Meister Eckhart
Piccola antologia tematica
1. Dio opera maggiormente in un
cuore umile, perché è là che trova la maggiore possibilità di operare,
trovandovi la maggiore somiglianza con se stesso.
In tal modo ci insegna come dobbiamo penetrare nel nostro fondo di vera umiltà e di vero spogliamento, perché deponiamo tutto quello che non abbiamo per natura, che è peccato e mancanza, e anche ciò che abbiamo per natura, ovvero tutto ciò che appartiene all'io proprio. Infatti, chi vuole penetrare nel fondo di Dio, in ciò che ha di più intimo, deve prima penetrare nel fondo proprio, in ciò che ha di più intimo, poiché nessuno conosce Dio se prima non conosce se stesso. L'uomo, che è al di sopra delle altre creature, conosce in una luce vera, in cui non è né tempo né spazio, senza "qui" né "ora". L'anima, che è una luce, racchiude in sé molto di Dio. (Sermone "Haec est vita aeterna, ut cognoscat te solum")
2. L'intelletto è servo in senso più proprio della volontà o dell'amore. Volontà e amore si dirigono verso Dio in quanto è buono e, se non fosse buono, non lo degnerebbero di attenzione. Invece l'intelletto si spinge in alto, verso l'essere, senza far caso alla bontà, alla sapienza o alla potenza, o a tutto ciò che è accidentale. Non si rivolge a ciò che è aggiunto a Dio; lo coglie in se stesso: si immerge nell'essere e prende Dio come puro essere. Anche se non fosse sapiente, né buono, né giusto, lo prenderebbe in quanto puro essere. In ciò l'intelletto è simile alla più elevata signoria angelica, che comprende i tre cori: i Troni abbracciano Dio in sé e lo custodiscono, e Dio riposa in essi; i Cherubini confessano Dio e stanno vicini; i Serafini sono il fuoco. L'intelletto è simile a questi tre, e custodisce Dio in sé. Insieme a questi angeli, l'intelletto prende Dio nel suo guardaroba, nudo, in quanto è Uno, senza distinzione. (Sermone 37, Mio marito, tuo servo, è morto)
Distacco
In tal modo ci insegna come dobbiamo penetrare nel nostro fondo di vera umiltà e di vero spogliamento, perché deponiamo tutto quello che non abbiamo per natura, che è peccato e mancanza, e anche ciò che abbiamo per natura, ovvero tutto ciò che appartiene all'io proprio. Infatti, chi vuole penetrare nel fondo di Dio, in ciò che ha di più intimo, deve prima penetrare nel fondo proprio, in ciò che ha di più intimo, poiché nessuno conosce Dio se prima non conosce se stesso. L'uomo, che è al di sopra delle altre creature, conosce in una luce vera, in cui non è né tempo né spazio, senza "qui" né "ora". L'anima, che è una luce, racchiude in sé molto di Dio. (Sermone "Haec est vita aeterna, ut cognoscat te solum")
2. L'intelletto è servo in senso più proprio della volontà o dell'amore. Volontà e amore si dirigono verso Dio in quanto è buono e, se non fosse buono, non lo degnerebbero di attenzione. Invece l'intelletto si spinge in alto, verso l'essere, senza far caso alla bontà, alla sapienza o alla potenza, o a tutto ciò che è accidentale. Non si rivolge a ciò che è aggiunto a Dio; lo coglie in se stesso: si immerge nell'essere e prende Dio come puro essere. Anche se non fosse sapiente, né buono, né giusto, lo prenderebbe in quanto puro essere. In ciò l'intelletto è simile alla più elevata signoria angelica, che comprende i tre cori: i Troni abbracciano Dio in sé e lo custodiscono, e Dio riposa in essi; i Cherubini confessano Dio e stanno vicini; i Serafini sono il fuoco. L'intelletto è simile a questi tre, e custodisce Dio in sé. Insieme a questi angeli, l'intelletto prende Dio nel suo guardaroba, nudo, in quanto è Uno, senza distinzione. (Sermone 37, Mio marito, tuo servo, è morto)
Distacco
1. Chi è come deve essere si
trova bene in ogni luogo e con chiunque, ma chi non è come deve essere non si
trova bene in nessun luogo e con nessuno. Colui che è come deve essere ha Dio
vicino a sé in verità, e chi possiede Dio in verità, lo possiede ovunque: per
la strada e accanto a qualsiasi persona, così come in chiesa, in solitudine o
nella cella. Se un uomo siffatto lo possiede veramente, e possiede lui
soltanto, nessuno gli può essere di ostacolo. Questo perché egli ha Dio solo e
a Dio solo va la sua intenzione, e tutte le cose divengono per lui Dio solo. Un
tale uomo porta Dio in tutte le sue opere e in ogni luogo, ed è Dio soltanto a
compiere tutte le opere di un tale uomo. L'uomo deve cogliere Dio in ogni cosa,
e abituare il proprio spirito ad aver Dio sempre presente in sé, nella propria
intenzione e nel proprio amore. Considera dunque in che modo sei rivolto a Dio
quando sei in chiesa o nella tua cella, e mantieni un'identica disposizione
dello spirito anche in mezzo alla folla, nel tumulto, fra le cose disuguali.
Chi possiede Dio nella sua essenza, coglie Dio nella sua divinità; per
quest'uomo Dio risplende in tutte le cose: per lui infatti tutte le cose sanno
di Dio e in esse egli vede la sua immagine. (Istruzioni spirituali, n.6)
2. Dice nostro Signore: "A
chi rinuncia a qualcosa per amor mio e per amore del mio nome, io renderò il
centuplo me la vita eterna" (Mt 19,29). Ma se tu ti distacchi da qualcosa
per il centuplo o per la vita eterna, non ti sei distaccato da nulla, e,
neppure per una ricompensa mille volte più grande, ti sei distaccato da nulla.
Tu devi abbandonare te stesso, completamente, ed allora sei veramente
distaccato. L'uomo che si è distaccato da se stesso, è così puro che il mondo
non può sopportarlo. Chi ama la giustizia, di lui la giustizia si prende cura,
ed egli viene preso dalla giustizia, ed è una sola cosa con la giustizia.
L'uomo giusto non serve né Dio né le creature, perché è libero; e quanto più è
vicino alla giustizia, tanto più è vicino alla libertà, e tanto più è la stessa
libertà. Tutto quel che è creato non è libero. Finché è sopra di me qualcosa
che non è Dio stesso, ciò mi opprime, per quanto piccolo o comunque sia; fosse
anche lo stesso intelletto e l'amore; in quanto è creato e non Dio stesso, mi
opprime, perché non è libero. L'uomo ingiusto serve la verità, gli sia gioia o
dolore, e serve l'intero mondo e tutte le creature, ed è un servo del peccato.
(Sermone "Ego elegi vos de mundo)
3. L'uomo che è così saldo
nell'amore di Dio deve essere morto a se stesso e a tutte le cose create, in
modo tale da non fare attenzione a se stesso più che a chi è lontano oltre
mille miglia. Quest'uomo permane nell'uguaglianza, permane nell'unità sempre
completamente uguale: non entra in lui alcuna disuguaglianza. Quest'uomo deve
avere rinunciato a se stesso e a tutto il mondo. Se ci fosse un uomo a cui il
mondo intero appartenesse, e se egli lo abbandonasse, per Dio, ritrovandosi
nudo così come lo ha avuto, Nostro Signore gli restituirebbe questo mondo tutto
intero, e in più la vita eterna. Un altro uomo, che non avesse assolutamente
nulla di corporeo o di spirituale cui rinunciare, né da donare, rinuncerebbe di
più dell'altro. Tutto sarebbe donato a chi rinunciasse a se stesso
assolutamente, anche per un solo istante. Ma se un uomo fosse stato nel
distacco per vent'anni, e riprendesse se stesso anche per un solo attimo, non
sarebbe ancora distaccato. L'uomo che ha abbandonato, che si è distaccato, che
non guarda più assolutamente a ciò che ha abbandonato e permane costante,
immutabile e impassibile in se stesso, soltanto quest'uomo è distaccato. (Sermone
"Qui audit me non confundetur")
4. È un uomo povero quello che
niente vuole, niente sa, niente ha. a) Niente vuole: fintanto che l'uomo ha
ancora in sé la volontà di compiere la dolcissima volontà divina, non ha ancora
la povertà di cui parliamo. Infatti, egli ha ancora in sé una volontà, con cui
vuole soddisfare la volontà di Dio, e questa non è la vera povertà. Perché
l'uomo sia davvero povero deve essere privo della propria volontà come lo era
quando non esisteva. Ve lo dico nell'eterna verità: finché avete la volontà di
compiere la volontà di Dio e avete desiderio dell'eternità e di Dio, non siete
ancora poveri; infatti vero uomo povero è solo colui che niente vuole e niente
desidera. b) Niente sa: l'uomo dovrebbe vivere in modo da non vivere né per se
stesso, né per la verità, né per Dio. Ma aggiungiamo: l'uomo che deve avere
questa povertà, deve vivere così da non sapere neppure che egli vive né per se
stesso, né per la verità, né per Dio. Egli deve essere così vuoto di ogni
sapere, da non sapere né conoscere né sentire che Dio vive in lui. Inoltre,
deve essere privo di ogni conoscere che vive in lui. c) Niente ha: l'uomo deve
essere così povero da non avere, e non essere, alcun luogo in cui Dio possa
operare. Quando l'uomo mantiene un luogo, mantiene anche una differenza. Perciò
prego Dio che mi liberi da Dio, perché il mio essere essenziale è al di sopra
di Dio, in quanto noi concepiamo Dio come inizio delle creature. In
quell'essere di Dio in cui Egli è al di sopra di ogni essere e di ogni
differenza, là ero io stesso, volevo me stesso e conoscevo me stesso per creare
quest'uomo che io sono. Perciò io sono causa originaria del mio essere, che è
eterno, e non secondo il mio divenire, che è temporale. (Sermone "Beati
pauperus spiritu")
Fede e vita cristiana
1. Chi vuole iniziare una nuova
vita o una nuova opera, deve rivolgersi al suo Dio e chiedergli con grande
forza e con tutta la sua devozione di disporre per lui le cose nel modo che
egli giudica migliore e più degno, non volendo e non cercando costui il proprio
bene, ma soltanto la volontà di Dio. Qualsiasi cosa Dio gli mandi, deve
accettarla come derivante immediatamente da lui, considerarla la cosa migliore,
ed esserne totalmente soddisfatto. Se poi gli piace di più un altro modo di
agire, pensi allora che Dio gli ha assegnato quello, e che pertanto deve essere
per lui il migliore. Egli deve avere fiducia in Dio, facendo rientrare in quel
modo tutti i buoni modi di agire, e accettando in quello e secondo quello tutte
le cose, di qualunque natura siano. (Istruzioni spirituali, n.22)
2. Non si deve cercare niente, né
conoscenza né scienza, né interiorità né devozione né pace, ma soltanto la
volontà di Dio. Se si cerca soltanto la volontà di Dio, si deve accettare
quello che ci capita o che ci viene manifestato, come un dono di Dio e non
stare a vedere e considerare se venga dalla natura o dalla grazia, o da dove o
in qual modo: tutto ciò deve essere per noi indifferente. Allora uno è come
deve essere; e si deve condurre una semplice vita cristiana, senza mirare a una
condotta particolare. Quel che si fa è sempre sufficiente, se v'è in noi
l'amore di Dio. L'anima è fatta per un bene così grande ed alto, che essa non
può in alcun modo trovare riposo, ed è sempre infelice, finché non giunge,
sopra ogni modo, a quel bene eterno che è Dio, per il quale essa è fatta. Non
vi giunge però con impeto, con la rigida ostinazione a fare questo e a lasciare
quello, ma con la mitezza, in fedele umiltà e rinuncia a se stesso, nei
confronti di tutto quello che capita. A questo mira ciò che si può consigliare
e insegnare: che l'uomo si lasci condurre e non abbia che Dio in vista, per
quanto questo si possa presentare con molte e diverse parole. L'uomo non deve
pensare di progredire in una vita buona per il fatto che digiuna molto o compie
molte opere esteriori; un segno del suo progresso è invece l'avere maggiore
amore per le cose eterne e più avversione per quelle effimere. L'uomo deve
rivolgere il proprio volere a Dio in ogni opera ed avere negli occhi Dio solo.
E così proceda e non abbia timore, senza stare a considerare se così va bene
per non compiere passi falsi. L'uomo deve seguire la prima ispirazione e
procedere avanti; allora giunge dove deve e va bene così. (Sermone
"Gott hat die Armen")
Libertà
1. Lo spirito libero è quello non
turbato da nulla, non legato a nulla, che non fa dipendere da alcunché il
suo bene supremo, che in nulla mira a quanto è suo, ma è completamente sprofondato
nella dolcissima volontà di Dio e ha deposto ciò che è suo. E la più intensa
preghiera, la più potente per ottenere qualsiasi cosa, e l'opera fra tutte
superiore, è quella che proviene da uno spirito libero. (Istruzioni
spirituali, n.2)
2. Sappi per vero che lo spirito
libero, quando permane in un autentico distacco, costringe Dio a venire al suo
essere, e, se potesse permanere senza forma e senza accidente alcuno,
assumerebbe l'essere proprio di Dio. (Del distacco)
Opere
1. L'uomo deve essere libero e
signore delle proprie opere, senza essere distrutto né costretto. (Istruzioni
spirituali, n. 22)
2. I maestri sono d'accordo nel
dire che finché l'uomo è nella grazia, tutte le opere che egli compie sono
degne del premio eterno. E questo è vero, perché nella grazia è Dio che opera
le opere. E dicono: se l'uomo cade in peccato mortale, sono morte anche tutte
le opere che egli compie mentre si trova in peccato mortale, come egli stesso è
morto, e non sono degne del premio eterno. E dicono poi: se Dio restituisce la
grazia all'uomo cui dispiacciono le proprie colpe, allora tutte le opere che
egli compì nella grazia risorgono e vivono come prima, e le opere compiute in
peccato mortale sono perdute per sempre, il tempo e le opere insieme. E a
questo contraddico io e dico: di tutte le buone opere che l'uomo ha compiuto
mentre si trovava in peccato mortale, nessuna è perduta, e neppure il tempo in cui
avvennero, dal momento che l'uomo riconquista la grazia. Se avviene un'opera
buona attraverso un uomo, l'uomo si libera con questa opera e diviene più
vicino al suo principio di quanto lo fosse prima e pertanto è migliore e più
beato. Ma l'opera non è né buona né santa, né beata, ma è beato l'uomo in cui
permane il frutto dell'opera. In questo senso non è mai andato perduto l'agire
buono e neppure il tempo in cui avvenne, non perché esso permanga in quanto
opera e tempo, ma perché, sciolto dall'opera e dal tempo, è eterno con la sua
qualità nello spirito, come lo spirito è eterno in se stesso. Quando l'uomo
compie buone opere mentre si trova in peccato mortale, non le compie a partire
dal peccato mortale, ma piuttosto a partire dal fondo del suo spirito, che è
buono in se stesso per natura, anche se egli non si trova nella grazia. Questo
non nuoce allo spirito, perché il frutto dell'opera, sciolto dall'opera e dal
tempo, permane nello spirito ed è spirito con lo spirito, e non viene
annullato, così come non viene annullato l'essere dello spirito. (Sermone
"Mortus erat et revivixit")
3. Come mai spesso Dio
permette che uomini buoni, veramente buoni, siano sovente impediti nelle loro
buone opere. Il fedele Dio permette che i suoi amici cedano spesso alla
propria debolezza, affinché venga loro a mancare qualsiasi sostegno cui potersi
volgere o appoggiare. Per una persona che ama sarebbe infatti grande gioia
riuscire a fare grandi cose: veglie, digiuni, e altri esercizi, e compiere
imprese particolari, grandi e difficili; persone così trovano in ciò grande
gioia, sostegno, speranza, in maniera che le loro opere sono un appoggio, un
sostegno, una ragione di fiducia. Nostro Signore vuole privarle di ciò per
essere il loro unico sostegno, la loro unica ragione di fiducia. Dio fa questo
per pura bontà e misericordia: niente altro, infatti, che la sua pura bontà lo
determina ad operare. Le nostre opere non servono in alcun modo a che Dio ci
dia o compia qualcosa per noi. Nostro Signore vuole che i suoi amici si distacchino
da ciò, e per questo toglie loro ogni sostegno: per essere il loro unico
sostegno. Dio vuol dare loro molto, e lo vuole nella sua libera bontà; lui solo
deve essere loro appoggio e loro consolazione: perciò essi devono stimarsi un
puro nulla in mezzo ai grandi doni di Dio. Infatti, più è spogliato e nudo lo
spirito che si rivolge a Dio ed è sorretto da lui stesso, più l'uomo è
profondamente fissato in Dio, e più è capace di ricevere i suoi preziosissimi
doni. L'uomo, infatti, deve costruire unicamente su Dio. (Istruzioni
spirituali, n. 19)
4. Tu dici: Dio opera cose tanto
grandi in molte persone; il loro essere è riplasmato dall'essere di Dio, e così
a operare in esse è Dio, non loro. Ringrazia Dio dei doni che fa loro e, se li
fa a te, accettali, in nome di Dio. Se poi non te li accorda, fanne volentieri
a meno; abbi soltanto lui nel tuo pensiero, e non curarti di sapere se a
compiere le tue opere è Dio o sei tu stesso. Bisogna infatti che sia Dio a
compierle, se hai soltanto lui nel tuo pensiero - che egli lo voglia o meno. (Istruzioni
spirituali, n. 23)
Turbamento
1. Io lodo il distacco ancor più
di ogni misericordia, giacché la misericordia in null'altro consiste se non nel
fatto che l'uomo esce da se stesso per andare verso le miserie del prossimo, e
così il cuore ne ricava turbamento. Di tutto ciò il distacco resta scevro,
permane in se stesso, e da nulla si lascia turbare. Infatti, finché qualcosa è
in grado di turbare l'uomo, egli non è tale quale dovrebbe essere. (Del
distacco)
2. In Dio non c'è tristezza né
sofferenza né tribolazione. Se vuoi essere liberato da ogni sofferenza e
tribolazione, volgiti a Dio e unisciti in purezza a lui soltanto. Di certo,
ogni sofferenza proviene dal fatto che tu non ti volgi unicamente in Dio e a
Dio. Nulla che sia ineguale o ingiusto, nessuna cosa del mondo creato può far
soffrire il giusto, perché, essendo tutto ciò che è creato così tanto al di
sotto di lui quanto lo è al di sotto di Dio, non può influenzarlo né
contaminarlo, né generarsi in lui, che ha Dio soltanto come Padre. Perciò
bisogna che l'uomo molto si adoperi nello spogliarsi di se stesso e di tutte le
cose create, e non riconosca altro padre che Dio soltanto. Così, nulla potrà
farlo soffrire, né Dio né creatura, nulla di creato o di increato, giacché
tutto il suo essere, vita, conoscenza, sapere e amare, è da Dio, in Dio, è Dio
stesso. (Il libro della consolazione divina)
Volontà
1. L'uomo non deve spaventarsi di
nulla, finché la sua volontà è buona, né deve affliggersi se non può metterla
in pratica attraverso le opere; né deve considerarsi lontano dalle virtù, se ha
in sé una vera buona volontà giacché la virtù e ogni bene risiedono nella buona
volontà. Se tu possiedi una volontà giusta, nulla ti mancherà: né amore, né
umiltà, né virtù alcuna. Ciò che tu vuoi con tutta la tua volontà, tu lo
possiedi, e non te lo può togliere né Dio né alcuna creatura, purché la tua
volontà sia integra e veramente divina, e applicata al presente. Non devi dire
"Vorrei...", giacché questo rimanda al futuro, ma invece: "Voglio
che ora sia così". In verità, con la volontà io posso tutto. Posso
sostenere la pena di tutti gli uomini, nutrire tutti i poveri, compiere le
opere di ogni uomo, e qualsiasi cosa tu possa immaginare. Se non è la volontà
che ti manca, ma solo la possibilità di agire, in verità tu hai compiuto,
davanti a Dio, tutto questo. E nessuno te lo può togliere o contestare un solo
istante, giacché voler fare, se se ne avesse la possibilità, e aver fatto, sono
davanti a Dio la stessa cosa. Ugualmente, se io volessi avere tanta volontà
quanta ne ha il mondo intero, e se tale desiderio fosse grande e totale,
davvero io avrei questa volontà, perché io ho ciò che voglio avere. La volontà
è piena e retta quando è totalmente spoglia di se stessa, disappropriata, e
formata sulla volontà di Dio. (Istruzioni spirituali, n. 10)
Unità
1. Ho letto una parola espressa
da san Paolo nell'epistola [Ef 4,6]: Un solo Dio e padre di tutti, che è
benedetto al di sopra di tutti, da tutti e in noi tutti. Quando dice: Un
solo Dio, egli intende con ciò che Dio è Uno in se stesso e separato da
tutto. Dio non appartiene ad alcuno, e nessuno gli appartiene; Dio è Uno.
Boezio dice: Dio è Uno e non muta [Consolazione 3,9]. Tutto quel che Dio
ha creato, lo ha creato soggetto al mutamento. Tutte le cose in quanto create,
portano su di sé il mutamento. Questo significa che noi dobbiamo essere Uno in
noi stessi, separati da tutto, sempre immutabili, Uno con Dio. Al di fuori di
Dio non vi è che il nulla. Perciò è impossibile che in Dio abbia luogo qualche
mutamento o cambiamento. Chi cerca un luogo fuori di sé, si muta. Ma Dio
possiede in sé tutte le cose in pienezza; perciò non cerca niente fuori di sé,
ma solo nella pienezza che è Dio. L'Uno è qualcosa di più puro della bontà e
della verità. Bontà e verità non aggiungono niente, ma aggiungono nel pensiero:
quando qualcosa viene pensato, si aggiunge. Invece l'Uno non aggiunge niente,
là, dove egli è in se stesso, prima di effondersi nel Figlio e nello Spirito
santo. Un maestro dice: L'Uno è la negazione della negazione. Se dico che Dio è
buono, gli aggiungo qualcosa. Invece l'Uno è negazione della privazione. Che
significa l'Uno? L'Uno significa ciò cui niente è aggiunto. L'anima coglie la
Divinità come essa è pura in se stessa, dove niente le è aggiunto, neppure col
pensiero. L'Uno è negazione della negazione. Tutte le creature portano in sé
una negazione: ciascuna nega di essere l'altra. Un angelo nega di essere
l'altro. Ma Dio ha una negazione della negazione; egli è l'Uno e nega ogni
altra cosa, giacché niente è al di fuori di Dio. Tutte le creature sono in Dio
e sono la sua propria divinità, e questo significa la pienezza. (Sermone
"Un solo Dio e padre di tutti")
Dal sito: www.mistica.info