"…la dottrina è infallibile, è a causa del fatto che essa è un’espressione della verità, la quale, in se stessa, è assolutamente indipendente dagli individui che la ricevono e che la comprendono. La garanzia della dottrina risiede in definitiva nel suo carattere «non-umano»". René Guénon, Considerazioni sull’iniziazione, cap. "Sull’infallibilità tradizionale"

mercoledì 11 giugno 2014

René Guénon, Iniziazione e realizzazione spirituale - IV - La consuetudine contro la tradizione

René Guénon
Iniziazione e realizzazione spirituale 

IV - La consuetudine contro la tradizione

Abbiamo sovente denunciato la strana confusione che gli uomini d’oggi quasi sempre fanno fra tradizione e consuetudine; i nostri contemporanei definiscono infatti volentieri col nome «tradizione» una quantità di cose che in realtà sono semplici consuetudini, spesso affatto insignificanti, e talvolta d’invenzione del tutto recente; e basta che qualcuno istituisca una festa profana qualsiasi perché questa, nel giro di qualche anno, venga chiamata «tradizionale».
Questo abuso di linguaggio è evidentemente dovuto all’ignoranza dell’uomo moderno nei riguardi di tutto ciò che è tradizione nel vero senso della parola; ma vi si può anche scorgere una manifestazione di quello spirito di «contraffazione» da noi già segnalato in tanti altri casi: dove la tradizione viene a mancare, si cerca di sostituirla, consciamente o inconsciamente, con una specie di parodia, allo scopo di colmare, almeno in apparenza, il vuoto lasciato da questa mancanza di tradizione; non basta dunque dire che l’usanza è completamente diversa dalla tradizione: essa e, in realtà, nettamente contraria alla tradizione, e nei più svariati modi serve alla diffusione ed al mantenimento dello spirito antitradizionale. 
Bisogna infatti aver sempre ben presente che tutto ciò che è d’ordine tradizionale implica essenzialmente un elemento «sovrumano»; la consuetudine è invece cosa puramente umana, o per degenerazione, o proprio come origine. E però a questo proposito bisogna distinguere due casi: il primo riguarda cose che un tempo possono aver avuto un senso profondo, e talvolta anche un carattere propriamente rituale, che tuttavia è andato completamente perduto dal momento in cui esse hanno cessato di essere integrate in un insieme tradizionale, diventando così «lettera morta» o «superstizione» nel vero senso etimologico; poiché più nessuno ne comprende la ragione, esse sono quanto mai atte a subire deformazioni e aggiunte di elementi estranei provenienti dalla fantasia individuale o collettiva. Questo caso riguarda generalmente consuetudini alle quali è impossibile assegnare un’origine precisa; il meno che si possa dire a questo riguardo è che un fatto del genere sta a testimoniare la perdita dello spirito tradizionale, e sotto questo aspetto può apparire forse più grave come sintomo che non per gli inconvenienti che presenta. Purtuttavia, due sono i pericoli che vi si possono scorgere: da una parte gli uomini giungono in questo modo a compiere certi atti per semplice abitudine, e cioè macchinalmente e senza una valida ragione (risultato tanto più preoccupante in quanto questa attitudine «passiva» li predispone a ricevere qualsiasi genere di «suggestione» senza reagire); d’altra parte, gli avversari della tradizione, assimilando quest’ultima a tali azioni compiute meccanicamente, non mancano di approfittarne per porla in ridicolo; ne risulta che questa confusione, che per certuni non sempre è involontaria, viene utilizzata per ostacolare qualsiasi possibilità di restaurazione dello spirito tradizionale.
Il secondo caso è quello per cui veramente si può parlare di «contraffazione»: le consuetudini di cui abbiamo parlato testé portano ancora, malgrado tutto, l’impronta di qualcosa che agli inizi ebbe un carattere tradizionale e, a questo titolo, possono non sembrare ancora del tutto profane; si cercherà dunque, in uno stadio ulteriore, di sostituirle per quanto possibile con altre consuetudini, queste ultime completamente inventate, che verranno accettate facilmente proprio perché gli uomini sono già abituati a fare cose prive di senso; è questa la «suggestione» a cui testé facevamo allusione. Quando un popolo è stato distolto dalla pratica dei riti tradizionali, è ancora possibile che ne senta la mancanza e che provi l’esigenza di ritornare ad essi; per impedire questo ritorno gli si daranno degli «pseudo riti» che, se sarà il caso, potranno anche venirgli imposti; e questa simulazione di riti è talora così spinta che non è difficile riconoscervi l’intenzione formale, anche se dissimulata, di porre in atto una specie di «contro tradizione». Sempre a questo proposito, vi sono ancora alcune cose che, pur sembrando più inoffensive, sono in realtà ben lungi dall’esserlo veramente; intendiamo riferirci a quelle consuetudini che influenzano, più che la vita della collettività, la vita di ogni singolo individuo; la loro funzione è pur sempre quella di soffocare ogni attività rituale o tradizionale sostituendovi la preoccupazione, e non sarebbe esagerato dire l’ossessione, d’una quantità di cose perfettamente insignificanti, se non addirittura assurde, la cui stessa «pochezza» contribuisce validamente alla rovina di ogni intellettualità.
Il carattere dissolvente della consuetudine può essere al giorno d’oggi direttamente constatato nei paesi orientali: per quanto riguarda l’occidente, ormai da lungo tempo è stato oltrepassato lo stadio in cui era anche soltanto concepibile che tutte le azioni umane potessero rivestire un carattere tradizionale; ma là ove la nozione di «vita ordinaria», intesa nel senso profano già da noi illustrato in altra occasione, non si è ancora generalizzata, si può, per così dire, cogliere sul nascere il modo in cui tale nozione arriva a prender forma, nonché la funzione che svolge in tal senso la sostituzione della consuetudine alla tradizione. Si tratta evidentemente di una mentalità che, almeno attualmente, non è ancora caratteristica della maggior parte degli Orientali, pur appartenendo già a quelli tra loro che potremmo chiamare indifferentemente «modernisti» od «occidentalizzati», parole che in fondo esprimono uno stesso concetto: quando qualcuno giustifica il suo modo d’agire dicendo che «si usa far così», si può essere sicuri che si tratta di un individuo staccato dalla sua tradizione e divenuto incapace di comprenderla; non soltanto egli non compie più i riti essenziali, ma se anche ha conservato qualche «osservanza» secondaria, è soltanto «perché si usa» e per ragioni puramente umane, fra le quali la preoccupazione dell’«opinione» occupa molto spesso un posto dominante; e soprattutto non manca mai di osservare scrupolosamente una quantità di quelle usanze inventate di cui parlavamo ultimamente, che non si distinguono minimamente dalle futilità che costituiscono il comune «saper vivere» degli Occidentali moderni, e che ne sono anzi talvolta pure e semplici imitazioni.
Quel che forse colpisce di più in queste consuetudini del tutto profane, sia in Oriente che in Occidente, è il carattere di incredibile «pochezza» cui abbiamo già fatto cenno: sembra che esse mirino esclusivamente a trattenere tutta l’attenzione non solo su cose in sé totalmente esteriori e prive di qualsiasi significato, ma addirittura sui dettagli più banali e ristretti di queste cose, il che, evidentemente, è uno dei migliori mezzi esistenti per condurre coloro che accettano questo trattamento ad una vera e propria atrofia intellettuale, di cui l’esempio più convincente è la così detta mentalità «mondana» occidentale. Coloro i quali sono dominati da simili preoccupazioni, anche se non arrivano a questo punto, sono però manifestamente incapaci di concepire qualsiasi realtà di ordine profondo: tra queste cose vi è un’incompatibilità talmente evidente che è inutile insistervi oltre, ed è altrettanto chiaro che, per questa ragione, essi si trovano chiusi nel cerchio della «vita ordinaria», costituita appunto da uno spesso tessuto di apparenze esteriori, quelle stesse su cui sono stati «esercitati» ad impiegare esclusivamente ogni loro attività mentale. Si può dire che per essi il mondo ha perduto ogni «trasparenza» perché non vedono in esso più nulla che sia segno od espressione di verità superiori, e quand’anche si parlasse loro di questo senso interiore delle cose, non soltanto non capirebbero, ma comincerebbero immediatamente a chiedersi cosa mai i loro simili potrebbero dire o pensare di loro se, per assurdo, arrivassero ad ammettere un simile punto di vista, e più ancora a conformare ad esso la loro esistenza!
In effetti è il timore dell’«opinione» che più d’ogni altra cosa permette alla consuetudine di imporsi in questo modo, e di acquistare il carattere di una vera ossessione; l’uomo non può agire senza una motivazione, per legittima o illegittima che sia, per cui, dal momento che occorre ch’egli ne abbia una anche in un caso come questo, in cui, essendo in causa azioni del tutto prive di significato, una motivazione realmente valida non esiste, egli se la cerca nella stessa sfera bassamente contingente e priva di qualsiasi portata effettiva a cui appunto appartengono queste azioni. Si obbietterà forse che, affinché ciò sia possibile, bisogna che un’opinione si sia già costituita sulle consuetudini in questione; di fatto, invece, è sufficiente ch’esse si siano affermate in un ambiente molto ristretto, inizialmente anche solo come una semplice «moda», perché questo fattore possa entrare in gioco; e quando tali consuetudini, per il solo fatto che nessuno osa più astenersi dall’osservarle, hanno perciò finito con l’affermarsi, potranno in seguito estendersi a grado a grado, e nel frattempo quella che inizialmente era solo opinione di qualcuno finirà per diventare la cosiddetta «opinione pubblica».
Si può dire che il rispetto della consuetudine come tale, non è in fondo nient’altro che il rispetto della stupidità umana, perché è questa, in casi del genere, ad esprimersi naturalmente nell’opinione; d’altronde, «fare come tutti» secondo l’espressione corrente a questo proposito e che per certuni pare avere il valore di ragion sufficiente di tutte le loro azioni, significa necessariamente assimilarsi alla massa e cercare di non distinguersene in alcun modo; è certamente difficile immaginare qualcosa di più basso e anche di più contrario all’attitudine tradizionale: questa implica infatti che ciascuno debba fare costantemente ogni sforzo per elevarsi nella misura delle proprie possibilità, e non ridursi a quel tipo di nullità intellettuale che traduce una vita interamente assorbita dall’osservanza delle consuetudini più insulse e dal timore puerile d’esser sfavorevolmente giudicato dai primi venuti, cioè in definitiva dagli stupidi e dagli ignoranti.
Nei paesi di tradizione araba si dice che nei tempi più antichi gli uomini non si distinguevano fra loro che per la conoscenza; in seguito furono prese in considerazione la nascita e la parentela; più tardi ancora fu la ricchezza ad esser considerata come un distintivo di superiorità; ed infine, nei tempi più recenti, si giudicarono gli uomini soltanto in base alle apparenze esteriori. Ci si può facilmente render conto che questa è un’esatta descrizione del predominio successivo, in ordine discendente, dei punti di vista rispettivamente corrispondenti a quelli delle quattro caste o, se si preferisce, alle divisioni naturali cui esse corrispondono. Ora, la consuetudine appartiene incontestabilmente al dominio delle pure apparenze esteriori dietro le quali non c’è niente; osservare la consuetudine, per tener conto di un’opinione che non valuta se non tali apparenze, corrisponde quindi all’atteggiamento tipico del Shûdra.

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