Ibn 'Arabî
La conoscenza dei pensieri satanici che affiorano alla coscienza (al-khawatir ash-shaytaniyyah)
Capitolo 55 delle «Futûhâtu-l-Makkiyyah»
Se Allâh ci facesse
conoscere le saggezze che si trovano in essa vedrei che la realtà è troppo
elevata per essere alla portata del pensiero e delle aspirazioni (himam).
Essa è tanto sottile che
neppure le Somme delle Parole (jawami‘u-l-kalim) te la fanno vedere[1]!
I pensieri
che si presentano alla coscienza (khawatir)[2] possono essere solo di
quattro tipi: un pensiero di origine dominicale (rabbani), un pensiero di origine
angelica (malakî), un pensiero originante dalla «nafs»[3] ed un pensiero di
origine satanica; non ce ne sono altri.
Abbiamo già
trattato della conoscenza dei pensieri che si presentano alla
coscienza sia in questo che in altri nostri libri[4] ed in questo capitolo
tratteremo in modo particolare dei pensieri di origine satanica.
Sappi che i
demoni (shayatîn)
sono di
due tipi, uno non sensibile (ma’nawî) e uno sensibile (hissî)[5], e che a sua volta il
tipo sensibile è suddiviso
nel tipo umano e nel tipo dei «jinn».
Allah, il Potente e Maestoso, ha detto: « ... i demoni degli uomini e dei jinn: alcuni di loro suggeriscono ad altri l’orpello retorico per trarre in inganno e se il tuo Signore avesse voluto non l’avrebbero fatto. Quindi abbandona loro e ciò che inventano!» (Cor. VI-112) definendoli quindi come la gente che inventa menzogne contro Allâh; e fra questi due si genera (hadatha) nell’uomo un demone non sensibile. Ciò vale a dire che i demoni degli uomini e dei jinn[6], quando uno di loro getta nel cuore dell’uomo qualcosa, non lo allontana con ciò da Allâh; talora vi getta qualcosa di specifico, cioè qualcosa che in se stesso è specificamente satanico, e talora vi getta qualcosa di generale e lo lascia. Ora, se si tratta di qualcosa di generale ciò gli apre in questo modo una via verso delle cose a cui né il demone dei jinn né quello umano avrebbero pensato: in questo caso è la «nafs» che approfondisce la conoscenza di ciò (tatafaqqaha fihi)[7] e che deduce da quegli argomenti speciosi (shubah) delle cose, che quando l’uomo le profferisce Iblîs impara da lui la trasgressione.
Allah, il Potente e Maestoso, ha detto: « ... i demoni degli uomini e dei jinn: alcuni di loro suggeriscono ad altri l’orpello retorico per trarre in inganno e se il tuo Signore avesse voluto non l’avrebbero fatto. Quindi abbandona loro e ciò che inventano!» (Cor. VI-112) definendoli quindi come la gente che inventa menzogne contro Allâh; e fra questi due si genera (hadatha) nell’uomo un demone non sensibile. Ciò vale a dire che i demoni degli uomini e dei jinn[6], quando uno di loro getta nel cuore dell’uomo qualcosa, non lo allontana con ciò da Allâh; talora vi getta qualcosa di specifico, cioè qualcosa che in se stesso è specificamente satanico, e talora vi getta qualcosa di generale e lo lascia. Ora, se si tratta di qualcosa di generale ciò gli apre in questo modo una via verso delle cose a cui né il demone dei jinn né quello umano avrebbero pensato: in questo caso è la «nafs» che approfondisce la conoscenza di ciò (tatafaqqaha fihi)[7] e che deduce da quegli argomenti speciosi (shubah) delle cose, che quando l’uomo le profferisce Iblîs impara da lui la trasgressione.
Questi aspetti che si
schiudono alla sua coscienza riguardo a quella modalità (uslub) generale che
inizialmente gli è stata presentata dal demone degli uomini
o dal demone dei jinn,
vengono chiamati demoni non sensibili, in quanto nessuno dei demoni degli
uomini e dei jinn li conosce e mira ad essi in modo specifico. Di primo intento
essi vogliono soltanto che gli si apra questa porta, sapendo che egli ha la
capacità e l’acume di vagliare accuratamente questa cosa tanto che si producono
in lui delle idee perniciose che non si riescono a respingere.
La ragione di questo
fatto sta nel principio (asl) su cui si basa, in quanto l’uomo lo prende come buono e fa affidamento
su di esso e continua ad approfondirne lo studio (tafaqquh) finché in questo modo
non si scosta da quel principio.
È questo l’iter che segue
la gente dell’innovazione e delle tendenze eretiche (ahwâ’);
i
demoni ispirano loro un principio valido, di cui essi non dubitano, poi
balenano a loro delle idee confuse (talbisât), per mancanza di comprensione, al punto che essi deviano.
Ora, tutto questo, per quanto riguarda il principio, va attribuito al demonio,
ma se sapessero che in queste questioni il demonio è loro allievo
ed impara da loro!
Ciò è quanto
mai evidente nella «Shi’ah», soprattutto negli
Imâmiti: inizialmente i demoni dei jinn insinuarono loro l’amore per la «Gente
della Casa»[8] (ahlu-l-bayti) e la dedizione per essa,
ed essi quindi videro in ciò uno tra i modi più elevati per avvicinarsi ad
Allâh. Cosi sarebbe se essi si fossero fermati a ciò e non vi avessero aggiunto
altro; senonché essi dall’amore per la «Gente della Casa» sono passati a due diverse
vie: c’è chi è passato ad odiare i Compagni e ad ingiuriarli, in quanto non
attribuisce loro la precedenza, essendosi immaginato che la «Gente della Casa»
fosse più degna di questo rango temporale[9], ed è a costoro che
pertiene quanto è già noto e risaputo.
C’è poi un altro gruppo
che all’ingiuria nei confronti dei Compagni ha aggiunto la critica (qadh) nei confronti dell’Inviato di Allâh, su di lui il Saluto e la Pace, di
Gabriele, su di lui la Pace, e di Allâh, sia magnificata la Sua Maestà, perché
essi non hanno designato in modo esplicito il loro rango (i.e. il rango
della «Gente della Casa») e la loro precedenza nei riguardi del califfato per
gli uomini, tanto che alcuni di questo gruppo hanno recitato: «Colui che ha
inviato il “Fedele” (amîn) non è stato fedele!».
Tutto questo accade a
partire da un principio valido, cioè l’amore per la «Gente della Casa», ma
attraverso la loro riflessione sortisce corrotto: essi quindi deviano e fanno
deviare!
Osserva ciò a cui
conduce l’eccesso (ghuluww) nella vita tradizionale: esso li ha fatti uscire
dal limite (hadd) e la cosa è girata all’opposto! L’Altissimo ha
detto: «O Gente del Libro, non oltrepassate il giusto limite nella
vostra tradizione e non seguite le tendenze eretiche di gente che già nel passato
aveva deviato ed aveva fatto deviare molti e si era allontanata dalla giusta
strada!» (Cor. V-77).
Ad un altro
gruppo i demoni hanno gettato (nel loro cuore) un principio valido, di cui essi
non dubitano, e cioè che il Profeta, su di lui il
Saluto e la Pace, ha detto: «Chi stabilisce una buona regola, a lui spettano la
ricompensa per essa e la ricompensa per coloro che vi si attengono!»; poi, dopo aver fatto sì che essi desiderassero agire secondo questo principio, i
demoni li hanno lasciati[10].
Qualcuno di loro, per
bramosia del bene, si è messo allora a pensare con il desiderio
di ottenere le ricompense derivanti dall’agire in quel modo; dopo aver
stabilito una buona regola ha avuto però paura che, attribuendola a se stesso,
nessuno l’avrebbe accettata ed ha quindi inventato, per far sì che venisse accettata,
un «hadîth» dell’Inviato di Allâh, su di lui il Saluto e la Pace, riguardo ad
essa! Egli ha interpretato che tutto ciò rientrasse nel regime (hukm) del suo detto: «Chi stabilisce una buona regola…» ed ha
quindi legittimato la menzogna nei confronti dell’Inviato di Allâh, su di lui
il Saluto e la Pace, ed il fatto di affermare sulla sua autorità ciò che egli
non aveva mai detto e che la sua lingua non aveva proferito: in tutto ciò egli
ha visto un bene, poiché i principi lo sostenevano!
E quando
l’angelo gli ha fatto sovvenire il pensiero (akhtara lahu) del detto del Profeta,
su di lui il Saluto e la Pace: «Chi mente nei miei confronti in modo
deliberato prenda posto nell’Inferno!», come pure il pensiero
del suo detto: «Mentire su di me non è come mentire sugli altri: chi mente nei
miei confronti in modo deliberato prenda posto nell'Inferno!», egli ha interpretato
tutto ciò come qualcosa gettato in lui da Satana riguardo al primo pensiero che
gli era sovvenuto e gli ha quindi risposto: «Ciò si applicherebbe a me se io
incitassi alla deviazione, ma non ho fatto che stabilire una buona regola!». Costui sarà sicuramente
ricompensato per aver stabilito una buona regola, ma sarà coperto da un velo (ma’zûr) per aver mentito nei confronti dell’Inviato di Allâh, su di lui il Saluto
e la Pace, dichiarando che egli aveva sostenuto ciò che in realtà non aveva mai
detto.
Analogamente
se si tratta di qualcuno della gente che pratica ritiri spirituali e l’ascesi (riyâdât), costui sollecita la padronanza ancor prima che Allâh gli abbia aperto una
delle porte della Sua servitu (‘ubudiyyah): egli è dunque legato
alla via della veridicità (sidq), ma non si ferma neppure
all’Inviato di Allâh; su di lui il Saluto e la Pace, come faceva il primo,
bensì ricorre all’invenzione di menzogne nei confronti di Allâh, facendo
risalire quanto egli stabilisce come regola ad Allâh stesso, l’Altissimo. Egli
interpreta che «non c’è agente (fa‘il) se non Allâh!» e che Egli, l’Altissimo,
è Colui che fa parlare i Suoi servitori: da quel momento egli diventa perciò
Ash‘arita[11] e
fatalista (majbûr).
Egli dice:
«Tutto ciò è bene, giacché io non intendo altro che appoggiare quella buona
regola e non vedo modo piu efficace per rafforzarla che farla risalire ad
Allâh, l’Altissimo, essendo essa in realtà una creazione di Allâh, l’Altissimo,
(creazione) che Egli ha fatto fluire sulla mia lingua!».
Tutto questo
egli lo dice solo a se stesso e a nessun altro, e quando egli è con gli altri
fa loro vedere che ciò gli è giunto da
parte di Allâh, per la stessa via per cui arriva agli Intimi di Allâh.
E quando
l’angelo gli fa sovvenire il pensiero del detto di Allâh, l’Altissimo: «…e chi
è più iniquo di colui che inventa menzogne contro Allâh, o dice - mi è stato rivelato -mentre
non gli è stato rivelato nulla, e di colui che dice - farò scendere qualcosa di simile a
ciò che ha fatto scendere Allâh - ?» (Cor. VI-93) egli, congiunto con la sua «nafs», interpreta ciò dicendo:
«Non è a me che è indirizzato questo versetto, bensì alla gente della pretesa (da‘wa), cioè a coloro che attribuiscono l’azione a loro stessi; infatti Egli ha
detto “inventa”, attribuendo quindi l’atto di inventare a colui che asserisce
(che l’azione è sua). Io invece sostengo che tutti gli atti appartengono ad
Allâh, l’Altissimo, e non a me, e che quindi è Lui che parla tramite la mia
lingua. Non vedi che il Profeta, su di lui il Saluto e la Pace, ha detto
riguardo alla “salât”: “Invero Allâh dice tramite la lingua del Suo servitore:
«Allah ascolta colui che Lo loda»”? Così è anche questo caso! Poi l’Altissimo
ha detto: “mi è stato rivelato…”, attribuendo la frase a lui, come l’espressione “a me” (mi); ma chi sono
io da poter dire “a me”, giacché è Allâh che parla e che ascolta? Poi l’Altissimo
ha detto: “…farò scendere qualcosa di simile a ciò che ha fatto scendere
Allâh…”; ma io non sostengo ciò, bensi sostengo che tutto ciò che discende
viene da Allˆåh!». Quindi,
riflettendo nella sua anima su tutto ciò, egli inventa una menzogna nei confronti
di Allâh ed il male di questa sua azione gli viene abbellito, tanto che
egli la vede come un bene.
È Satana
che ha gettato in questi due gruppi questo principio, per loro valido, e lo ha
lasciato presso di loro, ed alcuni hanno continuato a riflettere su di esso per
mezzo dell’anima (nafs).
Ora, se
l’uomo non è consapevole dei suoi pensieri (khawâtir) e non sa distinguerli
tanto da discriminare l’ispirazione (ilqâ’) di Satana, anche se
riguardasse una cosa buona, dall’ispirazione dell’angelo e dell’anima e
discernere tra di esse in modo corretto - e altrimenti (è bene) che non agisca
-, allora non avrà mai successo!
Invero Satana
arriva ad ognuno per mezzo di ciò che prevale in lui: ciò che egli vuole dai pii (sâlihîn) è che essi non sappiano
quando stanno ricevendo qualcosa da lui, e se essi lo ignorano e attribuiscono
ciò che ricevono ad Allâh, non conoscendo per quale via ciò è arrivato a loro,
è come se egli traesse soddisfazione da loro per questo grado d’ignoranza e
sapesse che essi sono in suo potere. E Satana non cessa di sedurli nel loro
agire bene, finché non riesce a far sì che essi prestino fede ai pensieri da
lui suscitati, credendo che essi vengano da Allâh: in questo modo egli li
toglie dalla loro vita tradizionale (dîn), cosi come il serpente
perde la sua pelle. Non hai mai notato che la forma della pelle che si è persa
è come la forma del serpente? Cosi è in questo caso!
Iblîs venne da Gesù, su
di lui la Pace, nelle sembianze, esteriormente sensibili, di un vecchio: per
Satana infatti non c’è accesso all’intimo dei Profeti[12], su di loro la Pace, e
quindi tutti i loro pensieri (khawìatir) sono o di origine dominicale, o angelica o
provenienti dalla «nafs». Non c’è fortuna per Satana nel loro cuore. Quanto agli Intimi nella
scienza di Allâh che sono preservati, essi sono in questa situazione per quanto
riguarda la protezione (‘ismah) da ciò che Satana getta (in loro), ma non per quanto riguarda la
protezione dalla venuta di ciò in loro. Quindi l’Intimo che è sotto la Divina
Provvidenza (al-mu‘tanan bihi) è preservato in base ad un segno (‘alâmah) da parte di Allâh
riguardo a ciò che gli viene ispirato da Satana: la ragione di questa
particolarità è che egli non è legiferante, mentre i Profeti lo sono ed è per
questo che il loro intimo è reso inaccessibile (a Satana).
Disse dunque Iblîs a
Gesù, su di lui la Pace: «O Gesù, di “non c’è Dio se non Allâh”», ed avrebbe
tratto soddisfazione da lui se egli avesse obbedito anche solo in questa misura
al suo comando. Ma Gesù, su di lui la Pace, rispose: «Lo dico, ma non perché tu
hai detto “non c’è Dio se non Allah!”» e Satana tornò indietro scacciato.
Da ciò capisci la
differenza tra sapere una cosa ed aver fede in essa e capisci che la felicità
sta nella fede; cioè se tu dici ciò che sai perché lo ha detto il tuo secondo
Inviato che è Muhammad, su di lui il Saluto e la Pace, e non perché lo ha detto
il tuo primo Inviato che è Mosè, su di lui la Pace, o per la tua scienza,
allora ti sarà riconosciuta la fede e ti sarà accordata la felicità.
E se dici ciò non perché
lui lo ha detto, facendo però apparire che lo dici per questa ragione, allora
sei un ipocrita.
Allâh,
l’Altissimo ha detto: «O voi che credete…» (Cor. IV-I36) in riferimento alla
Gente del Libro in quanto dicono ciò che dicono per l’ordine dato dal loro
Profeta Gesù o Mosè, oppure a chicchessia della Gente della fede in uno dei
Libri precedenti; per questo ha detto loro: «O voi che credete…» ed ha poi
aggiunto: «…abbiate fede in Allah!»,
cioè dite «non c’è Dio se non Allâh», perché lo ha detto Muhammad, su di lui il
Saluto e la
Pace, e non
perché lo sapevate o per la vostra fede nel vostro primo Profeta: cosi riunirete le
due fedi ed avrete due ricompense!
Satana trae
soddisfazione dall'uomo quando lo inganna in tal misura che egli non sa più discernere
ciò che viene da parte di Allâh, in quanto effettivamente viene da parte di
Allâh, né sa distinguere tra la via dell’angelo, quella dell’anima e quella del
demonio[13]. Ma Allâh ti ha fatto
avere un’indicazione con cui riconoscere le diverse categorie dei tuoi
pensieri. Come fai a riconoscere i pensieri di origine satanica, quand’anche
fossero di incitamento all’obbedienza? Per la mancanza di stabilità nella
singola cosa e per la rapidità con cui si cambia dal pensiero di una certa cosa
al pensiero di un’altra: invero Satana è avido (harîs) ed è stato creato dalla fiamma del fuoco e la fiamma è dotata di rapidi
movimenti. Quindi il principio di Iblîs è l’assenza di permanenza in una certa
condizione sin dall’origine della sua creazione, ed egli è conforme al suo
principio; l’uomo invece è dotato di stabilità in quanto deriva dalla terra,
che è umida e fredda, e quindi è stabile nella sua occupazione: analogamente i
pensieri provenienti dalla «nafs» hanno una stabilità che
né l’angelo, né il demonio riescono a scuotere.
Ciò che è
strettamente connesso con il principio dei pensieri di origine satanica è ciò
che è proibito (mahzhûr), sia in atto che in omissione, seguito poi da ciò
che è biasimevole (makrûh), in atto o in omissione: il primo caso riguarda la
maggioranza degli uomini, il secondo concerne soltanto gli adoratori (‘ubbâd). Talora, nei confronti dei principianti tra la Gente della Via di Allah, la
connessione (dei pensieri di origine satanica) è con ciò che è lecito (mubah), e nei confronti di coloro che sono ai gradi intermedi tra la Gente di
Allah, cioè i compagni dell’audizione (samâ‘), con ciò che è
raccomandato (mandûb). Invero Satana accosta ognuno in base a ciò che
prevale in lui, poiché è sapiente sui luoghi ove cadono l’inganno e la seduzione!
Ai conoscitori (‘arifûn) Satana si presenta con le cose che son obbligatorie (wâgibât) e non smette con loro fin quando essi non manifestano l’intenzione, con
Allâh, di compiere uno degli atti di obbedienza (ta’ât): questo in realtà è un
impegno (‘ahd) che il conoscitore prende con Allâh e quando
Satana si è assicurato di ciò da parte sua, in quanto il conoscitore è
fermamente deciso e non resta che compiere l’atto, allora Satana suscita in lui
l’idea di un altro atto di adorazione, tradizionalmente preferibile al primo.
A questo punto il conoscitore
vede che sta perdendo il suo tempo col primo atto e quindi lo lascia e comincia il secondo:
e Iblîs si rallegra perché è riuscito a fargli rompere il patto con Allâh dopo
che lo aveva contratto. Il conoscitore non sa nulla di tutto ciò, perché se
sapesse dapprincipio che ciò viene da parte di Satana saprebbe anche come
riceverlo e come resistergli, così come fece Gesù, su di lui la Pace, e come
fanno tutti coloro che ne hanno piena conoscenza (mutamakkin) tra la Gente di Allâh, cioè tra gli eredi dei Profeti, poiché vedrebbe che,
per quanto buoni, essi sono pensieri suscitati da Satana.
Analogamente
Satana va dall’ipocrita della gente del Libro e gli dice: «Non sai che il tuo
Profeta aveva già annunciato quest’uomo? Quindi già sapevi chi era lui, e la
profezia li riunisce entrambi; perciò digli che lui è l’Inviato di Allâh
perché l’ha detto il tuo Profeta, non perché l’ha detto lui, non essendoci
differenza tra loro due!».
Allora l’ipocrita dice:
«Invero tu sei l’Inviato di Allâh!», ma Allâh l’Altissimo li ha smentiti
dicendo: «Quando vengono da te gli ipocriti essi dicono: noi testimoniamo che
tu sei l’Inviato di Allâh…» (Cor. LXIII-1), secondo ciò che ha stabilito con
loro Satana, ed ha aggiunto: «ed Allâh sa che tu sei il Suo Inviato ed Allâh
testimonia che gli ipocriti dicono il falso» (Cor. ibidem), in quanto essi sostengono ciò perché tu l’hai detto, o Satana, non per ciò
che sostengono, perché se il Corano avesse voluto dire questo allora avrebbe con
ciò negato la Missione di Muhammad, su di lui il Saluto e la Pace.
Ti ho ormai istruito
sulle vie di accesso di Satana alle anime del mondo, affinché tu possa
guardartene: chiedi ad Allâh che ti fornisca dei segni con cui riconoscerlo
(i.e. Satana)! Invero Allâh, in modo generale, ti ha già fornito la bilancia (mîzân) della legge tradizionale ed ha distinto per te tra ciò che, per Suo
decreto, è obbligatorio, ciò che è raccomandato, ciò che è
lecito, ciò che è biasimevole e ciò che è proibito, esprimendosi in modo
esplicito a questo riguardo sia nel Suo Libro che tramite la parola del Suo
Inviato.
Se ti
sopravviene un pensiero concernente qualcosa di biasimevole o di proibito,
sappi che esso proviene certamente da Satana[14]; se ti sopravviene un
pensiero concernente qualcosa di lecito, sappi invece che proviene senza dubbio
dalla «nafs ». Quanto al pensiero suscitato da Satana
riguardo a ciò che è biasimevole
e ciò che è proibito, fuggilo, sia che si tratti di un’azione che di una
omissione! Riguardo a ciò che è lecito tu hai invece possibilità di scelta: se
prevale in te la ricerca dei frutti (arbâh), allora evita ciò che è
lecito ed occupati di ciò che è obbligatorio o raccomandato, a meno che tu non
abbia la facoltà di disporre (tasarruf) riguardo a ciò che è
lecito, facoltà che si fonda sulla coscienza (hudûr) che ciò è lecito e che,
se non fosse che il Legislatore non ti aveva dichiarato che ciò
è lecito, tu non avresti facoltà di disporre al suo riguardo[15]. In questo caso sarai
ricompensato per l’azione da te giudicata lecita non perché essa è cosa lecita,
bensì per la tua fede che essa è legge (shar‘) presso Allâh; invero il
giudizio legiferante (hukm) non si è trasmesso (yantaqilu) dopo la morte dell’Inviato di Allâh, su di lui il Saluto e la Pace, e questo
giudizio si identifica con la legge (shar‘), ma questa porta ormai è chiusa. Quindi ciò che è lecito è lecito e non sarà mai né
obbligatorio, né proibito: e così per ogni giudizio.
Se ti sopravviene un
pensiero concernente qualcosa di obbligatorio fa senza dubbio (ciò che ti
suggerisce) poiché viene dall’angelo. Se infine ti sopravviene un pensiero
concernente qualcosa di raccomandato ricordati dell’inizio del pensiero, poiché
talvolta esso viene da parte di Iblîs, e sii saldo in esso: se poi ti sopravviene
il pensiero di lasciarlo per un’altra cosa raccomandata, più
elevata e più degna della prima, non allontanarti dalla prima e sii saldo in
essa. Ricordati della seconda ed esegui sicuramente la prima, e quando l’hai
completata incomincia la seconda e compi anche essa: in questo modo Satana se
ne torna scacciato (khâsi’an) poiché non è riuscito
nel suo proposito.
Con questa cura la
malattia di Satana se ne va dalla tua anima; e tu sarai nella condizione di
‘Umar (‘umariyya-l-maqâmi)[16], per cui Satana non può
trovarti in una strada senza prendere una strada diversa dalla tua, se lo
tratterai in questo modo. Ricordati dunque di ciò su cui ho richiamato la tua
attenzione! Invero Allâh fa l’elogio di coloro che «…sono solleciti nelle buone
azioni ed in esse giungono primi» (Cor. XXIII-61). E basti questa misura «Ed Allâh dice il vero
ed Egli conduce per la strada giusta» (Cor. XXXIII-4).
(Traduzione dall’arabo di Placido Fontanesi - Rivista di studi Tradizionali n° 58-59
[1] In
merito ai versi posti all’inizio di ogni capitolo delle «al-futâhâtu-l-makkiyyah», lo
stesso Ibn ‘Arabî fornisce le seguenti precisazioni: «Sappi che questa poesia (qasîdah),
come tutte le altre poesie che si trovano all’inizio di tutti i capitoli di
questo libro, non ha per scopo la ricapitolazione di ciò che si
trova scritto in modo dettagliato nella parte in prosa del capitolo, né si
tratta di un discorso sul suo contenuto. Al contrario la poesia è in se stessa
parte integrante dell’esposizione di questo capitolo e non vi è ripetizione nel
discorso che segue la parte in poesia: considera dunque, nella esposizione del
capitolo, la poesia come parte integrante del discorso che vi si riferisce,
allo stesso titolo della prosa. Nella poesia peraltro vi sono delle questioni
inerenti a questo capitolo che non si trovano nella parte trattata in prosa…» (Al-futâhâtu-l-makkiyyah,
cap. 293).
[2] Il
termine arabo «khawâtir», al
singolare «khâtir », costituisce
uno di quei termini «tecnici» di cui è difficile trovare un
equivalente nelle lingue occidentali: se useremo spesso l’espressione «pensieri
che si presentano», che più comunemente viene impiegata per tradurre questo
termine, riteniamo tuttavia che l’espressione «propositi che si presentano» sia
più adeguata. La parola «proposito» infatti, derivando dal verbo proporre,
implica un senso di «formulazione
discorsiva» (dell’intenzione) e di «discorso»
che, presente nella lingua italiana in espressioni come «a questo proposito», è
ancor più evidente nel suo equivalente francese «propos»; ora, Ibn ‘Arabî
insiste in modo particolare sul carattere «discorsivo» e non «figurato»
o «formale» dei «khawâtir»: «…i khawâtir
sono ciò che perviene del discorso (khitâb) al cuore
ed alla coscienza senza avere permanenza, ed essi fanno parte di ciò che arriva
(wâridât) senza uno sforzo da parte tua; se essi sono dotati di
permanenza allora non sono khawâtir, ma si tratta di fantasticheria (hadîth nafsin) ... I khawâtir sono
sempre di natura discorsiva… ed essi non hanno permanenza come non ha
permanenza nell’esistenza la forma della lettera dopo che la lingua l’ha
profferita, in quanto essa non dura che per il tempo in
cui viene pronunciata, poi scompare e nell’intelligenza di chi ascolta resta
soltanto una immagine della sua forma». (Ibidem, cap. 264).
[3] Nel
linguaggio di Ibn ‘Arabî, come in quello della maggior parte dei Sûfî, la «nafs» non è tanto
l’anima, intesa come l’insieme delle modalità sottili dell’essere umano, quanto
«ciò che vi è di difettoso (ma’lûl) nelle
qualità del servo (‘abd)» (Ibidem,
cap. 267). A questo riguardo si può anche consultare la
traduzione del trattato dello Sheikh Tâdilî, La vie traditionnelle
c’est la sincérité, pubblicata nel n. 28 di
questa Rivista, a p. 146, nota 15.
[4] In un
altro punto della sua opera, precisamente nel cap. 264 delle Al-futâhâtu-l-makkiyyah
dedicato appunto alla conoscenza dei «propositi che si presentano», Ibn ‘Arabî
precisa che i «khawâtir» sono essenzialmente degli
ambasciatori (sufarâ’) che Allâh invia al cuore del Suo servo e che non hanno
permanenza nel cuore del servo
se non per la durata del loro passaggio in lui.
Allâh li
ha creati nella forma del messaggio per cui sono stati inviati e quindi ogni «khâtir»
è lui stesso il Suo messaggio: se questo messaggio arriva al cuore del
servo senza incontrare ostacoli nel suo percorso allora si tratta di un «khâtir»
di origine dominicale, il cui contenuto è sempre inerente alla
scienza (‘ilm) e non
all’agire; se invece viene «intercettato» dall’angelo «custode» del cuore, o
dal demone che gli si contrappone o infine dalla «nafs» allora
colui che lo intercetta, in virtu della facoltà di rappresentazione di cui è
dotato, foggia una forma simile al «khâtir» originale
ed è infine questo «khâtir» di secondo grado che viene
presentato al cuore del servo. È cosi che hanno origine gli altri tre tipi di «khawâtir», i quali
a differenza di quelli di origine dominicale hanno sempre un contenuto inerente
all’agire e non alla scienza.
[5] Il
termine «hiss»,
«senso», non si limita ai cinque sensi corporei ma può essere esteso anche al
modo di percezione di realtà di ordine non corporeo, come ad esempio
nell’espressione «al hissu
bi-t-azali» comunemente tradotta come «senso dell’eternità». Nel caso in questione si
tratta della percezione di esseri sottili appartenenti al nostro mondo, quali
sono appunto i «jinn».
[6] Secondo
l’insegnamento della tradizione islamica i demoni non sono esseri distinti
perché definiti da condizioni d’esistenza differenti da quelle che definiscono
gli altri esseri, né perché dotati di caratteristiche specifiche come quelle
che ad esempio definiscono la «specie», bensì per il particolare «orientamento»
da loro assunto. Quindi l’espressione coranica «…demoni degli uomini e dei
jinn» non sarebbe da intendere come «…demoni che affliggono gli uomini ed i
jinn» bensì nel senso che tra gli uomini ed i jinn vi sono dei demoni, come
d’altra parte risulterebbe dall’ultimo versetto del Corano (CXIV, 6) ove
l’espressione «appartenente ai jinn ed agli uomini» (min al-jinnati
wa-n-nâsi) è stata da qualche autorevole commentatore interpretata come
riferentesi al «bisbigliatore» diabolico (al-waswâs). A questo riguardo
si può anche citare ‘Abdu-l-Karîm al-Jî1î che nel capitolo 59 dell’opera
intitolata «Al-insanu-l-kâmil» afferma: «Sappi che i demoni sono i figli
di Iblîs, che sia maledetto; …furono generati i demoni come le scintille sono
generate dal fuoco e le piante dalla terra, ed essi sono la sua progenie (dhurriyyah:
Cor. XVIII-50) ed i suoi seguaci… Tra di loro c’è quello in cui prevale la
natura ignea e che quindi è annesso agli spiriti elementari (i.e. i “jinn”) e
quello in cui prevale la natura vegetale ed animale e che quindi appare nella
forma dei figli di Adamo ed è un demone puro (mahd). Questo è il senso
del Suo detto: “…i demoni degli uomini e dei jinn” (Cor. VI-112); quelli che
appaiono nella forma dei figli di Adamo sono i suoi (di Iblîs) cavalieri (khayl),
in quanto essi sono piu potenti dei demoni annessi agli spiriti elementari:
i primi sono per Iblîs le radici delle tentazioni (fitan) in questo
mondo, gli altri sono i suoi rami, cioè i suoi fanti. In questo senso Allah ha
detto: “…ed aggrediscili coi tuoi cavalieri e con i tuoi fanti!” (Cor.
XVII-64)». Gli spiriti elementari di cui è questione in questo passo di
‘Abdu-l-Karîm al-Jî1î non hanno naturalmente nulla a che fare con gli «spiriti»
degli spiritisti, né con realtà dell’ordine spirituale, trattandosi di esseri
del dominio sottile; a questo riguardo si può consultare RENÉ GUÉNON, L'erreur
spirite, p. 98.
[7] Il verbo
«tafaqqaha» esprime in arabo il caratteristico modo di pensare dei
«dottori della legge» (fuqahd) e va quindi distinto dal verbo «tafakkara»,
che pur essendo suo sinonimo per quanto concerne il significato di «sforzarsi
di approfondire la conoscenza» implica però l’uso della meditazione come
strumento di questo approfondimento.
[8] L’espressione
«Gente della Casa», che è coranica (Cor. XXXIII-33), serve a designare
Muhammad, suo cugino ‘Alî, sua figlia Fâtima, moglie di ‘Alî ed i loro due
figli Hasan e Husayn.
[9] Il rango in questione è
quello del califfato che, dopo la morte del Profeta, venne affidato
successivamente a tre dei suoi Compagni, cioè Abû Bakr, ‘Umar e ‘Uthman.
[10] Questo «ritrarsi» dei demoni
dopo aver gettato nei cuori le loro suggestioni è il
significato del
termine arabo «al-khannâs» (Cor. CXIV-4) «colui che si ritira, che si
sottrae».
[11] Secondo le tesi del teologo
al-Ash‘arî (873-935 d. C.) l’uomo
non ha la facoltà (qudrah) di creare le proprie azioni,
può solo acquisirle (kasb): l’atto creatore spetta ad
Allâh, mentre all’uomo spetta solo l’atto di acquisizione. A questo riguardo si
può consultare il libro di HENRI
CORBlN, Histoire
de la philosophie islamique, pp. 162-169.
[12] Nell’opera
intitolata Al-Ghunyah Abdu-l-Qadîr al-Jîlâni cita i
seguenti «ahâdîth»: «…in un celebre hadîth il Profeta, su di lui il Saluto e la
Pace, ha detto: “Non c’è nessuno di voi che non abbia un demone!” al che gli fu
chiesto: “Anche tu, o Inviato di Allâh?”, “Anch’io - rispose il Profeta - se
non che Allâh, sia benedetto l’Altissimo, mi è venuto in soccorso contro di lui
ed egli è diventato musulmano”. Secondo un altro hadîth il Profeta, su di lui il Saluto e la Pace, ha detto: “Non c’è nessuno di voi
che non abbia come compagno (qarîn) un jinn a cui è
stato dato in carico!” al che gli fu chiesto: “Anche tu, o Inviato di Allâh?”,
“Anch’io - rispose il Profeta - se non che Allâh mi è venuto in soccorso contro
di lui ed egli è diventato musulmano e non mi incita che a fare il bene”». Questi
ahâdîth stanno appunto a significare che il Profeta
è preservato dai «propositi» di origine satanica.
[13] «Allâh
ha posto fra Sé ed il cuore cinque vie, sulle quali questi khawâtir
procedono verso il cuore; queste vie Allâh le ha istituite allorquando ha
istituito le leggi, e se non vi fossero le leggi non sarebbero state istituite
neppure queste vie. Allâh le ha fatte simili all’alone che circonda la luna ed
ha chiamato “obbligo” (wujûb) e “precetto” (fard) la prima
via, “raccomandazione” (nadb) la seconda via, “proibizione” (hazhr) la terza
via, “rimprovero” (karâhah) la quarta via e “licenza” (ibâhah)
la quinta. Creò poi l’angelo responsabile del cuore… e gli assegnò la via
dell’obbligo e quella della raccomandazione; pose poi in contrapposizione a
questo angelo un demone… sulla via del divieto e del rimprovero; poi Allâh mise
sulla via della licenza un demone a cui non contrappose alcun
angelo, ma fece sì che tutte le facoltà dell’anima e la sua
disposizione naturale si occupassero di quella via ed ordinò a queste di
salvaguardare la loro essenza dal demone di quella via» (Al-Futûthâtu-l-Makkiyyah,
cap. 264).
[14] Ciò è conforme a quanto
afferma il versetto (Cor. II-I69): «…egli
(Satana) vi incita al male ed alla turpitudine ed a sostenere contro Allah ciò
che non sapete», a cui fa da corollario il versetto (Cor. VII-28):
«…invero Allâh non incita alla turpitudine…».
[15] Il
dominio del «lecito», intermedio tra quelli di ciò che è obbligatorio e di ciò
che è raccomandato da un lato e quelli di ciò che è biasimevole e di ciò che è
vietato dall’altro, è il dominio proprio della «nafs», in cui essa può esercitare il suo potere di libera scelta. In questo contesto Ibn
‘Arabî fa riferimento allo sforzo di giurisprudenza (ijtihâd) messo in opera per formulare un
giudizio di «liceità» in merito ad una azione o ad una situazione
precedentemente non classificata in alcuna categoria giuridica e precisa che
dopo la morte dell’Inviato il giudizio così formulato
non può piu avere alcun carattere legiferante.
[16] Ibn ‘Arabî fa qui riferimento
ad un hadîth riportato da Sa’d ibn Abû Waqqâs: «’Umar chiese il permesso di
entrare dall’Inviato di Allâh, su di lui il Saluto e la Pace, mentre erano
presso di lui delle donne dei Quraish che, ad alta voce, gli parlavano
formulandogli le loro richieste. Quando ‘Umar chiese il
permesso di
entrare esse si alzarono e corsero a nascondersi: allora l’Inviato di Allâh, su
di lui il Saluto e la Pace, ridendo gli diede il permesso di entrare. “Che
Allâh faccia schiudere il sorriso sui tuoi denti, o Inviato di Allâh!” disse
‘Umar, ed il Profeta gli rispose: “Mi sono stupito di vedere quelle donne che erano
con me correre a nascondersi al suono della tua voce!” “Tuttavia tu, o Inviato
di Allâh - disse ‘Umar - hai maggior diritto ad incutere loro soggezione!”, poi
aggiunse (rivolto alle donne): “O voi nemiche delle vostre anime, avete
soggezione di me e non avete soggezione dell’Inviato di Allah?!” “Certo -
risposero, - tu sei piu rude e piu rozzo dell’Inviato di Allâh!”; al che
l’Inviato di Allâh disse: “Per Colui che mi tiene nella Sua mano, Satana non ti
ha mai incontrato in una strada senza prendere tosto una strada diversa dalla
tua!”». (Sahîh al-Bukhârî, voI. IV,
cap. 59, paragrafo II, hadîth
n. 26).