"…la dottrina è infallibile, è a causa del fatto che essa è un’espressione della verità, la quale, in se stessa, è assolutamente indipendente dagli individui che la ricevono e che la comprendono. La garanzia della dottrina risiede in definitiva nel suo carattere «non-umano»". René Guénon, Considerazioni sull’iniziazione, cap. "Sull’infallibilità tradizionale"

sabato 21 giugno 2014

René Guénon, Iniziazione e realizzazione spirituale - IX Punto di vista rituale e punto di vista morale

René Guénon 
Iniziazione e realizzazione spirituale 

IX - Punto di vista rituale e punto di vista morale 

Come abbiamo fatto osservare in diverse occasioni, fenomeni simili possono procedere da cause completamente diverse: è per questo che i fenomeni, che altro non sono se non apparenze esteriori, non possono assolutamente esser considerati elementi di prova della verità di una dottrina o di una teoria qualsiasi, contrariamente alle illusioni dello «sperimentalismo moderno» a questo proposito.
Tutto ciò vale anche per le azioni umane, le quali d’altronde sono anche fenomeni di un genere particolare: stesse azioni o, per essere più precisi, azioni non discernibili esteriormente le une dalle altre, possono rispondere ad intenzioni molto diverse presso coloro che le compiono; ed anche, più in generale, due individui possono agire in modo simile in quasi tutte le circostanze della loro vita pur partendo, per regolare la propria condotta, da punti che in realtà non hanno quasi niente in comune.
Naturalmente, un osservatore superficiale che si attenga a ciò che vede e che non vada oltre le apparenze, non potrà non lasciarsene ingannare, e sarà portato ad interpretare uniformemente le azioni di tutti gli uomini in conformità al suo punto di vista particolare; è facile capire che ciò può essere causa di una quantità di errori, quando per esempio si tratti di uomini appartenenti a civiltà diverse, oppure di fatti storici risalenti ad epoche lontane. Un esempio caratteristico, un esempio limite se si vuole, è quello offerto da quei nostri contemporanei che pretendono di spiegare tutta la storia dell’umanità facendo esclusivamente appello a considerazioni di ordine «economico», per loro effettivamente d’importanza preponderante, senza neanche chiedersi se veramente sia stato così in tutti i tempi e in tutti i paesi. Ciò è il prodotto della tendenza, già da noi segnalata altrove a proposito degli psicologi, a credere che gli uomini siano sempre e dovunque gli stessi; tale tendenza, in un certo senso forse naturale, non è per questo meno ingiustificata, e noi pensiamo che non si possa che diffidarne.
Un altro errore dello stesso genere, che più facilmente ancora del precedente rischia di sfuggire a molti, se non ai più, per l’abitudine invalsa di vedere le cose in un certo modo, e per la minore evidenza di un legame più o meno diretto con certe particolari teorie, è quello che consiste nell’attribuire a tutti gli uomini indistintamente il punto di vista specificamente morale, e poiché da questo gli occidentali derivano la loro regola d’azione, nel tradurre in termini di «morale», con le intenzioni particolari ad essa implicite, qualsiasi regola d’azione, anche se si riferisce a civiltà sotto ogni riguardo differenti dalla loro. Coloro che la pensano così sembrano incapaci di capire che esistono tanti altri punti di vista che potrebbero fornire tali regole, e inoltre, come dicevamo or ora, che le apparenti similitudini esistenti nella condotta degli uomini non provano affatto che ciò sia la conseguenza di uno stesso punto di vista; pertanto il precetto a fare o non fare una determinata cosa, cui certuni obbediscono per ragioni d’ordine morale, può essere analogamente osservato da altri per ragioni del tutto diverse. Da quanto precede non bisogna peraltro trarre la conclusione che, in se stessi e indipendentemente dalle loro conseguenze pratiche, i punti di vista in questione siano tutti equivalenti, tutt’altro, infatti quella che si potrebbe chiamare la «qualità» delle intenzioni corrispondenti è talmente diversa, che si può ben dire non vi sia tra loro alcuna comune misura; e ciò è anche più evidente se si paragona il punto di vista morale al punto di vista rituale proprio di quelle civiltà aventi un carattere integralmente tradizionale.
Come abbiamo spiegato altrove, l’azione rituale, nel senso originale della parola, è quella compiuta «conformemente all’ordine», ed implica di conseguenza, ad un certo livello, la coscienza effettiva di tale conformità; per cui, là ove la tradizione non ha subito attenuazione alcuna, qualsiasi azione ha un carattere propriamente rituale. È importante osservare che tutto ciò presuppone essenzialmente la conoscenza della solidarietà esistente fra l’ordine cosmico vero e proprio e l’ordine umano; tale conoscenza, con le molteplici applicazioni che ne derivano, esiste in effetti in tutte le tradizioni, mentre è diventata completamente estranea alla mentalità moderna, che non vuol vedere altro che «speculazioni» fantastiche in tutto ciò che non rientra nella concezione grossolana e strettamente limitata, implicita in quella che essa definisce come «realtà». Per chiunque non sia accecato da pregiudizi, è facile vedere quale distanza separi la coscienza della conformità all’ordine universale e della partecipazione dell’individuo a quest’ordine, appunto in virtù di tale conformità, dalla semplice «coscienza morale», che non richiede alcuna comprensione intellettuale ed è guidata unicamente da aspirazioni e tendenze puramente sentimentali, e quale profonda degenerazione implichi, nella mentalità umana in generale, il passaggio dall’una all’altra. È evidente d’altronde che un simile passaggio non si verifica di punto in bianco, e che vi sono gradi intermedi in cui i due punti di vista corrispondenti si trovano in proporzioni diverse; in effetti, in ogni forma tradizionale il punto di vista rituale sussiste sempre per forza di cose, ma avviene, come ad esempio nelle forme a carattere religioso, che accanto ad esso il punto di vista morale assuma una posizione più o meno importante, cosa di cui quanto prima vedremo la ragione. Comunque sia, se in una civiltà si riscontra la presenza del punto di vista morale, si può dire che essa non è già più integralmente tradizionale, anche se ciò può non apparire evidente per certi altri aspetti; l’apparizione di questo punto di vista può anzi esser considerata come in certo qual modo legata al punto di vista profano vero e proprio.
Non è questa la sede per esaminare le tappe di questa decadenza che alla fine sfocia, con il mondo moderno, nella sparizione completa dello spirito tradizionale, e cioè nell’invasione del punto di vista profano in tutti i campi senza eccezione; faremo soltanto rilevare che è quest’ultimo stadio ad essere rappresentato, nell’ordine di cose di cui ci stiamo occupando, dalle morali cosiddette «indipendenti», le quali, si proclamino esse «filosofiche» o «scientifiche», non sono altro in realtà che il prodotto della degenerazione della morale religiosa, e si trovano rispetto a questa in un rapporto simile a quello esistente fra le scienze profane e le scienze tradizionali.
Esistono naturalmente vari gradi nell’incomprensione delle realtà tradizionali e nei conseguenti errori d’interpretazione, ed a questo riguardo, il livello più basso è quello rappresentato dalle concezioni moderne le quali, non accontentandosi neanche più di vedere le prescrizioni rituali come semplici regole morali (il che significa già del resto misconoscere del tutto la loro ragione profonda), giungono perfino ad attribuirle a volgari preoccupazioni igieniche o di pulizia; è evidente che, giunti a questo punto, ben difficilmente l’incomprensione potrebbe spingersi oltre! Vi è ora un’altra importante questione da prendere in considerazione: in che modo forme tradizionali autentiche, invece di attenersi unicamente al punto di vista rituale, hanno potuto, come dicevamo, accogliere nel loro ambito un punto di vista morale ed in certo modo farlo proprio, al punto da considerarlo come uno dei loro elementi costitutivi? Appunto perché, a causa della marcia discendente del cielo storico e della conseguente caduta della mentalità umana nel suo insieme ad un livello inferiore, era inevitabile che questo avvenisse; in effetti, per dirigere efficacemente le azioni degli uomini, bisogna per forza di cose ricorrere a mezzi che siano appropriati alla loro natura, e, se questa natura è mediocre, i mezzi devono esserlo in misura corrispondente, poiché è soltanto in questo modo che si potrà salvare ciò che in tali condizioni potrà essere salvato. Quando la maggior parte degli uomini diventa incapace di capire le ragioni dell’azione rituale, è necessario, affinché nonostante tutto essi continuino ad agire in un modo che sia ancora normale e «regolare», fare appello a motivazioni secondarie, morali o d’altro genere, ma in ogni caso di tipo molto più relativo e contingente, o, se vogliamo, più basso, di quelle inerenti al punto di vista rituale. In tutto ciò non vi è alcuna deviazione, ma solo necessario adattamento; le forme tradizionali particolari devono essere adattate alle circostanze di tempo e luogo che determinano la mentalità di coloro cui esse si rivolgono, poiché è questo che costituisce la ragione stessa della loro diversità soprattutto nella loro parte più esteriore, quella che dev’essere comune a tutti senza eccezione, e a cui si riferisce normalmente tutto quanto è regola d’azione. A coloro invece che sono ancora capaci di una comprensione d’altro ordine, spetta evidentemente di effettuarne la trasposizione ponendosi da un punto di vista superiore e più profondo, cosa che rimane sempre possibile fino a quando non sia interrotto ogni legame coi principi, cioè fintanto che sussista il punto di vista tradizionale vero e proprio: in questo modo essi potranno considerare la morale solo come un semplice modo esteriore di espressione, il quale non infirma l’essenza vera e propria delle cose che se ne rivestono. È così, per esempio, che tra colui che compie certe azioni per ragioni morali, e colui che le compie in vista di uno sviluppo spirituale effettivo, cui esse possono servire da preparazione, la differenza è certo quanto mai profonda; il loro modo d’agire è peraltro lo stesso, benché tutt’altre siano le loro intenzioni e non corrispondano affatto ad uno stesso grado di comprensione. È soltanto quando la morale ha perso ogni carattere tradizionale che si potrà veramente parlare di deviazione; svuotata di qualsiasi significato reale, e priva di ciò che può legittimare la sua esistenza, questa morale profana non è, a dire il vero, se non un «residuo» senza valore ed una pura e semplice superstizione.

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