"…la dottrina è infallibile, è a causa del fatto che essa è un’espressione della verità, la quale, in se stessa, è assolutamente indipendente dagli individui che la ricevono e che la comprendono. La garanzia della dottrina risiede in definitiva nel suo carattere «non-umano»". René Guénon, Considerazioni sull’iniziazione, cap. "Sull’infallibilità tradizionale"

mercoledì 29 ottobre 2014

René Guénon, Il Regno della Quantità e i Segni dei Tempi - 6. Il principio di individuazione

René Guénon 
Il Regno della Quantità e i Segni dei Tempi 

6. Il principio di individuazione 

In vista di quel che ci proponiamo, pensiamo di aver dato sufficienti chiarimenti sulla natura dello spazio e del tempo; ci pare però necessario ritornare ancora alla «materia» per prendere in esame un’altra questione, di cui finora non abbiamo detto niente, e che è suscettibile di gettare nuova luce su taluni aspetti del mondo moderno.
Gli Scolastici considerano la materia come costituente il principium individuationis; quale la ragione di questo modo di considerare le cose, e fino a qual punto giustificata?
Per ben capire di che si tratta, è in definitiva sufficiente, senza affatto uscire dai limiti del nostro mondo (poiché qui non si fa appello ad alcun principio d’ordine trascendente in rapporto ad esso), di considerare la relazione fra gli individui e la specie: in tale relazione, la specie è dalla parte della «forma» o dell’essenza, mentre gli individui, o meglio ciò che .li distingue all’interno della specie, sono dalla parte della «materia» o della sostanza.[1] Non c’è da stupirsene tenendo conto di quanto abbiamo già detto sul significato del termine εϊδος che è contemporaneamente «forma» e «specie», e sul carattere puramente qualitativo di quest’ultima; però, occorre fornire ulteriori precisazioni, nonché, prima di tutto, dissipare alcuni equivoci che la terminologia potrebbe provocare.
Abbiamo già detto il motivo per cui il termine «materia» rischia di generare confusioni; quanto al termine «forma», esso può prestarvisi ancor più facilmente poiché il suo significato abituale è del tutto diverso da quello in uso nella terminologia della Scolastica; in questo senso, che è quello per esempio da noi impiegato precedentemente parlando della forma in geometria, si dovrebbe, se ci si servisse della terminologia della Scolastica, dire «figura» e non «forma»; ma questo sarebbe troppo contrario a quanto stabilito dall’uso, di cui bisogna per forza tener conto se ci si vuole far capire, e quindi, tutte le volte che adoperiamo il termine «forma», senza riferimento specifico alla Scolastica, è nel significato comune che lo intendiamo: per esempio quando diciamo che fra le condizioni di uno stato di esistenza è la forma che caratterizza questo stato come individuale. Va da sé, d’altronde, che in linea generale questa forma non la si deve concepire come rivestita di un carattere spaziale; ciò è vero soltanto per il nostro mondo, perché qui si combina con un’altra condizione, lo spazio, che appartiene propriamente al solo ambito della manifestazione corporea. Ma allora si pone il problema seguente: sarà forse la forma intesa a questo modo, e non la «materia» (o se si preferisce la quantità), a rappresentare, fra le condizioni di questa mondo, il vero «principio d’individuazione», dal momento che gli individui sono tali in quanto da essa condizionati? Ciò significherebbe non comprendere quel che gli Scolastici, di fatto, vogliono dire quando parlano di «principio d’individuazione»; di questo essi non intendono assolutamente servirsi per definire uno stato di esistenza come individuale, e d’altronde ciò si riferisce ad un ordine di considerazioni che non sembra essi abbiano mai abbordato; a parte il fatto che, da questo punto di vista, la specie stessa deve essere considerata come d’ordine individuale, non avendo essa niente di trascendente nei confronti dello stato così definito; e possiamo aggiungere, basandoci sulla rappresentazione geometrica degli stati d’esistenza da noi esposta altrove, che tutta la gerarchia dei generi deve essere vista come estesa orizzontalmente e non verticalmente.
La questione del «principio d’individuazione» ha una portata molto più ristretta, e si riduce in definitiva a questo: gli individui d’una stessa specie partecipano tutti di una stessa natura, che è propriamente la specie stessa, e che si trova ugualmente in ognuno di essi; che cosa fa sì che questi individui, malgrado tale comunità di natura, siano esseri distinti e anche, per meglio dire, separati gli uni dagli altri? È sottinteso che qui si tratta degli individui esclusivamente in quanto appartenenti alla specie, indipendentemente da tutto ciò che può essere in essi sotto altri rapporti, dimodoché la questione potrebbe anche esser formulata così: di quale ordine è la determinazione che si aggiunge alla natura specifica per fare degli individui, nella specie stessa, degli esseri separati? È questa determinazione che gli Scolastici riferiscono alla «materia», cioè in fondo alla quantità, secondo la loro definizione della materia secunda del nostro mondo; e così la «materia» (o la quantità) appare propriamente come un principio di «separatività». Si può ben dire, in effetti, che la quantità è una determinazione che si aggiunge alla specie, in quanto quest’ultima è esclusivamente qualitativa e quindi indipendente dalla quantità, mentre gli individui, per il solo fatto di essere «incorporati», rientrano in tutt’altro caso; e, a questo proposito, bisogna far bene attenzione ad evitare un’opinione erronea, fin troppo diffusa tra i moderni, che tende a concepire la specie come una «collettività»; questa non è nient’altro che una somma aritmetica d’individui, cioè, contrariamente alla specie, qualcosa di prettamente quantitativo; come sempre, la confusione del generale e del collettivo è una conseguenza della tendenza che conduce i moderni a vedere soltanto la quantità in tutte le cose, tendenza che altrettanto costantemente si ritrova al fondo di tutte le concezioni caratteristiche della loro particolare mentalità.
La conclusione a cui si arriva è questa: negli individui la quantità predominerà tanto più sulla qualità, quanto più saranno ridotti ad essere, se così si può dire, dei semplici individui, e quanto più saranno, appunto per questo, separati gli uni dagli altri, il che, si badi, non vuole affatto dire più differenziati, poiché v’è anche una differenziazione qualitativa che è proprio l’inverso di quella differenziazione del tutto quantitativa che è la separazione in questione. Tale separazione, fa degli individui solo altrettante «unità», nel senso inferiore del termine, e del loro insieme una pura molteplicità quantitativa; al limite, questi individui saranno praticamente paragonabili ai pretesi «atomi» dei fisici, sprovvisti cioè di ogni determinazione qualitativa; e benché, di fatto, questo limite non si possa raggiungere, è pur questo il senso in cui il mondo attuale si dirige. Non c’è che da guardarsi intorno per constatare che, ovunque e sempre di più, ci si sforza di ricondurre ogni cosa all’uniformità, si tratti degli uomini stessi, o delle cose in mezzo alle quali vivono, ed è evidente che un risultato del genere non può ottenersi se non sopprimendo, per quanto possibile, ogni distinzione qualitativa; ma quel che veramente è degno di nota è il fatto che, per una strana illusione, taluni scambiano volentieri questa «uniformizzazione» per un’«unificazione», mentre, in realtà, essa ne rappresenta esattamente l’inverso, cosa del resto evidente dal momento che essa implica un’accentuazione sempre più marcata della «separatività». La quantità, torniamo ad insistere, può soltanto separare, non unire; sotto forme diverse, tutto ciò che procede dalla «materia» non produce altro che antagonismo fra quelle «unità» frammentarie che sono all’estremo opposto della vera unità, o che almeno vi tendono con tutto il peso di una quantità non più equilibrata dalla qualità; ma questa «uniformizzazione» rappresenta un aspetto troppo importante del mondo moderno, nonché troppo suscettibile d’essere falsamente interpretato, perché ad essa non consacriamo ancora ulteriori considerazioni.



[1] Da segnalare che a questo proposito si presenta una difficoltà almeno apparente: nella gerarchia dei generi, se si considera la relazione d’un genere con un altro genere più particolare che ne sia una specie, il primo svolge la funzione di «materia», e il secondo quella di «forma»; a prima vista la relazione pare quindi applicata in senso contrario mentre, in realtà, essa non è paragonabile a quella tra specie ed individui; da un punto di vista puramente logico, tale relazione d’altronde corrisponde a quella esistente tra un soggetto ed un attributo, dove il primo designa il genere, il secondo la «differenza specifica».

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