"…la dottrina è infallibile, è a causa del fatto che essa è un’espressione della verità, la quale, in se stessa, è assolutamente indipendente dagli individui che la ricevono e che la comprendono. La garanzia della dottrina risiede in definitiva nel suo carattere «non-umano»". René Guénon, Considerazioni sull’iniziazione, cap. "Sull’infallibilità tradizionale"

giovedì 27 novembre 2014

René Guénon, Il Regno della Quantità e i Segni dei Tempi - 20. Dalla sfera al cubo

René Guénon
Il Regno della Quantità e i Segni dei Tempi 

20. Dalla sfera al cubo

Dopo aver dato alcune «illustrazioni» di quella che è stata da noi denominata la «solidificazione» del mondo, ci rimane ancora da parlare della sua rappresentazione secondo il simbolismo geometrico, nel quale essa può essere raffigurata come un passaggio graduale dalla sfera al cubo; di fatto, e in primo luogo, la sfera è veramente la forma primordiale, in quanto è la meno «specificata» di tutte perché simile a se stessa in tutte le direzioni, sicché, in un movimento di rotazione qualsiasi intorno al proprio centro, tutte le sue posizioni successive sono sempre rigorosamente sovrapponibili l’una all’altra.[1]
Si tratta perciò, si potrebbe dire, della forma:più universale, contenente in qualche modo tutte le altre, le quali ne trarranno origine per differenziazioni effettuantisi secondo alcune particolari direzioni; è questa la ragione per cui la forma sferica è, in tutte le tradizioni, quella dell’ «Uovo del Mondo», la forma cioè della rappresentazione dell’insieme «globale», nel loro stato primitivo ed «embrionale», di tutte le possibilità che si svilupperanno nel corso di un ciclo di manifestazione.[2] È però importante segnalare che tale stato primitivo, per quanto riguarda il nostro mondo, appartiene propriamente all’ambito della manifestazione sottile, in quanto quest’ultima precede necessariamente la manifestazione grossolana e ne è come il principio immediato; è questa di fatto la ragione per cui la forma sferica perfetta, o la forma circolare che le corrisponde nella geometria piana (quale sezione della sfera mediante un piano di direzione qualsiasi), non si trova mai realizzata nel mondo corporeo.[3]
D’altra parte il cubo è, al contrario, la forma più «immobile» di tutte, se ci si permette quest’espressione, quella cioè che corrisponde al massimo di «specificazione»; tale forma è anche quella che viene riferita alla terra fra gli elementi corporei, e ciò in quanto la terra costituisce l’«elemento conclusivo e finale» della manifestazione in tale stato corporeo;[4] di conseguenza la forma cubica corrisponde altrettanto bene alla fine del ciclo di manifestazione, ovvero a ciò cui noi abbiamo dato il nome di «punto d’arresto» del movimento ciclico. Tale forma è perciò in qualche modo quella del «solido» per eccellenza,[5] e simboleggia la «stabilità», in quanto quest’ultima implica l’arresto di ogni movimento; è del resto evidente che un cubo adagiato su una delle sue facce è di fatto il corpo il cui equilibrio presenta la stabilità massima. Conviene osservare che questa stabilità, al termine del movimento discendente, non è e non può essere nient’altro che l’immobilità pura e semplice, la cui immagine più vicina nel mondo corporeo ci è fornita dal minerale; quest’immobilità, se potesse essere interamente realizzata, sarebbe propriamente, nel punto più basso, il riflesso capovolto di quel che è nel punto più alto l’immutabilità principiale. L’immobilità, o la stabilità intesa in questo modo, rappresentata dal cubo, si riferisce dunque al polo sostanziale della manifestazione, così come l’immutabilità, nella quale sono comprese tutte le possibilità nel loro stato «globale» rappresentato dalla sfera, si riferisce al suo polo essenziale;[6] è per questa ragione che il cubo simboleggia inoltre l’idea di «base» o di «fondamento», che corrisponde precisamente al polo sostanziale.[7] Segnaliamo subito che le facce del cubo possono esser considerate come orientate rispettivamente a due a due secondo le tre dimensioni della spazio, vale a dire come parallele ai tre piani determinati dagli assi che formano il sistema di coordinate a cui lo spazio è riferito e che permette di «misurarlo», cioè di realizzarlo effettivamente nella sua integralità; e poiché, secondo quanto da noi spiegato in altra sede, i tre assi che formano la croce a tre dimensioni debbono esser considerati come tracciati a partire dal centro di una sfera la cui espansione indefinita riempie l’intero spazio (ed i tre piani che determinano tali assi passano inoltre necessariamente per questo centro, che è l’«origine» di tutto il sistema di coordinate), si viene a stabilire la relazione esistente tra le due forme estreme della sfera e del cubo, relazione nella quale ciò che era interno e centrale nella sfera si ritrova in qualche modo «rovesciato» per costituire la superficie o l’esterno del cubo.[8]
D’altronde, il cubo rappresenta la terra in tutte le accezioni tradizionali della parola, vale a dire non solamente la terra in quanto elemento corporeo come abbiamo già detto, ma anche come un principio d’ordine ben più universale, quello che la tradizione estremo-orientale designa come la Terra (Ti) in correlazione con il Cielo (Tien): le forme sferiche o circolari sono ricondotte al Cielo, e le forme cubiche o quadrate alla Terra; poiché questi due termini complementari sono gli equivalenti di Purusha e di Prakriti nella dottrina indù, vale a dire che essi sono soltanto un’altra espressione dell’essenza e della sostanza intese in senso universale, ecco che si giunge esattamente alla stessa conclusione di prima; e del resto è evidente che, come le nozioni di essenza e di sostanza, lo stesso simbolismo è sempre suscettibile di applicarsi a livelli differenti, e quindi tanto ai principi di uno stato particolare d’esistenza quanto a quelli dell’insieme della manifestazione universale. Con queste forme geometriche si riconducono al Cielo e alla Terra anche gli strumenti che servono a tracciarli rispettivamente, cioè il compasso e la squadra, tanto nel simbolismo della tradizione estremo-orientale quanto in quello delle tradizioni iniziatiche occidentali;[9] e le corrispondenze di tali forme danno naturalmente luogo, in circostanze diverse, a molteplici applicazioni simboliche e rituali.[10]
Un altro caso in cui è posta in evidenza la relazione tra queste medesime forme geometriche è il simbolismo del «Paradiso terrestre» e della «Gerusalemme celeste», che abbiamo già avuto occasione di trattare in altra sede;[11] questo caso è specialmente importante dal punto di vista in cui ci poniamo al presente, poiché si tratta precisamente delle due estremità del ciclo attuale. Ora, la forma del «Paradiso terrestre», che corrisponde all’inizio di questo ciclo, è circolare, mentre quella della «Gerusalemme celeste», che corrisponde alla sua fine, è quadrata;[12] e il recinto circolare del «Paradiso terrestre» non è niente di diverso dalla sezione orizzontale dell’«Uovo del Mondo», vale a dire della forma sferica universale e primordiale.[13] Si potrebbe dire che è questo cerchio stesso a mutarsi alla fine in un quadrato, poiché le due estremità devono toccarsi o meglio (giacché il ciclo non si chiude mai realmente, cosa che implicherebbe una ripetizione impossibile) corrispondersi esattamente; la presenza dello stesso «Albero della Vita» al centro in entrambi i casi indica in modo diverso che si tratta effettivamente solo di due stati di una medesima cosa; ed il quadrato raffigura in questo caso il compimento delle possibilità del ciclo, le quali erano in germe nel «recinto organico» circolare dell’inizio, e sono poi fissate e stabilizzate in uno stato in qualche modo definitivo, per lo meno in rapporto a questo ciclo stesso. Tale risultato finale può inoltre essere rappresentato come una «cristallizzazione», il che riporta sempre alla forma cubica (o quadrata, nella sua sezione piana): si avrà in questo caso una «città» con un simbolismo minerale, mentre all’inizio si aveva un «giardino» con un simbolismo vegetale, la vegetazione rappresentando l’elaborazione dei germi nella sfera dell’assimilazione vitale.[14] Ricorderemo quel che abbiamo detto in precedenza sull’immobilità del minerale, come immagine del termine verso cui tende la «solidificazione» del mondo; sennonché è qui il caso di aggiungere che si tratta del minerale considerato in uno stato già «trasformato» o «sublimato», poiché nella descrizione della «Gerusalemme celeste» quelle che vengono raffigurate sono pietre preziose. È questa la ragione per cui la fissazione non è veramente definitiva che in rapporto al ciclo attuale, e, oltre il «punto d’arresto», la stessa «Gerusalemme celeste» deve, in grazia del concatenamento causale che non ammette alcuna discontinuità effettiva, diventare il «Paradiso terrestre» del ciclo futuro, giacché l’inizio di quest’ultimo e la fine di quello che lo precede non sono propriamente che un solo e identico momento visto da due lati opposti.[15]
Non è meno vero che, qualora ci si limiti alla considerazione del ciclo attuale, giunga alla fine un momento nel quale «la ruota cessa di girare», e, come sempre, anche in questo caso il simbolismo è perfettamente coerente: infatti una ruota è anch’essa una figura circolare, e, se si deforma fino a diventare un quadrato, è evidente che non può fare a meno di fermarsi. Questa è la ragione per cui il momento in questione appare come una «fine del tempo»; ed è in quell’istante che, secondo la tradizione indù, i «dodici Soli» splenderanno simultaneamente, poiché il tempo è misurato effettivamente dal percorso del Sole attraverso i dodici segni dello Zodiaco, che costituisce il ciclo annuale, ed arrestandosi la rotazione i dodici aspetti corrispondenti si fonderanno, per così dire, in uno solo, rientrando in tal modo nell’unità essenziale e primordiale della loro natura comune, poiché essi non sono differenti che dal punto di vista della manifestazione ciclica, la quale sarà allora terminata.[16] D’altra parte, il mutamento del cerchio in un quadrato equivalente[17] è quanto viene designato come la «quadratura del cerchio»; coloro che dichiarano di quest’ultima che è un problema insolubile, pur se ignorano totalmente il suo significato simbolico, si trovano dunque ad avere di fatto perfettamente ragione, perché tale «quadratura», intesa nel suo vero senso, non potrà essere realizzata che alla fine vera e propria del ciclo.[18]
Si deduce inoltre da quanto abbiamo esposto che la «solidificazione» del mondo si presenta in certo modo sotto un duplice aspetto: vista in se stessa, nel corso del ciclo, come conseguenza di un movimento discendente verso la quantità e la «materialità», essa ha evidentemente un significato «sfavorevole» e financo «sinistro», opposto alla spiritualità; d’altro canto, essa è tuttavia necessaria a preparare, pur se in un modo che potremmo dire «negativo», la fissazione ultima dei risultati del ciclo sotto la forma di quella «Gerusalemme celeste» nella quale tali risultati diventeranno immediatamente i germi delle possibilità del ciclo futuro. Soltanto che, è evidente, in questa fissazione ultima, e perché essa sia veramente una restaurazione dello «stato primordiale», occorre l’intervento immediato di un principio trascendente, senza di che nulla potrebbe essere salvato ed il «cosmo» svanirebbe puramente e semplicemente nel «caos»; è questo intervento a produrre l’«inversione» finale, già raffigurata dalla «trasmutazione» del minerale nella «Gerusalemme celeste», e che conduce in seguito alla riapparizione del «Paradiso terrestre» nel mondo visibile, nel quale vi saranno ormai «nuovi cieli e una nuova terra», poiché si tratterà dell’inizio di un nuovo Manvantara e dell’esistenza di un’altra umanità.



[1] Cfr. Le Symbolisme de la Croix, cit., capp. VI e XX. 
[2] La stessa forma si ritrova ugualmente all’inizio dell’esistenza embrionale di ogni individuo incluso in tale sviluppo ciclico, giacché l’embrione individuale (pinda) è l’analogo microcosmico di ciò che l’«Uovo del Mondo» (Brahmânda) è nell’ordine macrocosmico. 
[3] Come esempio di quanto diciamo possiamo prendere il movimento dei corpi celesti, il quale non è rigorosamente circolare, ma ellittico; l’ellissi costituisce per così dire una prima «specificazione» del cerchio, per sdoppiamento del centro in due poli o «fuochi», secondo un determinato diametro che assume di conseguenza una funzione «assiale» particolare, mentre tutti gli altri diametri si differenziano tra di loro secondo le loro lunghezze rispettive. A tal proposito, aggiungeremo incidentalmente che, siccome i pianeti descrivono delle ellissi uno dei cui fuochi è occupato dal sole, ci si potrebbe chiedere a cosa corrisponde l’altro fuoco; giacché niente di corporeo ha posto in esso, dovrà trattarsi di qualcosa che non può appartenere se non all’ordine sottile; sennonché non è questa la sede per esaminare più a fondo tale questione, che esorbiterebbe completamente dal nostro argomento. 
[4] Cfr. Fabre d’Olivet, La langue hébraïque restituée. 
[5] Questo non vuol dire che la terra, in quanto elemento, sia assimilabile in modo puro e semplice allo stato solido, come alcuni a torto credono; essa è piuttosto il principio stesso della «solidità». 
[6] Questa è la ragione per cui la forma sferica si riferisce, secondo la tradizione islamica, allo «Spirito» (Er-Rûh) o alla Luce primordiale. 
[7] Nella Cabbala ebraica la forma cubica corrisponde, fra le Sefiroth, a Iesod, che è difatti il «fondamento» (e, se si obiettasse a questo proposito che Iesod non è tuttavia l’ultima Sefirah, basterebbe rispondere che dopo di essa non c’è più che Malkuth, cioè propriamente la «sintetizzazione» finale nella quale tutte le cose sono ricondotte a uno stato corrispondente, ad un diverso livello, all’unità principiale di Kether); nella costituzione sottile dell’individualità umana secondo la tradizione indù, tale forma è legata al chakra «di base», o mûlâdhâra; ciò è similmente in rapporto con i misteri della Kaabah nella tradizione islamica; e nel simbolismo dell’architettura il cubo è propriamente la forma della «prima pietra» di un edificio, vale a dire della «pietra di fondamento», posata al livello più basso, sulla quale riposerà tutta la struttura dell’edificio assicurandone in tal modo la stabilità. 
[8] Nella geometria piana una relazione simile si ottiene manifestamente considerando i lati del quadrato paralleli a due diametri perpendicolari del cerchio, e il simbolismo di tale relazione è in rapporto diretto con ciò che la tradizione ermetica designa come la «quadratura del cerchio» , a cui faremo un breve accenno più oltre. 
[9] In certe raffigurazioni simboliche il compasso e la squadra sono posti rispettivamente nelle mani di Fo-hi e di sua sorella Niu-kua, cosi come, nelle figure alchemiche di Basilio Valentino, essi sono posti nelle mani delle due metà maschile e femminile del Rebis o Androgino ermetico; se ne deduce che Fo-hi e Niu-kua sono in certo qual modo analogicamente assimilati, nelle loro rispettive funzioni, al principio essenziale o maschile e al principio sostanziale o femminile della manifestazione. 
[10] È per questa ragione, ad esempio, che in Cina gli abiti rituali degli antichi sovrani dovevano avere forma rotonda verso l’alto e quadrata verso il basso; il sovrano rappresentava in tal modo il tipo stesso dell’Uomo (Jen) nella sua funzione cosmica, ovvero il terzo termine della «Grande Triade», adempiendo la parte di intermediario tra il Cielo e la Terra e unendo in sé le potenze dell’uno e dell’altra. 
[11] Cfr. R. Guénon, Le Roi du Monde, Paris, 1927, pp. 92-93 [trad. it.: Il Re del Mondo, Milano, 1977, pp. 105-107] e Le Symbolisyne de Ia Croix, cit., cap. IX. 
[12] Se si accosta quanto diciamo alle corrispondenze da noi indicate in precedenza, potrebbe sembrare che vi sia un’inversione nell’uso delle due parole «celeste» e «terrestre», e di fatto tali termini sono qui adatti soltanto se si vedono le cose in una certa luce: all’inizio del ciclo il nostro mondo non era come è attualmente, e il «Paradiso terrestre» vi costituiva la proiezione diretta, allora manifestata in modo visibile, della forma propriamente celeste e principiale (esso era del resto situato in qualche modo ai confini del cielo e della terra, poiché è detto che toccava la «sfera della Luna», cioè il «primo cielo»); alla fine del ciclo la «Gerusalemme celeste» discende «dal cielo in terra», ed è soltanto al termine di tale discesa che essa appare sotto la forma quadrata, perché in quel momento si arresta il movimento ciclico. 
[13] Conviene notare che questo cerchio è diviso dalla croce formata dai quattro fiumi che si dipartono dal suo centro, il che produce esattamente la figura di cui abbiamo parlato trattando della relazione tra il cerchio e il quadrato. 
[14] Cfr. R. Guénon, L’Esotérisme de Dante, Paris, 1925, pp. 91-92. 
[15] Questo momento è pure rappresentato come quello del «rovesciamento dei poli», ovvero come il giorno in cui «gli astri sorgeranno a Occidente e tramonteranno ad Oriente», giacché un movimento di rotazione, a seconda che sia guardato da un lato o dall’altro, sembra effettuarsi in due sensi opposti, anche se in realtà si tratta sempre dello stesso movimento che prosegue sotto un altro punto di vista, corrispondente a quello dello svolgimento di un nuovo ciclo. 
[16] Cfr. Le Roi du Monde, cit., p. 38 [trad. it., pp. 44-45]. I dodici segni dello Zodiaco, invece d’essere disposti circolarmente, diventano le dodici porte della «Gerusalemme celeste», tre delle quali sono disposte su ciascun lato del quadrato, e i «dodici Soli» compaiono al centro della «città» come i dodici frutti dell’«Albero della Vita». 
[17] Vale a dire di ugual superficie, se ci si pone da un punto di vista quantitativo, sennonché questa è soltanto un’espressione esclusivamente esteriore della questione. 
[18] La formula numerica corrispondente è quella della Tetraktys pitagorica: 1+2+3+4=10; se si considerano i numeri in senso inverso: 4+3+2+1, si ottengono le proporzioni dei quattro Yuga, la cui somma forma il denario, cioè il ciclo completo e finito.

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