, la «matrice» del cosmo. La Natura, secondo i cosmologi ellenizzanti, si riduce al principio plastico del mondo formale, alla radice dei quattro elementi e delle quattro qualità sensibili, che reggono tutti i mutamenti d'ordine fisico. Ibn 'Arabi, trasponendo gli elementi nell'ordine cosmico totale, attribuisce alla Natura una funzione molto piu ampia, coestensiva a tutta la manifestazione, compresi gli stati angelici. Essa è cosi l'equivalente di quello che gli Indu definiscono Mâyâ o la Shakti universale, aspetto materno e dinamico di Prakriti, la sostanza o materia prima. Aggiungiamo tuttavia che questo principio non ha, nell'insegnamento di Ibn 'Arabi, lo stesso compito fondamentale che assume nella dottrina advaitica, giacché l'Islam considera le funzioni produttrici dell'universo in un modo eminentemente «teocentrico».

[26] La creatura «pretende» quindi alla totalità in virtu al tempo stesso della sua origine divina, del suo prototipo universale e della sua
radice naturale.

[27] 'Abd ar-Razzâq al-Qashânî precisa che la ragione, anch'essa generata dalla polarità tra l'attivo e il passivo, tra l'ordine divino (al-amr) e la Natura (at-tabî'ah), non può superare questa polarità e la comprende «dall'alto».

[28] Questi sono due aspetti di ogni parola rivelata, e ad essi si riferiscono le due definizioni del Corano come «recitazione» (al-qur'ân) e come «discriminazione» (al-furqân).

[29] Gli «universali» della Scolastica.

[30] Nel linguaggio adottato qui da Ibn 'Arabi, l'idea di «esistenza individuale» (wujûd 'aynî) può essere simbolicamente trasposta al di là della condizione formale, che è l'ambito dell'individuazione vera e propria. Cosi, per esempio, un angelo non è un «individuo», perché non rappresenta una variante all'interno di una specie; tuttavia tale argomentazione s'addice anche agli angeli.

[31] Al-mawjûdat al-'ayniyah: le esistenze - o realtà - individuali o sostanziali; vedasi la nota precedente.

[32] Ossia non manifestata.

[33] Secondo la parola del Profeta: «Dio si nasconde mediante settantamila veli di luce e di tenebre; se Egli li togliesse, le folgorazioni del suo volto consumerebbero chiunque lo guardi».

[34] Cor., XXXVIII, 75.

[35] S'incontra il simbolismo delle due mani di Dio nella Cabala, soprattutto nello Zohar, dove sono paragonate al «cielo» e alla «terra» come principi attivo e passivo della manifestazione.

[36] Conformemente alla sentenza divina rivelata dal Profeta (hadith qudsi): «Il mio servo non può avvicinarsi a me con qualcosa che mi piaccia più di quanto gli impongo. Il mio servo s'avvicina a me senza posa con opere facoltative finché l'amo; e quando l'amo, Io sono l'udito con cui ode, la vista con cui vede, la mano con cui afferra e il piede con cui cammina; se egli mi prega, gli do certamente, e se richiede il mio aiuto, certamente lo aiuto» (citato da ai-Bukhari secondo Abu Hurayrah).

[37] L'espressione «forma» è analoga nel contesto alla nozione peripatetica di forma (eidos), cioè di tipo qualitativo; rammentiamo che la qualità può essere trasposta nell'universale puro. In relazione alla parola del Profeta: «Dio creò Adamo nella sua forma (çurah)», il Sufismo denomina «forma divina» l'insieme delle qualità perfette con cui Dio si rivela nell'universo.

[38] Commenta ai-Qashâni: «Prendetelo come tutela nella lode attribuendo a voi le limitazioni e a Dio tutte le qualità positive, conformemente al detto coranico: - Ogni bene che ti tocca viene da Dio, e ogni male che ti coglie viene da te stesso - (Cor., IV, 79)».


[39] Secondo la narrazione coranica: «E quando il tuo Signore trasse dalle reni dei figli d'Adamo i loro discendenti e li fece testimoni contro se stessi: Non sono lo il vostro Signore? Essi risposero: Sì, l'attestiamo; questo affinché non diciate nel giorno della risurrezione: In verità, l'abbiamo trascurato» (VII, 172).