René Guénon
Il Regno della Quantità e i Segni dei Tempi
15. L’illusione della «vita ordinaria»
L’atteggiamento materialistico, si tratti di materialismo esplicito e formale o di semplice materialismo «pratico», apporta necessariamente, in tutta la costituzione «psicofisiologica» dell’essere umano, una modificazione reale e molto importante; ciò è facilmente comprensibile, e, in effetti, non c’è che da guardarsi attorno per constatare come l’uomo moderno sia divenuto veramente impermeabile a qualsiasi influenza diversa da quella che cade sotto i suoi sensi; non solo le sue facoltà di comprensione sono divenute sempre più limitate, ma ugualmente si è ristretto il campo stesso della sua percezione.
Ne risulta una specie di rafforzamento del punto di vista profano, perché, se questo punto di vista è nato all’inizio da un difetto di comprensione, quindi da una limitazione delle facoltà umane, questa stessa limitazione, con l’accentuarsi e l’estendersi a tutti i campi, sembra a posteriori giustificarlo, almeno agli occhi di coloro che ne siano afflitti; per quale ragione essi dovrebbero mai ammettere l’esistenza di cose che non possono più realmente né concepire né percepire, cioè di tutto ciò che potrebbe mostrare loro l’insufficienza e la falsità dello stesso punto di vista profano?
Ne risulta una specie di rafforzamento del punto di vista profano, perché, se questo punto di vista è nato all’inizio da un difetto di comprensione, quindi da una limitazione delle facoltà umane, questa stessa limitazione, con l’accentuarsi e l’estendersi a tutti i campi, sembra a posteriori giustificarlo, almeno agli occhi di coloro che ne siano afflitti; per quale ragione essi dovrebbero mai ammettere l’esistenza di cose che non possono più realmente né concepire né percepire, cioè di tutto ciò che potrebbe mostrare loro l’insufficienza e la falsità dello stesso punto di vista profano?
Di qui proviene l’idea di ciò che comunemente si designa «vita ordinaria» o «vita corrente»; questi termini, in effetti, indicano anzitutto qualcosa in cui, per l’esclusione di qualsiasi carattere sacro, rituale, o simbolico (poco importa qui se visto in senso più specificamente religioso o secondo altre modalità tradizionali, dato che in tutti i casi si tratta egualmente dell’azione effettiva delle «influenze spirituali»), niente che non sia puramente umano ha la possibilità di intervenire; e queste stesse designazioni implicano inoltre che tutto quanto supera una concezione del genere, ancorché non sia espressamente negato, è perlomeno relegato in un ambito «straordinario», considerato come eccezionale, strano, e fuori del comune; si tratta dunque, per esser precisi, di un rovesciamento dell’ordine normale, quale è rappresentato dalle civiltà integralmente tradizionali in cui il punto di vista profano non esiste in alcun modo, e questo rovesciamento non può condurre, logicamente, se non all’ignoranza o alla negazione completa del «sopraumano». Taluni poi arrivano perfino ad adoperare nello stesso senso l’espressione «vita reale» cosa questa singolarmente ironica, perché, in verità, quella che essi chiamano così è al contrario la peggiore delle illusioni; con ciò non vogliamo affermare che le cose in questione siano, in se stesse, sprovviste di qualsiasi realtà, benché questa realtà, che è poi quella dell’ordine sensibile, sia al livello più basso e al di sotto di essa si trovi soltanto ciò che è propriamente al di sotto di ogni esistenza manifestata; ma è il modo di considerarle che è interamente falso, perché, separandole da ogni principio superiore, nega loro proprio ciò che ne costituisce tutta la realtà: è per questo che, a rigore, non esiste un ambito realmente profano, ma soltanto un punto di vista profano, il quale diventa di giorno in giorno sempre più invadente, fino ad inglobare, in definitiva, tutta quanta l’esistenza umana.
Quanto sopra permette di vedere come, in questa concezione della «vita ordinaria», si passi quasi insensibilmente da uno stadio all’altro di quel processo di degenerazione che va progressivamente accentuandosi: si comincia con l’ammettere che certe cose si sottraggono ad ogni influenza tradizionale, poi queste stesse cose vengono considerate come normali, ed infine si arriva anche troppo facilmente a ritenerle le sole «reali»; ciò porta ad escludere come «irreale» tutto il «sopraumano», e inoltre, essendo l’ambito dell’umano concepito in un modo sempre più strettamente limitato, fino a ridurlo alla sola modalità corporea, tutte le cose che sono semplicemente d’ordine sovrasensibile; non c’è che da osservare come i nostri contemporanei adoperino costantemente e senza neanche pensarci il termine «reale» come sinonimo di «sensibile», per rendersi conto che è proprio a quest’ultimo stadio che essi si trovano effettivamente, e che tale maniera di vedere si è talmente incorporata nella loro stessa natura, se così si può dire, da diventare per loro quasi istintiva. La filosofia moderna, che in definitiva è anzitutto un’espressione «sistematizzata» della mentalità generale, prima di reagire a sua volta su questa in una certa misura, ha seguito una marcia parallela a quella descritta: in primo luogo con l’elogio cartesiano del «buon senso» di cui parlavamo prima, e che è ben caratteristico a questo proposito, perché la «vita ordinaria» è certamente, per eccellenza, il campo di quel sedicente «buon senso» detto anche «senso comune», altrettanto e nello stesso modo limitato; poi dal razionalismo, il quale in fondo non è che un aspetto più specialmente filosofico dell’«umanesimo», cioè della riduzione di tutte le cose ad un punto di vista esclusivamente umano, si arriva a poco a poco al materialismo o al positivismo: che si neghi espressamente, come nel primo, tutto ciò che è al di là del mondo sensibile, o che ci si accontenti, come nel secondo (il quale per questa ragione ama chiamarsi anche «agnosticismo» facendosi così un titolo di gloria di ciò che in realtà è solo la confessione di un’incurabile ignoranza), di rifiutare di occuparsene dichiarandolo «inaccessibile» od «inconoscibile», il risultato è, di fatto, esattamente uguale in entrambi i casi, ed è appunto quello stesso che abbiamo descritto.
Teniamo ancora a ripetere che, per i più, non si tratta naturalmente se non di quel che si può chiamare materialismo o positivismo «pratico», indipendente da ogni teoria filosofica, la quale in effetti è e sarà sempre del tutto estranea alla maggioranza; ma ciò è più grave ancora, non soltanto perché in questo modo una simile condizione di spirito acquista una diffusione incomparabilmente più grande, ma anche perché, e ciò dimostra come veramente essa abbia penetrato e quasi impregnata tutta la natura dell’individuo, questa condizione di spirito è tanto più irrimediabile quant’è meno riflessa e meno chiaramente cosciente. Le cose già dette a proposito del materialismo di fatto e del modo di adeguarvisi di certa gente che pure si ritiene «religiosa» lo mostrano molto bene; e attraverso questo esempio si vede anche come in fondo la filosofia propriamente detta non abbia tutta quell’importanza che certuni vorrebbero attribuirle, o per lo meno ne abbia solo in quanto la si consideri «rappresentativa» di una certa mentalità e non perché agisca effettivamente su di essa; una concezione filosofica qualsiasi, del resto, potrebbe avere il minimo successo se non corrispondesse a qualcuna delle tendenze predominanti all’epoca in cui viene formulata? Con ciò non vogliamo dire che i filosofi, così come tanti altri, non svolgano la loro funzione nella deviazione moderna, il che sarebbe certamente esagerato, ma solo che tale funzione è, di fatto, più ristretta di quel che a prima vista si sarebbe tentati di supporre, e assai diversa da quel che esteriormente può apparire; d’altronde, come orientamento di carattere generale, quel che più appare è sempre, secondo le leggi stesse che reggono la manifestazione, una conseguenza piuttosto che una causa, un punto di arrivo piuttosto che un punta di partenza,[1] e, in ogni caso, non è mai in tale sede che bisogna ricercare quel che agisce in maniera veramente efficace in un ordine più profondo, si tratti di un’azione che si eserciti in senso normale e legittimo, oppure del contrario, come nel caso di cui ci stiamo occupando.
Il meccanicismo ed il materialismo stessi hanno potuto assumere un’influenza di carattere generale soltanto quando sono passati dal campo filosofico a quello scientifico; ciò che si riferisce a quest’ ultimo, o quel che si presenta a torto o a ragione rivestito di tale carattere «scientifico», ha in effetti, per ragioni diverse, un’efficacia sulla mentalità comune certamente ben maggiore delle teorie filosofiche, e tale mentalità ha una credenza almeno implicita nella verità di una «scienza» di cui inevitabilmente le sfugge il carattere ipotetico, mentre tutto ciò che si qualifica come «filosofia» la lascia più o meno indifferente; l’esistenza di applicazioni pratiche ed utilitaristiche in un caso, e la loro assenza nell’altro, non vi è certo del tutto estranea. Ciò ci riporta nuovamente proprio all’idea della «vita ordinaria», in cui entra effettivamente una forte dose di «pragmatismo»; quanto stiamo dicendo è ancora, beninteso, del tutto indipendente dal fatto che certi nostri contemporanei abbiano voluto eleggere il «pragmatismo» a sistema filosofico, cosa che si è resa possibile proprio in ragione della tendenza utilitaristica inerente alla mentalità moderna e profana in generale, ed anche perché, nell’attuale stato di decadenza intellettuale, si è arrivati a perdere completamente di vista la nozione stessa di verità, cosicché quella di utilità, o di comodità, ha finito per sostituirvisi interamente. Comunque sia, da quando si è convenuto che la «realtà» consiste esclusivamente in ciò che cade sotto i sensi, è del tutto naturale che il valore attribuito ad una cosa qualsiasi abbia in certo qual modo per misura la sua capacità di produrre effetti d’ordine sensibile; ora, è evidente che la «scienza», considerata al modo moderno come essenzialmente solidale con l’industria se non addirittura più o meno completamente confusa con essa, debba a questo riguardo occupare il primo posto, e che in tal modo essa si trovi strettamente frammischiata a quella «vita ordinaria» di cui anzi diviene uno dei principali fattori; per contraccolpo, le ipotesi sulle quali essa pretende basarsi, per gratuite ed ingiustificate che possano essere, beneficeranno anch’esse di questa situazione privilegiata agli occhi del volgo. In realtà, va da sé che le applicazioni pratiche non dipendono minimamente dalla verità di quelle ipotesi, per cui ci si potrebbe chiedere che cosa diventerebbe una scienza del genere, così nulla quanto a conoscenza propriamente detta, se la si separasse dalle applicazioni a cui dà luogo; e però, così com’è, è un fatto che questa scienza «riesce», e, per lo spirito istintivamente utilitaristico del «pubblico» moderno, la «riuscita» o il «successo» diventano una specie di «criterio della verità», per quanto si possa ancora parlare, nella fattispecie, di verità in un significato qualsiasi.
Quali che siano comunque i punti di vista in causa, filosofico, scientifico, o semplicemente «pratico», è evidente che, in fondo, tutti quanti non rappresentano altro che aspetti diversi di un’unica e stessa tendenza, e anche che questa tendenza, come tutte quelle che allo stesso titolo contribuiscono a costituire lo spirito moderno, non ha certo potuto svilupparsi spontaneamente; a questo riguardo abbiamo avuto spesso l’occasione di dare dei chiarimenti, però, trattandosi di cose sulle quali non si insiste mai abbastanza, avremo ancora occasione di ritornare, in seguito, sulla posizione precisa che il materialismo occupa nell’insieme del «piano» secondo cui si effettua la deviazione del mondo moderno. È fuor di dubbio che i materialisti sono essi stessi, più di chiunque, perfettamente incapaci di rendersi conto di queste cose e anche di concepirne la possibilità, accecati come sono da quelle idee preconcette che chiudono loro ogni uscita da quel campo ristretto dove sono abituati a muoversi; cose di questo genere li stupirebbero almeno tanto quanto il sapere che sono esistiti, anzi che esistono ancora, uomini per cui quella che essi chiamano «vita ordinaria» sarebbe una cosa assolutamente straordinaria, perché non corrisponde a niente di quello che realmente avviene nella loro esistenza. Eppure è così, e quel che più conta è che sono proprio quegli uomini a dover essere considerati veramente «normali», mentre i materialisti, con tutto il loro tanto vantato «buon senso» e tutto quel «progresso» di cui si considerano orgogliosamente i prodotti più perfetti ed i rappresentanti più «avanzati», sono in fondo soltanto degli esseri in cui certe facoltà si sono atrofizzate al punto di essere completamente abolite. Del resto è proprio soltanto a questa condizione che il mondo sensibile può loro apparire come un «sistema chiuso» all’interno del quale si sentono perfettamente sicuri; ci resta da analizzare come questa illusione possa, in un certo senso ed in una certa misura, esser «realizzata» proprio in funzione del materialismo; ma vedremo anche in seguito come, ciò nonostante, essa non rappresenti se non una condizione di equilibrio eminentemente instabile, e come, al punto in cui sono le cose attualmente, quella sicurezza della «vita ordinaria», su cui si è trovata a riposare sin qui tutta l’organizzazione del mondo moderno, corra il grave rischio di esser turbata da «interferenze» inattese.
[1] Se si preferisce si potrebbe anche dire che si tratta di un «frutto» piuttosto che di un «seme»; il fatto poi che il frutto stesso contenga dei nuovi semi, indica che la conseguenza può, a sua volta, svolgere una funzione causale ad un altro livello, conformemente al carattere ciclico della manifestazione; ma anche in questo caso essa deve passare dall’«apparente» al «nascosto».
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