Shaykh Muhammad at-Tâdilî
La vita tradizionale è la sincerità
Ad-dînun-NasîhaII
II - (Rivista di Studi Tradizionali n° 28)
Il risultato della pratica del dhikr è quindi inseparabile dalla perfetta fratellanza tra gli iniziati, e chi si dedica all’“incantazione” perviene al grado della Futuwwa[1], poiché egli si occupa sempre degli altri.
È questo il dhikr degli stati transitori; ed è il dhikr a “colorarsi” a seconda delle presenze divine ed a motivo dell’estrema fraternità in tutte le manifestazioni dei Sûfî. Essi stessi dicono:
Il risultato della pratica del dhikr è quindi inseparabile dalla perfetta fratellanza tra gli iniziati, e chi si dedica all’“incantazione” perviene al grado della Futuwwa[1], poiché egli si occupa sempre degli altri.
È questo il dhikr degli stati transitori; ed è il dhikr a “colorarsi” a seconda delle presenze divine ed a motivo dell’estrema fraternità in tutte le manifestazioni dei Sûfî. Essi stessi dicono:
Il tuo vero fratello è colui che è con te;
è colui che affronta disagi per esserti utile;
è colui che, quando sei provato dalle vicissitudini
della vita, si disperde per ricostituirti.
A sua volta, la mia anima ha concepito su questo tema i seguenti versi:
Cosa v’è di più dolce al mondoPer cui si dice: «Quando tratti l’uomo generoso con la generosità, tu lo conquisti». I rapporti fraterni fra coloro che praticano il dhikr comportano necessariamente i buoni pensieri nei confronti dei meno avanzati; mentre i rapporti fraterni tra i negligenti generano inevitabilmente i cattivi pensieri nei confronti dei migliori. L’Altissimo ha detto: «O voi che credete siate pazienti» nella ricerca costante e difficile (mukâbada)[5] di buoni pensieri verso i servitori di Allâh: «Armatevi di pazienza e coltivare la Futuwwa in vista di Allâh»; e «abbiate timore di Allâh»[6]: abbiate cioè una barriera che vi protegga da quanto vi impedisce d’agire in vista di Allâh.
di un amico che ci rallegra il cuore?
Se cado, non ho da temere il suo biasimo;
se inciampo, egli si dà da fare per risollevarmi.
Non troverai la felicità nel cibo,
né nelle bevande, né nei bei tappeti, né nei vestiti,
né nelle ricchezze[2], anche se il lorosplendore ci sorprende.
Ma un amico ispira il rispetto e la benevolenza
che nasce dalla generosità; egli procura una felicità[3]
senza peccato: un cuore ricolmo di generosità
eleva il carattere dei migliori.
E se io sono portato ad assaporare il Vino puro,
non per questo la mia ebbrezza si affievolisce
per le qualità dell’amico[4].
L’uomo nobile è insostituibile!
L’uomo nobile marcia spedito verso il successo!
Procuratevi, o fratelli, la comprensione di una scienza che è la salvaguardia vostra e di tutti noi: non provocate scissioni tra i gruppi di iniziati, anche se fossero essi stessi a fomentarle! La divisione è uno sviamento che genera le innovazioni (al-bi’da), che disperde i cuori e che distrugge i risultati dell’amore. L’Altissimo ha detto: «Conviene forse all’uomo a cui Allâh ha dato il Libro, la Saggezza e la funzione di Profeta che egli dica agli uomini: “siate miei servitori e non i servitori di Allâh”? No! ma siate i Dottori della Legge divina per il vostro studio e per il vostro insegnamento del Libro»[7]. Questo versetto nega che le creature possano appoggiarsi su altro che Allâh, afferma l’Istruzione attinta dai Profeti – su di Loro la pace! – quindi dai walî[8], ed infine dai più perfetti (amthal); questi ultimi istruiscono insegnando quel che ci apporta la Parola di Allâh, cioè il “comportamento tradizionale” (adab), le norme relative al coraggio, la longanimità, il sapersi arrestare nei limiti posti da Allâh, e l’osservanza del carattere sacro delle prescrizioni divine contenute nella sciarî’a. Questa è l’istruzione generale contenuta nelle parole dell’Altissimo che abbiamo innanzi menzionato. Così viene additato, da tutte le turuq degli iniziati senza eccezione, il cammino che conduce ad Allâh; e la nostra fiducia negli iniziati è assoluta, poiché lo shaykh dell’iniziato è suo padre, gli shaykh della sua epoca sono i suoi zii, e tutti i foqarâ sono i suoi fratelli: essi dovranno dunque essere trattati rispettivamente come padri, zii e fratelli.
La natura di queste relazioni risulta chiaramente dal Libro di Allâh e dalla Sunna del Suo Profeta. L’Altissimo ha detto: «Noi fortificheremo il tuo braccio con tuo fratello»[9], e «Allâh ama coloro che combattono nella Sua via in ranghi serrati, sì da costituire un solido edificio»[10]. Ed il Profeta – su di lui le benedizioni di Allâh e la Pace – ha detto: «Due credenti sono come due solidi edifici: l’uno sostiene l’altro», ed anche: «I credenti formano un unico corpo: se un organo si ammala, l’intero organismo ne risente». L’Altissimo ha pure detto: «I credenti sono tra loro tutti fratelli. Fate dunque regnare la concordia tra i vostri fratelli!»[11]. «Fate regnare la concordia», cioè il vostro comportamento sia nobile, si basi sulla longanimità, la generosità, la modestia, la sollecitudine, l’amicizia e l’affetto, poiché tutto ciò consolida le fondamenta della fratellanza.
In una parola, la Via dei Sûfî è la Via dell’Unione (giam). I loro soffi e la loro condotta sono diretti all’“amicizia nell’Unione”. L’Unione è infatti il principio dell’esistenza e di ciò che si differenzia in tutti i mondi (al-ulfah fil-awâlim kullihâ): i Sûfî la ricercano perché per mezzo di essa si ottengono i “gradi” (maqâmât) della Via, le sue manifestazioni ed i suoi stati transitori. L’Altissimo ha detto: «Non provocate divisioni»: esse vi indeboliscono ed il successo vi sfuggirà: siate pazienti nelle difficoltà che dovete affrontare nella vita tradizionale (dîn). «Armatevi di pazienza» per rendervi padroni delle “aperture” e delle “conoscenze” (ma’ârif) che si producono all’improvviso; e per dominarle «non si agitino le vostre lingue nella premura!», «Siate pazienti e costanti»[12] con il vostro cuore ed il vostro spirito dinnanzi a tutte le Visioni provenienti dal mondo del Malakût[13] ed a tutte le contemplazioni sorgenti dal mondo del Giabarût[14]. Quel che cerca l’iniziato è ben oltre!
Sappiate, o miei fratelli, che tutto ciò che accade ad un essere è “giusto” (haqq). L’Inviato di Allâh diceva: «V’è un gran merito nel sopportare quel che non vi piace». Orbene, quando il dhikr pesa all’anima, è segno che una certa forma d’ipocrisia si nasconde in essa; e nella lotta contro questo peso che attira l’anima verso i suoi desideri, la pazienza è la miglior arma nel combattimento contro l’anima ed è lo strumento della sua morte[15]. La pazienza è un bene in tutte le situazioni, tranne che nella lontananza da Allâh. Tutte le modalità (durûb) dell’amore (mahabba) si oppongono alla sopportazione della lontananza da Allâh!
Sappiate ancora, miei fratelli, che quando il faqîr nel fare il dhikr non è sorretto dalla volontà (irâda), l’appellativo di Sûfî nel suo caso è solo più una metafora[16] ed il suo dhikr diventa pericoloso. Qui, per “volontà” non intendiamo la volontà quale attributo di Allâh, cioè quell’attributo eterno (qadîm) che determina le possibilità in certe loro caratteristiche, quali la lunghezza, la piccolezza, lo splendore, l’oscurità, la debolezza od il rigoglio; con la “volontà del faqîr” intendiamo invece un’ardente aspirazione che provoca tutte le illuminazioni[17]: essa è denominata “colei che si lamenta” (alla lettera: “la piangente”) (nâiha), e ad essa fanno allusione le seguenti parole dell’Inviato di Allâh – su di Lui le benedizioni di Allâh e la Pace –: «Quando non v’è “colei che si lamenta” nel cuore, esso va in rovina, così come cade in rovina una casa disabitata». Tra coloro che praticano il dhikr, colui che possiede la volontà percorre in un mese più cammino nella Via di quanto possa percorrerne in molti anni colui che l’ha perduta. Il Profeta ne ha tessuto la lode in questi termini: «Allâh ama sicuramente tutti i cuori rattristati». Ed uno shaykh, nel dare l’addio ad un suo faqîr che partiva per un viaggio, gli disse: «Quando incontrerai un uomo triste, lo saluterai anche da parte mia».
Il faqîr che possiede la volontà gode delle sorprese dell’amore (bawâdihu‑l-mahabba), poiché la natura profonda dell’amore è un fuoco che divora tutto ciò che non è l’Amato e che distrugge ogni limitazione. Il “compagno dell’Amore” è come colui che piange per il desiderio ardente di incontrare i fratelli, ed il timore di doverli lasciare lo avvolge di tristezza: sicché non è mai in pace. È a questo amore che fa allusione il Grande Shaykh al-Hâtimi[18] con questi versi:
Chi al mondo è più infelice di un amico,Tale amore è essenziale (dhâtiya). Vi sono due specie di amore: uno essenziale, l’altro apparente (sifâtiya). Più precisamente, l’amore apparente è simile a quello che fra gli uomini sussiste talvolta grazie all’altruismo[19]”, ai favori ed ai regali; esso cessa quando questi vengono meno. L’Altissimo, a proposito di coloro che sono presi dall’amore apparente, ha detto: «Tra di essi ve ne sono il cui amore per Allâh è incerto: Che ad essi giunga il bene»; delle cose che domandano e di cui si occupano costantemente «godano con tranquillità». Ciò vuol dire che la loro anima gode in pace dei favori e dei beni ricevuti in ricompensa della loro adorazione; essa ne è soddisfatta ed è pronta a riconoscere ad Allâh la Sovranità. Ma «se sono provati», cioè se vengono loro rifiutati i favori, «essi si ribellano e sono i perdenti in questo mondo e nell’altro»[20]. Si tratta in realtà di una specie di abitudine, che è tutt’altro che l’amore, di una semplice passione psichica di cui la nafs assume le varie manifestazioni per raggiungere l’oggetto dei suoi desideri: è come un affetto che sussiste fintantoché dureranno lodi e favori; ma se da una parte cesseranno i doni, le lodi ed i rapporti amichevoli (muwâsala), dall’altra si replicherà con un cambiamento ancor più totale.
anche se dolce è il gusto della passione?
Poiché certamente egli piange per l’ardente
desiderio; e quando è con l’amico,
piange per il timore della separazione.
Il segno che caratterizza l’amore essenziale è che coloro che ne sono infiammati sono uomini che il Vero (al-Haqq) ha spogliato dell’amore apparente (salaba), rivestendoli della luce del Suo amore; ed essendo così favoriti dalla Provvidenza (inâya) e ricolmi di felicità[21], essi Lo amano nell’attributo (sifa) che ha rivestito per loro a motivo del Suo amore[22]. È a questo amore che fanno allusione le parole dell’Altissimo: «Egli li ama ed essi L’amano»[23]; cioè «Egli li ama» con il Suo amore ed «essi L’amano» grazie al Suo amore. Questo amore non avrà fine. Colui che possiede questo amore, avesse egli mille nemici alla sua sinistra e mille amici alla sua destra, non farebbe differenza alcuna tra i due gruppi. Poiché il suo carattere (sifa)[24] è eterno (qadima), egli non può dividersi; tratta bene chi gli ha fatto del male, perdona chi gli ha fatto un torto, fa di tutto ristabilire i rapporti di amicizia spezzati, elargisce a chi ha respinto una sua richiesta. L’Altissimo ha detto: «Il Misericordioso darà loro un desiderio (wudd)»[25], cioè un amore. Per il seguace dell’amore, i contrari e le antinomie (addâd)[26] si equivalgono. Nell’Unione, l’amore avvolge il suo cuore sia nella “prossimità” che nell’“allontanamento”, nella potenza (‘izz) come nell’umiltà (dhull), alla presenza dei doni come di fronte al loro rifiuto, nell’“assenza” come nell’Unione. Al-Fârîd[27] vi fa allusione in questi termini:
La mia Unione è la mia separazione, l’avvicinamentoe, dell’amore essenziale, ha scritto:
è il mio allontanamento; la mia umiltà è la mia potenza;
le prove sono per me un favore.
Se la mia sorte è di partire lontanoCosì è perché la natura profonda dell’amore è di tal fatta[28] che gli incendi prodotti dal suo ardore[29] si estendono per tutti i visceri fino ad impadronirsi dell’intera natura (mâhiyya) dell’essere. Quanti cuori e spiriti attira il seguace dell’amore! Molto vi sarebbe da aggiungere sul tema dell’amore...
da Te senza che me n’allontani,
questa partenza, per me, è la riunione.
Sappi – che Allâh sia a voi ed a me propizio! – che l’uomo il cui amore è superiore allo sforzo nel suo viaggio iniziatico (sulûk) è “scelto” (mujtabâ) e che l’uomo in cui predomina lo sforzo è invece “fatto ritornare” (munâb). L’Altissimo ha detto: «Allâh sceglie per Lui chi vuole e dirige a Sé chi ritorna a Lui pentito”[30]. La “Scelta” ed il “Ritorno” sono due eminenti gradi nella Via degli iniziati (al-qawm)[31]; tuttavia l’uomo della “Scelta” vola nel suo lavoro e nei suoi ahwâl, méntre l’uomo del “Ritorno” commina. Sennonché vi è una certa differenza tra il camminare ed il volare!
Così, l’uomo della devozione (‘bâda), dello sforzo, dell’ascetismo (zuhd)[32], dello scrupolo (wara), l’uomo che spesso digiuna durante il giorno e che veglia a lungo nel corso della notte, “viene ricondotto” ad Allâh. E colui che possiede gli ahwâl, la Futuwwa[33], la longanimità, il coraggio, i doni della conoscenza (mawâhib), il senso della fratellanza, l’amore, colui che preferisce gli altri a se stesso, costui è “scelto”.
In tal modo si spiegano i “gradi” della Via e la differenza che v’è tra chi si dedica da lunghi anni alla devozione e l’uomo nei cui ahwâl, parole ed atti appare la manifestazione della “Scelta”: quest’ultimo ottiene in breve tempo un elevato grado di realizzazione.
Il “compagno del Ritorno” è l’uomo tutto dedito al suo “lavoro iniziatico”, che riceve ciò che corrisponde al proprio sforzo ed al proprio merito. Allâh – che Egli sia esaltato – al riguardo della “gente del Ritorno” ha detto: «A loro la Dimora e la Pace presso il loro Signore. Egli è il loro Amico (walî) in ricompensa di quanto hanno fatto» (Corano, VI, 127).
L’Altissimo ha pure detto: «Quanto a colui che è generoso, che teme Allâh, e che crede nella cosa migliore, gli faciliteremo la via della facilità»[34], cioè il Paradiso, che è pure chiamato “la Dimora migliore”. Ed infine Egli ha anche detto: «L’uomo non riceverà che ciò che si è guadagnato; il suo sforzo verrà riconosciuto ed egli sarà scrupolosamente ricompensato»[35], con il Paradiso, che è anche chiamato “la Dimora della Ricompensa”. Quanto agli «uomini della Scelta», l’Altissimo ha detto: «Di’: per il favore di Allâh e la Sua misericordia», vale a dire: Di’, o Muhammad agli “uomini della Scelta”: tutti i doni, i gradi (daragiât), le conoscenze (ma’ârif), le finezze (raqâiq), le sottigliezze (daqâiq), i giardini, le hûri, voi le avete «grazie al favore di Allâh ed alla Sua misericordia». Il Vero – gloria a Lui! – li colma con il Suo favore e la Sua liberalità (karam), non a motivo delle loro opere: «E ciò di cui gioiscono è migliore di quanto essi mettono da parte!»[36]. Questa Dimora, ricevuta in dono dal Vero si chiama “il Paradiso dei Doni” (giannatu-l-mawâhib); essa è pure denominata “la Dimora dei Doni”.
La “gente dei Doni”, cioè la “gente della Scelta” ha nondimeno molto “gusto” per le norme della Legge rivelata (sciarâ’i) e per le opere dirette all’acquisizione spirituale (kasb).
Infatti la Legge rivelata (sciarî’a) e la Verità (haqîqa) sono due simboli (mazharân) pertinenti ai loro rispettivi domini: quello delle haqâiq può essere definito come “l’Interiore”, quello delle sciarâ’i come “l’Esteriore”.
In tal modo non vi è intermediario alcuno che separi i doni e le haqâiq che contraddistinguono la “gente della Scelta», dalla Presenza del Sé (hadratu-l-Huwiyya). I Sûfî dicono: «È raro che le ispirazioni divine (wârida) non giungano d’improvviso»; vogliono cioè dire che le wârida compaiono, nel cuore o nello spirito (rûh), sempre improvvisamente.
L’ispirazione può talvolta provenire da qualcosa che è superiore al cuore; essa viene allora chiamata ilhâm[37] nel caso di un walî[38], mentre nel caso di un profeta (nabî)[39] riceve il nome di “rivelazione”.
Nella sciarî’a, invece, avviene l’opposto: la sua Via si apre con lo sforzo e con la devozione (‘ibâda); si procede quindi progressivamente nella via delle acquisizioni spirituali, chiamata ’ubudiyya[40], fino alla mukâbada[41], per elevarsi poi nella via dei doni e delle conoscenze e giungere infine alla contemplazione (musciâhada).
(continua)
[1] La Futuwwa designa in generale la generosità e la nobiltà, e nella
terminologia dei Sûfî, la Futuwwa «è preferire le creature a te
stesso in questo e nell’altro mondo» (Giurgiânî, Tarifât).
[2] An-nâimât: ciò che è delizioso, abbondante e dolce. Può indicare le
ricchezze, ma può anche essere, qui, un’allusione alle donne.
[3] Alla lettera: un petto
ampio, dilatato.
[4] Essendo il vino puro un
simbolo della conoscenza iniziatica più elevata, questo versetto significa: il
mio amore per Allâh non mi fa disdegnare le qualità dell’amico.
[5] Incontreremo sovente il termine mukâbada nel seguito del
trattato. Più forte di “pazienza” o “perseveranza” (sabr), esso indica lo
sforzo costante compiuto nonostante la stanchezza, la sofferenza, le
difficoltà, comporta pure l’idea di rassegnazione e di sofferenza.
[6] Corano, III, 200: Yâ
ayyuhal-ladhîna sbirû wa sâbirû wa-ttaqu Llâha.
[7] Corano, III, 79: Mâ Kâna lî
basciarin an yutiyahu Llâhu-l-Kitâba wa-l-hukma wa-n-nubuwwata thumma yayûla
lin- nâsi Kûnû ‘ibâdan lî min dûni Llâhi wa lâkin Kûnû rabbâniyyîna bimâ kuntum
tuallimuna-l-kitâba wa bimâ kuntum tadrusûn.
[8] La radice w l y esprime essenzialmente le idee di prossimità,
d’intimità ed anche di protezione e di amministrazione. Il walî è dunque l’“Intimo di Allâh”.
Questo termine, come del resto quello di wilâya, che ne è lo stato
corrispondente, verrà ulteriormente definito nelle pagine che seguono. Vedi
anche R. Guénon, Iniziazione e
Realizzazione Spirituale, cap. “Realizzazione
ascendente e realizzazione discendente”.
[9] Corano, XXVIII, 35: Sa-nasciuddu
adudaka bi-akhîka.
[10] Corano, LXI, 4: Inna Lhâha
yuhibbu-l-ladhîna yuqâtilûna fî sabîlihi saffân ka annahum bunyânun marsûs.
[11] Corano, XLIX, 10: Innama-l-mûminûna
ikhwatun fa-aslihû bayna akhawaykum.
[12] Corano, VIII, 46 e III,
200: Wa lâ tafarraqû fa-tafscialû wa
tadhaba rihukum wa-sbirû wa sâbirû wa râbitû.
[13] Il mondo del Malakût comprende i mondi della
manifestazione informale (al-arwâh) e
della manifestazione sottile (an-nufûs).
[14] Il mondo del Giabarût: «in Abû Tâlitb al-Makkî, è il
mondo dell’Immensità; egli
intende con ciò il mondo dei Nomi e degli Attributi divini» (Giurgiânî, Tarifât).
[15] La nafs è dunque considerata come l’insieme delle tendenze dell’essere contrarie alla realizzazione spirituale. Secondo Qusciayrî
(Risâla Qusciayriya, nafs), i Sûfî «intendono per anima gli aspetti difettosi (malûla)
della creatura ed i suoi atti
biasimevoli. Questi aspetti difettosi sono di due specie: quelli
acquisiti,
quali le disubbidienze e la rivolta alla Norma; e quelli innati; come
l’orgoglio, la collera, l’odio, il cattivo carattere, la scarsa
tolleranza, ecc. La più forte e la più difficile da dominare delle
tendenze (ahkâm) della nafs è la sua propensione a credere che in essa vi è qualcosa di
buono o che essa è degna di considerazione; ed è questo il motivo per cui ciò
equivale a una forma di scirk (vale a dire l’associare qualcosa al Principio supremo) nascosto... Al
contrario, lo spirito (rûh)... è la
dimora delle caratteristiche lodevoli». In un’altra parte del trattato, il rûh
viene messo in relazione con gli Angeli, e l’anima con gli Sciayâtîn .
La lotta contro l’anima non è dunque nient’altro che la “Grande Guerra
Santa” di
cui Guénon ha sovente parlato (vedi soprattutto il capitolo
“Sayful-Islâm” in Les Symboles
fondamentaux de la science sacrée, ed il capitolo “La Guerra e la Pace” di Il Simbolismo della Croce). Occorre pure
far notare che per «la morte della nafs»
bisogna intendere l’integrazione
degli elementi psichici al loro posto normale e la loro trasformazione, non la
loro distruzione nel senso letterale della parola.
[16] Il nome di Sûfî compete, propriamente parlando,
solo a coloro che hanno raggiunto il fine della Via iniziatica.
[17] Lo stile è, in questo
punto, molto conciso e rimato. Qusciayrî spiega in modo completo i diversi
significati della “irâda del faqîr”.
La migliore illustrazione di ciò di cui qui si tratta è la Qasîda sulla Sciahâda,
dello stesso Shaykh At-Tâdili, pubblicata nel fascicolo del dicembre 1952 della
rivista Études Traditionnelles.
[18] Di Muhyiddîn ibn Arabî
al-Hâtimî at-Taî al-Andalusî, lo Shaykh al-Akbar, nato a Murcia nel 1165 e
morto a Damasco nel 1240, sono stati pubblicati nei nn. 7, 8 e 24 di questa
rivista due testi preceduti da una breve presentazione (nel n. 7) alla quale
rimandiamo il lettore. L’editore
Flammarion di Parigi ha pubblicato un importante libro di H. Corbin, dal titolo
L’immagination Crèatrice dans le Soufisme
d’Ibn Arabî, che riporta copiose notizie sullo Shaykh Al-Akbar; sennonché
alcune delle tesi quivi sostenute sono, secondo noi, contestabili; ed inoltre
la terminologia speciosa adottata da H. Corbin rende la lettura assai ardua. Ma
uno stile un po’ difficile era
probabilmente indispensabile per una buona diffusione nell’ambiente universitario...
[19] Îthâr: questo termine designa normalmente un’attitudine raccomandabile dal punto di vista iniziatico che
consiste, secondo Giurgiânî (Tarifât,
îthâr), nell’«anteporre gli
altri a se stessi per esser loro utili e difenderli: è la fraternità portata
all’estremo». Si tratta quindi
di un’attitudine molto simile
alla Futuwwa (vedi nota 1). Ma, qui,
il termine îthâr è impiegato per
indicare una falsa generosità suggerita dal puro e semplice egoismo.
[20] Corano, XXII, 11.
[21] Sa’âda: parola che
significa abitualmente “felicità”, pur contenendo anche il senso di “buon augurio”, “buona stella”. La radice sa’âda serve per
designare ciò che è “fausto” e qui si tratta appunto di questa
idea.
[22] Qusciayrî spiega come l’essere non può amare Allâh se egli
non sia stato designato sin dall’eternità
dal decreto divino. È questo il senso dei seguenti versi che Dante fa dire a
Beatrice quando questa ordina a Virgilio di guidare Dante fino alla prima tappa
del Viaggio Iniziatico:
58 O anima cortese mantovana
di cui la fama ancor nel mondo dura
e durerà quanto il mondo lontana,
61 l’amico mio, e non della ventura,
nella diserta piaggia è impedito
sì nel cammin, che volto è per paura;
64 e temo che non sia già sì smarrito,
ch’io mi sia tardi al soccorso levata,
per quel ch’io ho di lui nel cielo udito.
67 Or muovi e con la tua parola ornata
e con ciò ch’è mestieri al suo campare,
l’aiuta sì, ch’io ne sia consolata.
70 Io son Beatrice che ti faccio andare;
vegno di loco ove tornar disìo;
amor mi mosse che mi fa parlare.
(Inferno, II).
Del resto,
ciò non può essere metafisicamente meglio espresso di quanto lo è nella
Risâlatul‑Ahadiyya
di Muhyiddîn (pubblicata nei nn. 7 e
8 di questa rivista).
[23] Corano, V, 54: Yuhibbuhum wa-yuhibbûna-hu.
[24] Poc’anzi abbiamo tradotto sifa con “attributo”, mentre
qui lo traduciamo con “carattere”. È questo un esempio delle
difficoltà che incontrano i traduttori quando cercano di restare fedeli allo
spirito del testo. Termini come qadr, hukm, haqq
possono, a seconda del contesto, assumere i significati più diversi. Dobbiamo
aggiungere che le difficoltà sono tanto maggiori quanto più il traduttore è
influenzato dalla mentalità occidentale.
[25] Corano, XIX, 96: Sa-yag’alu
lahumu-r-Rahmânu wuddan.
[26] Circa questo stato,
vedi R. Guénon, Il Simbolismo della Croce,
cap. “La risoluzione delle opposizioni”.
[27] ‘Umar ibn al Fârîd al-Misrî as-Sa’dî, Shaykh che nacque e morì in Egitto (1182-1235). Ha scritto un
Diwan che è stato analizzato da
Nicholson e che è stato in parte tradotto in francese da E. Dermenghem (L’éloge
du Vin, Parigi 1931).
[28] Come abbiamo già visto,
è un fuoco a divorare gli altri (che non sono l’Amato) ed a distruggere i limiti; questi ultimi possono essere
intesi come gli elementi psichici non unificati.
[29] Alla lettera: le sue “forze d’attrazione” (giawadhib).
[30] Corano, XLII, 13: Allâhu yagtabî ilayhi mati yasciau wa yahdî
ilayhi man yunîb.
[31] Al-qawm, alla lettera, significa “colui che sta in posizione eretta”; e quindi “un
popolo”, “della gente”, per
assumere infine il significato; di mutasawwifîn,
subendo, nel linguaggio dell’esoterismo
islamico, una evoluzione analoga a quella, per esempio, della parola ar-rigiâl (“gli uomini”), che
è sovente impiegata per designare gli uomini molto avanzati nella Via
spirituale.
[32] Zuhd: «Secondo la terminologia degli uomini della haqîqa, è l’odio per questo mondo ed il fatto stesso di staccarsene. C’è chi ha detto che è la rinunzia al riposo
in questo mondo per procurarsi il riposo nell’altro» (Tarifât, zuhd).
[33] Vedi nota 1.
[34] Corano, XCII, 5, 6, 7: Fa-ammâ rnan atâ wat-taqâ, wa saddaqa
bil-husna, fa-sa-nuyassiruhu lil-yusrâ.
[35] Corano, LIII, 39-40-41.
[36] Corano, X, 58.
[37] Secondo Giurgiânî, al-ilhâm invade il cuore come un’onda che s’infrange sulla spiaggia. Quando al-ilhâm viene considerato, come qui, diverso da al-wârida, preferiamo tradurre sempre quest’ultimo termine con “ispirazione”, il quale ha un significato più generale di ilhâm: le provenienze delle wârida
possono infatti essere diversissime, mentre l’ilhâm è sempre di
provenienza sovraumana.
[38] Daremo più innanzi la
definizione di questo termine.
[39] Cfr. R. Guénon. Iniziazione e Realizzazione Spirituale,
capitolo “Realizzazione ascendente e realizzazione discendente”.
[40] Al-ubûdiyya; «la fedeltà ai patti (con Allâh e con i fratelli), l’osservanza delle interdizi oni (huhûd), l’esser soddisfatti di quel che si ha, l’esser pazienti se qualcosa ci viene a mancare» (Tarifât).
[41] Vedi nota 5.