"…la dottrina è infallibile, è a causa del fatto che essa è un’espressione della verità, la quale, in se stessa, è assolutamente indipendente dagli individui che la ricevono e che la comprendono. La garanzia della dottrina risiede in definitiva nel suo carattere «non-umano»". René Guénon, Considerazioni sull’iniziazione, cap. "Sull’infallibilità tradizionale"

giovedì 16 gennaio 2014

Shaykh Muhammad at-Tâdilî, La vita tradizionale è la sincerità - Ad-dînun-Nasîha - III

Shaykh Muhammad at-Tâdilî 
La vita tradizionale è la sincerità 
Ad-dînun-Nasîha
III

(Rivista di Studi Tradizionali n°  29

Sappiate che la qualità di walî (wilâya[1]), come d’altronde la funzione di profeta, non è qualcosa che si possa acquisire. Essa comporta vari gradi; il suo dominio è l’Interiore e comprende le realtà essenziali (haqâiq) e le sottigliezze (daqâiq); in essa non vi è nessun intermediario (wâsita).
Parlando della natura del walî, c’è chi ha detto: «Allâh s’è preso cura dei suoi interessi (amr), ha allontanato da lui il suo Sciaytân[2] e l’ha reso padrone della propria anima (nafs)[3], la quale non può più nulla contro di lui[4]: perché il walî è il testimone di Allâh sulla terra e l’esecutore della Norma (sunna) di Allâh e della Sua legge (fard[5]. Chiunque, sapendo che ha a che fare con un walî, non si conforma alle sue parole ed alle sue azioni, non potrà avanzare nessuna scusante di fronte a Allâh il giorno della Risurrezione. Al-Hâtimî[6] così definisce il walî: «Egli è colui che procede seguendo il Profeta, nell’Esteriore e nell’Interiore»[7]; ed è pure stato detto: «Il walî è colui che al disotto del Profeta regge il creato (al-khalq) per mezzo della Verità (al-haqq[8]. Sahl ben Abdallâh as-Sushtûrî[9], lo shaykh di Giunayd[10], ha detto: «Allâh fa conoscere gli awliyâ (plurale di walî) solo ai loro simili o a coloro ai quali vuole renderli utili; se Allâh li mostrasse alle creature, tutti i musulmani sarebbero obbligati ad imitarne le parole e gli atti» e certamente l’insuccesso coglierebbe coloro che non li riconoscessero. Ma Allâh – che Egli sia esaltato – stende su di loro il Suo velo, avendo misericordia dei Suoi servitori. 
I Maestri spirituali (sciuyûkh, plurale di shaykh) perfetti (kummâl) dei Sûfî figurano tra gli awliyâ. A motivo della loro conformità (alla norma) reggono il creato con la Verità agli ordini del Profeta, perché essi sono i Califfi ben guidati che nei loro atti, parole e stati (ahwâl) prendono a modello i Califfi, Compagni del Profeta, come as-Siddîq[11], al-Fârûq[12], ‘Uthmân ibn Affân[13] e Sayidnâ ‘Alî[14] – che Allâh sia soddisfatto di loro!
Gli Sciuyûkh possono occupare gradi (maqâmât) diversi: lo Shaykh della Direzione (irsciâd) è colui la cui scienza delle norme tradizionali (fiqh) si mescola alla scienza del tasawwuf, di modo che non è un semplice exoterista, né appartiene completamente al tasawwuf; lo Shaykh dell’Aspirazione (himma) istruisce con l’Aspirazione; lo Sciakh degli ahwâl (plurale di hâl, stato o condizione interiore) istruisce con gli ahwâl; lo Shaykh dell’Istruzione (tarbîya) e del Viaggio (sulûk) riunisce in sé tutti i maqâmât; è lui ad autorizzare i discepoli ad entrare nel ritiro spirituale (khalwa)[15].
La khalwa comporta certe condizioni; essa deve durare non più di 49 e non meno di 21 giorni. Non è a tutti d’entrarvi: solo lo Shaykh sa a chi conviene. Al ritiro spirituale, segue la chiarezza (gialwa)[16]. Non vi è gialwa senza khalwa. Esse sono due gradi della Via. Della loro scienza, come pure di quella dell’Istruzione impartita dagli Sciuyûkh, abbiamo parlato in altri nostri trattati. Qui, accenniamo solo ai punti essenziali del metodo, della devozione e dello sforzo. Coloro che li praticano sono ricompensati con la Scienza della Certezza (‘ilmu-l-yaqîn)[17] ed il loro sforzo nella via della devozione procura el-munâ‘ata[18].
Il mondo dello sforzo è quello del Mulk[19], che viene chiamato “il mondo dell’uomo” (nâsût). Dopo lo sforzo e la devozione, vengono la fermezza (mukâbada) e lo “stato di servitù”, che corrispondono al mondo del Malakût (la cui designazione è una) forma intensiva (derivata) di Mulk. Il Malakût è ciò che è nascosto alla vista[20].
La fermezza nello stato della servitù richiede che l’iniziato organizzi il suo tempo in funzione dei suoi obblighi, poiché, come abbiamo già detto, il tempo è una spada affilata che, se tu non la utilizzi nella via della Verità, ti farà inoltrare in quella dell’errore. Colui che perde il suo tempo, perde tutto.
La fermezza nella Via della Servitù conduce al suo proprio grado (maqâm): è la tappa in cui si è solidamente installati nella servitù: solo dopo averlo pienamente realizzato, passerai ad un altro grado. A fartene uscire sarà colui che ti ha fatto entrare. 
Proprio del maqâm è che tu ti stabilisca in esso
con fermezza, senza occuparti di un altro maqâm,
ed osservandone le leggi sino in fondo.
Se sai esserne soddisfatto, ne trarrai profitto.
Apprezza la porta per la quale sei entrato,
perché uscirai attraverso di essa! 
Colui che da se stesso abbandona un maqâm per un altro, lascia il suo lavoro incompiuto. Colui che ne esce per mezzo di Allâh, ha compiuto la sua opera.
La fermezza nello stato di servitù conduce al maqâm del terrore, quindi al maqâm del desiderio ardente (raghba), quindi alla speranza e poi alla familiarità. La serie (dei maqamât) è lunga: ne abbiamo parlato in altre opere. Possiamo ancora citare il “timore”, la “contrazione”, la “tristezza”. Il loro esame richiederebbe un lungo discorso, e noi vogliamo essere brevi.
La fermezza nella servitù può anche procurare uno “stato transitorio” (hâl). Lo hâl è prodotto dalle ispirazioni (wâridât), le quali sono provocate dalle recitazioni (awrâd); le recitazioni dipendono dallo sforzo e dalla devozione. Senza le recitazioni le ispirazioni non vengono, e senza ispirazione non v’è stato transitorio. Come indica il loro stesso nome[21], gli stati transitori sono mutevoli ed hanno una durata limitata.
Al riguardo è stato detto: 
«Se non mutasse, non lo si chiamerebbe hâl,
e tutto ciò che muta, scompare.
Osserva l’ombra (al-fî) quando sta per scomparire:
essa diminuisce e poi sparisce». 
La fermezza nella servitù conduce alla ricerca del wagd (tawâgiud)[22]. Il tawâgiud è lo sforzo per ottenere il wagd e per provocare una discesa (d’influenze spirituali) nel cuore; tutti coloro che ricercano le ispirazioni (wâridât) divine ed i Misteri del Signore dei mondi (al-ma‘ânî-r-rabbânîya) si chiamano mutawâgid[23].
Dopo il maqâm della ricerca del wagd, viene il wagd stesso, il quale corrisponde alla presenza dei Misteri (ma‘ânî) e delle influenze spirituali che hanno invaso il cuore, provenendo dal mondo dell’invisibile (al-ghayb). Quando il wagd perdura, esso si estende a tutti gli elementi dell’essere dell’iniziato. Ogni iniziato prende la sua parte di wagd, ed a ognuno è dato un cuore, uno spirito ed un amore a seconda del suo bisogno; riceve allora, nella meditazione, le conoscenze che gli concede il suo Shaykh. L’intero essere (dell’iniziato) subisce l’influenza dei Misteri (ma‘ânî) nella rivalità dei suoi elementi e nei loro sforzi contrastanti; s’indebolisce molto e ben presto ne è dominato. Ciò appare sul volto dell’iniziato, sulla sua fronte, nelle parole che gli sfuggono, sulle sue mani e sui suoi piedi. Ed allora la gente parla di lui a seconda delle diverse opinioni che si può fare sul suo conto. Talvolta egli piange e ride e nello stesso tempo, ed allora dicono che è pazzo; talvolta parla uno strano linguaggio (‘agiamî), divulgando le haqâiq che gli son state comunicate; talvolta si fa notare per altre singolarità. Questo stato viene chiamato wagdân[24], “squilibrio”, “seconda colorazione” (talwîn thânî), “abbagliamento”.
Colui che dice: «Guardati dal dire: io sono Lui!» lo fa a suo scapito e si trova in un maqâm di divisione. Chi dice: «Evita d’essere altro che Lui!» è in un maqâm di Unione, di Gusto (dha‘wq) e di Svelamento (kascf). Quest’ultimo, continua nel suo lavoro, ed il suo essere (dhâtuhu) si stabilisce sempre più fermamente nell’Essenza (tazîdu tamakkunan fîdh-dhât), sì da ottenere la Potenza (al-quwwa); quando sia stato vinto nella Totalità pura (al-kullîya al-mahda), il suo maqâm viene chiamato “estinzione” (fanâ)[25] e sparizione (ghayba). E quando sparisce dalla sparizione[26], si ha la «Realizzazione» (wugiûd)[27] che fa seguito al wagdân. Ecco cosa dice Giunayd[28] sul wugiûd: 
La mia Realizzazione è la mia sparizione dall’Esistenza
con la Contemplazione che mi si offre. 
Parlare di questi maqâmât sarebbe lungo, e noi vogliamo essere brevi. Il mondo della fermezza e della visione dei misteri del Malakût[29] è un istmo (barzakh) che separa il mondo della devozione, di cui abbiamo poc’anzi parlato, da quello della Contemplazione[30]. Esso ha un lato inferiore che si prolunga nel mondo dello sforzo ed un lato superiore in cui si riversano le Conoscenze (ma‘ârif) e le Verità (haqâiq), e che fa già parte del mondo della Contemplazione. Quest’ultimo viene dunque quale terza tappa dopo lo sforzo e la fermezza; esso investe lo spirito (rûh) e corrisponde sotto un aspetto al mondo della Santità (quds) e sotto un altro al mondo del Sé (huwiyya), poiché il fulgore (tagiallî) della Contemplazione sullo spirito in uno dei tre mondi è dato dall’irrompere delle haqâiq che inondano rudemente lo spirito, senza intermediario tra di esse e i mondi.
Dopo aver parlato di questi tre maqâmât, la nostra esposizione non può che arrestarsi: se questo trattato considera solo l’inizio e le tappe intermedie (della Via) è proprio perché nessuna memoria scritta (defter) e nessuna poesia potrebbero insegnarne il termine, essendo la sua scienza sepolta nei cuori e dipendendo essa dall’ilhâm[31]. At-Tugîbî[32] lo dice nelle Mabâhith[33]: 
Metterlo per iscritto non è permesso:
è una scienza che sotterra la saggezza.
Guardati dal ricercarla in una memoria,
in un poema o in una composizione (urgiûza)[34]! 
Altri hanno anche detto: 
O Signore della perla (giawhar) della mia scienza!
Se io la divulgassi, mi si direbbe certamente:
Tu sei di coloro che adorano gli idoli,
ed i musulmani penserebbero che è lecito versare il tuo sangue[35]!
Essi vorrebbero che tutto quel che è bello fosse brutto.
Certamente nascondo le perle della mia scienza
in modo che un ignorante che ne sarebbe turbato non le veda. 
E v’è pure un hadîth che dice: «Parlate agli uomini tenendo conto del loro grado di comprensione! Volete forse che Allâh ed il Suo Inviato vengano presi per dei mentitori?».
Dopo tutti questi, chiarimenti, voi saprete con certezza che coloro che non sono interamente spinti verso la Presenza di Allâh e non ne ricercano una realizzazione, restano pur sempre degli estranei rispetto a questa prospettiva, anche se il suono dei loro tamburi si sentisse da lontano ed il frastuono dei loro tuoni fino all’orizzonte. Quanto a coloro che sacrificano la propria individualità per Allâh e che la utilizzano per aiutare tutti i fratelli senza fare distinzione alcuna per facilitargli il cammino verso Allâh, che invocano all’alba con umiltà e sottomissione, quest’ultima li farà pervenire al fine ultimo e darà loro la forza nello sforzo e nella fermezza nel dhikr di Allâh.
* * *
Così terminiamo questa nostra risâla, aggiungendovi un’appendice[36] in cui parleremo di alcune sconcertanti dicerie che possono allontanare da quella retta Via alla quale il Sincero ed il Degno di fede – su di lui le benedizioni di Allâh! – ha fatto allusione dicendo: «Io vi lascio su una Via “bianca”, sia di giorno che di notte: chi se ne allontana, perisce». Queste dicerie si sono particolarmente diffuse presso certi fratelli che oltrepassano i limiti (della verità) (ghulât), ai quali manca ogni esperienza delle modalità (agiabât) della Via, delle sue tappe (manâzil), dei suoi gradi (maqâmât), del suo inizio, del suo percorso e della sua conclusione. Costoro attribuiscono (tali discorsi) agli Sciuyûkh, facendogli dire cose che non hanno mai voluto dire circa i meriti di una tarîqa[37], o anche di tutte, poiché è evidente che tutto quanto emana dai nostri Maestri non può essere che in accordo con il Libro e con la Sunna[38]. È così che costoro dicono: «Questa è la nostra tarîqa ed è la migliore di tutte» e (nei confronti delle altre) divulgano calunnie che qui taceremo. Che Allâh abbia indulgenza di loro! Evidentemente esagerano nel loro attaccamento alla propria tarîqa. Mentre l’Altissimo ha detto: «Non oltrepassate nella vostra religione i limiti della verità»[39]; ed il Sincero ed il Degno di fede[40] – su di lui le benedizioni di Allâh – ha detto: «Non lodatemi oltre misura, come fanno i Cristiani con Gesù figlio di Maria!» Allâh ha pure detto: «I migliori (akrâm) fra di voi, agli occhi di Allâh, sono i più pii!»[41]. Sempre costoro sostengono anche che la visita (ziyâra)[42] è senz’altro vietata, ed in tutti i casi. Dio non voglia! È semplicemente che certuni, nel corso del loro viaggio (iniziatico), hanno visto degli Sciuyûkh dire ai principianti di diffidare delle azioni contaminate dalla passione.
Questi principianti si presentavano a degli Sciuyûkh senza avere un cuore sufficientemente saldo ed il discernimento necessario per poter affrontare i “poteri” (karamât)[43] degli iniziati, gli “stati” (ahwâl) impregnati di “attrazione” (giadhb)[44], o le opinioni contrarie alle abitudini di cui si sente parlare (nelle riunioni degli iniziati). Si comprenderà anche perché Zarrûq[45] – che Allâh lo accolga e gli sia propizio! –, vedendo il gran numero di coloro che, alla sua epoca, pretendevano (di esercitare la direzione spirituale), esclamasse: «Com’è possibile che un vero Shaykh si adorni di una simile barba!», e proibisse la “visita” ai principianti a motivo della loro mancanza di maturità e di fermezza nella Via. Certuni hanno generalizzato questo divieto ed hanno sostenuto che bisognava abbandonare completamente la pratica della “visita”, come, appunto, volevano le loro passioni. Al contrario, la “visita” costituisce lo spirito stesso della Via, sin dalla genesi della nostra formazione, la creazione dei nostri spiriti e delle loro mutazioni (tadâwul)[46], sia nel mondo della virtualità pura (‘âlam al-khayâl al-mutlaq), sia allorquando Allâh ci ha dato questa esistenza ed ha fatto del nostro sviluppo una visita, rinnovellando il passato e confermandolo con la Sua parola nei seguenti versetti: «O voi che credete, siate fedeli alle promesse!»[47] e: «Siate fedeli al Patto!»[48]. Egli ci ha proibito la discordia ed il dissenso.
As-Sushtûrî[49], an-Nâbulsî[50] ed altri Sciuyûkh inviarono in paesi lontani i loro Compagni, i “Ben diretti”, Guide e Guidati, prendendo ad esempio le ambasciate del Profeta, per chiamare la gente, insegnare la loro Tradizione (diyâna) e spiegare la Dottrina dell’Unità (tawhîd), comune (âmm), profonda (khâss) ed ultima (akhass)[51]; essi dicevano loro: «Andate dove volete e fateci conoscere agli altri». Allâh ha pure detto: «Siate fedeli al Patto, poiché dovrete rendere conto del Patto!»[52] ecc. Colui che nega in tutti i casi la “visita”, trascura Allâh e la Via, poiché gli Sciuyûkh (ai quali si rifiuta la visita) sono i Califfi successori del Profeta, che Allâh li benedica e dia loro la pace! Ciò che egli ha fatto, essi pure lo fanno; da ciò che egli non ha fatto, si astengono. Tutto il bene sta infatti nella Conformità (alla spirituale (baraka). Per certi aspetti, è paragonabile ad un vero pellegrinaggio.
Tradizione: al-ittibâ‘), e tutto il male è nell’innovazione (al-ibtidâ‘). 
Sii come furono le migliori creature,
alleato longanime, seguace del Vero.
Ogni bene è nell’imitazione degli Antichi (salaf).
Ogni male viene dalle innovazioni dei successori.
L’esempio del Profeta ha la meglio (ragiaha):
ciò che è stato permesso, fallo; quel che è stato taciuto, evitalo. 
In questo stesso ordine di idee, possiamo anche accennare a come costoro intendono una celebre frase dello Shaykh Abd-el-Qâdir[53], frase che essi attribuiscono, interpretandola al contrario, ai loro Sciuyûkh. Essi pensano che lo Shaykh Abd-el-Qâdir abbia detto: «Questi miei due piedi sono sulla nuca di tutti gli awliyâ di Allâh!». Orbene, allo Shaykh Abd-el-Qâdir ed a qualsiasi altro Shaykh non venne mai certamente questo pensiero! Lo Shaykh Abd-el-Qâdir ha voluto semplicemente dire: «I due domini in cui io eccello riposano sulla nuca di tutti gli awliyâ di Allâh». Il termine qadam, che ha dato luogo al malinteso, ha in effetti due sensi; esso vuol dire “piede”, ma è anche impiegato correntemente nel senso di “dominio in cui si eccelle”, di “rango elevato agli occhi di Allâh”, conformemente al versetto: «Essi occupano un rango (qadam) d’amicizia presso il loro Signore»[54]. I «due domini in cui io eccello» della frase in discussione sono la sciarî’a e la haqîqa, le quali sono poste, come due stendardi, rispettivamente sulla spalla sinistra e sulla spalla destra degli awliyâ, così come il Profeta ha indicato quanto ha detto: «I giusti di ogni generazione portano il carico di questa Tradizione». La parola qadam evoca qui chiaramente l’idea di questi due stendardi che devono portare tutti gli awliyâ di Allâh, dall’istante in cui li ricevono sino al loro ultimo respiro, quando escono da questo mondo. Li portano quindi coloro che li sostituiscono e così di seguito fino alla consumazione di questo mondo. Ma colui per il quale le parole degli awliyâ non sono più ambigue, ha ricevuto la Saggezza; «e chi ha ricevuto la Saggezza, ha ricevuto un bene immenso».
Fra i detti degli awliyâ che non riescono a comprendere coloro che sono privi di scienza, i quali si perdono in vani pensieri calunniosi, vi è la seguente espressione di Abû Yazîd al-Bistâmî[55]: «Noi ci immergemmo nei Mari, mentre i Profeti restarono sulla riva». Ecco il senso della frase di Abû Yazîd: «Noi ci immergemmo nei Mari», cioè fummo incapaci di attraversarli con potenza (bi-hâlin qawîyin) e calma (waqâr), e non lo potemmo, nonostante la nostra grande fermezza, a motivo dell’agitazione dei flutti dei Mari delle realtà (haqâiq) che circondavano il nostro essere. Ciò apparve nelle nostre parole, nelle nostre gote e sulla nostra fronte. Quanto ai Profeti – su di loro le benedizioni e la pace! – essi attraversarono i Mari tranquillamente (‘alâ sakînatin)[56] e con calma, a motivo della forza della loro potenza e della protezione (isma) (loro concessa). Il termine “immersione” non può applicarsi nel loro caso, poiché esso non può impiegarsi che a proposito della dominazione dei propri stati (ahwâl)[57]. I Profeti – su di loro le benedizioni e la pace! – attraversarono tutti i Mari, come abbiamo detto, con la tranquillità, la calma e la concentrazione (hudûr) che corrispondono al grado della Profezia (maqâm en-nubûwa), ed essi si tennero sulla seconda riva[58]. Il Vero – gloria a Lui! – testimoniò in favore del Suo Profeta – su di lui le benedizioni di Allâh e la pace! – quando giunse fin là ed oltre ancora, dicendo: «E non deviò il suo sguardo e non vagò»[59]: non diresse il suo sguardo verso tutto ciò[60], ma si mantenne in uno stato di grande concentrazione (hudûr) e di timore (mahâba) immenso nella Presenza del suo Creatore. Al-Hâtimî[61] ha composto un versetto sulla traversata di questi Mari, senza menzionarvi l’“immersione”. Eccolo: 
Lasciammo dietro di noi i Mari agitati.
Di dove sono gli esseri verso cui ci siamo diretti? 
Così è perché i gradi (maqâmât) dei Perfetti Conoscitori per mezzo di Allâh si diversificano indefinitamente a seconda delle loro differenti Dignità (hadarât). Dhu-n-Nûn al-Misrî[62], un giorno, inviò un suo discepolo a Abû Yazîd, dicendogli: «Va a trovare Abû Yazîd[63], salutalo da parte mia e digli: Tuo fratello Dhu-n-Nûn al-Misrî ha bevuto una coppa di Amore ed è scomparso (ghâba) dai due mondi». Quando il discepolo portò il messaggio a Abû Yazîd, costui gli rispose: «Di’ al tuo Shaykh: Abû Yazîd ha bevuto i Mari dell’Universo e ne vuole ancora!». Lo Shaykh et-Tafsûngî[64], parlando dello Shaykh Abd-el-Qâdir, disse a Abu-s-Su‘ûd[65]: «È da trent’anni che non vedo lo Shaykh Abd-el-Qâdir qui alle nostre riunioni». Abu-s-Su‘ûd gli rispose: «Colui che sta seduto alla porta di una casa non può vedere quel che succede all’interno. È per un suo interessamento che ti è arrivato (kharagia laka) venerdì il mantello ricamato con la Sura al-Ikhlâs». Lo Shaykh domandò perdono ad Allâh e purificò la sua volontà.
In poche parole, la purificazione della volontà e lo sforzo per osservare la sciarî‘a costituiscono la salvezza perfetta (hiya aslam) di tutti i fuqarâ, principianti o già avanzati nella Via. Un hadîth dice: «Se aveste fede nelle pietre, anche da esse potreste trarre un’utilità». Che pensare allora dei tuoi Fratelli Iniziati e di tutta la comunità degli adoratori di Allâh!
Oh Allâh, benedici Sayidnâ Muhammad, Pienezza (mil) delle due specie (d’esseri) dotati di peso[66]! Oh Allâh benedici Sayidnâ Muhammad, Pienezza dei Primi e degli Ultimi! Oh Allâh benedici Sayidnâ Muhammad, Pienezza del Pleroma Supremo, fino al Giorno del Giudizio! Benedici la sua Famiglia ed i suoi Compagni, e dà loro la pace! «Gloria al tuo Signore, il Signore della Potenza, oltre qualsiasi attributo! E pace sia sugli Inviati, e Lode a Allâh, il Signore dei mondi»[67].

Fine
Traduzione dall’arabo di A. Broudier

* L'immagine in testa riproduce una calligrafia dell'hadîth: «Ad-dînun-Nasîha» 

[1] Come abbiamo già detto, la radice w l y esprime le idee di prossimità, protezione ed amministrazione. Vedremo che lo shaykh tiene conto gli ultimi due significati per definire il termine walî.
[2] Questo termine dev’essere preso nel suo significato etimologico di “avversario”.
[3] Vedi nota 15 nel N. 28 (cfr. II parte, n.d.r.).
[4] Cfr. «per ch’io te sopra te corono e mitrio» (La Divina Commedia, Purgatorio, XXVII, 142).
[5] Si tratta di una funzione. Il fard è la Legge imperativa, mentre la sunna è un insieme di regole non strettamente obbligatorie, ma che rivestono tuttavia una notevole importanza.
[6] Cfr. nota 18 nel N. 28 (cfr. II parte, n.d.r.).
[7] Cioè nella sciarî‘a e nella haqîqa.
[8] Perché il walî è situato nella “stazione divina”, che è il centro della ruota cosmica. Esempi dell’influenza che gli awliyâ esercitano sul cosmo, si trovano nel libro di A. Aini su Abd-Al-Kadîr Ghilâni (Parigi, 1938).
[9] Abû Muhammad Sahl ibn Abdallâh As-Sushstûrî o At-Tustarî morto nell’anno 283 o 273 dell’Egira (896 o
886-887 dopo Cristo).
[10] Vedi nota 28.
[11] Abû‑Bakr as-Siddîq, morto nel 634 dell’era cristiana, era suocero del Profeta e suo compagno durante l’Egira. La catena iniziatica di molte turuq risale a lui.
[12] ‘Umar ibn al-Khattâb al Fârûq, morto nel 644, fu uno dei primi e più energici compagni del Profeta.
[13] ‘Uthmân ibn Affân, morto nel 656.
[14] ‘Alî ibn Abi-Tâleb, morto nel 661; cfr. nota.
[15] La khalwa è uno stato in cui l’essere è «solo con Allâh e s’intrattiene con lui come un amico, senza aver per testimone nessuno, né uomo, né angelo». «Occorre che in colui che preferisce la khalwa alla compagnia non alberghi nessun ricordo, tranne quello del suo Signore; che sia esente da ogni volontà salvo quello del soddisfacimento del suo Signore; che sia privo di qualsiasi desiderio dell’anima (nafs), qualunque ne sia la causa (sabab). In caso contrario, la sua khalwa lo precipiterà nel disordine e nell’infelicità» (Risâla Qusciayrîya, al-khalwa wa-l-azla).
[16] La radice g l w contiene le idee di: apparire alla luce del sole, rivelarsi (nel significato etimologico) e rivelare; e quindi: fare splendere una lama, pulire uno specchio, togliere il velo alla sposa, rendere splendente o puro qualcosa. Qui, è l’”occhio del cuore” dell’iniziato che è mondato delle impurità dalla khalwa.
[17] Ricordiamo che ‘ilmu-l-yaqîn è la conoscenza teorica, mentre ‘aynu-l-yaqîn è la conoscenza comportante l’identificazione (cfr. R. Guénon, Aperçus sur l’Initiation, Parigi 1946, pag. 174, nota 1).
[18] Al-munâ‘ata: come suggeriscono la sua radice e la sua morfologia, crediamo che designi lo stato in cui le qualità (nu‘ût) dell’iniziato non gli appartengono più in proprio, ma sono quelle della divinità, conformemente ai versetti coranici: «Non sei stato tu a scagliare la lancia: è Allâh che l’ha scagliata» e: «Coloro che prestano il giuramento a te, lo prestano in verità ad Allâh», ed anche al seguente hadîth: «... e di colui che amo, Io sono il suo udito, la sua vista, le sue mani, il suo soccorso».
[19] Alla lettera: il mondo del Regno (divino); è il termine che designa il mondo sensibile.
[20] Cfr. la nota 13 nel N. 28 (cfr. II parte, n.d.r.). La via iniziatica comprende tre tappe principali: 1° la devozione (‘ibâda), in cui l’attitudine dell’iniziato è caratterizzata dallo sforzo. Alla devozione corrispondono il mondo sensibile (al-Mulk), che è il “mondo dell’uomo” e la conoscenza teorica (‘ilmu-l-yaqîn), 2° lo stato della “servitù” (‘ubûdiya); in esso l’attitudine dell’iniziato è quella della fermezza: si tratta qui appunto di queste tappe. Alla “servitù” corrisponde il mondo del Malakût, che sembra ben corrispondere alla manifestazione sottile. Alla fine di questa tappa si ottiene il fanâ, cioè la reintegrazione nello “stato primordiale”, ed ha luogo il passaggio dall’‘ilmu-l-yakîn all’‘aynu-l-yakîn. 3° la contemplazione (musciâhada), di cui si parlerà in seguito, la quale corrisponde ai mondi della Santità (al-quds) e del Sé (al-huwiya). Propria di questa tappa è l’‘aynu-l- yakîn, fino a che essa si conclude, come la Via iniziatica stessa, con haqqu-l-yakîn. Queste corrispondenze non vengono tutte indicate dallo Shaykh, ma ci sembra che si possano dedurre abbastanza logicamente dal testo.
[21] La radice h w l significa mutare, evolvere, durare per lo spazio d’un ciclo. Giurgiânî, nelle Tarifât, spiega che se un hâl si ripete e diviene abituale, esso si trasforma in un maqâm.
[22] La radice w g d esprime l’idea di trovare, percepire, sentire. Il Padre F. Jabre, in una tesi non pubblicata, suggeriva il significato di “scoperta”, ma questa traduzione, anche se è forse più corretta di “estasi”, poiché si tratta invece d’uno stato puramente interiore, secondo noi non è tra le più felici. Per Giurgiânî, il wagd è paragonabile a «l’apparire di bagliori che poi scompaiono rapidamente».
[23] Participio attivo ricavato da tawâgiud.
[24] Questo termine, come wagd, è un “nome verbale” (masdar) derivato da wagiada. Numerosi esempi di manifestazioni di questo stato si possono trovare in Vies des Saints Musulmans di É. Dermenghem.
[25] «... El-fanâ, cioè l’”estinzione” dell’”io” nel ritorno allo stato primordiale» (R. Guénon, Le Symbolisme de la Croix, 2a ed., pag. 62, nota 3).
[26] «Al di là di el-fanâ, vi è fanâ el-fanâi, l’”estinzione dell’estinzione”. In un certo senso, il passaggio dall’uno all’altro di questi gradi corrisponde all’identificazione del centro di uno stato dell’essere con il centro dell’essere totale» (ibid.). Il testo dello Shaykh presenta a questo punto un’apparenza di paradosso. Non bisogna dimenticare che l’estinzione dell’individualità non può essere considerata disgiuntamente dallo stabilirsi nella Permanenza (baqâ) del Sé, trattandosi dell’altro volto della Morte iniziatica (cfr. R. Guénon, Aperçus sur l’initiation, cap. XXVI “La morte iniziatica”).
[27] Wugiûd: è anch’esso un nome verbale derivato dal verbo wagiada (vedi nota 22). Qui designa nettamente la Realizzazione totale.
[28] Abu-l-Qâsim al-Giunayd, morto a Baghdâd nel 910 dell’era cristiana, è un Sûfî venerato in molte turuq. È soprannominato il “Signore delle turbe” e il “Pavone dei sapienti”. Subkî gli dedica molte pagine delle sue Tabaqât as-s‘ciâfi‘iya.
[29] Traduciamo con questa perifrasi il termine mutâla‘a, che significa generalmente “esame attento”, “visione”.
[30] Cfr. nota 20.
[31] Cfr. nota 37 di pag. 135, nel N. 28 di questa rivista (cfr. II parte, n.d.r.).
[32] Abû‑l-Abbâs Ahmad ibn Al-Bannâ at-Tugîbî as-Saraqustî.
[33] Il titolo completo di quest’opera di Abû‑l-Abbâs Ahmad ibn Al-Bannâ at-Tugîbî è Al-mabâhith al-aslîya ‘an giumla-as-sûfîya (cfr. Brockelmann, Geschichte der arabischen Litteratur, Supp. III, p. 359).
[34] L’urgiûza è un tipo particolare di poesia basata sul metro ragiaz.
[35] Cioè: essi crederebbero che io sia un politeista e che la mia condanna a morte sia giustificata dal punto di vista islamico.
[36] Come sarà dato di constatare, questa appendice risolve tutta una serie di controversie, di cui alcune sono d’ordine pratico e riguardano la vita stessa delle turuq: ma non sono per questo meno interessanti. In quest’ultima parte del testo sono rari i termini tecnici che richiedono una spiegazione.
[37] Tarîqa, che significa letteralmente “sentiero” o “via”, è il termine generalmente usato nell’esoterismo islamico per designare un’organizzazione o una comunità iniziatica. (N.d.R.)
[38] Vedi nota 5.
[39] Corano V, 77: Lâ taghlû fî dînikum ghayra-l-haqq.
[40] Epiteto del Profeta. (N.d.R.)
[41] Corano XLIX, 13: Inna akramakum‘inda -Llâhi atqâkum.
[42] La ziyâra è la visita che i fuqarâ rendono agli Sciuyûkh, e che permette di attingere alla loro influenza
[43] Circa i “poteri” ed in qual conto bisogna tenerli, cfr.: R. Guénon, Aperçus sur l’initiation, capitoli sui “Prétendus pouvoirs psychiques” e su “Le rejet des pouvoirs”.
[44] Quanto ai termini giadhb e magdhûb, vedi R. Guénon, Iniziazione e Realizzazione Spirituale, cap. XXVI.
[45] Cioè Ahmad ibn Zarrûq al-Burnusî al-Fâsî (1442-1493). Questo Shaykh, della tribù dei Barânis, tra Fâs e Taza in Marocco, è il fondatore della tarîqa Zerrûqîya, sorta dalla tarîqa Sciadhilîya. Egli figura nella catena iniziatica (silsila) dei Derqawa, alla quale apparteneva lo Shaykh Tâdilî.
[46] Il radicale d w l esprime le idee di “girare”, “essere in rotazione”; nella sua VI forma, qui impiegata, significa: “fare qualcosa a turno”, “andare e venire”, “frequentare un luogo”.
[47] Corano, V, 1: Yâ ayyuhal-ladhîna âmanû awfû bil-‘uqûd.
[48] Corano, XVII, 34: Wa-awfû bil-‘ahd.
[49] Vedi nota 9.
[50] Si tratta molto probabilmente di Abd el-Ghanî en-Nâbulsî, nato nel 1641, affiliato sia alla tarîqa Naqsciabendîya che alla tarîqa Qâdirîya. Fu autore di molte opere, e, occasionalmente, si espresse a favore della legittimità tradizionale dell’uso del tabacco, che era stato considerato “biasimevole” dagli exoteristi. Cfr. Encyclopèdie de l’Islam, I, pag. 38.
[51] Cfr., a proposito del tawhîd e del suo senso profondo, l’artìcolo di R. Guénon, dal titolo At-Tawhîd (ripubblicato nel N. 12 di questa Rivista di Studi Tradizionali. N.d.R.).
[52] Corano, XVII, 34: Wa-awfû bil-‘ahdi innal-ahda kâna masûla.
[53] Muhyiddîn Abd el-Qâdir el-Gilânî, 1077-1166, il “Sultano degli Awliyâ”, fondatore della largamente diffusa tarîqa Qâdirîyâ. Cfr. Aïni, op. cit. Questo passo si basa su una argomentazione di natura linguistica che è impossibile tradurre alla lettera in modo soddisfacente: l’abbiamo quindi adattalo, senza cambiare nulla quanto all’essenziale.
[54] Corano, X, 2: Anna lahum qadama sidqin ‘inda rabbihim.
[55] Nato nell’800 dell’era cristiana e morto nell’875, fu il fondatore della tarîqa Tayfûrîya. Ibn ‘Arabî lo cita fra gli iniziati arrivati al maqâm degli “Uomini del biasimo” (malâmatîya) (Futûhât, tomo III, cap. 309, pag. 38).
[56] La sakîna è la Grande Pace, che Giurgiânî descrive come «una luce nel cuore» (cfr. R. Guénon, Il Simbolismo della Croce, capp. “La risoluzione delle opposizioni” e “La guerra e la pace”).
[57] Bisogna aggiungere che, anche se l’iniziato può essere momentaneamente “sommerso”, egli deve pur sempre conservare un’attitudine attiva.
[58] E non sulla prima, come pensano «coloro che sono privi di scienza».
[59] Corano, LIII, 17: Mâ zâghal-basaru wa-mâ taghâ. Questo versetto si trova pure nella Sura della Stella inrelazione con il “Loto del Limite” ed il “Giardino del Riposo”.
[60] Cioè verso i Mari minacciosi del viaggio iniziatico.
[61] Vedi nota 53.
[62] Famoso Shaykh egiziano, nato nel 795, morto nell’859 dell’era cristiana. Secondo Qusciayrî, è un altro Sûfî, Yahya er-Râzî, ad essersi esposto alla rimbeccata di Bistâmî.
[63] Cfr. nota 52.
[64] Nel nostro manoscritto, è il Qutb at-Tasûfungî, ma si tratta probabilmente di Abd-er-Rahmân et-Tafsungî di cui Scia’rânî dà una breve biografia nelle sue Tabaqât el-Kubrâ (di cui una traduzione italiana è stata recentemente pubblicata, con il titolo Vite e detti di Santi Musulmani, dall’Utet di Torino) (N.d.R.). Inoltre, egli non era il Qutb (il capo supremo della gerarchia iniziatica), poiché lo era, a quell’epoca, lo stesso Abd-el-Qâdir, così come, prima di lui, lo era, salvo errore, Yûsuf el-Hamadanî; ma Allâh è più sapiente. L’episodio si comprende meglio se si tengono presenti i “poteri” degli awliyâ.
[65] Si tratta probabilmente dello Shaykh Abu-s-Su‘ûd Ahmad ben Abi Bakr al-Hazimî el-Attâr.
[66] Cioè i ginn e gli uomini (cfr. Corano, Sura LV). 
[67] Corano, XXXVII, 181-182.