Introduzione alle dottrine esoteriche dell’Islam
I - La natura del Sufismo
At-Taçawwuf
Il sufismo (at-taçawwuf)[1], che è l'aspetto esoterico o «interiore» (bâtin) dell'Islam, si distingue dall'Islam exoterico o «esteriore» (zâhir) come la contemplazione diretta delle realtà spirituali - o divine - si distingue dall'osservanza delle leggi che le trasmettono nell'ordine individuale in relazione con le condizioni di un determinato ciclo dell'umanità.
Mentre la via usuale dei credenti mira ad ottenere uno stato di beatitudine dopo la morte, accessibile in virtu di una partecipazione indiretta e per cosf dire simbolica, per mezzo delle opere prescritte, alle Verità divine, il sufismo ha il proprio fine in sé stesso, poiché offre la possibilità di accedere alla conoscenza immediata dell'eterno; questa conoscenza, essendo tutt'uno con il suo oggetto, libera dalla concatenazione fatale delle esistenze individuali; lo stato spirituale di baqâ, cui aspirano i contemplativi sufì e che significa «sussistenza» pura al di fuori da ogni forma, è identico allo stato di moksha, la «liberazione» di cui parlano le dottrine indù, come l'«estinzione» (al-fanâ) dell'individualità, che precede la «sussistenza», è analoga al nirvana in quanto nozione negativa.
At-Taçawwuf
Il sufismo (at-taçawwuf)[1], che è l'aspetto esoterico o «interiore» (bâtin) dell'Islam, si distingue dall'Islam exoterico o «esteriore» (zâhir) come la contemplazione diretta delle realtà spirituali - o divine - si distingue dall'osservanza delle leggi che le trasmettono nell'ordine individuale in relazione con le condizioni di un determinato ciclo dell'umanità.
Mentre la via usuale dei credenti mira ad ottenere uno stato di beatitudine dopo la morte, accessibile in virtu di una partecipazione indiretta e per cosf dire simbolica, per mezzo delle opere prescritte, alle Verità divine, il sufismo ha il proprio fine in sé stesso, poiché offre la possibilità di accedere alla conoscenza immediata dell'eterno; questa conoscenza, essendo tutt'uno con il suo oggetto, libera dalla concatenazione fatale delle esistenze individuali; lo stato spirituale di baqâ, cui aspirano i contemplativi sufì e che significa «sussistenza» pura al di fuori da ogni forma, è identico allo stato di moksha, la «liberazione» di cui parlano le dottrine indù, come l'«estinzione» (al-fanâ) dell'individualità, che precede la «sussistenza», è analoga al nirvana in quanto nozione negativa.
Perché il sufismo comporti tale
possibilità, deve identificarsi col «nocciolo» (al-lubb) della forma
tradizionale che lo sostiene. Non può essere aggiunto all'Islam poiché avrebbe
un carattere periferico rispetto ai mezzi spirituali di questo; esso è invece
piu vicino alla loro fonte sovrumana dell'exoterismo religioso, e partecipa
attivamente, benché in modo completamente interiore, alla funzione rivelatrice
che manifestò questa forma tradizionale e che continua a mantenerla in vita.
Questa funzione «centrale» del sufismo
all'interno del mondo islamico può rimanere nascosta a coloro che guardano dal
di fuori, perché l'esoterismo, essendo consapevole del significato delle forme,
è al tempo stesso intellettualmente sovrano nei loro confronti, in modo che può
far propri, almeno per quanto riguarda l'esposizione dottrinale, alcune nozioni
o simboli provenienti da un'eredità diversa dal suo nucleo tradizionale. Può,
in realtà, sembrare strano che il sufismo sia lo «spirito» o il «cuore
dell'Islam» (ruh al-islam o qalb al-islam) e che nel contempo
rappresenti lo spirito che, nel mondo islamico, è piu libero rispetto ai
confini mentali di quest'ultimo. È importante però non confondere questa
libertà vera e del tutto interiore con i movimenti ribelli contro la
tradizione, i quali non sono intellettualmente liberi nei riguardi delle forme
che negano per incomprensione.
La funzione del sufismo nel mondo
dell'Islam[2] è
proprio quella del cuore nell'uomo, nel senso che il cuore è il centro vitale
dell'organismo ed anche, ne.lla sua realtà «sottile», la «sede» di un'essenza
che va al di là di ogni forma individuale.
Gli orientalisti, preoccupati di ridurre
tutto al solo piano storico, potevano spiegarsi questo duplice aspetto del
sufismo solo mediante influssi estranei all'Islam; così hanno attribuito
l'origine del sufismo, secondo le loro differenti preoccupazioni, a fonti
iraniche, indu, neoplatoniche o cristiane. Tali differenti derivazioni alla
fine si sono però annullate vicendevolmente, tanto piu che non c'è motivo
sufficiente per dubitare dell'autenticità storica della filiazione spirituale
dei maestri sufi, filiazione che, in una «catena» (silsilah) ininterrotta,
risale fino al Profeta. Tuttavia, l'argomento decisivo in favore dell'origine
mohammadiana del sufismo risiede nel sufìsmo stesso; poiché se la saggezza
sufica provenisse da una fonte posta fuori dell'Islam, coloro i quali aspirano
a questa saggezza - che certo non è di natura libresca o semplicemente mentale
- non potrebbero appoggiarsi, per attuarla sempre di nuovo, sul simbolismo
coranico; tutto ciò che è parte integrante del metodo spirituale del sufìsmo, e
questo in modo costante e necessario, è attinto dal Corano e dall'insegnamento
del Profeta.
Gli orientalisti che sostengono l'ipotesi
d'una origine non musulmana del sufismo sottolineano generalmente il fatto che
la dottrina sufìca non appare, nei primi secoli dell'Islam, con tutti gli
sviluppi metafisici che comporterà in seguito. Ma questa osservazione, per
quanto valida nei riguardi di una tradizione esoterica - che si tramanda quindi
soprattutto con un insegnamento orale - dimostra il contrario di quanto da loro
sostenuto, poiché i primi sufi si esprimono con un linguaggio molto vicino al
Corano, e le loro espressioni concise e sintetiche implicano già turto
l'essenziale della dottrina. Se questa diventa successivamente piu esplicita e
piu elaborata, si tratta di un fatto normale e proprio di ogni tradizione
spirituale: la letteratura dottrinale aumenta non tanto per il contributo di
nuove conoscenze, ma per la necessità di arginare gli errori e di rianimare
un'intuizione che si affievolisce.
Del resto, dato che le verità dottrinali
sono suscettibili di uno sviluppo indefinito e che la civiltà musulmana aveva
assorbito alcune eredità preislamche, i maestri potevano sempre, nel loro
insegnamento orale o scritto, usare nozioni tratte da queste eredità, purché
fossero adeguate alle verità che occorreva rendere accessibili ai migliori
spiriti contemporanei, verità che il simbolismo propriamente sufico conteneva
d'altronde in modo conciso. Cosi, specie la cosmologia, scienza derivata dalla
metafisica pura, che costituisce unicamente il fondamento dottrinale
indispensabile del sufismo, si espresse soprattutto per mezzo di nozioni già
defmite dai maestri antichi come Empedocle e Plotino. Del resto, quei maestri
sufi, che possedevano una cultura filosofica, non potevano ignorare la validità
degli insegnamenti di Platone; e il platonismo che vien loro attribuito ha il
medesimo carattere di quello dei Padri greci, la cui dottrina rimane tuttavia
essenzialmente apostolica.
L'ortodossia del sufismo non si manifesta
solo nel mantenere le forme islamiche; si esprime pure con il suo sviluppo organico
che comincia dall'insegnamento del Profeta, particolarmente con la capacità di assimilare
ogni forma di espressione spirituale che non sia essenzialmente estranea all'Islam;
e questo non si confà soltanto alle forme dottrinali, ma anche agli ausili
provenienti da un'arte[3].
Benché ci siano stati certamente contatti
tra i primi sufi ed alcuni contemplativi cristiani - la storia del sufi Ibrahim
ibn Adham sta a dimostrarlo - una certa affinità tra il sufismo e il monachesimo
cristiano d'Oriente non si spiega a priori con delle interferenze storiche. Come
spiega 'Abd al-Karîm al-Jîlî nel suo libro al-Insân
al-Kamil («L'uomo universale»), il messaggio del Cristo «svela» alcuni
aspetti interiori - e perciò esoterici – del monoteismo di Abramo: i dogmi cristiani,
che possono essere tutti riducibili al dogma delle due nature, divina e umana, del
Cristo, riassumono in un certo senso, in forma «storica », tutto ciò che il
suiismo insegnerà sull'unione con Dio. Cos[ i sufi pensano che il signore Gesu
(seyidnâ Aïssa) rappresenti, tra gli
inviati divini (rusul), il modello
piu perfetto di santo contemplativo: porgere la guancia sinistra a chi ci ha colpito
la destra è il distacco spirituale per eccellenza, l'uscita volontaria dal
gioco delle azioni e reazioni cosmiche.
Non è peraltro men vero che la persona del
Cristo non si pone per i sufi nella stessa prospettiva di quella cristiana. Malgrado
tutte le somiglianze, la via dei sufi è molto diversa da quella dei contemplativi
cristiani; si può qui far riferimento all'immagine secondo la quale le differenti
vie tradizionali sono come i raggi di un cerchio che si congiungono in un solo
punto: nella misura in cui i raggi si avvicinano al centro, si avvicinano pure
tra di loro; tuttavia, non coincidono mai se non nel centro, dove cessano d'essere
raggi. Questa diversità delle vie non impedisce certo all'intelletto di porsi, per
anticipazione intuitiva, al centro, dove tutte le vie convergono.
Per precisare meglio la costituzione interna
del sufismo, aggiungiamo che esso comporta sempre, quali elementi
indispensabili, una dottrina, una iniziazione e un metodo spirituale. La dottrina
è come una prefigurazione simbolica della conoscenza cui bisogna pervenire, ed
è anche, nella sua manifestazione, un effetto di tale conoscenza. La quintessenza
della dottrina sufica proviene dal Profeta; ma, giacché non c'è esoterismo senza
una determinata ispirazione, la dottrina si manifesta sempre di bel nuovo per bocca
dei maestri. Perciò l'insegnamento orale è superiore, per il suo carattere immediato
e «personale», all'insegnamento che può trarsi dagli scritti; infatti,
quest'ultimo avrà una funzione secondaria, cioè di preparazione, di complemento
o di compendio, e per questa ragione la continuità storica dell'insegnamento sufico
sfugge talvolta alle ricerche degli studiosi.
Per quanto riguarda l'iniziazione sufica,
essa consiste nel trasmettere un influsso spirituale (barakah), che deve
essere conferito da un rappresentante della «catena» che si riallaccia al Profeta.
Generalmente, viene trasmessa dal maestro che comunica anche il metodo e che fornisce
i mezzi di concentrazione spirituale conformi alle attitudini del discepolo. La
cornice generale del metodo è la Legge islamica, sebbene ci siano sempre stati
dei sufi isolati i quali, a motivo del carattere eccezionale dei loro stati contemplativi,
non partecipavano piu al rituale comune dell'Islam. Per prevenire ogni obiezione
che si potrebbe muovere a proposito dell'origine mohammediana del sufìsmo,
precisiamo che i sostegni spirituali che ne costituiscono i mezzi principali -
e che possono, in determmate
circostanze, sostituire il rituale comune
dell'Islam - appaiono come «chiavi di volta» di tutto il simbolismo islamico; ed
è in questo senso che sono stati donati dal Profeta stesso.
L'iniziazione
ha, in genere, la forma di un patto (bay'ah)
tra l'aspirante e il maestro
spirituale (al-murshid), che
rappresenta il Profeta; tale
patto implica la perfetta sottomissione del discepolo al maestro per tutto quanto
riguarda la vita spirituale, e non potrà mal venire sciolto per volontà unilaterale
del discepolo.
I diversi «rami» della filiazione
spirituale del sufìsmo corrispondono ovviamente a diverse «vie» (turuq),
poiché ogni grande maestro, cominciando dal quale è distinguibile una catena
particolare, possiede l'autorità per conformare il metodo alle attitudini di una
certa categoria di persone idonee alla vita spirituale. Le diverse «vie» corrispondono
quindi alle diverse «vocazioni» e sono tutte rivolte verso il medesimo scopo; esse
non rappresentano affatto scissioni o «sètte» all'interno del sufìsmo, benché alcune
deviazioni parziali abbiano potuto accadere incidentalmente, dando origine a vere
e proprie sètte. L'indizio esteriore di una tendenza settaria sarà sempre il carattere
quantitarivo e «dinamico» della diffusione; il sufìsmo autentico non può mai diventare
«un movimento»[4],
per il fatto che si rivolge a quanto vi è di più «statico» nell'uomo, cioè l’intelletto
contemplativo[5].
[1] Secondo la spiegazione
piu comune, at-taçawwuf significherebbe
semplicernente «vestirsi di lana» (çuf),
dato che i primi sufi indossavano solo vesti di pura lana. Può darsi sia questa
l'origine occasionale del vocabolo e che tale significato assai esteriote abbia
celato un senso piu profondo: in realtà, secondo il suo simbolismo numerale, la
parola at-taçawwuf equivale a al-Hikmat al-ilahiyah, «La Saggezza Divina».
Cfr. René Guénon, L'ésoterisme islamique
in Cahiers du Sud, 22e année,
1935. Al-Biruni propone che çûfî (plur. çufiyâ
derivi dal greco σοφια, Saggezza; ma tale derivazione è
etimologicamente insostenibile dato che il σ diventa
normalmente sin e non çâd; può tuttavia esistere un'assonanza voluta
e simbolica.
[2] Non parliamo delle organizzazioni
iniziatiche del sufismo, bensì del sufismo in sé stesso; alcuni gruppi umani
possono assumere funzioni piu o meno contingenti malgrado il loro collegamento
col sufismo; l'élite spirituale è difficilmente comprensibile dall'esterno. D'altra
parte, è risaputo che molti dei piu eminenti difensori dell'ortodossia islamica,
come 'Abd al-Qâder Jîlanî, al-Ghazzâlî, il sultano Çalah ad-dîn (Saladino) e
altri, erano collegati al sufismo.
[3] Taluni sufi hanno volontariamente
manifestato alcune forme che, pur non essendo contrarie allo spirito della
Tradizione, scandalizzavano la maggior parte degli exoterici; è questo un modo
per liberarsi dallo psichismo collettivo e dalle abirudini mentali.
[4] Il caso di alcune turuq come la Qâdiriyah, la Derqawiyah,
la Naqshabendiyah, ecc., che hanno
delle ramificazioni esterion e quindi una espansione popolare, non può essere paragonabile
ai movimenti settari, poiché queste propaggini non si oppongono all'exoterisrno,
di cui appaiono a volte come aspetti piu efficaci. L'espansione popolare ddle turuq d'essenza intellettuale si spiega
d'altronde con il fatto che il simbolismo esoterico è in un certo modo accessibile
al popolo, mentre non lo è sempre ai dottori della Legge.
[5] Quello che oggi si chiama
comunemente «intelletto» è in realtà soltanto la facoltà discorsiva, che si differenzia
proprio per il suo dinamismo e la sua agitazione dall'intelletto vero e proprio,
immutabile in sé stesso e sempre immediato e sereno nelle sue operazioni.
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