Titus Burckhardt
Introduzione alle dottrine
esoteriche dell’Islam
Prefazione
Sheikh
Mohammed Al-Tâdilî
e di
Mulay ‘Alî
ben al-Tayyeb ad-Darqawî
Quest'opera è una introduzione allo studio della dottrina sufica. È importante innanzitutto precisare da
quale prospettiva affrontiarmo
l'argomento: non è la prospettiva dell'erudizione pura e semplice, qualunque possa essere l'interesse scientifico dei compendi dottrinali che compaiono in questo
studio; intendiamo soprattutto collaborare agli sforzi di coloro che, nel mondo moderno, cercano di comprendere le verità permanenti e universali di cui ogni dottrina sacra è un modo di espressione.
Diciamo subito che la scienza accademica è solo un aiuto del tutto secondario e molto
indiretto per assimilare il contenuto intellettuale delle dottrine orientali, e d'altra parte non è questo lo scopo di un metodo scientifico, che
affronta necessariamente le cose
dall'esterno, quindi secondo il loro aspetto esclusivamente storico c contingente. Ci sono dottrine che si comprendono soltanto «dall'interno», grazie ad un'opera di assimilazione o di penetrazione le cui
modalità, che
sono essenzialmente intellettuali[1], oltrepassano proprio per questo il pensiero discorsivo, il quale diventa anzi un ostacolo
nella misura in cui è contrassegnato da convenzioni mentali, senza parlare dei pregiudizi agnostici ed evoluzionistici che caratterizzano lo spirito della maggior
parte degli Occidentali. Per tale motivo quasi tutti gli eruditi europei che hanno studiato il
sufismo si ingannano
sulla sua vera natura: l'uomo colto moderno, difatti, non è piu assuefatto a pensare
per mezzo di simboli. Cosi, le indagini moderne non possono distinguere ciò che, in due espressioni tradizionali analoghe, dipende dalla forma esteriore e ciò che ne costituisce
l'elemento essenziale; perciò
gli studiosi
sono indotti a
vedere
imprestiti da una forma tradizionale
all'altra
quando vi è soltanto una coincidenza di concezioni spirituali,
e divergenze fondamentali
laddove non vi è che una differenza di
prospettive e di
modalità di espressione[2]. Siffatte confusioni devono fatalmente accadere poiché la
formazione universitaria ed il sapere libresco autorizzano
da noi ad occuparsi di cose che, in Oriente, sono naturalmente riservate a coloro che sono dotati di intuizione
spirituale e che si consacrano allo studio di queste cose in virru di un'affinità reale e sotto la guida degli eredi di una tradizione vivente.
Durante la trattazione ci
sforzeremo di
mostrare la prospettiva intellettuale del sufismo, di cui adotteremo a tal fine il modo proprio di esprimersi, fornendo per quanto è possibile le precisazioni necessarie al lettore europeo; nel contempo indicheremo le analogie tra certe nozioni sufiche e quelle di altre dottrine tradizionali; cosi facendo non smentiremo assolutamente il punto di vista proprio del sufismo, che ha sempre riconosciuto il principio secondo cui la Rivelazione divina, trasmessa dai grandi mediatori, assume forme diverse corrispondenti alle attitudini delle comunità umane
chiamate a riceverla[3]. Sappiamo che i confronti tra diversi simbolismi tradizionali possono essere male interpretati; anche i maestri sufìci si sono per lo piu limitati ad indicare solo il principio dell'universalità
tradizionale, senza mostrarne tutte le conseguenze nei confronti delle religioni diverse dalla loro, rispettando cosi la fede dei semplici, perché se la fede religiosa è virtualmente una conoscenza - altrimenti non sarebbe che un'opinione - la sua luce è nondimeno
tutta avvolta nell'ambito emotivo che si preoccupa di offrire una determinata versione della Verità
trascendente e tende perciò a negare tutto ciò che deriva da un aJtro modo ispirato d'espressione. Tuttavia, la prudenza verso la fede di una comunità è indispensabile soltanto finché la civiltà sacra che protegge questa comunità rappresenta un mondo quasi impermeabile; la situazione può murare
quando avviene un incontro inevitabile tra due diverse civiltà sacre,
come per esempio l'incontro dell'Islam con l'Induismo al tempo degli imperatori
Moghul; essa muta a fortiori quando i contorni delle grandi civiltà tradizionali si sgretolano. Nel caos in cui viviamo, certi paragoni si impongono, almeno alle persone sensibili alle
forme spirituali, ed oggi non è piu possibile eludere
i problemi che ne derivano passandoli sotto silenzio.
Occorre irmanzitutto
comprendere che il riconoscimento, da
parte degli esoterici, dell'unità
essenziale di tutte
le forme tradizionali, non li induce né a
cancellarne i contorni, né a disconoscere la necessità, nel suo
ordine, di questa o quella Legge sacra, al contrario; poiché la diversità delle forme
tradizionali non palesa soltanto l'insufficienza di
ogni espressione
formale di
fronte alla Verità totale, ma rivela
anche indirettamente l'originalità spirituale di ogni forma,
cioè quello che ciascuna di esse comporta di inimitabile, nella
qual cosa si manifesta l'unicità del loro principio
comune: il mozzo di una ruota che unisce i
raggi, è al tempo stesso ciò che ne fissa le direzioni divergenti.
La nosrra introduzione allo studio della dottrina sufica sarà molto incompleta; forse avremo in futuro l'occasione di
apportarvi alcuni ampliamenti. Parleremo soprattutto della metafisica, che è il fondamento di tutto; si tratterà
succintamente del metodo e
si farà menzione soltanto di sfuggita della cosmologia.
Per quanto riguarda alcuni aspetti della dottrina che compendieremo, faremo riferimento
soprattutto all'opera
del «Grandissimo Maestro» Muhyi-d-din ibn 'Arabi[4] la cui funzione nel sufismo è paragonabile a quella di Shrî Shankarâcharya nel
Vedantismo. Rispetto alla prima edizione, pubblicata nel
1953, il testo è stato completato sotto molti aspetti; abbiamo aggiunto, particolarmente, alcune considerazioni sulla realizzazione spirituale.
Giacché il sufismo è una tradizione, cioè la trasmissione di una Saggezza di origine divina, è al tempo stesso perpetuazione nel tempo e rinnovamento continuo grazie al contatto con la sua sorgente atemporale. Ogni dottrina tradizionale è, per definizione, immutabile nell'essenza, ma la sua formulazione può rinnovarsi entro la cornice di un determinato «stile concettuale» - quindi sul fondamento delle costanti della
tradizione -
in funzione
dei diversi modi possibili dell'intuizione e
secondo le circostanze umane.
[1] Con «intelletto» non intendiamo la ragione o il pensiero discorsivo, bensl l'organo della conoscenza immediata, della certezza, vale a dire
l'intelligenza pura, che oltrepassa la semplice ragione. Questo organo, nella
teologia ortodossa, soprattutto in Massimo il Confessore, è chiamato νους.
[2] Cfr. Frithjof Schuon: De l'Unité transcendante
des Religions (Gallimard, Paris 1948). Il libro, ripubblicato
in
edizione
riveduta
(Ed. du Seuil, Paris 1979), è stato tradotto in italiano col titolo «Dell'Unità trascendente delle Religioni», Laterza, Bari 1949 (n.d.t.).
[3] Questa legge universale della Rivelazione
è
espressa nel Corano, benché soltanto in modo implicito e nel linguaggio proprio del monoteismo: «Il Profeta crede in ciò che il Signore
gli ha inviato. I fedeli credono in Dio, ai Suoi angeli, ai Suoi libri (rivelati) ed ai Suoi
messaggeri. Essi dicono; Non facciamo differenze tra i
messaggeri di Dio» (II, 284). «Abbiamo stabilito per ogni
nazione riti che essa osserva» (XXII, 66).
[4] Visse tra il 1165 ed il 1240 dell’era cristiana. La
sua opera fondamentale è stata parzialmente tradotta da Titus Burckhardt, col titolo: La Sagesse des Prophètes, Paris· 1955 e 1974.