Muhyiddin
Ibn ‘Arabî
2 - Definizione del digiuno[1]
Sappi – che
Allâh ti soccorra – che il digiuno è l’astinenza (imsâk) e l’esaltazione
(rif’a). Si dice del giorno che esso «digiuna» (sâma) quando
culmina. Imru-l-Qays ha detto: “quando il giorno si
allontana e «digiuna»”, ossia quando raggiunge la sua sommità. Il
digiuno è stato così chiamato perché esso s’innalza in grado al di sopra di tutti
gli altri atti di adorazione.
Egli lo ha elevato – gloria alla Sua trascendenza! – negando ogni somiglianza tra lui e questi atti, così come lo ripeteremo. Inoltre, Egli lo ha ritirato dai Suoi servitori e Se lo è rapportato a Lui stesso. Egli ha posto la ricompensa di colui che si qualifica tramite lui nella Sua propria Mano e l’ha fatta Sua. Egli ha ricollegato il digiuno a Lui stesso, negandogli ogni somiglianza!
Egli lo ha elevato – gloria alla Sua trascendenza! – negando ogni somiglianza tra lui e questi atti, così come lo ripeteremo. Inoltre, Egli lo ha ritirato dai Suoi servitori e Se lo è rapportato a Lui stesso. Egli ha posto la ricompensa di colui che si qualifica tramite lui nella Sua propria Mano e l’ha fatta Sua. Egli ha ricollegato il digiuno a Lui stesso, negandogli ogni somiglianza!
Il digiuno
non è un atto ma l’abbandono di un atto (tark). La negazione di ogni
somiglianza è essa stessa un attributo negativo, ciò che rafforza l’analogia
tra il digiuno e Allâh. L’Altissimo ha detto con riguardo (detto riguardo) a
Sé: «Nulla Gli è simile»[2];
Egli ha negato che Lui stesso possa avere un «simile». Sia l’intelletto creato
sia la Legge sacra indicano che Egli non ha – gloria alla Sua trascendenza! –
alcun simile. Nasâ’î riporta questa parola di Abû Umâma: “Mi
avvicinai all’Inviato di Allâh* e gli dissi: «Dammi un ordine che prenderò
direttamente da te!» Egli rispose: «Dedicati al digiuno, poiché esso non ha
simili»”. Egli ha negato che possa essergli paragonata una qualunque
opera di quelle che Dio ha prescritto ai Suoi servitori.
Colui che sa
che il digiuno è un attributo negativo, dato che consiste nell’escludere delle
(nell’allontanarsi dalle) cose che potrebbero romperlo, sa con certezza che
esso non ha simili: in effetti, esso non ha una propria essenza che possa
rivestire una qualificazione di realtà (wujûd) intelligibile per noi. È
perciò che Allâh l’Altissimo ha detto anche: «Il digiuno Mi appartiene». Non si tratta, in realtà, né di un’opera di
adorazione né di un atto (‘amal). La parola «atto» comporta, quando gli
viene applicata, una certa improprietà, proprio come il termine «esistente» (mawjûd)
applicato a Dio tale quale lo comprende l’intelligenza umana[3]; in effetti, la sua
realtà (wujûd) dipende dalla Sua Essenza (dhâtu-Hu) e non può
esserGli attribuita allo stesso modo che a noi.
La Raccolta
di Muslim riporta, da Abû Hurayra, questa parola del Profeta (sAaws): “Allâh – sia
Egli glorificato e magnificato! – ha detto: «Ogni atto del Figlio di Adamo gli
appartiene ad eccezione del digiuno, poiché questi è Mio e sono Io che ne pago
il Premio». Il digiuno è un riparo (uno scudo). Se uno tra voi digiuna un
giorno, che quel giorno si astenga da propositi indecenti e da grida. Se
qualcuno lo insulta o se la prende con lui, che dica «Sono un uomo che digiuna,
sono digiunatore». Grazie a (Per) Colui che tiene l’anima di Muhammad nella Sua
Mano, in verità l’alito che esce dalla bocca del digiunatore sarà per Allâh più
profumato, nel giorno della Resurrezione, del profumo del muschio. Due gioie
appartengono al digiunatore: quando rompe il suo digiuno, si rallegra della
rottura (bi-fitri-hi) e quando incontra il suo Signore - sia Egli glorificato e
magnificato! – egli si rallegra del suo digiuno (bi-Sawmi-hi)”.
Sappi che il
digiunatore incontra il suo Signore per mezzo della qualificazione «nulla
Gli è simile»: da una parte, l’Inviato ha negato
ogni paragone possibile col digiuno – secondo l’hadîth di Nasâ’î che
è stato citato sopra -, dall’altra (secondo ciò che il Corano dice di)
Dio, «nulla Gli è simile». Egli Lo vede quindi attraverso Lui stesso;
Dio è a un tempo (contemporaneamente) «Colui che vede» e «Colui che è visto».
Perciò egli ha detto - che Allâh diffonda su lui la Sua Grazia unitiva e la Sua
Pace! –: “egli si rallegra del suo digiuno” e non “egli si rallegra
dell’incontro del suo Signore” poiché la gioia non si rallegra di sé
stessa; essa è ciò tramite cui ci si rallegra. Colui di cui Dio è lo sguardo
quando egli Lo vede e Lo contempla, non si vede lui stesso (nafsa-hu)
che grazie al Suo Sguardo: la gioia del digiunatore dipende dal suo legame col
grado della «non similitudine»![4]
Quaggiù, in
compenso, egli si rallegra della rottura (fitr) accordando il
suo diritto all’anima animale che, a causa della sua stessa costituzione,
reclama il nutrimento. Quando il Conoscitore vede questo bisogno che ha la sua
anima animale e vegetativa, che vede con quale generosità le porta il suo
nutrimento, e che è un diritto a suo favore che Allâh le ha stabilito (gli ha
affidato come incarico), adempie a questa funzione in virtù di una qualità
divina; egli dà tramite la Mano di Allâh, proprio come è (proprio così come è)
tramite l’Occhio di Allâh che egli vede Dio quando Lo incontra. È perché
(questo il motivo per cui) egli si rallegra della Sua Rottura[5] proprio (così) come
si rallegra del Suo Digiuno quando incontra il suo Signore.
Il digiuno è
attribuito al servitore che merita per questo il nome di digiunatore; poi,
nonostante questa attestazione, Dio gliela ritira e Se la attribuisce a Sé
stesso dicendo: «…eccetto il digiuno, poiché questi è Mio», ossia:
“l’Attributo as-Samad, che indica l’indipendenza (tanzîh) riguardo il
nutrimento, non appartiene che a Me; se Io te lo attribuisco, esprime
unicamente un aspetto condizionato della trascendenza (tanzîh), non la Trascendenza assoluta che non conviene che alla Mia
Maestà”. È Allâh che è il Prezzo del digiuno quando colui che digiuna ritorna
verso il suo Signore e lo incontra con la qualificazione «nulla Gli è simile»,
ossia col digiuno. In effetti, non può vedere “Colui al quale nulla è
simile” se non “colui al quale nulla è simile” come ha precisato Abû
Tâlib al-Makkî, uno dei Maestri delle «Genti del Gusto iniziatico» (ahl
adh-Dhawq). «Colui nel cui sacco Egli sarà trovato servirà Lui stesso da
Premio»[6]: come si impone
questo versetto in questa circostanza!
La parola
profetica continua con le parole: “e il digiuno è un riparo (uno scudo)
(junna)”, ossia una protezione (wiqâya); come nella Sua Parola: «Abbiate
il timore pio d’Allâh», ossia prendeteLo come salvaguardia e ugualmente
siate una salvaguardia per Lui[7]! Egli ha conferito
al digiuno la stessa funzione protettrice, quella di «nulla Gli è simile»,
poiché il digiuno “non ha simile” fra le opere di adorazione. Tuttavia,
non si dice al suo riguardo: «nulla Gli è simile» (ossia, letteralmente:
“non c’è, come suo simile, cosa”). In effetti, la «cosa» è una realtà
archetipica (thubutî) o attuale (wujudî) mentre il digiuno è un
abbandono, ossia un concetto privo di realtà (‘adamî) e un attributo
puramente negativo.
Si dice
quindi che “non ha (di) simili” e non che “nulla gli è simile”: tale è la
sfumatura relativa alla “non-similitudine” sia che si faccia riferimento ad un
carattere divino o ad un attributo del digiuno.
Inoltre, il
Legislatore espone verso il digiunatore un’interdizione che determina da sola
un abbandono e una qualificazione negativa, dicendo: “che si
astienga dai propositi indecenti e dalle grida (dallo scandalo e dalla
protesta)”. Non ha ordinato un’azione ma, proibisce che si compiano
certi atti. Siccome il digiuno è un’astensione, qui si vede un’importante
relazione tra questo e ciò che è proibito al digiunatore.
Infatti, è
prescritto a quest’ultimo di rispondere a colui che lo insulta o che lo
attacca: “Sono digiunatore!” (Sto digiunando!) cioè
“in uno stato (condizione) nel quale ho abbandonato quest’azione che tu stai
compiendo; oh!, tu che mi attacchi e mi insulti”. All’ordine del suo Signore,
egli si eleva (nazzaha) al di sopra (oltre) la risposta e annuncia che
abbandona, dicendo in altro modo che in lui non c’è né insulto né volontà di
combattere.
Inoltre è
detto: “ Da Colui che tiene l’anima di Muhammad nella Sua
Mano…”: formula del suo giuramento “… in verità,
l’alito che esce dalla bocca del digiunatore…”, cioè l’alterazione
dell’odore della sua bocca che si presenta unicamente con l’espirazione (tanaffus)[8], in questo
caso ciò che il digiunatore sta emettendo insieme a questa parola profumata,
che ha ricevuto l’ordine di dire : “Sono digiunatore.”
(Sto digiunando); questa parola insieme al fiato emesso dal digiunatore, “… sarà più profumata nel Giorno della Resurrezione…”, «il giorno in cui gli uomini saranno in
piedi al cospetto del Signore dei mondi»[9], “... per Allâh...”: ha utilizzato il Nome sintetico che
qualifica tutti i Nomi divini; è il Nome che non ha simile[10], che nessuno eccetto Allâh
– gloria alla Sua trascendenza! – può portare; ciò corrisponde esattamente
digiuno che anch’esso non ha (di) simili; “...che il profumo del muschio...”:
si tratta di una cosa reale che colpisce colui che l’avverte e di cui ne gode
colui che ha una natura sana ed equilibrata: tuttavia, l’alito del digiunatore
è per Allâh ancora più profumato.
Infatti,
Egli percepisce gli odori in altra maniera; al contrario di colui che li
percepisce per mezzo dei sensi, ciò che per noi è un alito cattivo, per Lui –
che Egli sia esaltato! – è un’odore più profumato di quello del muschio che
proviene da un essere che non ha simili. Un buon odore non è un profumo. Quello
che deriva dal digiunatore scaturisce dalla sua respirazione (tanaffus), al contraio quello che emana il muschio non
scaturisce dalla respirazione del muschio!
Un’evento di
ordine spirituale (waqi’a) mi si è manifestato a tale
proposito.
Mi trovavo
nel Haram della Mecca, presso il minareto vicino alla Porta al-Hazwara, vicino
a Musa ben Muhammad al-Qabbab mentre faceva l’appello alla salat.
Egli aveva portato con sé un cibo il cui odore disturbava tutti coloro che lo
respirassero. Ora, conoscevo l’insegnamento profetico secondo cui “gli Angeli sono disgustati da ciò che disgusta i Figli di Adamo”
per tale ragione il Legislatore ha proibito che ci si avvicini alla moschea con
odore di aglio o di cipolla o di porro. Quindi mi stesi, convinto di dire a
quest’uomo di allontanare il suo cibo dalla moschea per rispetto verso gli
Angeli. Durante il sonno vidi Dio l’Altissimo che mi disse – che Egli sia
glorificato e magnificato! - : “Non parlargli di questo cibo
siccome il suo odore presso di Noi non è per nulla simile a quello presso di
voi”. Al mattino l’uomo mi si avvicinò come sua abitudine e lo feci
partecipe di quanto ricevetti. Si mise a piangere e si prosternò davanti ad
Allâh per manifestarGli la sua gratitudine; poi mi disse: “Sidi, nonostante
ciò, il rispetto dei precetti della Legge sacra è preferibile!”. Fece allora
sparire il cibo dalla moschea: che Allâh gli conceda Misericordia!
Tutti gli
esseri sani, che si tratti di uomini o di Angeli, sono disturbati dalle
sensazioni che non gradiscono e fuggono gli odori cattivi e ripugnanti. Allâh è
il solo a percepire il Volto divino (wajha-l-Haqq)
che le contiene tutte; anche certi animali, che si adattano, e gli uomini la
cui natura ha una qualche affinità con quella degli animali, ma mai in nessun
caso gli Angeli.
Perchè è
stato detto: “Per Allâh”, giacchè l’uomo la cui
natura è sana detesta anche lui l’alito del digiunatore, tanto presso di sé che
presso gli altri[11]...
In senso
figurato, la Legge sacra ha attributo al digiuno la perfezione suprema
affermando che Dio ha riservato in Paradiso una porta speciale alla quale Egli
ha attibuito un nome che comporta questa perfezione. In effetti i digiunatori
entreranno per una porta chiamata ar-Rayyan; quindi, ar-rayy[12] occupa, in materia
di bevande, il grado della perfezione. Fin tanto che il grado non è stato
raggiunto (colpito), si tratta necessariamente d’altro; quando ciò avviene, c’è
saturazione e non è più possibile assorbire nessuno , che si tratti o no di una
terra popolata di esseri viventi[13].
Muslim
riferisce questo hadîth, trasmesso da
Sahl ben Sa’d: l’Inviato di Allâh* ha
detto: “In verità in Paradiso c’è una porta chiamata ar-Rayyan:
è attraverso di essa che entreranno i digiunatori nel Giorno della
Resurrezione; nessun’altro l’attraverserà insieme a loro. Verrà detto: «Dove
sono i digiunatori, che entrino per essa?» . Quando l’utimo tra essi sarà
entrato, verrà chiusa e nessuno più l’attraverserà”.
Non ha detto
questo per tutte quelle azioni che hanno per oggetto un ordine o una difesa ad
eccezione del digiuno. Ha mostrato con chiarezza, citando ar-Rayyan,
che i digiunatori ottengono la perfezione nel dominio delle opere di adorazione;
essi si qualificano, l’abbiamo detto, per mezzo di ciò che non ha simili e ciò
che non ha simili è in realtà perfetto. Quelli tra i Conoscitori che sono
“digiunatori” vi entrano (per questa porta) già adesso (in modo
nascosto-segreto) e vi entreranno (nella vita futura) in modo che tutte le
creature ne abbiano conoscenza.
[1] Al-Futûhât
al-Mekkiyah, cap. 71, vol. 9, pagg 99-109 dell’ed. O. Yahya - [Tradotto
dall’arabo da Abd ar-Razzâq Yahyâ (Charles-André Gilis) in Textes sur le
jeûne - ndr].
[2] Corano XIIL,11
[3] Si dice comunemente
«Dio esiste» per affermare che Egli è reale.
[4] Si tratta,
all’occorrenza, di una Beatitudine divina realizzata tramite il digiuno e, come
nel caso dello Sguardo, di un simbolo dell’Identità Suprema.
[5] Si tratta del
Conoscitore e non semplicemente di colui che digiuna, ciò che giustifica l’uso
delle maiuscole.
[6]
Allusione a Corano
XII,75. Sul senso iniziatico di questo passaggio, cf. infra, testo 3.
[7] La nozione di taqwâ, o “timore pio” d’Allâh, è qui interpretata in un
senso iniziatico con riferimento al significato della sua radice. La prima
modalità considerata si rapporta alla realizzazione metafisica ed all’
“esaltazione” operata tramite il digiuno che è una salvaguardia contro ogni
forma di “associazione” alla Realtà divina; la seconda si rapporta alla
Funzione divina che il digiunatore “salvaguarda”, principalmente nel digiuno
pubblico e comunitario del mese di Ramadân.
[8] Questo termine
significa letteralmente “respirazione”; in questo caso non può essere inteso
altrimenti che come espirazione. Il legame stabilito da Ibn Arabi tra la
presente indicazione e la precedente suggerisce l’idea di un “sollievo” per
colui che sfugge all’influsso delle “reazioni cosmiche”, tanto più che tanaffus
può intendersi come “sospiro di sollievo”.
[9] Corano, LXXXIII, 6.
[10] Questa spiegazione
riprende quella data più in alto a proposito del digiuno considerato come uno
“scudo”. In effetti, il pio timore di Allâh attraverso il Nome sintetico
permette di risolvere le “opposizioni” (antinomie) manifestate dai Nomi divini
che hanno dei significati opposti, “Colui che eleva” e “Colui che umilia” e di
“proteggersi” da esse; cf. Futuhat, cap. 84.
[11] Segue una digressione
nella quale, per scrupolo, lo Sheikh dichiara di ignorare se l’Altissimo abbia
conferito ad altri esseri tale acoltà che Gli è propria.
[12] I termini rayy
e rayyan rendono (definiscono) un’idea di saturazione nell’assorbimento
di liquidi, che si tratti di bevande o di irrigazione del terreno. Il termine rayy
è proprio al linguaggio tecnico del Tasawwuf (cf. Futhuat, cap.
250 e 251). Nella sua risposta alla domanda 116 del Questionario di Tirmidhi,
lo Sheikh al-Akbar indica un aspetto limitativo di ar-rayy: “L’epifania
della saturazione (rayy) riguarda coloro che sono nella ristrettezza: la
saturazione è il limite del loro assorbinmento delle bevande (iniziatiche). Le
Genti dell’Ampiezza (divina: sa’a) non sono mai “saturate”, come Abu Yazid
(al-Bistami) e coloro che gli sono simili... l’Amore è una bevanda che non
comporta saturazione. Uno di coloro che furono “tiepidi” ( nei confronti della
Verità essenziale) disse: “Ho assaporato una bevanda e in seguito non ho mai
più avuto sete.” . Al contrario Abu Yazid ha detto: “L’Uomo (rajul) è
colui che beve mari e la sua lingua pende sempre, a causa della sua sete.” ”.
[13] Allusione alla
elazione stabilita nel Corano tra l’ “acqua” e la “vita” (cf. Corano, XXI, 30).
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