"…la dottrina è infallibile, è a causa del fatto che essa è un’espressione della verità, la quale, in se stessa, è assolutamente indipendente dagli individui che la ricevono e che la comprendono. La garanzia della dottrina risiede in definitiva nel suo carattere «non-umano»". René Guénon, Considerazioni sull’iniziazione, cap. "Sull’infallibilità tradizionale"

giovedì 9 ottobre 2014

René Guénon, Iniziazione e realizzazione spirituale - XXIX - La congiunzione degli estremi

René Guénon
Iniziazione e realizzazione spirituale

XXIX - La congiunzione degli estremi

Quanto abbiamo esposto precedentemente sui rapporti dell’élite iniziatica con il popolo, ci sembra richiedere ancora alcune precisazioni complementari al fine di evitare ogni equivoco; e a questo proposito bisogna prima di tutto non fraintendere il senso che abbiamo dato alla parola «volgarità».
In effetti, se la parola «volgare», presa come abbiamo fatto nella sua accezione originale, è in definitiva sinonimo di «popolare», esiste anche un altro tipo di volgarità che realmente corrisponde al senso peggiorativo spesso attribuitogli dal linguaggio ordinario, e che in realtà è piuttosto una caratteristica della «classe media».
Nella fattispecie, per dare un esempio che farà immediatamente capire di che cosa si tratta, è lo stesso genere di differenza che A. K. Coomaraswamy ha molto ben rilevato fra l’arte «popolare» e l’arte «borghese»[1], o anche, se si vuole, quella che esiste, negli oggetti destinati all’uso corrente, fra le produzioni artigianali d’altri tempi e quelle dell’industria moderna[2].
Questa osservazione ci riconduce ai Malâmatyah, così designati dal termine malâmah che significa «disprezzo»[3]; cosa bisogna dunque intendere con questa parola? Non è che le loro azioni siano effettivamente disprezzabili in se stesse e dal punto di vista tradizionale, il che sarebbe tanto più inconcepibile in quanto, ben lungi dal disprezzare le prescrizioni della legge sharaita[4], essi si applicano in modo particolare a diffonderle intorno a loro, sia con l’esempio, sia con la parola. Soltanto che il loro modo d’agire, non distinguendosi in niente da quello del popolo[5], sembra disprezzabile agli occhi di una certa «opinione», che è appunto soprattutto quella della «classe media», o della gente che si considera «colta» secondo l’espressione tanto di moda oggi; la concezione della «cultura» profana, su cui già ci siamo diffusi in altre occasioni[6], è in effetti assai caratteristica della mentalità di quella «classe media» cui essa dà, col suo «lustro» tutto superficiale ed illusorio, il mezzo per dissimulare la sua vera nullità intellettuale. Questa stessa gente è anche quella che si compiace di invocare la «consuetudine» in tutte le occasioni; e va da sé che i Malâmatyah, o quelli che in altre tradizioni si comportano come loro, non possono assolutamente esser disposti a tener conto di queste «consuetudini» prive d’ogni significato e di qualsiasi valore spirituale, né per conseguenza a preoccuparsi di una «opinione» che apprezza soltanto delle apparenze dietro le quali non c’è niente[7]. Non è certo qui che lo «spirito», o l’élite che lo rappresenta, può trovare un punto d’appoggio, in quanto tutte queste cose non riflettono assolutamente niente di spirituale e sono anzi piuttosto la negazione di qualsiasi spiritualità; mentre invece dove c’è il suo riflesso, anche se invertito come lo è necessariamente ogni riflesso, là esso trova di conseguenza il suo «supporto» normale, che si tratti del corpo nell’ordine individuale, o del popolo nell’ordine sociale.
Come abbiamo già detto, è proprio perché il punto più alto si riflette nel punto più basso che si può dire che gli estremi si toccano, ed a questo proposito abbiamo ricordato un possibile paragone con gli eventi della fine di un ciclo; ma questa questione richiede ulteriori spiegazioni. In effetti bisogna tener presente che il «raddrizzamento», mediante il quale si opera il ritorno del punto più basso a quello più alto, è propriamente «istantaneo», cioè in realtà intemporale, o meglio, per non limitarci a considerare le condizioni speciali del nostro mondo, al di fuori di qualsiasi durata, cosa che implica un passaggio attraverso il non-manifestato: si tratta di quell’intervallo (sandhyâ), che secondo la tradizione indù esiste sempre fra due cicli o due stati di manifestazione. Se così non fosse, l’inizio e la fine non potrebbero coincidere nel Principio se si ha in vista la totalità della manifestazione, né corrispondersi se si prendono in esame solo cicli particolari; d’altronde, a causa dell’«istantaneità» di questo passaggio, non si verifica in realtà alcuna soluzione di continuità, ed è questo che consente di parlare veramente di congiunzione degli estremi, benché il punto di congiunzione necessariamente sfugga a qualsiasi mezzo di investigazione più o meno esteriore, essendo situato fuori della serie di modificazioni successive che costituiscono la manifestazione[8].
È per ciò che si dice che ogni cambiamento di stato può compiersi unicamente nell’oscurità[9], essendo il colore nero, nel suo significato superiore, il simbolo del non manifestato; questo stesso colore però, nel suo significato inferiore, sta anche a simboleggiare l’indistinzione della potenzialità pura o della materia prima[10]; e questi due aspetti, benché non debbano assolutamente venir confusi, si corrispondono tuttavia anche qui analogicamente, ed in certo modo si associano, a seconda del punto di vista da cui si considerano le cose. Ogni «trasformazione» appare come una «distruzione», se la si considera dal punto di vista della manifestazione; e ciò che in realtà è un ritorno allo stato principiale, se visto esteriormente e dal lato «sostanziale», appare non esser altro che un «ritorno al caos», così come l’origine, benché immediatamente derivante dal Principio, prende sotto lo stesso rapporto l’apparenza di una «uscita dal caos»[11]. D’altronde, dal momento che qualsiasi riflesso è necessariamente un’immagine di ciò che viene riflettuto, si può ritenere che l’aspetto inferiore, nel suo ordine relativo, e a condizione beninteso di non dimenticare d’applicare anche qui il «senso inverso», rappresenti l’aspetto superiore, la qual cosa, vera nei rapporti dello spirito con il corpo, è altrettanto vera in quelli dell’élite con il popolo.
L’esistenza del popolo, o di coloro che in apparenza si confondono con esso, è, secondo lo stesso linguaggio corrente, un’esistenza «oscura»; e per quanto riguarda il popolo, questa espressione, anche se quelli che la impiegano non ne hanno minimamente coscienza, non fa che tradurre la funzione «sostanziale» ad esso inerente nell’ordine sociale: da questo punto di vista si tratta, non diremo dell’indistinzione totale della materia prima, ma almeno dell’indistinzione relativa di ciò che ad un certo livello svolge la funzione di materia. Ben diversamente vanno le cose per l’iniziato che vive fra il popolo senza distinguersene esteriormente: analogamente a quegli che dissimula la propria saggezza sotto le apparenze non meno «tenebrose» della follia, e a parte diversi altri vantaggi, egli può vedere, nella stessa oscurità della sua esistenza, come un’immagine delle «tenebre superiori»[12]. Da tutto ciò si può ricavare un’altra conseguenza: se gli iniziati che occupano i ranghi più elevati nella gerarchia spirituale non prendono parte visibile agli avvenimenti che si svolgono in questo mondo, è innanzitutto perché una tale azione «periferica» sarebbe inconciliabile con la posizione «centrale» che è loro propria; se si tengono in disparte da ogni distinzione «mondana», è evidentemente perché ne conoscono l’inanità; ma si può dire in più che, se essi acconsentissero ad uscire dall’oscurità, la loro esteriorità, proprio per questo fatto, non corrisponderebbe più veramente alla loro interiorità, di modo che ne risulterebbe, se ciò fosse possibile, una specie di disarmonia nel loro stesso essere; ma poiché il grado spirituale da essi raggiunto esclude necessariamente una supposizione del genere, esclude anche di conseguenza ch’essi vi acconsentano effettivamente[13]. Va da sé d’altronde che quanto sopra non ha niente in comune con l’«umiltà», e che gli esseri di cui stiamo parlando sono ben al di là di quel dominio sentimentale cui essa essenzialmente appartiene; e questo è un ulteriore esempio di cose esteriormente simili che possono procedere da ragioni in realtà totalmente diverse[14].
Vogliamo ancora aggiungere, per ritornare al nostro argomento, che il «nero più nero del nero» (nigrum nigro nigrius), secondo il modo d’esprimersi degli ermetisti, è certamente, se preso nel senso più immediato e in certo qual modo più letterale, l’oscurità del caos o le «tenebre inferiori»; ma appunto per questo, secondo le nostre spiegazioni precedenti, è anche un simbolo naturale delle «tenebre superiori»[15]. Allo stesso modo che il «non-agire» rappresenta veramente la pienezza dell’attività, o che il «silenzio» contiene in sé tutti i suoni nella loro modalità parâ o non-manifestata, queste «tenebre superiori» sono in realtà la Luce che supera ogni luce, cioè, al di là di ogni manifestazione e di ogni contingenza, l’aspetto principiale della luce in se stessa; ed è là, e soltanto là, che si opera in definitiva la vera congiunzione degli estremi.


[1] Si veda in particolare De la «mentalité primitive» nel numero agosto-settembre-ottobre 1939 degli Etudes Traditionelles [pubblicato nel n. 13 della Rivista di Studi TradizionaliN.d.T]. D’altra parte ricordiamo anche l’impiego fatto da Dante della parola «volgare» nel suo trattato De vulgari eloquentia, e in particolare la sua espressione di vulgare illustre (si vedano Nouveaux aperçus sur le langage secret de Dante nel numero di luglio 1932 del Voile d’Isis). 
[2] In effetti, l’industria moderna è appunto opera della «classe media», che l’ha creata e la dirige, ed è questa la ragione per cui i suoi prodotti possono soddisfare soltanto quei bisogni dai quali è esclusa ogni spiritualità, conformemente alla concezione della «vita ordinaria»; ciò ci pare talmente evidente che è inutile insistervi oltre. 
[3] Vengono anche chiamati ahlul-malâmah, letteralmente «le genti del disprezzo», cioè coloro che si espongono ad essere disprezzati. 
[4] [È la legge coranica, cioè la legge comune a tutti i musulmani, la legge exoterica (Sharya vuol dire Grande Via), a differenza della Tariqa, la via degli iniziati, la quale è riservata soltanto ad un certo numero di persone; quest’ultima si sovrappone alla precedente ma è ben lungi dal dispensarne – N.d.T.] 
[5] La stessa legge exoterica può esser detta «volgare», se si intende questo termine nel senso di «comune», in quanto si applica indistintamente a tutti; ai giorni nostri d’altronde, e un po’ dovunque, non c’è forse una quantità di gente che crede di dar prova di «distinzione» astenendosi dall’effettuare i riti tradizionali? 
[6] Vedere Aperçus sur l’Initiation, cap. XXXIII. 
[7] Vedere La consuetudine contro la tradizione, cap. IV. 
[8] Ci proponiamo di tornare su questo punto a proposito del simbolismo della «catena dei mondi». 
[9] Vedere Aperçus sur l’Initiation, cap. XXVI. 
[10] Vedere più avanti Le due notti. 
[11] Nel simbolismo alchemico, ogni «trasmutazione» presuppone il passaggio attraverso uno stato di indifferenziazione; questo viene rappresentato dal colore nero, e può ugualmente esser considerato sotto questi due aspetti. 
[12] Ciò può essere accostato a quanto abbiamo detto altrove a proposito del senso superiore dell’anonimato (Le Règne de la Quantité et les Signes des temps cap. IX); quest’ultimo è parimenti «oscurità» per l’individuo, ma contemporaneamente significa affrancamento dalla condizione individuale di cui anzi è una conseguenza necessaria, in quanto il nome e la forma (nama-rûpa) sono strettamente solidali nella costituzione dell’individualità come tale. 
[13] A questo proposito si potrebbe anche rammentare quanto da noi esposto altrove sul «rifiuto dei poteri» (Aperçus sur l’Initiation, cap. XXII); in effetti questi poteri, benché d’un ordine diverso, sono altrettanto contrari all’«oscurità» quanto ciò di cui abbiamo appena parlato. 
[14] Non intendiamo contestare che l’umiltà possa esser considerata una virtù dal punto di vista exoterico e in particolare religioso (che è poi quello dei mistici); ma, dal punto di vista iniziatico, né l’umiltà, né l’orgoglio che ne è un correlativo, possano più aver senso per chi ha superato il dominio delle opposizioni. 
[15] Espressioni come «teste nere» e «volti neri», che si incontrano in diverse tradizioni, presentano anche un doppio senso sotto certi aspetti paragonabile al suddetto; forse un giorno o l’altro avremo occasione di tornare su questa questione.

1 commento:

  1. Ciò che è coincidenza degli opposti è, per ciò stesso, al di là dell'ambito di manifestazione in cui questi opposti esistono come tali. Ciò che è coincidenza di tutti gli opposti, è in sé al di là della manifestazione. Tale invariabile mezzo non può essere identificato con nessuno degli esseri soggetti alle condizioni del mondo manifestato. Ciò che assume un carattere di medietà, può, pertanto, nel suo aspetto positivo, esserne al più un simbolo. Nel suo aspetto negativo, ne risulta una contraffazione. E' sotto questo aspetto negativo che la c.d. classe media, nella sua deviazione scaturente dal crollo delle società tradizionali, diviene una sorta di struttura vuota, attraverso la quale, le forze che agiscono sull'uomo moderno, vengono dirette ed indirizzate. Se l'elite corrisponde allo spirito e il popolo corrisponde al corpo, la classe media corrisponde al mondo sottile, o più esattamente, a quella parte di questo mondo che non riceve direttamente la luce dello spirito. Infatti ciò che nel mondo sottile riflette più direttamente l'influenza spirituale e in cui questa influenza, per così dire, risiede, corrisponde piuttosto alla casta guerriera. E' nella parte inferiore del mondo sottile che albergano le possibilità dissolventi del mondo, rispetto alle quali, l'essere che riunisce realmente in sé gli opposti, cela in sé un segreto inviolabile.

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