René Guénon
Il Regno della Quantità e i Segni dei Tempi
20. Dalla sfera al cubo
Dopo aver dato alcune «illustrazioni» di quella che è stata
da noi denominata la «solidificazione» del mondo, ci rimane ancora da parlare
della sua rappresentazione secondo il simbolismo geometrico, nel quale essa può
essere raffigurata come un passaggio graduale dalla sfera al cubo; di fatto, e
in primo luogo, la sfera è veramente la forma primordiale, in quanto è la meno «specificata» di tutte perché simile a
se stessa in tutte le direzioni, sicché, in un movimento di rotazione qualsiasi
intorno al proprio centro, tutte le sue posizioni successive sono sempre
rigorosamente sovrapponibili l’una all’altra.[1]
Si
tratta perciò, si potrebbe dire, della forma:più universale, contenente in
qualche modo tutte le altre, le quali ne trarranno origine per differenziazioni
effettuantisi secondo alcune particolari direzioni; è questa la ragione per cui
la forma sferica è, in tutte le tradizioni, quella dell’ «Uovo del Mondo», la
forma cioè della rappresentazione dell’insieme «globale», nel loro stato
primitivo ed «embrionale», di tutte le possibilità che si svilupperanno nel
corso di un ciclo di manifestazione.[2] È
però importante segnalare che tale stato primitivo, per quanto riguarda il
nostro mondo, appartiene propriamente all’ambito della manifestazione sottile,
in quanto quest’ultima precede necessariamente la manifestazione grossolana e
ne è come il principio immediato; è questa di fatto la ragione per cui la forma
sferica perfetta, o la forma circolare che le corrisponde nella geometria piana
(quale sezione della sfera mediante un piano di direzione qualsiasi), non si
trova mai realizzata nel mondo corporeo.[3]
D’altra parte il cubo è, al contrario, la forma più «immobile» di tutte, se ci si
permette quest’espressione, quella cioè che corrisponde al massimo di «specificazione»; tale forma è anche quella
che viene riferita alla terra fra gli elementi corporei, e ciò in quanto la
terra costituisce l’«elemento conclusivo e finale» della manifestazione in tale
stato corporeo;[4] di conseguenza la forma
cubica corrisponde altrettanto bene alla fine del ciclo di manifestazione,
ovvero a ciò cui noi abbiamo dato il nome di «punto d’arresto» del movimento
ciclico. Tale forma è perciò in qualche modo quella del «solido» per
eccellenza,[5] e simboleggia la
«stabilità», in quanto quest’ultima implica l’arresto di ogni movimento; è del
resto evidente che un cubo adagiato su una delle sue facce è di fatto il corpo
il cui equilibrio presenta la stabilità massima. Conviene osservare che questa
stabilità, al termine del movimento discendente, non è e non può essere
nient’altro che l’immobilità pura e semplice, la cui immagine più vicina nel
mondo corporeo ci è fornita dal minerale; quest’immobilità, se potesse essere
interamente realizzata, sarebbe propriamente, nel punto più basso, il riflesso
capovolto di quel che è nel punto più alto l’immutabilità principiale.
L’immobilità, o la stabilità intesa in questo modo, rappresentata dal cubo, si
riferisce dunque al polo sostanziale della manifestazione, così come
l’immutabilità, nella quale sono comprese tutte le possibilità nel loro stato «globale» rappresentato dalla sfera,
si riferisce al suo polo essenziale;[6] è per
questa ragione che il cubo simboleggia inoltre l’idea di «base» o di
«fondamento», che corrisponde precisamente al polo sostanziale.[7]
Segnaliamo subito che le facce del cubo possono esser considerate come
orientate rispettivamente a due a due secondo le tre dimensioni della spazio,
vale a dire come parallele ai tre piani determinati dagli assi che formano il
sistema di coordinate a cui lo spazio è riferito e che permette di «misurarlo»,
cioè di realizzarlo effettivamente nella sua integralità; e poiché, secondo
quanto da noi spiegato in altra sede, i tre assi che formano la croce a tre
dimensioni debbono esser considerati come tracciati a partire dal centro di una
sfera la cui espansione indefinita riempie l’intero spazio (ed i tre piani che
determinano tali assi passano inoltre necessariamente per questo centro, che è
l’«origine» di tutto il sistema di coordinate), si viene a stabilire la
relazione esistente tra le due forme estreme della sfera e del cubo, relazione
nella quale ciò che era interno e centrale nella sfera si ritrova in qualche
modo «rovesciato» per costituire la superficie o l’esterno del cubo.[8]
D’altronde, il cubo rappresenta la terra in tutte le
accezioni tradizionali della parola, vale a dire non solamente la terra in
quanto elemento corporeo come abbiamo già detto, ma anche come un principio
d’ordine ben più universale, quello che la tradizione estremo-orientale designa
come la Terra (Ti) in correlazione
con il Cielo (Tien): le forme
sferiche o circolari sono ricondotte al Cielo, e le forme cubiche o quadrate
alla Terra; poiché questi due termini complementari sono gli equivalenti di Purusha e di Prakriti nella dottrina indù, vale a dire che essi sono soltanto
un’altra espressione dell’essenza e della sostanza intese in senso universale,
ecco che si giunge esattamente alla stessa conclusione di prima; e del resto è
evidente che, come le nozioni di essenza e di sostanza, lo stesso simbolismo è
sempre suscettibile di applicarsi a livelli differenti, e quindi tanto ai
principi di uno stato particolare d’esistenza quanto a quelli dell’insieme
della manifestazione universale. Con queste forme geometriche si riconducono al
Cielo e alla Terra anche gli strumenti che servono a tracciarli
rispettivamente, cioè il compasso e la squadra, tanto nel simbolismo della
tradizione estremo-orientale quanto in quello delle tradizioni iniziatiche
occidentali;[9] e le corrispondenze di tali forme danno naturalmente luogo, in
circostanze diverse, a molteplici applicazioni simboliche e rituali.[10]
Un altro caso in cui è posta in evidenza la relazione tra
queste medesime forme geometriche è il simbolismo del «Paradiso terrestre» e
della «Gerusalemme celeste», che abbiamo già avuto occasione di trattare in
altra sede;[11] questo caso è
specialmente importante dal punto di vista in cui ci poniamo al presente,
poiché si tratta precisamente delle due estremità del ciclo attuale. Ora, la
forma del «Paradiso terrestre», che corrisponde all’inizio di questo ciclo, è
circolare, mentre quella della «Gerusalemme celeste», che corrisponde alla sua
fine, è quadrata;[12] e il
recinto circolare del «Paradiso terrestre» non è niente di diverso dalla
sezione orizzontale dell’«Uovo del Mondo», vale a dire della forma sferica
universale e primordiale.[13] Si
potrebbe dire che è questo cerchio stesso a mutarsi alla fine in un quadrato,
poiché le due estremità devono toccarsi o meglio (giacché il ciclo non si
chiude mai realmente, cosa che implicherebbe una ripetizione impossibile)
corrispondersi esattamente; la presenza dello stesso «Albero della Vita» al centro in entrambi i casi indica in modo diverso che
si tratta effettivamente solo di due stati di una medesima cosa; ed il quadrato
raffigura in questo caso il compimento delle possibilità del ciclo, le quali
erano in germe nel «recinto
organico» circolare dell’inizio,
e sono poi fissate e stabilizzate in uno stato in qualche modo definitivo, per
lo meno in rapporto a questo ciclo stesso. Tale risultato finale può inoltre
essere rappresentato come una «cristallizzazione», il che riporta sempre alla
forma cubica (o quadrata, nella sua sezione piana): si avrà in questo caso una
«città» con un simbolismo minerale, mentre all’inizio si aveva un «giardino»
con un simbolismo vegetale, la vegetazione rappresentando l’elaborazione dei
germi nella sfera dell’assimilazione vitale.[14]
Ricorderemo quel che abbiamo detto in precedenza sull’immobilità del minerale,
come immagine del termine verso cui tende la «solidificazione» del mondo;
sennonché è qui il caso di aggiungere che si tratta del minerale considerato in
uno stato già «trasformato» o «sublimato», poiché nella descrizione della
«Gerusalemme celeste» quelle che vengono raffigurate sono pietre preziose. È
questa la ragione per cui la fissazione non è veramente definitiva che in
rapporto al ciclo attuale, e, oltre il «punto d’arresto», la stessa
«Gerusalemme celeste» deve, in grazia del concatenamento causale che non
ammette alcuna discontinuità effettiva, diventare il «Paradiso terrestre» del
ciclo futuro, giacché l’inizio di quest’ultimo e la fine di quello che lo
precede non sono propriamente che un solo e identico momento visto da due lati
opposti.[15]
Non è meno vero che, qualora ci si limiti alla
considerazione del ciclo attuale, giunga alla fine un momento nel quale «la
ruota cessa di girare», e, come sempre, anche in questo caso il simbolismo è
perfettamente coerente: infatti una ruota è anch’essa una figura circolare, e,
se si deforma fino a diventare un quadrato, è evidente che non può fare a meno
di fermarsi. Questa è la ragione per cui il momento in questione appare come una
«fine del tempo»; ed è in quell’istante che, secondo la tradizione indù, i
«dodici Soli» splenderanno simultaneamente, poiché il tempo è misurato
effettivamente dal percorso del Sole attraverso i dodici segni dello Zodiaco,
che costituisce il ciclo annuale, ed arrestandosi la rotazione i dodici aspetti
corrispondenti si fonderanno, per così dire, in uno solo, rientrando in tal
modo nell’unità essenziale e primordiale della loro natura comune, poiché essi
non sono differenti che dal punto di vista della manifestazione ciclica, la
quale sarà allora terminata.[16]
D’altra parte, il mutamento del cerchio in un quadrato equivalente[17] è
quanto viene designato come la «quadratura del cerchio»; coloro che dichiarano
di quest’ultima che è un problema insolubile, pur se ignorano totalmente il suo
significato simbolico, si trovano dunque ad avere di fatto perfettamente
ragione, perché tale «quadratura», intesa nel suo vero
senso, non potrà essere realizzata che alla fine vera e propria del ciclo.[18]
Si deduce inoltre da quanto abbiamo esposto che la «solidificazione» del mondo si presenta in certo modo sotto un duplice aspetto: vista in
se stessa, nel corso del ciclo, come conseguenza di un movimento discendente
verso la quantità e la «materialità», essa ha evidentemente un significato «sfavorevole» e financo «sinistro», opposto alla spiritualità; d’altro canto, essa è
tuttavia necessaria a preparare, pur se in un modo che potremmo dire
«negativo», la fissazione ultima dei risultati del ciclo sotto la forma di
quella «Gerusalemme celeste» nella quale tali risultati diventeranno
immediatamente i germi delle possibilità del ciclo futuro. Soltanto che, è
evidente, in questa fissazione ultima, e perché essa sia veramente una
restaurazione dello «stato primordiale», occorre l’intervento immediato di un
principio trascendente, senza di che nulla potrebbe essere salvato ed il
«cosmo» svanirebbe puramente e semplicemente nel «caos»; è questo intervento a
produrre l’«inversione» finale, già raffigurata dalla «trasmutazione» del minerale
nella «Gerusalemme celeste», e che conduce in seguito alla riapparizione del
«Paradiso terrestre» nel mondo visibile, nel quale vi saranno ormai «nuovi
cieli e una nuova terra», poiché si tratterà dell’inizio di un nuovo Manvantara e dell’esistenza di un’altra
umanità.
[1] Cfr. Le
Symbolisme de la Croix, cit., capp. VI e XX.
[2] La
stessa forma si ritrova ugualmente all’inizio dell’esistenza embrionale di ogni
individuo incluso in tale sviluppo ciclico, giacché l’embrione individuale (pinda) è l’analogo microcosmico di ciò
che l’«Uovo del Mondo»
(Brahmânda) è nell’ordine
macrocosmico.
[3] Come
esempio di quanto diciamo possiamo prendere il movimento dei corpi celesti, il
quale non è rigorosamente circolare, ma ellittico; l’ellissi costituisce per
così dire una prima «specificazione» del cerchio, per sdoppiamento del centro
in due poli o «fuochi», secondo un determinato diametro che assume di
conseguenza una funzione «assiale» particolare, mentre tutti gli altri diametri
si differenziano tra di loro secondo le loro lunghezze rispettive. A tal
proposito, aggiungeremo incidentalmente che, siccome i pianeti descrivono delle
ellissi uno dei cui fuochi è occupato dal sole, ci si potrebbe chiedere a cosa
corrisponde l’altro fuoco; giacché niente di corporeo ha posto in esso, dovrà
trattarsi di qualcosa che non può appartenere se non all’ordine sottile;
sennonché non è questa la sede per esaminare più a fondo tale questione, che
esorbiterebbe completamente dal nostro argomento.
[4] Cfr. Fabre d’Olivet, La langue hébraïque restituée.
[5]
Questo non vuol dire che la terra, in quanto elemento, sia assimilabile in modo
puro e semplice allo stato solido, come alcuni a torto credono; essa è piuttosto
il principio stesso della «solidità».
[6]
Questa è la ragione per cui la forma sferica si riferisce, secondo la
tradizione islamica, allo «Spirito» (Er-Rûh)
o alla Luce primordiale.
[7] Nella
Cabbala ebraica la forma cubica corrisponde, fra le Sefiroth, a Iesod, che è
difatti il «fondamento» (e, se si obiettasse a questo proposito che Iesod non è tuttavia l’ultima Sefirah, basterebbe rispondere che dopo
di essa non c’è più che Malkuth, cioè
propriamente la «sintetizzazione» finale nella quale tutte le cose sono
ricondotte a uno stato corrispondente, ad un diverso livello, all’unità
principiale di Kether); nella
costituzione sottile dell’individualità umana secondo la tradizione indù, tale
forma è legata al chakra «di base», o
mûlâdhâra; ciò è similmente in
rapporto con i misteri della Kaabah nella
tradizione islamica; e nel simbolismo dell’architettura il cubo è propriamente
la forma della «prima pietra» di un edificio, vale a dire della «pietra di
fondamento», posata al livello più basso, sulla quale riposerà tutta la
struttura dell’edificio assicurandone in tal modo la stabilità.
[8] Nella
geometria piana una relazione simile si ottiene manifestamente considerando i
lati del quadrato paralleli a due diametri perpendicolari del cerchio, e il
simbolismo di tale relazione è in rapporto diretto con ciò che la tradizione
ermetica designa come la «quadratura del cerchio» , a cui faremo un breve
accenno più oltre.
[9] In
certe raffigurazioni simboliche il compasso e la squadra sono posti
rispettivamente nelle mani di Fo-hi e di sua sorella Niu-kua, cosi come, nelle
figure alchemiche di Basilio Valentino, essi sono posti nelle mani delle due
metà maschile e femminile del Rebis o
Androgino ermetico; se ne deduce che Fo-hi e Niu-kua sono in certo qual modo
analogicamente assimilati, nelle loro rispettive funzioni, al principio
essenziale o maschile e al principio sostanziale o femminile della
manifestazione.
[10] È
per questa ragione, ad esempio, che in Cina gli abiti rituali degli antichi
sovrani dovevano avere forma rotonda verso l’alto e quadrata verso il basso; il
sovrano rappresentava in tal modo il tipo stesso dell’Uomo (Jen) nella sua funzione cosmica, ovvero
il terzo termine della «Grande Triade», adempiendo la parte di intermediario
tra il Cielo e la Terra e unendo in sé le potenze dell’uno e dell’altra.
[11] Cfr.
R. Guénon, Le Roi du Monde, Paris,
1927, pp. 92-93 [trad. it.: Il Re del
Mondo, Milano, 1977, pp. 105-107] e Le
Symbolisyne de Ia Croix, cit., cap. IX.
[12] Se
si accosta quanto diciamo alle corrispondenze da noi indicate in precedenza,
potrebbe sembrare che vi sia un’inversione nell’uso delle due parole «celeste»
e «terrestre», e di fatto tali termini sono qui adatti soltanto se si vedono le
cose in una certa luce: all’inizio del ciclo il nostro mondo non era come è
attualmente, e il «Paradiso terrestre» vi costituiva la proiezione diretta,
allora manifestata in modo visibile, della forma propriamente celeste e
principiale (esso era del resto situato in qualche modo ai confini del cielo e
della terra, poiché è detto che toccava la «sfera della Luna», cioè il «primo
cielo»); alla fine del ciclo la «Gerusalemme celeste» discende «dal cielo in
terra», ed è soltanto al termine di tale discesa che essa appare sotto la forma
quadrata, perché in quel momento si arresta il movimento ciclico.
[13]
Conviene notare che questo cerchio è diviso dalla croce formata dai quattro
fiumi che si dipartono dal suo centro, il che produce esattamente la figura di
cui abbiamo parlato trattando della relazione tra il cerchio e il quadrato.
[14] Cfr. R. Guénon, L’Esotérisme de Dante, Paris, 1925, pp. 91-92.
[15]
Questo momento è pure rappresentato come quello del «rovesciamento dei poli»,
ovvero come il giorno in cui «gli astri sorgeranno a Occidente e tramonteranno
ad Oriente», giacché un movimento di rotazione, a seconda che sia guardato da
un lato o dall’altro, sembra effettuarsi in due sensi opposti, anche se in
realtà si tratta sempre dello stesso movimento che prosegue sotto un altro
punto di vista, corrispondente a quello dello svolgimento di un nuovo ciclo.
[16] Cfr. Le
Roi du Monde, cit., p. 38 [trad. it., pp. 44-45]. I dodici segni
dello Zodiaco, invece d’essere disposti circolarmente, diventano le dodici
porte della «Gerusalemme celeste», tre delle quali sono disposte su ciascun
lato del quadrato, e i «dodici Soli» compaiono al centro della «città» come i
dodici frutti dell’«Albero della Vita».
[17] Vale
a dire di ugual superficie, se ci si pone da un punto di vista quantitativo,
sennonché questa è soltanto un’espressione esclusivamente esteriore della
questione.
[18] La
formula numerica corrispondente è quella della Tetraktys pitagorica: 1+2+3+4=10; se si considerano i numeri in
senso inverso: 4+3+2+1, si ottengono le proporzioni dei quattro Yuga, la cui somma forma il denario,
cioè il ciclo completo e finito.
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