"…la dottrina è infallibile, è a causa del fatto che essa è un’espressione della verità, la quale, in se stessa, è assolutamente indipendente dagli individui che la ricevono e che la comprendono. La garanzia della dottrina risiede in definitiva nel suo carattere «non-umano»". René Guénon, Considerazioni sull’iniziazione, cap. "Sull’infallibilità tradizionale"

martedì 14 ottobre 2014

Titus Burckhardt, Introduzione alle dottrine esoteriche dell’Islam. I - La natura del Sufismo: At-Taçawwuf

Titus Burckhardt
Introduzione alle dottrine esoteriche dell’Islam

I - La natura del Sufismo
 At-Taçawwuf 
Il sufismo (at-taçawwuf)[1], che è l'aspetto esoterico o «interiore» (bâtin) dell'Islam, si distingue dall'Islam exoterico o «esteriore» (zâhir) come la contemplazione diretta delle realtà spirituali - o divine - si distingue dall'osservanza delle leggi che le trasmettono nell'ordine individuale in relazione con le condizioni di un determinato ciclo dell'umanità.
Mentre la via usuale dei credenti mira ad ottenere uno stato di beatitudine dopo la morte, accessibile in virtu di una partecipazione indiretta e per cosf dire simbolica, per mezzo delle opere prescritte, alle Verità divine, il sufismo ha il proprio fine in sé stesso, poiché offre la possibilità di accedere alla conoscenza immediata dell'eterno; questa conoscenza, essendo tutt'uno con il suo oggetto, libera dalla concatenazione fatale delle esistenze individuali; lo stato spirituale di baqâ, cui aspirano i contemplativi sufì e che significa «sussistenza» pura al di fuori da ogni forma, è identico allo stato di moksha, la «liberazione» di cui parlano le dottrine indù, come l'«estinzione» (al-fanâ) dell'individualità, che precede la «sussistenza», è analoga al nirvana in quanto nozione negativa.
Perché il sufismo comporti tale possibilità, deve identificarsi col «nocciolo» (al-lubb) della forma tradizionale che lo sostiene. Non può essere aggiunto all'Islam poiché avrebbe un carattere periferico rispetto ai mezzi spirituali di questo; esso è invece piu vicino alla loro fonte sovrumana dell'exoterismo religioso, e partecipa attivamente, benché in modo completamente interiore, alla funzione rivelatrice che manifestò questa forma tradizionale e che continua a mantenerla in vita.
Questa funzione «centrale» del sufismo all'interno del mondo islamico può rimanere nascosta a coloro che guardano dal di fuori, perché l'esoterismo, essendo consapevole del significato delle forme, è al tempo stesso intellettualmente sovrano nei loro confronti, in modo che può far propri, almeno per quanto riguarda l'esposizione dottrinale, alcune nozioni o simboli provenienti da un'eredità diversa dal suo nucleo tradizionale. Può, in realtà, sembrare strano che il sufismo sia lo «spirito» o il «cuore dell'Islam» (ruh al-islam o qalb al-islam) e che nel contempo rappresenti lo spirito che, nel mondo islamico, è piu libero rispetto ai confini mentali di quest'ultimo. È importante però non confondere questa libertà vera e del tutto interiore con i movimenti ribelli contro la tradizione, i quali non sono intellettualmente liberi nei riguardi delle forme che negano per incomprensione.
La funzione del sufismo nel mondo dell'Islam[2] è proprio quella del cuore nell'uomo, nel senso che il cuore è il centro vitale dell'organismo ed anche, ne.lla sua realtà «sottile», la «sede» di un'essenza che va al di là di ogni forma individuale.
Gli orientalisti, preoccupati di ridurre tutto al solo piano storico, potevano spiegarsi questo duplice aspetto del sufismo solo mediante influssi estranei all'Islam; così hanno attribuito l'origine del sufismo, secondo le loro differenti preoccupazioni, a fonti iraniche, indu, neoplatoniche o cristiane. Tali differenti derivazioni alla fine si sono però annullate vicendevolmente, tanto piu che non c'è motivo sufficiente per dubitare dell'autenticità storica della filiazione spirituale dei maestri sufi, filiazione che, in una «catena» (silsilah) ininterrotta, risale fino al Profeta. Tuttavia, l'argomento decisivo in favore dell'origine mohammadiana del sufismo risiede nel sufìsmo stesso; poiché se la saggezza sufica provenisse da una fonte posta fuori dell'Islam, coloro i quali aspirano a questa saggezza - che certo non è di natura libresca o semplicemente mentale - non potrebbero appoggiarsi, per attuarla sempre di nuovo, sul simbolismo coranico; tutto ciò che è parte integrante del metodo spirituale del sufìsmo, e questo in modo costante e necessario, è attinto dal Corano e dall'insegnamento del Profeta.
Gli orientalisti che sostengono l'ipotesi d'una origine non musulmana del sufismo sottolineano generalmente il fatto che la dottrina sufìca non appare, nei primi secoli dell'Islam, con tutti gli sviluppi metafisici che comporterà in seguito. Ma questa osservazione, per quanto valida nei riguardi di una tradizione esoterica - che si tramanda quindi soprattutto con un insegnamento orale - dimostra il contrario di quanto da loro sostenuto, poiché i primi sufi si esprimono con un linguaggio molto vicino al Corano, e le loro espressioni concise e sintetiche implicano già turto l'essenziale della dottrina. Se questa diventa successivamente piu esplicita e piu elaborata, si tratta di un fatto normale e proprio di ogni tradizione spirituale: la letteratura dottrinale aumenta non tanto per il contributo di nuove conoscenze, ma per la necessità di arginare gli errori e di rianimare un'intuizione che si affievolisce.
Del resto, dato che le verità dottrinali sono suscettibili di uno sviluppo indefinito e che la civiltà musulmana aveva assorbito alcune eredità preislamche, i maestri potevano sempre, nel loro insegnamento orale o scritto, usare nozioni tratte da queste eredità, purché fossero adeguate alle verità che occorreva rendere accessibili ai migliori spiriti contemporanei, verità che il simbolismo propriamente sufico conteneva d'altronde in modo conciso. Cosi, specie la cosmologia, scienza derivata dalla metafisica pura, che costituisce unicamente il fondamento dottrinale indispensabile del sufismo, si espresse soprattutto per mezzo di nozioni già defmite dai maestri antichi come Empedocle e Plotino. Del resto, quei maestri sufi, che possedevano una cultura filosofica, non potevano ignorare la validità degli insegnamenti di Platone; e il platonismo che vien loro attribuito ha il medesimo carattere di quello dei Padri greci, la cui dottrina rimane tuttavia essenzialmente apostolica.
L'ortodossia del sufismo non si manifesta solo nel mantenere le forme islamiche; si esprime pure con il suo sviluppo organico che comincia dall'insegnamento del Profeta, particolarmente con la capacità di assimilare ogni forma di espressione spirituale che non sia essenzialmente estranea all'Islam; e questo non si confà soltanto alle forme dottrinali, ma anche agli ausili provenienti da un'arte[3].
Benché ci siano stati certamente contatti tra i primi sufi ed alcuni contemplativi cristiani - la storia del sufi Ibrahim ibn Adham sta a dimostrarlo - una certa affinità tra il sufismo e il monachesimo cristiano d'Oriente non si spiega a priori con delle interferenze storiche. Come spiega 'Abd al-Karîm al-Jîlî nel suo libro al-Insân al-Kamil («L'uomo universale»), il messaggio del Cristo «svela» alcuni aspetti interiori - e perciò esoterici – del monoteismo di Abramo: i dogmi cristiani, che possono essere tutti riducibili al dogma delle due nature, divina e umana, del Cristo, riassumono in un certo senso, in forma «storica », tutto ciò che il suiismo insegnerà sull'unione con Dio. Cos[ i sufi pensano che il signore Gesu (seyidnâ Aïssa) rappresenti, tra gli inviati divini (rusul), il modello piu perfetto di santo contemplativo: porgere la guancia sinistra a chi ci ha colpito la destra è il distacco spirituale per eccellenza, l'uscita volontaria dal gioco delle azioni e reazioni cosmiche.
Non è peraltro men vero che la persona del Cristo non si pone per i sufi nella stessa prospettiva di quella cristiana. Malgrado tutte le somiglianze, la via dei sufi è molto diversa da quella dei contemplativi cristiani; si può qui far riferimento all'immagine secondo la quale le differenti vie tradizionali sono come i raggi di un cerchio che si congiungono in un solo punto: nella misura in cui i raggi si avvicinano al centro, si avvicinano pure tra di loro; tuttavia, non coincidono mai se non nel centro, dove cessano d'essere raggi. Questa diversità delle vie non impedisce certo all'intelletto di porsi, per anticipazione intuitiva, al centro, dove tutte le vie convergono.
Per precisare meglio la costituzione interna del sufismo, aggiungiamo che esso comporta sempre, quali elementi indispensabili, una dottrina, una iniziazione e un metodo spirituale. La dottrina è come una prefigurazione simbolica della conoscenza cui bisogna pervenire, ed è anche, nella sua manifestazione, un effetto di tale conoscenza. La quintessenza della dottrina sufica proviene dal Profeta; ma, giacché non c'è esoterismo senza una determinata ispirazione, la dottrina si manifesta sempre di bel nuovo per bocca dei maestri. Perciò l'insegnamento orale è superiore, per il suo carattere immediato e «personale», all'insegnamento che può trarsi dagli scritti; infatti, quest'ultimo avrà una funzione secondaria, cioè di preparazione, di complemento o di compendio, e per questa ragione la continuità storica dell'insegnamento sufico sfugge talvolta alle ricerche degli studiosi.
Per quanto riguarda l'iniziazione sufica, essa consiste nel trasmettere un influsso spirituale (barakah), che deve essere conferito da un rappresentante della «catena» che si riallaccia al Profeta. Generalmente, viene trasmessa dal maestro che comunica anche il metodo e che fornisce i mezzi di concentrazione spirituale conformi alle attitudini del discepolo. La cornice generale del metodo è la Legge islamica, sebbene ci siano sempre stati dei sufi isolati i quali, a motivo del carattere eccezionale dei loro stati contemplativi, non partecipavano piu al rituale comune dell'Islam. Per prevenire ogni obiezione che si potrebbe muovere a proposito dell'origine mohammediana del sufìsmo, precisiamo che i sostegni spirituali che ne costituiscono i mezzi principali - e che possono, in determmate
circostanze, sostituire il rituale comune dell'Islam - appaiono come «chiavi di volta» di tutto il simbolismo islamico; ed è in questo senso che sono stati donati dal Profeta stesso.
L'iniziazione ha, in genere, la forma di un patto (bay'ah) tra l'aspirante e il maestro spirituale (al-murshid), che rappresenta il Profeta; tale patto implica la perfetta sottomissione del discepolo al maestro per tutto quanto riguarda la vita spirituale, e non potrà mal venire sciolto per volontà unilaterale del discepolo.
I diversi «rami» della filiazione spirituale del sufìsmo corrispondono ovviamente a diverse «vie» (turuq), poiché ogni grande maestro, cominciando dal quale è distinguibile una catena particolare, possiede l'autorità per conformare il metodo alle attitudini di una certa categoria di persone idonee alla vita spirituale. Le diverse «vie» corrispondono quindi alle diverse «vocazioni» e sono tutte rivolte verso il medesimo scopo; esse non rappresentano affatto scissioni o «sètte» all'interno del sufìsmo, benché alcune deviazioni parziali abbiano potuto accadere incidentalmente, dando origine a vere e proprie sètte. L'indizio esteriore di una tendenza settaria sarà sempre il carattere quantitarivo e «dinamico» della diffusione; il sufìsmo autentico non può mai diventare «un movimento»[4], per il fatto che si rivolge a quanto vi è di più «statico» nell'uomo, cioè l’intelletto contemplativo[5].



[1] Secondo la spiegazione piu comune, at-taçawwuf significherebbe semplicernente «vestirsi di lana» (çuf), dato che i primi sufi indossavano solo vesti di pura lana. Può darsi sia questa l'origine occasionale del vocabolo e che tale significato assai esteriote abbia celato un senso piu profondo: in realtà, secondo il suo simbolismo numerale, la parola at-taçawwuf equivale a al-Hikmat al-ilahiyah, «La Saggezza Divina». Cfr. René Guénon, L'ésoterisme islamique in Cahiers du Sud, 22e année, 1935. Al-Biruni propone che çûfî (plur. çufiyâ derivi dal greco σοφια, Saggezza; ma tale derivazione è etimologicamente insostenibile dato che il σ diventa normalmente sin e non çâd; può tuttavia esistere un'assonanza voluta e simbolica.
[2] Non parliamo delle organizzazioni iniziatiche del sufismo, bensì del sufismo in sé stesso; alcuni gruppi umani possono assumere funzioni piu o meno contingenti malgrado il loro collegamento col sufismo; l'élite spirituale è difficilmente comprensibile dall'esterno. D'altra parte, è risaputo che molti dei piu eminenti difensori dell'ortodossia islamica, come 'Abd al-Qâder Jîlanî, al-Ghazzâlî, il sultano Çalah ad-dîn (Saladino) e altri, erano collegati al sufismo.
[3] Taluni sufi hanno volontariamente manifestato alcune forme che, pur non essendo contrarie allo spirito della Tradizione, scandalizzavano la maggior parte degli exoterici; è questo un modo per liberarsi dallo psichismo collettivo e dalle abirudini mentali.
[4] Il caso di alcune turuq come la Qâdiriyah, la Derqawiyah, la Naqshabendiyah, ecc., che hanno delle ramificazioni esterion e quindi una espansione popolare, non può essere paragonabile ai movimenti settari, poiché queste propaggini non si oppongono all'exoterisrno, di cui appaiono a volte come aspetti piu efficaci. L'espansione popolare ddle turuq d'essenza intellettuale si spiega d'altronde con il fatto che il simbolismo esoterico è in un certo modo accessibile al popolo, mentre non lo è sempre ai dottori della Legge.
[5] Quello che oggi si chiama comunemente «intelletto» è in realtà soltanto la facoltà discorsiva, che si differenzia proprio per il suo dinamismo e la sua agitazione dall'intelletto vero e proprio, immutabile in sé stesso e sempre immediato e sereno nelle sue operazioni.

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