A.K. Coomaraswamy
Chi è Satana e dov'è l’Inferno? *
Il fatto che in un'epoca come la nostra, in cui «per la maggior parte della gente la religione è divenuta un rifugio arcaico ed impossibile» (Margaret Marshall, in The Nation, 2 febbraio 1946) gli uomini non prendono più sul serio né Dio né Satana, si spiega constatando che essi sono giunti a considerare entrambi solo oggettivamente, come qualcosa di esterno a se stessi e della cui esistenza non è possibile del resto trovare prova adeguata. Lo stesso si verifica naturalmente per la nozione dei rispettivi domini, paradiso e inferno, concepiti secondo tempi e luoghi che non sono ne «ora» ne «qui».
In effetti siamo noi stessi ad aver procrastinato
il «regno dei cieli in terra» intendendolo come una «Utopia» materiale da
realizzarsi mediante uno o più piani quinquennali, dimenticando che il
progresso indefinito corrisponde ad una ricerca «per la quale dovrai sudare
senza posa» (Jacob Boehme, De Incarnatione Verbi, 2.5.18), espressione
che sembra alludere più all’inferno che non al paradiso. E in effetti abbiamo
preferito sostituire l’inferno presente a un paradiso futuro che non
conosceremo mai.
La dottrina che intendiamo prendere in considerazione
è tuttavia un’altra, quella secondo cui «il regno dei cieli è dentro di voi» e
qui ed ora; e, come Jacob Boehme ha, fra gli altri, così spesso affermato, «il
paradiso e l’inferno sono ovunque, ... ti trovi sempre in un paradiso o in un
inferno... l'anima ha il paradiso o l'inferno dentro se stessa [Ibidem,
Dialoghi, «La vita sovrasensibile» e «Del paradiso e dell’inferno» e «Un discorso»,
Everyman's Library Edition, specialmente pp. 259-260, ma dovrebbe leggersi
anche il resto); per cui non si può parlare di «andare» all'uno o all'altro
solo quando muore il corpo. Qui si può forse presagire la soluzione del
problema di Satana.
È stato spesso ammesso che l'impiego della nozione
di «persona» nei riguardi di Satana, il capo degli «Angeli caduti», presenta
sempre qualche difficoltà: è cosi che, nell’ambito della religione, sorse il
problema del «dualismo» manicheo. Inoltre, se si sostiene che una cosa
qualsiasi non è Dio, l'infinità di Dio viene per dò stesso circoscritta e
limitata. «Egli», Satana, è quindi una persona o una mera «personificazione»)
cioè una personalità postulata? («Non può definirsi persona... fra gli esseri
viventi... chi è privo di intelletto e ragione... ma dicesi «è una persona»
parlando d'uomo, di Dio o di un Angelo», Boetius, Contro Eutychen, 2).
Secondo tale premessa, Satana, che rimane un Angelo anche in inferno, può
chiamarsi Persona, o meglio Persone, giacché il suo nome è «Legione: poiché
noi siamo in molti»; ma in quanto essere decaduto, «impazzito», è in realtà
una persona solo apparentemente. Potrebbe dirsi pressappoco la stessa cosa anche
dell’anima; si può infatti attenuare che esiste una Persona nell’anima, ma non
che l'anima, considerata in se stessa, sia una Persona. Satana e l'anima,
entrambi invisibili, sono solo «conosciuti», o piuttosto «desunti» dal comportamento,
il che corrisponde piuttosto all’idea che gli psicologi si fanno della
personalità», la quale sarebbe quella di «un'ipotetica unità che si postula per
spiegare le azioni della gente» (H.S. Sullivan, «Introduzione allo studio
delle relazioni interpersonali», Psychiatry, I, 1938). Chi è («lui») e
dov'è? È un serpente o un dragone, ha le corna e la coda velenosa? Può essere
redento e rigenerato, come hanno creduto Origene ed alcuni Musulmani? Sono
tutti problemi collegati.
Sebbene l’idea di «dualismo» come verità definitiva
sia da respingersi nettamente, un certo tipo di dualismo è accettabile ai fini
pratici, giacché qualsiasi mondo spazio-temporale, o quanto potrebbe
descriversi per mezzo di parole o simboli matematici, è un mondo di contrari
sia quantitativi che qualitativi, come ad esempio, lungo e corto, buono e
malvagio; un mondo privo di tali opposizioni sarebbe tale da escludere ogni
possibilità di scelta e di passaggio dalla potenza all’atto, sarebbe un mondo
che non potrebbe essere abitato da esseri umani quali noi siamo. Per chiunque
abbia la convinzione che «Dio creò il mondo», il chiedersi perché Egli ha
permesso l’esistenza del male, o quella del Malvagio in cui tutta la malvagità
è personificata, non ha alcun senso; ci si potrebbe allo stesso titolo chiedere
perché Egli non fece un mondo senza dimensioni o uno senza successione
temporale.
Tutta la nostra tradizione metafisica, cristiana e
non, afferma che «due sono in noi stessi» (Platone, Repubblica, 439D,
439E, 6o4B - Filone, Del. i - S. Tommaso d'Aquino, Summa Theologica
II, II, 26-4 - S. Paolo, II Cor. 4-16); Enunciazioni corrispondenti
si trovano nel Vêdânta, nel Buddismo, nell'Islam e in Cina; e affermazioni del
genere si sono conservate nel nostro stesso linguaggio corrente ove, per
esempio, l'espressione «auto-controllo» implica uno che controlla e un'altro
che è soggetto a tale controllo, sappiamo infatti che «nulla agisce su se
stesso»[1]
sebbene lo si dimentichi quando parliamo di «auto-govemo»[2].
Dall’unione di questi due «sé», l’uomo
esteriore e l’uomo interiore, «personificazione» psico-fisica e «Persona»
reale, è costituito il composto umano di corpo, anima e spirito. Di queste due
realtà, corpo e anima (o mente) da un lato e spirito dall’altro, l’una è
mutevole e mortale, l’altra costante ed immortale; l’una «diventa»,
l'altra «è», e l’esistenza di quella che non è, ma diventa, è precisamente una
«personificazione» o «postulato», non potendo dirsi «questo è» di una cosa che
non e mai uguale a se stessa. E per quanto necessario possa essere parlare di
«io» e di «mio» ai fini pratici della vita di tutti i giorni, il nostro ego,
di fatto, altro non è se non un nome destinato a definire, in realtà, solo un
susseguirsi di comportamenti oggettivamente osservabili[3].
Corpo, anima e spirito: si può utilizzando l’uno o
l’altro di questi termini stabilire Inequazione con il Demonio? Non il corpo,
certamente, giacché il corpo in se stesso non è né buono né cattivo, ma solo
uno strumento o mezzo per il bene o per il male. Né con lo spirito — intelletto,
sinteresi, coscienza, Agathos Daimon — in se stesso incapace di errore e
nostro unico tramite di partecipazione alla vita ed alla perfezione che è Dio
stesso. Resta solo l’«anima»; quell’anima che chiunque aspiri ad essere
discepolo di Cristo deve «odiare» e che, come ci ricorda S. Paolo, la parola di
Dio, come lama a doppio taglio, «scinde dallo spirito»; un’anima che S. Paolo
dovette perdere per poter dire «Io vivo, eppur non io, ma Cristo in me»,
enunciando cosi come Mansûr[4],
la sua propria realizzazione.
Dalle due realtà comprese in noi stessi,
«scintilla» dell’intelletto o spirito l’una, sentimento e mentalità l’altra,
soggetta a persuasione, è ovviamente la seconda ad essere il «tentatore», o,
più precisamente, la «tentatrice». Vi sono in ciascuno di noi,
indifferentemente nell’uomo e nella donna, un’anima e un animo, relativamente
femminili e maschili[5];
e, come disse giustamente Adamo, «la donna offerse ed io mangiai»; si noti
anche che il «serpente», dal quale la donna stessa fu sviata per prima, viene
rappresentato in arte con «volto» di donna. Al fine di evitare ogni malinteso
è però necessario sottolineare a questo riguardo che tutto ciò non ha nulla a
che vedere con una supposta inferiorità della donna o superiorità dell'uomo;
nel senso funzionale e psicologico che abbiamo in vista una qualsiasi donna
può essere «maschio» (eroe) ed un qualsiasi uomo «femmina» (codardo)[6].
È risaputo che «anima», come il «sé», è un termine
dal significato ambiguo, e che, in alcuni contesti, può indicare lo «spirito» o
«anima dell’anima», o ancora «Sé del sé», espressioni queste entrambi d'uso
comune. Ma stiamo ora parlando dell’«anima» mutevole in quanto distinta dallo
«spirito», e non si dovrebbe dimenticare quanto questa nefesh, l’anima
che è attribuita sia agli esseri umani che agli animali, venga costantemente
denigrata nella Bibbia[7]
cosi come accade nell’Islâm, per il corrispondente termine nafs. Quest’anima
è l’«io» che deve essere «negato» (col senso di «totalmente respinto» presente
nella traduzione in greco, secondo un’accettazione ontologica piuttosto che meramente
etica), l’anima che deve essere perduta per poter essere salvata e che, come
Meister Eckhart e i Sufi hanno cosi spesso affermato, deve «condannare a morte
se stessa», o, come sostenuto dagli Indù e dai Buddisti, dev’essere
«conquistata» o «domata», poiché «non è questo il mio Sé».
Quest’anima soggetta
alla persuasione, e distratta dai suoi desideri ed avversioni, questa «mente»
cui alludiamo con espressioni quali «avere in mente di fare questo o quello», è
«quanto tu chiami "io" o "me stesso”», e che Jacob Boehme così
distingue dall’Io reale, quando dice, con riferimento alle proprie
illuminazioni, che «non io, l’io che sono, conosce queste cose, ma Dio in me».
Non potendo dilungarci a trattare la dottrina dell’ego, diremo soltanto
che, come per Meister Eckhart e per i Sufi, «il termine Io, è appropriato solo
se riferito a Dio nella sua ipseità» e che «Io» può in verità attribuirsi solo
a Lui e a chi, essendo «unito al proprio Signore, è uno in spirito con Lui».
Che l’anima, il nostro «io», debba essere il
demonio, chiamato il «nemico», l’«avversario», il «tentatore», il «dragone» -
mai con un nome personale (anche l’ebraico Sâtân, «oppositore», non è un
nome personale) - può sembrare sorprendente, ma tale affermazione è lungi
dall’essere nuova. Procedendo oltre nella nostra esposizione, vedremo come
l’equazione «anima-Satana» si riscontra in numerose enunciazioni e sia tale da
fornire una soluzione quasi perfetta a tutti i problemi che la
personificazione di quest’ultimo solleva. Entrambi i termini sono, sotto il
profilo pratico, ben «reali» nella vita attiva dove si deve lottare contro la
«malvagità» e dove il dualismo dei contrari non può essere ignorato; ma essi
non sono propriamente dei «principi» non essendo più reali dell’oscurità la
quale altro non è se non privazione di luce.
Nessuno potrà negare che il campo di battaglia su
cui deve combattersi fino in fondo la psicomachia è dentro di noi, o che, dove
combatte Cristo debba trovarsi anche il suo nemico, l’Anticristo. Né si
potrebbe pretendere, se non per superstizione, che le tentazioni di S.Antonio,
così come vengono raffigurate in arte, possano considerarsi altrimenti che
«proiezioni» di tensioni interiori.
Tutto questo è sempre stato familiare ai teologi,
nei cui scritti Satana è spesso definito semplicemente come «il nemico», Ad
esempio, William Law: «Tu non sei sottomesso al potere di altro nemico, non sei
tenuto in altra prigionia, e non desideri altra liberazione se non dal potere
del tuo io terreno. Questo è l’unico assassino della vita divina dentro di te.
È vero il tuo proprio Caino che uccide il tuo proprio Abele», e «il senso
dell’io è la radice, l’albero, e i rami di tutta la malvagità del nostro stato
decaduto... è Satana o l’auto-affermazione, che è la stessa cosa... è questo
quell’io che deve essere sradicato dal cuore e negato completamente affinché
possa aversi un vero discepolo di Cristo»[8].
Se, in verità, «il regno dei cieli è dentro di voi» ivi sarà anche la guerra
del cielo, fino a che Satana non sarà prevaricato, cioè, fino a che l’uomo che
abita nell’uomo non sarà padrone di se stesso.
Secondo la «Theologia Germanica» (cap. 3,
22,49), furono l’io del Demonio, l’io e il «mio» a provocare la caduta...
Giacché il sé, l’io, il me e il desiderio, tutti appartengono allo spirito
maligno, anzi sono essi stessi spirito maligno. Ecco come, quanto è stato detto
per lunghe pagine, può essere enunciato in poche parole: «Sii semplicemente e
completamente spogliato dell'egoità». Poiché «in Inferno non v'è che
auto-affermazione; e se l’auto-affermazione non fosse, neppure sarebbero il
demonio e l’inferno». E così Jacob Boehme: «questa detestabile egoità possiede
il mondo e le cose del mondo; e abitando in se stessa abita in inferno».
Citazioni di questo genere potrebbero essere
moltiplicate indefinitamente, esse stanno tutte ad indicare che delle bestie
malvagie, «la più malvagia è quella che portiamo dentro noi stessi» (Boehme, «De
Incarnatione Verbi», 1.1.20); è «la nostra parte più deprecabile e lontana
da Dio» è la «bestia multiforme», «che il nostro "Uomo Interiore",
come un domatore di leoni, deve tenere sotto il suo controllo se non vuole precipitare
dove essa porta»[9].
Detti ancora più espliciti possono essere citati da
fonti sufiche, dove l’anima (nafs) è distinta dall’intelletto o spirito
('aql, ruh) così come, in Filone e nel Nuovo Testamento, la Psiche
è distinta dal Pneuma, e l’anima dall’animus da parte di
William de Thierry (Epistole to the Brether of Mont Dieu §§ 50, 51).
Nella raccolta Kashfu-l-Mahjûh, l’anima è il «tentatore» e il prototipo
dell’inferno è questo mondo[10].
Al-Ghazâlî considera l’anima «il più grande dei
tuoi nemici»; potrebbe dirsi di più di Satana stesso? Abu Sâ’id chiede: «Cos'è
la malvagità e quale malvagità è la peggiore?» ha la risposta «“Tu” sei la
malvagità e peggiore malvagità sei “tu” quando non sai di esserlo»; egli
denominò quindi se stesso «nessuno», rifiutando, come il Buddha, di
identificare se stesso ad una «personalità» nominabile (circa Abû Sâ’id vedere
R. A. Nicholson, Studi sul Misticismo Islamico, p. 53). Jalâlud-Dîn
Rûmî, nel suo Mathnavi, ripete che il più grande nemico dell’uomo è l’uomo
stesso: quest’anima, egli dice, «è l’inferno» e ci esorta dicendo «uccidete
l’anima». «l’anima e lo Shaitân sono uno stesso ed unico essere, ma assumono
forme diverse; essenzialmente unico in origine, esso divenne il nemico
invidioso di Adamo»; e, similmente, «l’Angelo (Spirito) e l’Intelletto,
alleati di Adamo, hanno un’unica origine, ma assumono due forme». Nella disputa
fra l’anima sensitiva e l’Ego che tiene alta la testa è detto: «il significato
della decapitazione sta nell'uccidere l’anima ed estinguere il suo fuoco nella
guerra santa (Jihâd)»; e buon per colui che vince la battaglia, poiché
«per chiunque è in guerra con se stesso per causa di Dio, ... la sua luce
opponendosi alla sua oscurità, il sole del suo spirito non tramonterà mai»[11].
...«Scintilla dell’anima ... immagine di Dio, che è
sempre e in tutti i modi in guerra con quanto non è Dio ... e il suo nome è
Sinderesi»[12]
(Meister Eckhart, Pfeiffer, p. 113). «Sappiamo infatti che la legge è
dello Spirito... ma vedo nelle mie membra un'altra legge, che lotta contro la
legge dell’intelletto e che mi rende schiavo... dunque, io stesso, con
l’intelletto sono servo della legge di Dio; ma con la carne sono schiavo della
legge del peccato... Sottomettiti quindi a Dio: resisti il demonio» (Romani,
7-14, 23; Giacomo 4-7). E slmilmente in altre scritture, in particolare
nella Bhagavat Gîtâ (6-5, 6); «Innalza il Sé per mezzo del sé, non
permettere al sé di adagiarsi. Poiché, in verità, il Sé è l’amico e, allo
stesso tempo, il nemico del sé; amico per colui che ha conquistato il suo sé
per mezzo del Sé, per chi non ha conseguito tale vittoria, il Sé agisce, per
tal motivo, come un nemico in guerra». E, nel Dhammapada del Buddismo
(103, 160, 380), dove «il Sé è il Signore del sé» e si dovrebbe «per mezzo del
Sé incitare il sé e, per mezzo del Sé, rendere docile il sé» (com'è domato un
cavallo da un abile addestratore) e «chi ha conquistato il sé è il migliore dei
campioni» (cfr. Filostrato, Vit. Ap., 1-13: «proprio come, di volta in
volta con la sferza e le carezze, si domano i cavalli ombrosi e turbolenti»),
Non si deve allo stesso tempo dimenticare che la psicomachia è anche una
«battaglia d'amore», e che Cristo amò l’anima non rigenerata «in tutta
la sua bassezza e la sua stupidità» (S. Bonaventura, Dominica prima post
adventum Epiphaniae, 2.2. Per lo sviluppo completo del tema vedere anche il
mio articolo «On the loathy bride» (La sposa aborrita), Speculum,
20 (1945), pp. 391-404) o quanto Donne dice di lei: «pur non casta, tu
m’incanti». «Non per altro motivo il Figlio si allontanò dall’Altissimo, ma per
andare a prendere la sua Dama, che il padre gli aveva destinato in moglie
dall’eternità, e per restituirla all’elevata condizione che aveva in origine»
(Meister Eckhart, Pfeiffer, p. 288). Il fulmine, lancia del Dio, è contemporaneamente
l’arma con cui questi trafigge la sua sposa mortale. La storia di Semele
perseguitata dal tuono ci ricorda che la natura di Theotokos, in ultima analisi Psiche, è sempre stata lunare, mai
solare, e tutto ciò è la sintesi e la sostanza di ogni «mito solare», il tema
del Liebesgeschichte Himmels e del Drachenkampfe[13].
«Lascia che il cielo e la terra si sposino
nuovamente» (Rig Veda, 10.14.5). Il loro matrimonio, consumato nel
cuore, è lo Hieros Gamos, Daivam Mithunam (Satapatha Brâhmana,
10.5.2.12) e coloro, per i quali tale matrimonio interiore è stato reso
perfetto, non sono più, a vero dire, qualcuno, ma identici a Colui «che mai
divenne alcuno» (Katha Up., 2.18), Le parole di Plotino: «Amore è della
medesima natura di Psiche, da cui consegue il costante accoppiamento di Eros
con Psiche nelle raffigurazioni e nei miti» (Plotino, Enneadi, 6.9.9)
potrebbero essere ricordate per spiegare gran pane delle favole conosciute nel
mondo, e specialmente dei «miti e raffigurazioni» indiane riguardanti Shrî
Krishna e le mungitrici, di cui i commentatori giustamente negano la storicità,
osservando che tali cose fanno parte dell’esperienza di ogni uomo. «Tale invero
sono i misteri d'amore cui sembra, o Socrate, tu debba essere iniziato» dice
Diorima, e che nella realtà dei fatti, egli rispettò sempre profondamente
(Platone, Simposio, 210A).
Tuttavia non è qui solo questione di Grazia; la
salvezza dell’anima dipende anche dalla sua capacità di sottomissione, dal suo
cedere volontario; e l’ostacolo che incontra è proporzionato alla misura della
sua resistenza. Più che l’anima in sé, sono il suo orgoglio (mâno,
abhimâna; oiema, oiesis; auto-considerazione, arroganza), la satanica
convinzione della propria indipendenza (asmimâna, ahamkâra, cogito ergo
sum), la sua volontà, che devono essere distrutti; l’anima chiama questa
forma d’orgoglio «rispetto di sé» e preferirebbe morire piuttosto che esserne
distolta. Ma la morte che in ultima analisi desidera, a dispetto di se stessa,
non è una distruzione, bensì una trasformazione. Il matrimonio è una morte
iniziatica e un’integrazione (nirvâna, samskâra, télos) il «Fier
Baiser» trasforma il drago, la sirena perde la sua coda di serpente; la
fanciulla scompare col «farsi» donna, sorge dalla ninfa l’anima alata (circa il
Fier Baiser cfr. il mio «On the loathy bride»): «Può così, per mezzo
Tuo, tornare un Iblis ad essere un Cherubino» (Rûmî, Mathnavi, 4.3496).
Quel che risulta dall’unione della forma inferiore
dell’anima con la forma superiore non è mai stato così ben espresso come nel
seguente passo della Aitareya Aranyaka (2.2.7). «Questo sé dona se
stesso a Quello, e quel Sé dona se stesso a questo; essi divengono l’un
l’altro; mediante una forma (colui che ha consumato questo matrimonio
interiore) è unito all’altro mondo, e a questo mondo lo è mediante l’altra; la Brhadâranyaka
Upanishad (4.3.23) riporta: «In seno a quel Sé che tutto comprende nella
sua prescienza, egli non conosce, fra interno ed esterno, differenza alcuna. In
verità egli ha ottenuto quella forma nella quale non v'è più traccia di
desiderio o sofferenza essendo tutti i desideri soddisfatti (principialmente),
in questa forma sussiste solo la brama del Sé». «Amor ipse non quiescit,
nisi in amato, quod fit, cum obtinet ipsum possessione plenaria»
(Jean de Castel, De adhaerendo Dea, c. 12) «Jam perfectam animam...
gloriosam sibi sponsam Pater conglutinat» (S. Bernardo, De gradibus humilitatis,
7. 21). Veramente: Dafner der Teufel Könnt aus seiner Seinheit gehn, so
sähest du ihn stracks in Gottes Throne sfehn (Angelus Silesius, op. cit.,
1.143. Cfr. Theologia Germanica, cap. XVI: «Se lo stesso spirito del male
dovesse tornare alla vera obbedienza, tutti i suoi peccati e la sua cattiveria
verrebbero cancellati e tornerebbe ad essere nuovamente un angelo [di luce]»).
Abitano quindi dentro di noi l’Agathos Daimon
e il Kakos Daimon, il sé chiaro e il sé obnubilato, il Cristo e
l’Anticristo e la loro opposizione si manifesta anche dentro di noi. Il
paradiso e l’inferno sono immagini separate dell’amore e dell’ira in
divinis, ove sono indivise la Luce e l’Oscurità e giacciono insieme
l'Agnello e il Leone. Al principio, come testimoniano tutte le tradizioni, il
cielo e la terra erano uniti; l’essenza e la natura sono un’unica cosa in Dio,
sta all’uomo di ripristinare interiormente tale unione.
Son queste le nostre risposte al problema. Satana
non è una Persona singola e reale, ma una serie di personificazioni postulate,
una «Legione», ciascuna di queste è capace di redenzione (apokatastasis)
e può, se lo desidera, ritornare ad essere quello che era prima della sua
caduta, cioè «Portatore di luce», Phosphorus,
Hâlêl, Scintilla, Stella del Mattino,
Raggio della Luna Superna; poiché la scintilla, per quanto offuscata in apparenza,
è un asbesto che neppure in Inferno può essere distrutto. Non potendosi
tuttavia concepire una redenzione di tutti gli esseri verificantesi «ipso
facto» e considerando che vi saranno sempre delle anime demoniache
bisognose di redenzione, Satana deve essere pensato come dannato in etemo,
intendendo «dannato» come auto-escludentesi dalla visione di Dio e dalla conoscenza
della verità.
Il problema dal quale siamo partiti è stato risolto
in gran parte, ma resta ancora da compiere il passo più diffìcile, quello
dell’effettiva negazione di sé e della conseguente «auto-realizzazione» cui
alludono le risposte fin qui date, anche se per l’ottenimento di tali risultati
la teologia rappresenta soltanto una preparazione e per di più parziale. Satana
e l’Ego non sono veramente delle entità, ma soltanto delle concezioni
postulate valide per finalità di ordine pratico e di carattere provvisorio. È
stato spesso osservato che il più astuto espediente di Satana è quello di
persuadere che la sua esistenza è una semplice «superstizione». Nulla infatti
può essere più pericoloso della negazione della sua esistenza, la quale, senza
esserlo più della nostra, è tuttavia ben reale; guardiamoci dal negare Satana
prima di aver negato noi stessi, come si richiede da chiunque aspiri a seguire
colui che mai parlò o agì facendo la propria volontà. «Che cosa è Amore? Il
mare della non-esistenza» (Rûmî, Mathnavi, 3.478) e «chiunque entri in
quel luogo dicendo “sono io”, sarò Io (Dio) che lo respingerò con violenza percuotendolo
in faccia» (Shamsi-Tabriz, Ode 28 in R. A. Nicholson, Dîwâni Shamsi-Tabriz
p. 115); «Che cosa è Amore? Lo saprai quando sarai Me» (Rûmî, op. cit.,
2, Introduzione).
Note
* Tratto da: Rivista di Studi
Tradizionali 43
L’immagine:
la miniatura del XV
secolo tratta dallo «Yates Thompson 36», codice miniato appartenuto ad Alfonso
V, re di Aragona, Napoli e la Sicilia. In quest’opera le raffigurazioni di
Inferno e Purgatorio sono state dipinte da Priamo della Quercia mentre quelle
del Paradiso, con le tre iniziali istoriate, da Giovanni di Paolo.
[1] Nil agit in se ipsum: assiomatico nella filosofia
platonica, cristiana e indiana: «una stessa cosa non può compiere o subire
attività opposte sorto un medesimo rapporto o in relazione alla medesima cosa
o allo stesso tempo», Platone, Repubblica, 436B; «a stretto rigor di
termini, nessuno impone una legge alle proprie azioni», San Tommaso D'Aquino, Sum.
Teol. I, 93.5; «v’è un'antinomia implicita nella nozione di agire su se
stessi» (suâtmarì ca kriyâ virodhât), Shankara B.6.2.17.
[2] «Sei tu libero dall’io? ebbene, tu sei padrone di
"te stesso"» (sel bes gewaltic = sanscrito “svarât”).
Meister Eckhart, Pfeiffer, p. 598.
[3] «Come può ciò che non è mai nel medesimo stato
"essere qualche cosa"?» (Platone, Cratito, 439E; Teeteto,
152D; Simposio, 207D, ecc.). «l’io non ha significato reale, poiché è
percepito solo per un istante - i. e., l’istante che separa due attimi
consecutivi» (Vivekacûdâmani, 293).
[4] (Si tratta di Mansûr al-Hallâj, sûfî nato Tur intorno al 858 e morto a
Baghdad nel 922 della nostra era. N.d.r.)
[5] Dispiace constatare come, nella psicologia moderna, una
terminologia e distinzioni originariamente chiare siano state rese confuse a
causa dell’equazione «anima-immagine» = «anima nell'uomo e animus
nella donna». Ad un'estrema confusione nell’uso di questi termini è giunto il
Padre D'Arcy nel suo «Mente e Cuore dell'Amore», cap, 7. Tradizionalmente, anima
e animus sono l’«anima» e lo «spirito» in ogni uomo come in ogni donna;
cosi William di Thierry parla di «animus vel spiritus». Quest'uso
risale a Cicerone, e. e., tusc.) I, 22, 52. «Neque nos corpora
sumus. Cum igitur nosce te dicit, hoc dicit, nosce animum tuum — e V, 13.38
— humanus animus decerptus est ex mente divina»; e Accidio (Trag.,
296); «sapimus animo, fruimur anima, sine animo, anima est debilis».
[6] In tutte le tradizioni, non esclusa quella buddista,
l'uomo e la donna sono ugualmente capaci di «combattere la buona battaglia».
[7] Crr. D. B, Macdonald, Hebrew Philosophical Genius,
p. 139: «la natura fisica inferiore, le bramosie, la psiche di San Paolo... il
"sé", sempre inteso tuttavia nel suo significato inferiore»; Grimm, Greek-English
Lexicon of the New Testament, s. v. psychicos: «dominato dalla
natura sensuale, soggetto ad appetiti e passioni»; «anima... cujus vel
pulchritudo virtus, vel deformitas vitium est... mutabìlis es»
(Sant’Agostino, «De gen. ad litt.», 7.6.9, e Ep., 166. 2.3). «Non
è mai stato detto che l'anima mutevole è immortale secondo la stessa accezione
intemporale con cui tale termine è riferito a Dio, ma solo che è immortale in
un certo modo suo proprio» (secundum quendam modum suum, Sant’Agostino, Ep.
166,2-3). Se chiediamo, quomodo? visto che l’anima è nel tempo, la
risposta deve essere, «m un solo modo: continuando a divenire; giacché in
questo modo può sempre lasciare davanti a sé una nuova e diversa natura che
prenda il posto di quella vecchia» (Platone, Simposio, 2070). Solo Dio,
che è l'anima dell'anima, può essere concepito come immortale in senso assoluto
(Timeo, 6-16). È un errore definire indiscriminatamente l'anima come
«immortale», cosi com'è un errore chiamare «genio» un dato uomo; l'uomo ha
un'anima immortale (cosi come, per gli antichi, aveva un Genio) ma l'anima può
essere resa immortale solo mediante il ritorno alla sua origine, vale a dire,
morendo a se stessa e vivendo nel proprio Sé; cosi come l'uomo diventa un Genio
quando non è più «lui stesso».
[8] The Spirit of
Lovee An Adress to the Clergy, citato in William
Law di Stephen Hobhause, pp. 156, 219, 220.
[9] Platone, Repubblica,
558C ff. ove l'anima è paragonata ad animali compositi quali la Chimera,
Scilla o Cerbero. In un certo senso la Sfinge avrebbe potuto rappresentare un
paragone ancora migliore. In ogni caso le parti umana, leonina e ofìdica di
queste creature corrispondono alle tre parti dell'anima, in cui la nostra
parte divina «dovrebbe» prevalere; una buona illustrazione è quella di Ercole
che conduce Cerbero.
[10] Kashf al-Mahjûb, trad. R.A.
Nicholson (Gibt Memorial Series XVII, p. 198, cfr. p. 9: «il più grande
di tutti i veli fra Dio e l'uomo»).
[11] R.A. Nicholson, Mathnâvi
di Jalâud-Dîn Rûmî (Gibt Memorial Series). La fondamentale affinità di
Satana con l’ego risulta evidente dalla pretesa, comune ad entrambi, di
essere indipendenti; e 1’«associazione» (di altri con Allâh che solo è)
equivale, secondo il punto di vista islamico, al politeismo.
[12] Sul significato di sinderesi,
etimologicamente un equivalente del Sanscrito Santâraka, «colui che
aiuta ad attraversare», vedere O. Perz, Die Synteresis nach den H. I. Thomas
Von Aquin (Münster, 1911).
[13] («Storia d’amore del Paradiso» e «lotta del Drago»
n.d.r)