René Guénon
Iniziazione e realizzazione spirituale
V - A proposito del ricollegamento iniziatico
Vi son cose che la maggior parte dei nostri contemporanei, almeno in Occidente, sembra trovar particolarmente difficili da capire, talché ci sentiamo obbligati a ritornare su di esse assai sovente; e pensare che queste cose, che in certo qual modo sono alla base di tutto ciò che si riferisce al punto di vista tradizionale in generale ed a quello esoterico e iniziatico in particolare, dovrebbero normalmente essere considerate abbastanza elementari.
Tale, ad esempio, la questione della funzione e dell’efficacia propria dei riti; e forse perché, almeno in parte, è strettamente connessa con questa, anche la questione del ricollegamento iniziatico sembra ricadere nello stesso caso. In effetti, quando si sia capito che l’iniziazione consiste essenzialmente nella trasmissione di una certa influenza spirituale, e che questa trasmissione può essere operata solo mediante un rito, quello appunto con cui si effettua il ricollegamento ad un’organizzazione avente lo scopo precipuo di conservare e trasmettere l’influenza di cui si parla, ogni difficoltà al riguardo dovrebbe considerarsi superata; trasmissione e ricollegamento non sono in definitiva che due aspetti inversi di una sola e identica cosa, considerata discendendo o risalendo la «catena» iniziatica.
E tuttavia abbiamo avuto modo di constatare recentemente che la difficoltà esiste anche per alcuni di coloro che possiedono effettivamente un tale ricollegamento; ciò potrebbe sembrare abbastanza stupefacente, se non fosse evidente che si tratta di una conseguenza dell’indebolimento in senso «speculativo» subito dalle organizzazioni cui essi appartengono, poiché, senza dubbio, per chi si attiene unicamente al punto di vista «speculativo» le questioni di questo genere, e tutte quelle definibili come propriamente «tecniche», non possono che apparire in una prospettiva molto indiretta e lontana, e per questa ragione la loro importanza fondamentale rischia di essere più o meno completamente misconosciuta. Si può anche affermare che un esempio come questo permette di misurare tutta la distanza che separa l’iniziazione virtuale dall’iniziazione effettiva; non è che la prima sia da considerare come trascurabile, al contrario: è proprio questa l’iniziazione nel vero senso della parola cioè l’indispensabile «inizio» (initium), ed è essa che comporta le possibilità di tutti gli ulteriori sviluppi; ma bisogna riconoscere, nelle attuali condizioni più che mai, che tra questa iniziazione virtuale e il minimo inizio di realizzazione, ci corre parecchio. Comunque sia, credevamo di esserci spiegati a sufficienza sulla necessità del ricollegamento iniziatico[1]; ma davanti agli interrogativi che ancora ci vengono rivolti a questo proposito, riteniamo utile aggiungere ulteriori precisazioni.
Tale, ad esempio, la questione della funzione e dell’efficacia propria dei riti; e forse perché, almeno in parte, è strettamente connessa con questa, anche la questione del ricollegamento iniziatico sembra ricadere nello stesso caso. In effetti, quando si sia capito che l’iniziazione consiste essenzialmente nella trasmissione di una certa influenza spirituale, e che questa trasmissione può essere operata solo mediante un rito, quello appunto con cui si effettua il ricollegamento ad un’organizzazione avente lo scopo precipuo di conservare e trasmettere l’influenza di cui si parla, ogni difficoltà al riguardo dovrebbe considerarsi superata; trasmissione e ricollegamento non sono in definitiva che due aspetti inversi di una sola e identica cosa, considerata discendendo o risalendo la «catena» iniziatica.
E tuttavia abbiamo avuto modo di constatare recentemente che la difficoltà esiste anche per alcuni di coloro che possiedono effettivamente un tale ricollegamento; ciò potrebbe sembrare abbastanza stupefacente, se non fosse evidente che si tratta di una conseguenza dell’indebolimento in senso «speculativo» subito dalle organizzazioni cui essi appartengono, poiché, senza dubbio, per chi si attiene unicamente al punto di vista «speculativo» le questioni di questo genere, e tutte quelle definibili come propriamente «tecniche», non possono che apparire in una prospettiva molto indiretta e lontana, e per questa ragione la loro importanza fondamentale rischia di essere più o meno completamente misconosciuta. Si può anche affermare che un esempio come questo permette di misurare tutta la distanza che separa l’iniziazione virtuale dall’iniziazione effettiva; non è che la prima sia da considerare come trascurabile, al contrario: è proprio questa l’iniziazione nel vero senso della parola cioè l’indispensabile «inizio» (initium), ed è essa che comporta le possibilità di tutti gli ulteriori sviluppi; ma bisogna riconoscere, nelle attuali condizioni più che mai, che tra questa iniziazione virtuale e il minimo inizio di realizzazione, ci corre parecchio. Comunque sia, credevamo di esserci spiegati a sufficienza sulla necessità del ricollegamento iniziatico[1]; ma davanti agli interrogativi che ancora ci vengono rivolti a questo proposito, riteniamo utile aggiungere ulteriori precisazioni.
Prima di tutto dobbiamo respingere l’obbiezione che taluni potrebbero esser tentati di muovere per il fatto che il neofita non avverte minimamente l’influenza spirituale al momento in cui la riceve; questo caso è infatti del tutto paragonabile a quello di certi riti d’ordine exoterico, quale per esempio il rito religioso dell’ordinazione, in cui vien trasmessa un’influenza spirituale altrettanto inavvertita, almeno in linea generale, il che non le impedisce d’esser realmente presente e di conferire da quel momento, a coloro che l’hanno ricevuta, certe facoltà che senza di essa non potrebbero avere. Ma nell’ordine iniziatico bisogna andare più in là: in certo qual modo sarebbe contraddittorio che il neofita fosse capace di avvertire l’influenza che gli viene trasmessa, perché di fronte a questa, e per definizione stessa, egli è ancora in uno stato puramente potenziale e «non sviluppato», mentre la capacità di avvertirla implicherebbe invece già, necessariamente, un certo grado di sviluppo o di attualizzazione; per questo dicevamo poco fa che bisogna cominciare dall’iniziazione virtuale. Soltanto, nel dominio exoterico non v’è in definitiva alcun inconveniente a che l’influenza ricevuta resti non percepibile coscientemente, anche in modo indiretto e nei suoi effetti, perché nella fattispecie non si tratta di ottenere, come conseguenza della trasmissione operata, uno sviluppo spirituale effettivo; invece le cose dovrebbero andare del tutto diversamente nel caso dell’iniziazione, dove in conseguenza del lavoro interiore compiuto dall’iniziato, gli effetti di questa influenza dovrebbero essere avvertiti in seguito, il che costituisce appunto il passaggio all’iniziazione effettiva a qualunque livello la si consideri. Questo, per lo meno, è ciò che normalmente dovrebbe aver luogo se l’iniziazione desse quei risultati che si ha ragione di attender da essa; in realtà, nella maggior parte dei casi l’iniziazione resta sempre virtuale, cioè gli effetti di cui parliamo rimangono indefinitamente allo stato latente; ma se le cose vanno a questo modo, da un punto di vista rigorosamente iniziatico si tratta pur sempre di un’anomalia, anomalia dovuta soltanto a circostanze contingenti[2], come ad esempio l’insufficienza di qualificazioni dell’iniziato, e cioè la limitazione delle possibilità ch’egli ha in se stesso cui niente d’esteriore può supplire, nonché lo stato d’imperfezione o di degenerazione cui sono ridotte attualmente certe organizzazioni iniziatiche; in queste condizioni, tali organizzazioni non offrono loro un appoggio sufficiente a conseguire l’iniziazione effettiva, e nemmeno ne lasciano supporre l’esistenza a coloro che potrebbero esservi idonei, anche se rimangono pur sempre in grado di conferire l’iniziazione virtuale, cioè di assicurare, a quelli che possiedono il minimo indispensabile di qualificazione, la trasmissione iniziale dell’influenza spirituale.
Aggiungiamo ancora per inciso, prima di passare ad un altro aspetto della questione, che questa trasmissione, come d’altronde abbiamo già fatto osservare, non ha e non può avere assolutamente niente di «magico», proprio perché si tratta essenzialmente di un’influenza spirituale, mentre tutto ciò che è d’ordine magico riguarda esclusivamente la manipolazione d’influenze psichiche. Anche se può succedere che l’influenza spirituale sia accompagnata secondariamente da certe influenze psichiche, ciò non cambia niente alla questione, poiché in definitiva non si tratta che di una conseguenza del tutto accidentale, dovuta alla corrispondenza che sempre deve esistere fra i diversi ordini della realtà; in ogni caso non è certo sulla base di queste influenze psichiche, né per loro tramite, che agisce il rito iniziatico, poiché questo riguarda unicamente l’influenza spirituale e appunto perché iniziatico, non può avere alcuna ragion d’essere al di fuori di questa. La stessa cosa, del resto, è valida anche nel dominio exoterico per quanto concerne i riti religiosi[3]; quali che siano le distinzioni che si possono fare fra le influenze spirituali, sia in se stesse, sia per quanto riguarda gli scopi per cui possono esser messe in atto, è pur sempre d’influenze spirituali che si tratta, tanto in questo caso come nei riti iniziatici: ciò basta ad escludere qualsiasi rapporto con la magia, la quale non è altro che una scienza tradizionale secondaria, d’ordine affatto contingente e anche molto inferiore, a cui, diciamolo ancora una volta, tutto quanto riguarda il dominio spirituale è completamente estraneo.
Ed eccoci giunti al punto che ci sembra essere il più importante, quello che veramente tocca più da vicino il fondo della questione; sotto questo rapporto l’obbiezione potrebbe esser posta in questi termini: niente può essere separato dal Principio, perché ciò che lo fosse non avrebbe effettivamente alcuna esistenza né alcuna realtà, sia pure del grado più basso; come si può dunque parlare di ricollegamento quando questo, quali che siano gli intermediari mediante i quali si effettua, non può esser concepito in definitiva se non come un ricollegamento al Principio stesso, il che, a prendere le parole nel loro significato letterale, sembra implicare il ristabilimento di un legame che era stato rotto? Si può osservare che un interrogativo del genere è molto simile a quest’altro, che certuni si sono posti del pari: perché fare degli sforzi per conseguire la «Liberazione», se il «Sé» (Âtmâ) è immutabile, e permane sempre lo stesso non potendo minimamente esser modificato o infirmato da checchessia? Coloro che sollevano questioni come queste dimostrano di fermarsi ad una visione troppo esclusivamente teorica delle cose, il che implica ch’essi tengono conto di un solo aspetto, o meglio confondono due punti di vista, che invece sono ben distinti anche se in un certo senso complementari uno dell’altro: il punto di vista principiale e quello degli esseri manifestati. Certamente dal punto di vista puramente metafisico si potrebbe a rigore attenersi al solo aspetto principiale e non tenere in alcun conto tutto il resto; ma il punto di vista iniziatico deve al contrario tener conto delle condizioni attuali degli esseri manifestati, e precisamente degli individui umani come tali, il suo corpo essendo appunto quello di condurli ad affrancarsi da tali condizioni; esso deve dunque per forza di cose, ed è anche per ciò che si distingue dal punto di vista della metafisica pura, prendere in considerazione quel che si può chiamare uno stato di fatto e collegarlo in qualche modo all’ordine principiale. Per eliminare ogni possibile equivoco diremo ancora quanto segue: è evidente che nel Principio nulla può essere soggetto al cambiamento; non è dunque il «Sé» a dover essere liberato, perché esso non può essere condizionato o sottoposto a limitazione alcuna, bensì l’«io», il quale non può esserlo se non si elimina l’illusione che lo fa apparire separato dal «Sé»; del pari non si tratta in realtà di ristabilire il legame con il Principio, poiché esso esiste sempre e non può cessare di esistere[4], ma, per l’essere manifestato, è la coscienza effettiva di questo legame che deve essere realizzata; ora, nelle condizioni attuali della nostra umanità, non v’è altro mezzo possibile, a questo fine, che quello fornito dall’iniziazione.
Da quanto precede si può capire che la necessità del ricollegamento iniziatico non è una necessità di principio, ma soltanto una necessità di fatto, la quale però, nello stato che ci è proprio e che pertanto siamo obbligati a prendere come punto di partenza, s’impone in modo non meno rigoroso. Certamente per gli uomini dei tempi primordiali l’iniziazione sarebbe stata non solo inutile, ma anche inconcepibile, poiché lo sviluppo spirituale in tutti i suoi gradi si effettuava per essi in un modo del tutto naturale e spontaneo in ragione della prossimità in cui si trovavano nei confronti del Principio; ma, in conseguenza della «discesa» verificatasi dopo di allora, conformemente all’inevitabile procedere di ogni manifestazione cosmica, le condizioni del periodo ciclico in cui ci troviamo attualmente sono ben diverse da quelle, ed è perciò che la restaurazione delle possibilità inerenti allo stato primordiale è il primo degli scopi che l’iniziazione si propone[5]. È dunque tenendo conto di tali condizioni, quali sono di fatto, che dobbiamo affermare la necessità del ricollegamento iniziatico, pur non facendone una regola assoluta e senza restrizioni, relativamente alle condizioni di una certa epoca o, a maggior ragione, di un particolare mondo. A questo proposito vogliamo richiamare particolarmente l’attenzione su quanto abbiamo detto altrove a proposito della possibilità che esseri viventi nascano da soli, cioè senza genitori[6]; questa «generazione spontanea» è in effetti possibile in linea di principio, e si può benissimo concepire un mondo dove sia veramente così; ma questa non è tuttavia una possibilità di fatto nel nostro mondo, o almeno, per essere più esatti, nelle condizioni attuali di esso; lo stesso dicasi del conseguimento di certi stati spirituali, conseguimento che giustamente è anche una «nascita»[7]; questo paragone ci sembra essere ad un tempo il più esatto e quello che meglio può aiutare a far capire ciò che stiamo trattando. Nello stesso ordine di idee possiamo ancora dire questo: allo stato attuale del nostro mondo, la terra non può produrre spontaneamente una pianta, cioè senza che vi sia stato deposto un seme necessariamente proveniente da un’altra pianta[8]; eppure ad un certo momento dev’essere successo così, poiché altrimenti niente avrebbe mai potuto cominciare; ma questa possibilità non fa più parte di quelle suscettibili di manifestarsi attualmente. Nelle condizioni in cui siamo, infatti, niente può raccogliersi che non sia stato prima seminato, e ciò è vero sia in campo spirituale che in campo materiale; ora, il germe che dev’essere deposto nell’essere per render possibile il suo ulteriore sviluppo spirituale, è precisamente quell’influenza la quale, in uno stato di virtualità e di «involgimento» esattamente comparabile a quello del seme[9], gli è conferita mediante l’iniziazione2.
Approfittiamo di questa occasione per segnalare un altro equivoco di cui abbiamo rilevato diversi esempi in questi ultimi tempi: taluni ritengono che il ricollegamento ad un’organizzazione iniziatica costituisca in certo qual modo soltanto un primo passo «verso l’iniziazione»[10]. Ciò potrebbe esser vero alla condizione di specificare bene che, in tal caso, è dell’iniziazione effettiva che si tratta; ma coloro a cui facevamo allusione non fanno alcuna distinzione fra iniziazione virtuale e iniziazione effettiva, anzi probabilmente non sanno neanche che esista una distinzione del genere, che invece è della massima importanza, se non addirittura essenziale; in più è possibilissimo ch’essi siano stati influenzati da certe concezioni di origine occultistica o teosofista sui «grandi iniziati» e altre cose del genere, che certamente sono fra le più adatte a causare e a mantenere molte confusioni. In ogni caso essi dimenticano evidentemente che iniziazione deriva da initium, e che questa parola significa propriamente «entrata» o «punto di partenza»: è l’entrata in una via che resta da percorrere in seguito, o meglio il punto di partenza di una nuova esistenza, nel corso della quale verranno sviluppate possibilità di un ordine diverso da quello cui è strettamente limitata la vita dell’uomo ordinario; e l’iniziazione intesa in questo modo, cioè nel senso più ristretto e preciso, non è altro che la trasmissione iniziale dell’influenza spirituale allo stato di germe, cioè, in altri termini, il ricollegamento iniziatico.
Un’altra questione che si riferisce ancora al ricollegamento iniziatico è stata del pari sollevata in questi ultimi tempi; bisogna subito specificare, per intenderne la portata, che essa concerne particolarmente il caso in cui l’iniziazione venga ottenuta al di fuori dei mezzi ordinari e normali[11]. Prima di tutto si deve aver ben presente che casi del genere sono assolutamente eccezionali e che si verificano soltanto quando certe circostanze rendono impossibile la trasmissione normale, in quanto la loro ragion d’essere è precisamente di supplirvi in una certa misura. Diciamo solo in una certa misura perché, innanzi tutto una cosa del genere non può prodursi se non per individualità aventi qualificazioni di gran lunga superiori all’ordinario, ed aspirazioni così forti da attirarsi in certo qual modo l’influenza spirituale ch’essi non possono ricercare coi propri mezzi, e poi perché anche per individualità del genere, in mancanza dell’aiuto fornito dal costante contatto con un’organizzazione tradizionale, è ancor più raro che i risultati ottenuti in seguito a tale iniziazione acquistino un carattere che non sia piuttosto frammentario ed incompleto.
Su questo punto desideriamo insistere in modo particolare, pur ritenendo il parlare di questa possibilità non scevro di pericoli, dovuti al fatto che molta gente tende a farsi delle illusioni su tale argomento; sarà infatti sufficiente che nella loro esistenza accada qualche avvenimento un po’ fuori dell’ordinario, o che sembri tale ai loro occhi anche se è in realtà piuttosto comune, perché essi lo interpretino come segno d’aver ricevuto questa iniziazione eccezionale; ed in particolare, la tentazione di afferrare il benché minimo pretesto di questo genere per dispensarsi da un ricollegamento regolare sarà sempre fortissima per gli Occidentali d’oggi; è perciò opportuno insistere decisamente sul fatto che, non apparendo impossibile tale ricollegamento, non è il caso di far conto, all’infuori di esso, di ricevere iniziazione di sorta.
Un altro punto molto importante è il seguente: anche in casi simili si tratta pur sempre di un ricollegamento ad una «catena» iniziatica e di una trasmissione di un’influenza spirituale, quali ne siano i mezzi e le modalità, che senza dubbio possono essere ben diversi da quelli in atto nei casi normali, ed implicare per esempio un’azione esercitantesi al di fuori delle ordinarie condizioni di tempo e luogo; in ogni caso, però, si ha sempre necessariamente un contatto reale che non ha assolutamente niente in comune con «visioni» o altre fantasticherie provenienti esclusivamente dall’immaginazione[12]. In taluni esempi noti, come quello già da noi citato altrove[13] di Jacob Boehme, tale contatto fu stabilito mediante l’incontro con un personaggio misterioso in seguito non più ricomparso; chiunque abbia potuto essere costui[14], si è però trattato di un fatto perfettamente «positivo», e non di un semplice «segno» più o meno vago ed equivoco che ciascuno può interpretare a modo suo. Soltanto, è chiaro che l’individuo iniziato in questo modo può non aver coscienza della vera natura di ciò che ha ricevuto e a cui è stato così ricollegato e, a maggior ragione, può esser assolutamente incapace di darne una spiegazione, mancando di un’«istruzione» che gli permetta di avere su tutto ciò nozioni un po’ precise; può anche accadere ch’egli non abbia mai sentito parlare di iniziazione, la cosa e il termine in sé essendo del tutto ignoti nell’ambiente in cui vive; ma tutto ciò in fondo importa poco, ed evidentemente non toglie niente alla realtà effettiva di questa iniziazione, quantunque dal caso specifico ci si possa render conto come essa presenti inevitabili svantaggi nei confronti dell’iniziazione normale[15].
Ciò detto, possiamo arrivare all’interrogativo cui abbiamo fatto allusione, facilitati nella risposta da queste poche osservazioni; l’interrogativo è il seguente: certi libri dal contenuto iniziatico non possono, per individualità particolarmente qualificate, servire di per se stessi da veicolo alla trasmissione di un’influenza spirituale, in modo tale che la loro lettura sia sufficiente, senza la necessità di un contatto diretto con una «catena» tradizionale, a conferire un’iniziazione simile a quelle di cui abbiamo parlato? Evidentemente l’impossibilità d’un’iniziazione mediante i libri è un altro punto sul quale ritenevamo di esserci spiegati a sufficienza in diverse occasioni, e dobbiamo confessare che non avevamo previsto che la lettura di libri di qualsivoglia natura potesse esser considerata come uno dei mezzi eccezionali che talvolta prendono il posto dei mezzi ordinari dell’iniziazione. D’altronde, anche al di fuori del caso particolare e più preciso che riguarda propriamente la trasmissione d’un’influenza iniziatica, ci si troverebbe di fronte a qualcosa che è nettamente in contrasto con il fatto che la trasmissione orale è sempre e dovunque ritenuta condizione necessaria del vero insegnamento tradizionale, condizione da cui non è assolutamente possibile ritenersi dispensati[16] ove tale insegnamento sia messo per iscritto, in quanto la sua trasmissione, per essere realmente valevole, implica la comunicazione di un elemento in certo qual modo «vitale», a cui i libri non possono servire da veicolo[17]. Ma è ancora più stupefacente che la questione sia stata messa in rapporto con un passaggio nel quale, a proposito dello studio «libresco», avevamo appunto creduto di esserci spiegati in modo tale da evitare ogni equivoco, segnalando, proprio come suscettibile di una possibilità del genere, il caso di «libri dal contenuto d’ordine iniziatico»[18]; parrebbe dunque non inutile ritornare ancora sull’argomento e spiegare più completamente ciò che avevamo voluto dire.
È evidente che uno stesso libro può esser letto in una quantità di modi diversi, e che analogamente diversi sono i risultati di tale lettura; se si suppone per esempio di aver a che fare con le Scritture sacre di una determinata tradizione, un profano nel senso più completo della parola, come il «critico» moderno, vedrà in esse unicamente della «letteratura», e tutto quel che potrà ricavarne sarà soltanto quella specie di conoscenza tutta verbale che costituisce l’erudizione pura e semplice, priva cioè della benché minima comprensione reale sia pure del senso più esteriore, in quanto il profano non sa, e nemmeno si chiede, se ciò che legge è l’espressione di una verità: è questo il tipo di sapere che si può definire «libresco» nell’accezione più rigorosa del termine. Chi invece è ricollegato a quella determinata tradizione, pur non conoscendone che l’aspetto exoterico, vedrà in queste Scritture ben altro, anche se la sua comprensione è limitata al solo senso letterale, per cui quel che troverà in esse avrà per lui un valore incomparabilmente superiore a quello dell’erudizione; le stesse considerazioni possono valere anche ad un livello più basso, cioè, per intenderci, nel caso di chi per incapacità a comprendere le verità dottrinali, vi cercasse semplicemente una regola di condotta, cosa che per lo meno permetterebbe a costui di partecipare alla tradizione nella misura delle sue possibilità. Il caso invece di chi cerca di assimilare al massimo l’exoterismo della dottrina, come quello del teologo per esempio, si colloca ad un livello certamente superiore a quest’ultimo; ma si tratta ancor sempre del senso letterale, mentre l’esistenza d’un altro senso più profondo, cioè in definitiva di quello esoterico, può non essere neanche sospettato. Chi, al contrario, ha qualche conoscenza teorica dell’esoterismo, potrà, con l’aiuto di certe interpretazioni o in altri modi, cominciare a capire la pluralità dei significati contenuti nei testi sacri e, per conseguenza, discernere lo «spirito» nascosto sotto la «lettera»; la sua comprensione è quindi d’ordine assai più profondo ed elevato di quella cui può aspirare il più sapiente e il più perfetto degli exoteristi. Lo studio di questi testi potrà costituire allora una parte importante della preparazione dottrinale, che normalmente deve precedere ogni realizzazione; ma se chi vi si dedica non riceve da qualche parte un’iniziazione, resterà sempre, quali che siano le attitudini ch’egli vi apporta, limitato a quella conoscenza esclusivamente teorica che uno studio del genere, per la sua stessa natura, non permette in alcun modo di superare.
Se invece delle Scritture sacre prendessimo in esame scritti di carattere propriamente iniziatico, ad esempio quelli di Shankarâchârya o di Mohyddin ibn Arabi, potremmo, salvo che su un punto, dire la stessa cosa; infatti, tutto il profitto che un orientalista potrà ricavare dalla lettura di essi sarà di sapere che un certo autore (e per lui in effetti non sarà nient’altro che un «autore») ha detto tale e tal altra cosa; se poi tale cosa vuol tradurla, invece di accontentarsi di ripeterla testualmente mediante un semplice sforzo di memoria, sarà estremamente probabile che la deformi, non avendone assimilato il reale significato ad alcun livello. La sola differenza con quanto abbiamo detto precedentemente, è che qui il caso dell’exoterista non si pone più, perché questi scritti appartengono al solo dominio esoterico, e come tali esulano totalmente dalla sua competenza; se veramente egli potesse capirli, per questo solo fatto avrebbe già superato il limite che separa l’exoterismo dall’esoterismo e quindi, di fatto, ci troveremmo davanti al caso dell’esoterista «teorico», per il quale potremmo ridire senza cambiare una virgola tutto quello che a questo proposito abbiamo già detto.
A questo punto ci resta solo da prendere in esame un’ultima differenza, certamente non meno importante dal punto di vista da cui ci poniamo presentemente: intendiamo riferirci alla differenza che si ha, a seconda che uno stesso libro sia letto dall’esoterista «teorico» di cui abbiamo parlato or ora (e che supponiamo non aver ancora ricevuto alcuna iniziazione), o da chi, al contrario, possieda già un ricollegamento iniziatico. Quest’ultimo vi vedrà naturalmente cose analoghe a quelle viste dal primo, ma forse le vedrà in modo più completo, e soprattutto esse gli appariranno in certo qual modo sotto una luce diversa; va da sé, d’altronde, che fino a quando la sua iniziazione rimane virtuale non potrà che continuare, a un livello più profondo, una preparazione dottrinale rimasta incompleta fino a quel momento; le cose stanno invece in modo ben diverso dal momento in cui egli entra in una via di realizzazione. Per lui allora il contenuto del libro diventa propriamente un supporto di meditazione, in un senso che si può chiamare rituale, esattamente allo stesso titolo dei simboli di diversi ordini ch’egli impiega come aiuto e sostegno al suo lavoro interiore; sarebbe assolutamente inconcepibile che degli scritti tradizionali, i quali per loro stessa natura sono necessariamente simbolici nell’accezione più ristretta del termine, non potessero svolgere questa funzione. Al di là della «lettera», che allora sarà scomparsa per lui, egli vedrà unicamente lo «spirito», e potranno così aprirsi a lui, come quando medita concentrandosi su un mantra od un yantra rituali, possibilità ben diverse da quelle implicite nella semplice comprensione teorica; ma se le cose stanno in questo modo, ripetiamolo ancora, è unicamente in virtù dell’iniziazione che ha ricevuto, e che costituisce la condizione necessaria in mancanza di cui, quali che siano le qualificazioni che un’individualità può presentare, non può aversi il benché minimo inizio di realizzazione, il che equivale a dire che qualsiasi iniziazione effettiva presuppone, per forza di cose, l’iniziazione virtuale. Aggiungeremo ancora, che se a colui che medita su uno scritto d’ordine iniziatico accade di entrare realmente in contatto con un’influenza proveniente dal suo autore (cosa in effetti possibile se tale scritto appartiene alla forma tradizionale e soprattutto alla «catena» particolare che gli è propria), anche questo, ben lungi da poter fare le veci d’un ricollegamento iniziatico, non può se non essere una conseguenza di quello che egli già possiede. Così, in qualunque modo si consideri la questione, in nessun caso è possibile un’iniziazione attraverso i libri, ma soltanto, in certe condizioni, un uso iniziatico di questi, che è evidentemente tutt’altra cosa; e questa volta speriamo di aver insistito abbastanza da evitare il sussistere di equivoci a questo riguardo, come quello di pensare che qualche cosa, anche in via eccezionale, possa dispensare dalla necessità del ricollegamento iniziatico.
[1] Vedere Aperçus sur l’Initiation (Considerazioni sulla via iniziatica), specialmente capp. V e VIII.
[2] Si può dire d’altronde che, nelle condizioni di un’epoca come la nostra, è quasi sempre il caso veramente normale dal punto di vista tradizionale ad apparire come del tutto eccezionale.
[3] Lo stesso dicasi anche per altri riti exoterici, in quelle tradizioni che non rivestono forma religiosa; se qui parliamo soprattutto di riti religiosi è perché essi rappresentano, in questo campo, il caso più generalmente noto in Occidente.
[4] Questo legame non è altro, in fondo, che il sûtrâtmâ della tradizione indù, di cui abbiamo parlato in altri studi.
[5] Sull’iniziazione intesa, a proposito dei «piccoli misteri», come tale da permettere la «risalita» del ciclo per tappe successive fino allo stato primordiale (cfr. Aperçus sur l’Initiation, pp. 257-258).
[6] Aperçus sur l’Initiation, p. 30.
[7] Ricordiamo per inciso, a questo proposito, tutto quel che abbiamo detto altrove sull’iniziazione vista come «seconda nascita»; questo modo di considerarla è del resto comune a tutte le forme tradizionali senza eccezione.
[8] Segnaliamo, senza potervi insistere per il momento, che ciò non è privo di punti di contatto con il simbolismo del seme di grano dei misteri di Eleusi, come pure, in Massoneria, con la parola di passo del grado di Compagno; l’applicazione iniziatica è d’altronde evidentemente in stretto rapporto con l’idea di «posterità spirituale». Forse, a questo proposito, non è privo di interesse far notare anche che la parola «neofita» significa letteralmente «nuova pianta».
[9] Non è che l’influenza spirituale in se stessa possa mai essere in uno stato di potenzialità, ma il neofita la riceve in certo qual modo proporzionatamente al proprio stato.
[10] Potremmo anche aggiungere che, per la corrispondenza esistente tra l’ordine cosmico e l’ordine umano, fra i due termini del paragone che abbiamo indicato può esserci non soltanto una semplice similitudine, ma una relazione molto più stretta e più diretta, e di natura tale da giustificarla in modo ancor più completo; nella fattispecie è possibile intravedere che il testo biblico in cui ci viene presentato l’uomo condannato a non poter più ottenere niente dalla terra, senza dedicarsi ad un faticoso lavoro (Genesi, III, 17-19), corrisponde senz’altro alla verità anche secondo il suo senso più letterale.
[11] È a questo caso che si riferisce la nota esplicativa aggiunta ad un passaggio delle Pagine dedicate a Mercurio di Abdul-Hâdi, n° d’agosto 1946 negli Études Traditionelles, pag. 318-319, riprodotta in appendice al presente volume, pag. 285.
[12] Rammentiamo ancora che, quando si tratta di questioni d’ordine iniziatico, non si può che diffidare dell’immaginazione; tutto ciò che è soltanto illusione «psicologica» o «soggettiva» è assolutamente privo di valore a questo proposito, e non deve intervenire in alcun modo né ad alcun livello.
[13] Aperçus sur l’Initiation, p.70.
[14] Può trattarsi, benché non sia necessariamente sempre così, delle apparenze assunte da un «adepto» che agisce, come abbiamo detto or ora, al di fuori delle ordinarie condizioni di tempo e spazio, nel modo che le poche considerazioni da noi esposte su certe possibilità di quest’ordine in Aperçus sur l’Initiation, cap. XLII, potranno aiutare a capire.
[15] Questi svantaggi hanno fra l’altro la conseguenza di dare spesso all’iniziato, specie per quel che riguarda il suo modo di esprimersi, una certa qual somiglianza esteriore con i mistici, che può anche farlo scambiare per uno di essi da coloro che non vanno al fondo delle cose, com’è capitato in particolare a Jacob Boehme.
[16] Il semplice contenuto d’un libro, in quanto insieme di parole e di frasi che esprimono certe idee, non è dunque la sola cosa che importi realmente dal punto di vista tradizionale.
[17] Si potrebbe obiettare, stando ad alcuni racconti riferentisi soprattutto alla tradizione rosicruciana, che certi libri siano stati colmati d’influenza dai loro stessi autori, cosa in effetti possibile per un libro come per qualsiasi altro oggetto; ma, anche ammessa la realtà di questo fatto, non poteva trattarsi in ogni caso che di esemplari determinati, e preparati in particolare a questo scopo, ciascuno dei quali inoltre doveva essere destinato esclusivamente ad un particolare discepolo, a cui veniva rimesso direttamente, non per far le veci di un’iniziazione che tale discepolo aveva già ricevuto, ma soltanto per fornirgli un aiuto più efficace quando questi, nel corso del suo lavoro personale, si sarebbe servito del contenuto del libro come d’un supporto di meditazione.
[18] Aperçus sur l’Initiation.
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