"…la dottrina è infallibile, è a causa del fatto che essa è un’espressione della verità, la quale, in se stessa, è assolutamente indipendente dagli individui che la ricevono e che la comprendono. La garanzia della dottrina risiede in definitiva nel suo carattere «non-umano»". René Guénon, Considerazioni sull’iniziazione, cap. "Sull’infallibilità tradizionale"

domenica 29 giugno 2014

Muhyiddin Ibn ‘Arabî, 2 - Definizione del digiuno


Muhyiddin Ibn ‘Arabî

2 - Definizione del digiuno[1]


Sappi – che Allâh ti soccorra – che il digiuno è l’astinenza (imsâk) e l’esaltazione (rif’a). Si dice del giorno che esso «digiuna» (sâma) quando culmina. Imru-l-Qays ha detto: “quando il giorno si allontana e «digiuna»”, ossia quando raggiunge la sua sommità. Il digiuno è stato così chiamato perché esso s’innalza in grado al di sopra di tutti gli altri atti di adorazione.
Egli lo ha elevato – gloria alla Sua trascendenza! – negando ogni somiglianza tra lui e questi atti, così come lo ripeteremo. Inoltre, Egli lo ha ritirato dai Suoi servitori e Se lo è rapportato a Lui stesso. Egli ha posto la ricompensa di colui che si qualifica tramite lui nella Sua propria Mano e l’ha fatta Sua. Egli ha ricollegato il digiuno a Lui stesso, negandogli ogni somiglianza!
Il digiuno non è un atto ma l’abbandono di un atto (tark). La negazione di ogni somiglianza è essa stessa un attributo negativo, ciò che rafforza l’analogia tra il digiuno e Allâh. L’Altissimo ha detto con riguardo (detto riguardo) a Sé: «Nulla Gli è simile»[2]; Egli ha negato che Lui stesso possa avere un «simile». Sia l’intelletto creato sia la Legge sacra indicano che Egli non ha – gloria alla Sua trascendenza! – alcun simile. Nasâ’î riporta questa parola di Abû Umâma: “Mi avvicinai all’Inviato di Allâh* e gli dissi: «Dammi un ordine che prenderò direttamente da te!» Egli rispose: «Dedicati al digiuno, poiché esso non ha simili»”. Egli ha negato che possa essergli paragonata una qualunque opera di quelle che Dio ha prescritto ai Suoi servitori.
Colui che sa che il digiuno è un attributo negativo, dato che consiste nell’escludere delle (nell’allontanarsi dalle) cose che potrebbero romperlo, sa con certezza che esso non ha simili: in effetti, esso non ha una propria essenza che possa rivestire una qualificazione di realtà (wujûd) intelligibile per noi. È perciò che Allâh l’Altissimo ha detto anche: «Il digiuno Mi appartiene». Non si tratta, in realtà, né di un’opera di adorazione né di un atto (‘amal). La parola «atto» comporta, quando gli viene applicata, una certa improprietà, proprio come il termine «esistente» (mawjûd) applicato a Dio tale quale lo comprende l’intelligenza umana[3]; in effetti, la sua realtà (wujûd) dipende dalla Sua Essenza (dhâtu-Hu) e non può esserGli attribuita allo stesso modo che a noi.
La Raccolta di Muslim riporta, da Abû Hurayra, questa parola del Profeta (sAaws): “Allâh – sia Egli glorificato e magnificato! – ha detto: «Ogni atto del Figlio di Adamo gli appartiene ad eccezione del digiuno, poiché questi è Mio e sono Io che ne pago il Premio». Il digiuno è un riparo (uno scudo). Se uno tra voi digiuna un giorno, che quel giorno si astenga da propositi indecenti e da grida. Se qualcuno lo insulta o se la prende con lui, che dica «Sono un uomo che digiuna, sono digiunatore». Grazie a (Per) Colui che tiene l’anima di Muhammad nella Sua Mano, in verità l’alito che esce dalla bocca del digiunatore sarà per Allâh più profumato, nel giorno della Resurrezione, del profumo del muschio. Due gioie appartengono al digiunatore: quando rompe il suo digiuno, si rallegra della rottura (bi-fitri-hi) e quando incontra il suo Signore - sia Egli glorificato e magnificato! – egli si rallegra del suo digiuno (bi-Sawmi-hi)”.
Sappi che il digiunatore incontra il suo Signore per mezzo della qualificazione «nulla Gli è simile»: da una parte, l’Inviato ha negato ogni paragone possibile col digiuno – secondo l’hadîth di Nasâ’î che è stato citato sopra -, dall’altra (secondo ciò che il Corano dice di) Dio, «nulla Gli è simile». Egli Lo vede quindi attraverso Lui stesso; Dio è a un tempo (contemporaneamente) «Colui che vede» e «Colui che è visto». Perciò egli ha detto - che Allâh diffonda su lui la Sua Grazia unitiva e la Sua Pace! –: “egli si rallegra del suo digiuno” e non “egli si rallegra dell’incontro del suo Signore” poiché la gioia non si rallegra di sé stessa; essa è ciò tramite cui ci si rallegra. Colui di cui Dio è lo sguardo quando egli Lo vede e Lo contempla, non si vede lui stesso (nafsa-hu) che grazie al Suo Sguardo: la gioia del digiunatore dipende dal suo legame col grado della «non similitudine»![4]
Quaggiù, in compenso, egli si rallegra della rottura (fitr) accordando il suo diritto all’anima animale che, a causa della sua stessa costituzione, reclama il nutrimento. Quando il Conoscitore vede questo bisogno che ha la sua anima animale e vegetativa, che vede con quale generosità le porta il suo nutrimento, e che è un diritto a suo favore che Allâh le ha stabilito (gli ha affidato come incarico), adempie a questa funzione in virtù di una qualità divina; egli dà tramite la Mano di Allâh, proprio come è (proprio così come è) tramite l’Occhio di Allâh che egli vede Dio quando Lo incontra. È perché (questo il motivo per cui) egli si rallegra della Sua Rottura[5] proprio (così) come si rallegra del Suo Digiuno quando incontra il suo Signore.
Il digiuno è attribuito al servitore che merita per questo il nome di digiunatore; poi, nonostante questa attestazione, Dio gliela ritira e Se la attribuisce a Sé stesso dicendo: «…eccetto il digiuno, poiché questi è Mio», ossia: “l’Attributo as-Samad, che indica l’indipendenza (tanzîh) riguardo il nutrimento, non appartiene che a Me; se Io te lo attribuisco, esprime unicamente un aspetto condizionato della trascendenza (tanzîh), non la Trascendenza assoluta che non conviene che alla Mia Maestà”. È Allâh che è il Prezzo del digiuno quando colui che digiuna ritorna verso il suo Signore e lo incontra con la qualificazione «nulla Gli è simile», ossia col digiuno. In effetti, non può vedere “Colui al quale nulla è simile” se non “colui al quale nulla è simile” come ha precisato Abû Tâlib al-Makkî, uno dei Maestri delle «Genti del Gusto iniziatico» (ahl adh-Dhawq). «Colui nel cui sacco Egli sarà trovato servirà Lui stesso da Premio»[6]: come si impone questo versetto in questa circostanza!
La parola profetica continua con le parole: “e il digiuno è un riparo (uno scudo) (junna)”, ossia una protezione (wiqâya); come nella Sua Parola: «Abbiate il timore pio d’Allâh», ossia prendeteLo come salvaguardia e ugualmente siate una salvaguardia per Lui[7]! Egli ha conferito al digiuno la stessa funzione protettrice, quella di «nulla Gli è simile», poiché il digiuno “non ha simile” fra le opere di adorazione. Tuttavia, non si dice al suo riguardo: «nulla Gli è simile» (ossia, letteralmente: “non c’è, come suo simile, cosa”). In effetti, la «cosa» è una realtà archetipica (thubutî) o attuale (wujudî) mentre il digiuno è un abbandono, ossia un concetto privo di realtà (‘adamî) e un attributo puramente negativo.
Si dice quindi che “non ha (di) simili” e non che “nulla gli è simile”: tale è la sfumatura relativa alla “non-similitudine” sia che si faccia riferimento ad un carattere divino o ad un attributo del digiuno.
Inoltre, il Legislatore espone verso il digiunatore un’interdizione che determina da sola un abbandono e una qualificazione negativa, dicendo: “che si astienga dai propositi indecenti e dalle grida (dallo scandalo e dalla protesta)”. Non ha ordinato un’azione ma, proibisce che si compiano certi atti. Siccome il digiuno è un’astensione, qui si vede un’importante relazione tra questo e ciò che è proibito al digiunatore.
Infatti, è prescritto a quest’ultimo di rispondere a colui che lo insulta o che lo attacca: “Sono digiunatore!” (Sto digiunando!) cioè “in uno stato (condizione) nel quale ho abbandonato quest’azione che tu stai compiendo; oh!, tu che mi attacchi e mi insulti”. All’ordine del suo Signore, egli si eleva (nazzaha) al di sopra (oltre) la risposta e annuncia che abbandona, dicendo in altro modo che in lui non c’è né insulto né volontà di combattere.
Inoltre è detto: “ Da Colui che tiene l’anima di Muhammad nella Sua Mano…”: formula del suo giuramento “… in verità, l’alito che esce dalla bocca del digiunatore…”, cioè l’alterazione dell’odore della sua bocca che si presenta unicamente con l’espirazione (tanaffus)[8], in questo caso ciò che il digiunatore sta emettendo insieme a questa parola profumata, che ha ricevuto l’ordine di dire : “Sono digiunatore.” (Sto digiunando); questa parola insieme al fiato emesso dal digiunatore, “… sarà più profumata nel Giorno della Resurrezione…”, «il giorno in cui gli uomini saranno in piedi al cospetto del Signore dei mondi»[9], “... per Allâh...”: ha utilizzato il Nome sintetico che qualifica tutti i Nomi divini; è il Nome che non ha simile[10], che nessuno eccetto Allâh – gloria alla Sua trascendenza! – può portare; ciò corrisponde esattamente digiuno che anch’esso non ha (di) simili; “...che il profumo del muschio...”: si tratta di una cosa reale che colpisce colui che l’avverte e di cui ne gode colui che ha una natura sana ed equilibrata: tuttavia, l’alito del digiunatore è per Allâh ancora più profumato.
Infatti, Egli percepisce gli odori in altra maniera; al contrario di colui che li percepisce per mezzo dei sensi, ciò che per noi è un alito cattivo, per Lui – che Egli sia esaltato! – è un’odore più profumato di quello del muschio che proviene da un essere che non ha simili. Un buon odore non è un profumo. Quello che deriva dal digiunatore scaturisce dalla sua respirazione (tanaffus), al contraio quello che emana il muschio non scaturisce dalla respirazione del muschio!
Un’evento di ordine spirituale (waqi’a) mi si è manifestato a tale proposito.
Mi trovavo nel Haram della Mecca, presso il minareto vicino alla Porta al-Hazwara, vicino a Musa ben Muhammad al-Qabbab mentre faceva l’appello alla salat. Egli aveva portato con sé un cibo il cui odore disturbava tutti coloro che lo respirassero. Ora, conoscevo l’insegnamento profetico secondo cui “gli Angeli sono disgustati da ciò che disgusta i Figli di Adamo” per tale ragione il Legislatore ha proibito che ci si avvicini alla moschea con odore di aglio o di cipolla o di porro. Quindi mi stesi, convinto di dire a quest’uomo di allontanare il suo cibo dalla moschea per rispetto verso gli Angeli. Durante il sonno vidi Dio l’Altissimo che mi disse – che Egli sia glorificato e magnificato! - : “Non parlargli di questo cibo siccome il suo odore presso di Noi non è per nulla simile a quello presso di voi”. Al mattino l’uomo mi si avvicinò come sua abitudine e lo feci partecipe di quanto ricevetti. Si mise a piangere e si prosternò davanti ad Allâh per manifestarGli la sua gratitudine; poi mi disse: “Sidi, nonostante ciò, il rispetto dei precetti della Legge sacra è preferibile!”. Fece allora sparire il cibo dalla moschea: che Allâh gli conceda Misericordia!
Tutti gli esseri sani, che si tratti di uomini o di Angeli, sono disturbati dalle sensazioni che non gradiscono e fuggono gli odori cattivi e ripugnanti. Allâh è il solo a percepire il Volto divino (wajha-l-Haqq) che le contiene tutte; anche certi animali, che si adattano, e gli uomini la cui natura ha una qualche affinità con quella degli animali, ma mai in nessun caso gli Angeli.
Perchè è stato detto: “Per Allâh”, giacchè l’uomo la cui natura è sana detesta anche lui l’alito del digiunatore, tanto presso di sé che presso gli altri[11]...
In senso figurato, la Legge sacra ha attributo al digiuno la perfezione suprema affermando che Dio ha riservato in Paradiso una porta speciale alla quale Egli ha attibuito un nome che comporta questa perfezione. In effetti i digiunatori entreranno per una porta chiamata ar-Rayyan; quindi, ar-rayy[12] occupa, in materia di bevande, il grado della perfezione. Fin tanto che il grado non è stato raggiunto (colpito), si tratta necessariamente d’altro; quando ciò avviene, c’è saturazione e non è più possibile assorbire nessuno , che si tratti o no di una terra popolata di esseri viventi[13].
Muslim riferisce questo hadîth, trasmesso da Sahl ben Sa’d: l’Inviato di Allâh*  ha detto: “In verità in Paradiso c’è una porta chiamata ar-Rayyan: è attraverso di essa che entreranno i digiunatori nel Giorno della Resurrezione; nessun’altro l’attraverserà insieme a loro. Verrà detto: «Dove sono i digiunatori, che entrino per essa?» . Quando l’utimo tra essi sarà entrato, verrà chiusa e nessuno più l’attraverserà”.
Non ha detto questo per tutte quelle azioni che hanno per oggetto un ordine o una difesa ad eccezione del digiuno. Ha mostrato con chiarezza, citando ar-Rayyan, che i digiunatori ottengono la perfezione nel dominio delle opere di adorazione; essi si qualificano, l’abbiamo detto, per mezzo di ciò che non ha simili e ciò che non ha simili è in realtà perfetto. Quelli tra i Conoscitori che sono “digiunatori” vi entrano (per questa porta) già adesso (in modo nascosto-segreto) e vi entreranno (nella vita futura) in modo che tutte le creature ne abbiano conoscenza.

Da: Charles-André Gilis,  Ibn 'Arabi, Textes sur le jeûne, Al-Bouraq , 1996
 

[1]Al-Futûhât al-Mekkiyah, cap. 71, vol. 9, pagg 99-109 dell’ed. O. Yahya - [Tradotto dall’arabo da Abd ar-Razzâq Yahyâ (Charles-André Gilis) in Textes sur le jeûne - ndr]. 
[2]Corano XIIL,11 
[3]  Si dice comunemente «Dio esiste» per affermare che Egli è reale. 
[4]  Si tratta, all’occorrenza, di una Beatitudine divina realizzata tramite il digiuno e, come nel caso dello Sguardo, di un simbolo dell’Identità Suprema. 
[5]  Si tratta del Conoscitore e non semplicemente di colui che digiuna, ciò che giustifica l’uso delle maiuscole. 
[6]  Allusione a Corano XII,75. Sul senso iniziatico di questo passaggio, cf. infra, testo 3. 
[7]  La nozione di taqwâ, o “timore pio” d’Allâh, è qui interpretata in un senso iniziatico con riferimento al significato della sua radice. La prima modalità considerata si rapporta alla realizzazione metafisica ed all’ “esaltazione” operata tramite il digiuno che è una salvaguardia contro ogni forma di “associazione” alla Realtà divina; la seconda si rapporta alla Funzione divina che il digiunatore “salvaguarda”, principalmente nel digiuno pubblico e comunitario del mese di Ramadân. 
[8]  Questo termine significa letteralmente “respirazione”; in questo caso non può essere inteso altrimenti che come espirazione. Il legame stabilito da Ibn Arabi tra la presente indicazione e la precedente suggerisce l’idea di un “sollievo” per colui che sfugge all’influsso delle “reazioni cosmiche”, tanto più che tanaffus può intendersi come “sospiro di sollievo”. 
[9]Corano, LXXXIII, 6.
[10]  Questa spiegazione riprende quella data più in alto a proposito del digiuno considerato come uno “scudo”. In effetti, il pio timore di Allâh attraverso il Nome sintetico permette di risolvere le “opposizioni” (antinomie) manifestate dai Nomi divini che hanno dei significati opposti, “Colui che eleva” e “Colui che umilia” e di “proteggersi” da esse; cf. Futuhat, cap. 84. 
[11]  Segue una digressione nella quale, per scrupolo, lo Sheikh dichiara di ignorare se l’Altissimo abbia conferito ad altri esseri tale acoltà che Gli è propria. 
[12]  I termini rayy e rayyan rendono (definiscono) un’idea di saturazione nell’assorbimento di liquidi, che si tratti di bevande o di irrigazione del terreno. Il termine rayy è proprio al linguaggio tecnico del Tasawwuf (cf. Futhuat, cap. 250 e 251). Nella sua risposta alla domanda 116 del Questionario di Tirmidhi, lo Sheikh al-Akbar indica un aspetto limitativo di ar-rayy: “L’epifania della saturazione (rayy) riguarda coloro che sono nella ristrettezza: la saturazione è il limite del loro assorbinmento delle bevande (iniziatiche). Le Genti dell’Ampiezza (divina: sa’a) non sono mai “saturate”, come Abu Yazid (al-Bistami) e coloro che gli sono simili... l’Amore è una bevanda che non comporta saturazione. Uno di coloro che furono “tiepidi” ( nei confronti della Verità essenziale) disse: “Ho assaporato una bevanda e in seguito non ho mai più avuto sete.” . Al contrario Abu Yazid ha detto: “L’Uomo (rajul) è colui che beve mari e la sua lingua pende sempre, a causa della sua sete.” ”. 
[13]  Allusione alla elazione stabilita nel Corano tra l’ “acqua” e la “vita” (cf. Corano, XXI, 30).

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