L’Universalità nell’Islam *
Abbiamo voluto sviluppare, sotto la forma di una trasfigurazione solare del paesaggio esotico [1],
la dottrina del reale secondo l’“Identità suprema”. Abbiamo visto che,
nonostante l’unità assoluta, esistono dal punto di vista umano,
particolare o disgiuntivo, due realtà: la collettiva e la personale.
La prima è acquisita (imposta o adottata), storica, ereditaria, temporale e, per così dire, adamica. L’altra è originaria, innata, extra-temporale e dominicale.
Essa può essere più o meno oscurata, ostacolata, ma esiste sempre. Non vi si può rinunciare; non può distruggersi; è fatale, giacché è la ragion d’essere di ciascuno, ossia il suo destino, verso il quale tutto il lavoro spirituale e cosmico non è che un ritorno [2]. La prima è la realtà quale appare agli occhi della gente ordinaria, vale a dire quella delle percezioni dei cinque sensi e delle loro combinazioni secondo le leggi della matematica e della logica elementare. La seconda realtà è la sensazione dell’eternità [3].
La prima è acquisita (imposta o adottata), storica, ereditaria, temporale e, per così dire, adamica. L’altra è originaria, innata, extra-temporale e dominicale.
Essa può essere più o meno oscurata, ostacolata, ma esiste sempre. Non vi si può rinunciare; non può distruggersi; è fatale, giacché è la ragion d’essere di ciascuno, ossia il suo destino, verso il quale tutto il lavoro spirituale e cosmico non è che un ritorno [2]. La prima è la realtà quale appare agli occhi della gente ordinaria, vale a dire quella delle percezioni dei cinque sensi e delle loro combinazioni secondo le leggi della matematica e della logica elementare. La seconda realtà è la sensazione dell’eternità [3].
Nel mondo concreto, l’una corrisponde alla quantità, l’altra alla
qualità. La realtà collettiva è sovente chiamata la Volontà universale,
ma io preferisco designarla la Necessità, riservando il termine Volontà per indicare, bene o male, la realtà personale. La Volontà e la Necessità possono paragonarsi alla Scienza e all’Essere. Questi termini sono familiari, non solo al pensiero europeo a partire da Wronski (secondo Warrain: La Synthèse concrète,
pag. 169), ma anche a un’importante scuola dell’esoterismo musulmano,
seguita soprattutto in India. La Scienza e l’Essere corrispondono
letteralmente a “El-Ilmu wal-Wujûd”, i due aspetti primitivi
della Divinità. È appena il caso di ricordare che solo la Volontà esiste
positivamente, e che la Necessità non ha che un’esistenza relativa o
illusoria. Tutte le religioni e le filosofie concordano su questo punto.
È questa la ragione per cui esistono ovunque degli spiriti
aristocratici. E tutti i musulmani dicono: Et-Tawhîdu wâhidun,
che alla lettera e commentato a proposito significa: «La dottrina
dell’Identità suprema è, in fondo, dappertutto la stessa», o anche: «La
teoria dell’Identità suprema è sempre la stessa». Ma voglio insistere su
un carattere distintivo dell’Islamismo, sul punto capitale dell’idea di
Muhammad il Profeta. La Volontà non può raggiungere la sua
pienezza che attraverso la Necessità: da un lato per il bisogno del
Cielo, e dall’altro per lo sforzo di soddisfare le giuste necessità
della realtà collettiva. Quest’ultima è dunque indispensabile a titolo
di sforzo salutare, come mezzo di sviluppo di tutte le facoltà latenti
della Volontà. L’inerzia negativa dell’una è tanto indispensabile quanto
l’energia positiva dell’altra. L’una ha tanto bisogno di ricevere
quanto l’altra di dare. Entrambe sono bisognose l’una dell’altra. Nei
rari casi in cui agiscono come devono normalmente fare, esse non trovano
l’occasione di cercare quale sia più ricca della sorella.
Nell’ordine della psicologia romantica,
umanistica, la realtà personale corrisponde un poco all’elemento
donchisciottesco, la realtà collettiva a Sancio Panza. L’immortale
capolavoro di Cervantes deve essere considerato come una confessione
d’impotenza del Cristianesimo (almeno sotto le forme che conosciamo
attualmente). Questa religione è mai stata nello stesso tempo cattolica
(cioè esoterica, orientale) e romana (exoterica, occidentale)? Essa non
ha mai potuto essere una cosa se non a detrimento dell’altra. Quanto ai
Cristiani che non dipendono da Roma, sono essi realmente Cristiani?
L’ignoro. Quando una religione dichiara con tutta serietà che il suo
rituale e i suoi dogmi non hanno alcun senso nascosto o interiore, essa
fa pubblica professione di superstizione e non merita che d’essere
collocata in un museo d’antichità.
L’Europa ha fatto numerosi tentativi per
fondere Don Chisciotte e Sancio Panza in un unico personaggio. Essi sono
tutti falliti, poiché quelli che sono riusciti sono usciti dal
Cristianesimo fondando il libero pensiero. Menzionerò solo due di questi
tentativi falliti, due estremi, il satanico e il grottesco: il Gesuita e
Tartarino di Tarascona. Non vedo che un solo Occidentale capace di
risolvere il problema: San Rabelais. Ma questi, che era un iniziato,
probabilmente sapeva che la soluzione esisteva da secoli, quella dei Malâmatiyah. Per illustrare la nostra analisi confronteremo il Malâmatî
e Tartarino. Il primo esibisce Sancio Panza e cela Don Chisciotte nel
suo foro interiore come una sorta di retro-pensiero che lo ossessiona
sempre, ma che non pronuncia mai. L’eroe di Daudet, al contrario,
manifesta il suo Don Chisciotte nel Tartarino delle spedizioni lontane,
mentre il suo Sancio Panza, il Tartarino in panciolle, è nascosto a
tutti, tranne che alla fantesca.
Le realtà personale e collettiva, la Volontà
e la Necessità, l’esteriore e l’interiore, l’unità e la pluralità, Uno e
Tutto, si fondono in una terza realtà che l’Islam è la sola religione a
conoscere, riconoscere e professare. Questa realtà è la realtà
mohammediana o profetica. Il nostro Profeta era non solo nabî o ispirato eloquente, ma anche rasûl o inviato legiferante. Si rivolse all’aristocrazia (intellettuale) attraverso En-nubûwah, o l’eloquenza ispirata. Impedì la decadenza completa del popolo e dei deboli grazie a Er-risâlah, o la legge divina. La fusione dell’élite
con il comune, l’aristo-democrazia islamica poté compiersi senza
violenza e senza promiscuità grazie all’istituzione propria all’Islâm
d’un tipo d’umanità convenzionale che, in mancanza di meglio, chiamo
uomo medio o la normalità umana. Alcuni filosofi anglosassoni parlano di
“the average man” o l’uomo della mediocrità, ma non conosco abbastanza
bene le loro teorie per osare pronunciarmi. Questo tipo umano è sempre
fittizio, mai reale. Serve da isolante neutro e impersonale che facilita
certi rapporti, previsti e regolati in anticipo, e rende impossibile
contatti irregolari e rapporti troppo personali tra persone che vogliono
ignorarsi socialmente. Essendo nello stesso tempo nessuno e ognuno,
senza alcuna realtà concreta, sempre la regola, mai l’eccezione, questo
tipo umano non è che un metro di misura universale di tutti i possibili
diritti e doveri sociali, morali e religiosi. Questo formalismo, questo
giusto equilibrio tra i vari interessi (materiali, spirito-materiali e
religioso-rituali), questo repertorio completo di tutte le circostanze
esteriori della vita sociale e religiosa è il miglior agente di
propaganda islamica. Grazie ad esso, lo stato sociale della tribù
arabo-semitica, che è un ideale di giustizia, d’integrità, di
cooperazione e di solidarietà, può estendersi a tutto l’Universo.
La perfezione di alcune società realmente
primitive è stata costatata da molti sociologi, etnografi e poeti. Ma le
virtù del “selvaggio” non sorpassano mai i ristretti limiti della
tribù. Per questo motivo non si tratta che di un ideale poetico. La sua
antitesi, il civilizzato attuale, non vale certamente più di lui, dal
punto di vista dell’integralità umana. Nel primo, la qualità è
sviluppata a detrimento della quantità. Nell’altro, abbiamo la quantità,
che è qualcosa, è vero, ma la qualità è lungi dall’essere lodevole. Il
formalismo, l’istituzione dell’uomo medio permette all’uomo primitivo di
raggiungere l’universalità senza perdere nessuno di quei preziosi
caratteri propri all’Adamismo primordiale e quasi-paradisiaco.
È giustamente l’“uomo medio” a essere l’oggetto della Shariyah o la legge sacra dell’Islamismo. Essa è molto semplice quando la differenza esteriore tra l’élite
e il comune è minima. Allora, la lettera primitiva è sufficiente. Ma,
con il progresso sociale, la complicazione della vita e il cambiamento
delle condizioni esteriori, l’applicazione diretta della lettera avrebbe
contraddetto lo spirito della legge. L’uomo medio si diversificò, i
testi ebbero dei commentari, e la scienza dei dottori della legge
progredì con la vita. Tuttavia, la differenza tra i testi e i loro
commentari è solo apparente. L’evoluzione è naturale e logica,
nonostante il parere degli orientalisti da caserma o da sacrestia.
Certe prescrizioni della Shariyah
possono sembrare assurde agli occhi degli Europei. Esse hanno tuttavia
la loro ragion d’essere. Una religione universale deve tener conto di
tutti i gradi intellettuali e morali. La semplicità, le debolezze e le
particolarità degli altri hanno, fino a un certo punto, diritto a degli
adattamenti. Ma anche la cultura intellettuale ha i suoi diritti e le
sue esigenze. L’uomo medio stabilisce attorno a ciascuno una sorta di
neutralità che garantisce tutte le individualità, pur obbligandole a
lavorare per l’umanità intera. La storia non conosce altre forme
pratiche dell’integrale umano. L’esperienza testimonia in modo
irrefutabile a favore dell’universalità islamica. Grazie alle formule
arabe, vi è un mezzo d’intesa perfetta fra tutte le svariate razze
viventi tra il Pacifico e l’Atlantico. Non è possibile riscontrare
diversità etniche più marcate di quelle esistenti, ad esempio, tra il
Sudanese e il Persiano, il Turco e l’Arabo, il Cinese e l’Albanese,
l’Indo-Ariano e il Berbero. Nessun’altra religione o forma di civiltà è
riuscita a tanto. Si può dunque dire che l’Islam è il miglior agente di
comunicazione spirituale che esista. L’Europa non può stabilire che
l’internazionale materiale. È qualcosa, ma non è tutto. Inoltre non è il
Cristianesimo il fautore di quest’opera, bensì del positivismo
occidentale, per non dire del libero pensiero.
È la ragione per cui consideriamo la catena profetica conclusa, sigillata, con Muhammad
il Profeta degli Arabi e dei non-Arabi, giacché egli ne è l’apogeo. Lo
spirito profetico è la dottrina dell’“Identità suprema”, dell’Uno-Tutto
in metafisica, dell’Uomo Universale in psicologia, e dell’Umanità
integrale in organizzazione sociale. Ebbe inizio con Adamo e si è
completata con Muhammad.
* * *
La parola Islam è la forma infinita del verbo causativo Aslama, dare, consegnare, rimettere. Vi è un’ellissi: “Lillahi” (a Dio) è sottointeso. “El-Islâmu lillahi”
significa dunque: rimettersi a Dio, vale a dire seguire docilmente e
coscientemente il proprio destino. Ora, giacché l’uomo è un microcosmo,
composto di tutti gli elementi dell’Universo, ne consegue che il suo
destino è d’essere universale. Egli non segue il suo destino quando
l’inerzia domina le sue facoltà superiori. L’Islam, in quanto religione,
è la via dell’unità e della totalità. Il suo dogma fondamentale si
chiama Et-Tawhîd, vale a dire l’unità o l’azione di unire. Come
religione universale, esso comporta dei gradi, ma ciascuno di questi
gradi è veramente l’Islam, vale a dire qualunque aspetto dell’Islam
rivela i medesimi principi. Le sue formule sono estremamente semplici,
ma il numero delle sue forme è incalcolabile. Più queste forme sono
numerose, più la legge è perfetta. Si è Musulmani quando si segue il
proprio destino, ossia la propria ragion d’essere. Giacché ciascuno
porta il proprio destino in se stesso, è evidente che tutte le
discussioni sul determinismo o il libero arbitrio sono un’inanità.
L’Islamismo, anche solo quello exoterico, è oltre questa questione. Per
questo i grandi dottori non hanno mai voluto pronunciarsi su di essa.
Non si può spiegare all’uomo ordinario come Dio fa tutto, come Egli è
ovunque, e come ciascuno Lo porta in se stesso. Tutto ciò è chiaro
all’uomo “che conosce la propria anima” (man yaraf nafsahu), cioè il proprio io, lui stesso, e sa che tutto è vano al di fuori della “sensazione dell’eternità”. La parola “ex cathedra” del “muftì”
deve essere chiara, comprensibile a tutti, anche a un nero analfabeta.
Egli non ha il diritto di pronunciarsi se non su un luogo comune della
vita pratica. D’altronde non lo fa mai, tanto più che può eludere le
questioni che non sono di sua competenza. Si tratta della netta
separazione, nota a tutti, tra le questioni sufiche e sharaite, che
permette all’Islam d’essere nello stesso tempo esoterico ed exoterico
senza mai contraddirsi. Per questo motivo non vi sono mai seri conflitti
tra la scienza e la fede presso i Musulmani che comprendono la loro
religione.
Ora, la formula del “Et-Tawhîd”, o
del monoteismo, è di pratica comune, sharaita. La portata che date a
questa formula è una questione personale, giacché dipende dal vostro
sufismo. Tutte le deduzioni che traete da questa formula sono più o meno
buone, a condizione tuttavia di non annullare il senso letterale;
altrimenti distruggereste l’unità islamica, ossia la sua universalità,
la sua facoltà d’adattarsi e convenire a tutte le mentalità, circostanze
ed epoche. Il formalismo è di rigore; non è una superstizione, ma un
linguaggio universale. Poiché l’universalità è il principio, la ragion
d’essere dell’Islam, e poiché, d’altro canto, il linguaggio è il mezzo
di comunicazione tra gli esseri dotati di ragione, ne consegue che le
formule exoteriche sono tanto importanti per l’organismo religioso
quanto le arterie per il corpo animale. Mi sono permesso questa
dissertazione soprattutto per mostrare che “l’intelligenza” (inter+legere, El-Aqlu), e con ciò intendo l’intelligenza universale, risiede nel cuore, il centro della circolazione del sangue.
Questa localizzazione non riguarda la
sentimentalità, il cui posto è nelle mucose dell’intestino, almeno
quando si trova nel posto che deve occupare nell’economia fisiologica.
L’intelligenza e il discernimento sono i due
aspetti principali della ragione umana. L’una concepisce l’unità,
l’altro la pluralità. La ragione sana, possedendo queste due facoltà
sviluppate fino ai loro limiti ultimi, può dunque concepire l’Essere
Uno-Tutto; tuttavia questo Essere non è l’Assoluto, che è oltre ogni
operazione intellettuale. Si è arrivati ai confini, non solo della
scienza, ma anche dello “scibile”, quando ci si rende conto che non si
può andare oltre. Riconoscere l’impossibilità di sapere è la conoscenza
dell’Infinito (El-ajzu an el-idrâki idrâkun). È il solo modo, è
vero, ma saremmo prossimi alla divulgazione dei segreti se affermassimo
che tale impossibilità non è un paradosso o un modo di dire, bensì una
scienza reale, fertile e, in definitiva, sufficiente. Tutto quel che è
solamente exoterico conduce fatalmente allo scetticismo. Ora, lo
scetticismo è il punto di partenza degli eletti. Di là dei limiti dello
“scibile”, vi è tuttavia un progresso scientifico, ma allora le
conoscenze diverranno completamente negative. Sono queste le più
fertili, giacché evidenziano la nostra “povertà” (El-faqru),
ovvero il nostro bisogno del Cielo. Coscienti dei nostri bisogni,
sapremo formulare le nostre domande. Dico domande e non preghiere,
poiché va evitato tutto quanto assomiglia in qualche modo a un clero. È
importante saper domandare, poiché, in questo caso, il Cielo è come la
natura, che risponde sempre con la verità quando ben interrogato, ma
solo allora. Un esperimento chimico o fisico rivela qualcosa. Mal
eseguito, conduce all’errore. Il Cielo accorda sempre un bene quando si
domanda come si deve. Non concede nulla, o può anche dare il male,
quando si domanda male. Si tratta d’un effetto della mutualità divina o
della legge della catadiottria universale [4].
I moralisti della sentimentalità, Cristiani,
Buddisti o altri, hanno glorificato l’umiltà. Sia pure, ma non
significa nulla essere umili o non esserlo, poiché siamo tutti dei
nulla. Hanno fatto dell’umiltà una virtù, un fine, mentre non è che un
mezzo, un esercizio e una preparazione. Essa è solo una piccola stazione
lungo la via, dove ci si ferma se il viaggio lo richiede. La vanità è
una bestialità. L’umiltà fuori luogo può esserlo ugualmente.
Abbiamo visto in precedenza [5]
che il Credo musulmano inizia con una negazione, seguita da
un’affermazione. Quel che nego e poi affermo portano entrambi lo stesso
nome, A L H [6]; ma, nel primo caso, è indeterminato (36), e, nel secondo, è determinato (66) [7].
Dico che il vago è non-esistente, ma che la distinzione è il reale.
Considerando solo la forma delle lettere, si tratta di una
trasformazione dell’infinito, rappresentato da una linea retta
(verticale) (A), nell’indefinito, rappresentato qui dal cerchio (H),
passando per l’angolo (L). Nel caso dell’affermazione del distinto,
l’angolo (L) è ripetuto due volte.
La parte più grande dell’esoterismo pratico
riguarda il destino, l’identità tra l’io e il non-io, e l’arte del
donare, basata sul fachirismo. L’ordine consiste nel seguire docilmente e coscientemente il proprio destino, che è vivere, vivere tutta la propria vita, che è quella di tutte le vite, cioè di tutti gli esseri [8].
La vita non è divisibile; ciò che la fa
apparire tale è che essa è suscettibile di gradazioni. Più la vita
dell’io si identifica con la vita del non-io, più si vive intensamente.
La trasfusione dell’io nel non-io si attua mediante il dono più o meno
rituale, cosciente o volontario. Si comprende facilmente che l’arte di donare
è il principale arcano della Grande Opera. Il segreto di quest’arte
consiste nel disinteresse assoluto, nella perfetta purezza dell’anima
dell’atto, vale a dire dell’intenzione, nell’assenza completa di ogni
speranza in una contropartita, di una qualunque ricompensa, foss’anche
nell’altro mondo. Occorre che il vostro atto non assomigli in nessun
modo a uno scambio di cortesie. È quindi più perfetto, più puro, dare a
chi appare inferiore o debole piuttosto che a un nostro pari o al più
forte. Dal punto di vista esoterico, è meglio dare a una specie lontana
dalla vostra piuttosto che al vostro simile. È per questo motivo che
l’attrazione per l’opposto, il gusto dell’esotico, la zoofilia e lo
studio amoroso della natura sono altrettanti indici di disposizioni
esoteriche. Il celebre poeta Abul-Alà El-Moarri, considerato da alcuni
come eretico, materialista o libero pensatore, occupa in realtà un rango
molto elevato nella gerarchia spirituale dell’esoterismo mussulmano.
Arrestarsi all’umanitarismo è dunque un errore social-sentimentale. Una
prima sgrossatura dell’egoismo animico e nutritivo è sufficiente per
essere socialmente perfetti, giacché tutte le virtù civiche non sono che
della politica più o meno buona, cioè vantaggiosa. È oggigiorno
impossibile fare del bene all’umanità senza alcun retro-pensiero
utilitarista. La carità verso il simile è un dovere, un atto di
precauzione o di alta previdenza. Ben difficilmente può contenere
qualcosa fatto “unicamente per Dio”. Il sentimentalismo lascia sempre
una macchia egoista su tutto ciò che si fa in suo nome, non fosse che
adornandosi di bei motivi per degli atti molto semplici. I Malâmatiyah si danno sempre una serie di cattive ragioni prima di eseguire le belle azioni che sono chiamati a compiere.
Il bene che si fa a un animale ci avvicina
maggiormente a Dio, poiché l’egoismo non vi ha gran parte, almeno nei
casi ordinari. Lo spostamento mentale è più grande, la conquista
nell’anima universale è più lontana. Se vi attaccate agli esseri umani,
questi s’attaccano a voi per ogni sorta di ragioni pratiche.
L’attaccamento tra un animale e un essere umano è d’ordine superiore. È
inoltre molto istruttivo, poiché, secondo la formula: x sta a
voi come voi al vostro gatto, ad esempio, si possono scoprire molti
segreti riguardanti il destino. È vero che il gesto zoofilo è di grande
utilità dal punto di vista siderale; ma, solo per comprendere questa
utilità, occorre già una grande evoluzione dell’egoismo nel
trascendente. L’uomo che percepisce che le potenze lo giudicano nel modo
in cui egli giudica le debolezze, quest’uomo non ha più bisogno di
guida spirituale. Egli è definitivamente sulla buona strada, sta per
diventare egli stesso la Legge universale, poiché comincia a incarnare
la fatalità. Può avere bisogno di un’istruzione tecnica per evolvere più
rapidamente, ma, poiché sa dare senza fare commercio, ha già il suo
cielo [9].
Sarebbe dunque fuori luogo tacciare di egoismo coloro che coltivano la
zoofilia per un fine astrale, ad esempio per scongiurare ciò che viene
chiamata “la cattiva sorte” nell’ordine interiore, o per ristabilire,
per quanto possibile, lo stato edenico dell’Adamismo primitivo [10].
Sono persone che possiedono qualche conoscenza, e che impiegano la loro
scienza per procurarsi una felicità terrena considerata lecita dalla
Tradizione.
Non insisterò mai abbastanza sul fatto che
l’arte di dare è il Grande Arcano. Il dono assolutamente puro e
disinteressato è la sensazione del nulla nella pratica realizzativa.
Questa percezione cristallizzata è una pietra di paragone, la migliore,
per controllare l’Esistenza nell’Assoluto. Questo prezioso strumento
d’investigazione dell’aldilà può avere un’apparenza molto semplice,
rustica, perfino grossolana; ma un solo atomo di sentimentalità è
sufficiente a guastarlo. Si può dire “San Rabelais”, ma non si sarà mai
abbastanza circospetti di fronte alle teorie cristiane (nel senso
ordinario) o buddiste.
Il lettore che mi ha fin qui seguito senza
fatica né irritazione, può vedere facilmente che il dono umanitario è
solo la giusta comprensione dei nostri vantaggi e svantaggi materiali.
Infatti, tutti comprendono che è utile a tutti che tutti abbiano
l’indispensabile per vivere in modo umano. La vera carità comincia con
l’animale; essa continua con la pianta, ma allora essa esige le scienze
iniziatiche. Queste scienze conducono all’Alchimia, che è la carità
umana verso le pietre, i metalli, ossia verso la natura inorganica.
L’apogeo di questa carità è il dono del Se ai numeri primitivi, poiché
allora si sostiene l’Universo mediante il suo soffio ritmato. Mi
permetto di far osservare che la Carità cosmica progredisce nel senso
inverso dell’evoluzione della materia, come si dice volgarmente.
Grazie al perfetto accordo che l’Islam
stabilisce tra l’esoterico e l’exoterico, se ne può parlare sotto tutti
gli aspetti, vale a dire che esso sopporta la propaganda, anche per quel
che riguarda l’esoterico, almeno in una certa misura. La propaganda lo
fortifica, nel senso che l’arricchisce dal punto di vista puramente
intellettuale. È vero che diversi rami delle scienze islamiche si sono
sviluppati solo perché diversi popoli non-arabi abbracciarono l’Islam.
Molti orientalisti, osservando questo fenomeno, l’hanno attribuito a una
giustapposizione tra lo spirito ariano o turanico e la mentalità
arabo-semitica. È un errore.
Queste scienze si trovavano già in germe
nell’Islamismo primitivo. Poiché esso ammette il razionalismo e la
libertà di pensiero, s’impose l’obbligo di rendersi comprensibile ai
nuovi venuti, di rivestire una forma conveniente alla loro mentalità. Lo
sviluppo avvenne mediante la collaborazione tra allievi e professori.
Le domande provocarono le risposte. Dal bisogno esteriore di formulare
le proprie subcoscienze nacquero le scienze razionali e scolastiche
dell’Islamismo. Gli Arabi non presero nulla di nuovo agli stranieri. Non
fecero che trasformare un po’ del loro oro in argento, per così dire, e
ciò al solo scopo di semplificare i rapporti tra i popoli.
Prego gli studiosi della Cabala di
voler notare che, dal punto di vista puramente scientifico, ci si
istruisce insegnando agli altri; l’interiore si arricchisce con il
lavoro esteriore; il Cielo vi dà nella misura in cui voi distribuite
alle creature quel poco che possedete. Ma bisogna sapere come.
Diciamo subito che l’altruismo è una parola
vuota; dovrebbe essere bandito dal linguaggio metafisico, giacché
l’altrui non esiste. Non vi è alcuna differenza tra voi e gli altri. Voi
siete gli altri, tutti gli altri, tutte le cose. Tutte le cose e tutti
gli altri sono voi. Non facciamo che rifletterci reciprocamente. La vita
è unica e le individualità non sono che l’inferenza del destino che
irradia nel cristallo della creazione. L’identità dell’io e del non-io è
la Grande Verità, come la realizzazione di questa identità è la Grande
Opera. Se, alla notizia di un furto, non siete in grado di comprendere
che siete il ladro e anche il derubato; che, nel caso di un omicidio,
siete nel contempo l’assassino e la vittima; se non sapete arrossire di
vergogna o per il senso di colpa alla notizia di crimini mostruosi,
nuovi, inconcepibili, che mai nella vostra vita sareste stati tentati di
commettere; se non vi sentite coinvolti, per quanto poco, in un
terremoto nel Turkestan o in una epidemia di peste nella Manciuria,
fareste meglio a non studiare l’esoterismo, poiché perdereste il vostro
tempo.
È soprattutto la comunità criminale che
dimostra come l’atto isolato quasi non esiste, e che è difficile
distinguere un uomo dall’altro. Non dico che tutti gli uomini siano
eguali, sostengo che sono tutti “lo stesso”. Osserviamo, ad esempio, il
concatenamento delle azioni. Avete notato come un sospetto generale,
anche se ingiusto, suscita attorno al presunto colpevole le prove
sufficienti della sua colpevolezza? Ciò accade tanto più rapidamente
quando è innocente al punto d’ignorare come il crimine sia stato
perpetrato. Se è colpevole, ma intelligente, può creare attorno alla sua
persona un’aura negativa, volontaria, che respinge l’aura collettiva
che vuole sommergerlo. È facile vedere come l’aura morale di una
collettività si accumula poco a poco attorno ai centri nervosi di una
società, si condensa e prende una forma umana, in genere quella
dell’autore d’un crimine. Ma questo criminale non è che la mano che
colpisce. La vera origine dell’atto si trova nella collettività. Essa
senza dubbio non fa nulla, ma fa fare, che di fatto è la stessa cosa. Si
può quindi dire che non vi sono innocenti [11].
Quando dichiaro che tutti siamo colpevoli,
non pretendo l’assoluzione del criminale. Ancor meno reclamo castighi
collettivi. L’esoterismo non ha nulla a che fare con il codice, che è un
prodotto naturale, per quanto cattivo, della storia della società.
L’uomo non può esercitare che la giustizia umana. La giustizia divina
resterà sempre un enigma per lui. Voler dispensare questa giustizia è, a
nostro avviso, uno dei crimini più gravi che l’uomo possa commettere.
Mi permetto di citare qualche esempio. Il furto e l’omicidio sono,
almeno in principio, dei crimini; quindi, il ladro o l’assassino deve
essere punito secondo la convenzione sociale del momento, ma è tutto.
Una volta che il criminale abbia subito il suo castigo, siete liberi di
evitarlo o di frequentarlo. Potete rifiutargli la mano di vostra figlia,
ecc., ma, se dite che quest’uomo è malvagio, che merita il fuoco
dell’inferno, ecc., allora siete peggiori di lui, poiché volete mettervi
sul trono di Dio. Volete giudicare cose che nessuno vede.
Un altro esempio: condannate la
prostituzione, e non avete certo torto. Tuttavia, potete condannare la
prostituta solo quando vi è attentato al pudore sulla pubblica via. Il
suo non è che un crimine di riflesso. Sul piano della società attuale,
l’uomo è l’interiore, la causa, e la donna è l’esteriore, l’effetto. La
donna vende il suo corpo perché l’uomo vende la sua anima. Potete
arrestare l’una, ma l’altro, il vero colpevole, sfugge a ogni
incriminazione, giacché è anonimo e legione. Meglio limitarsi a
giudicare solo i fatti. Voler giudicare le coscienze è impossibile.
Un ultimo esempio: le assoluzioni scandalose
dei crimini passionali. C’è chi ha voluto vedervi un segno d’amoralità.
Non è affatto così. Non sono che altrettante dichiarazioni
d’incompetenza da parte del tribunale. Il giudice scrupoloso evita di
pronunciarsi su dei casi che Dio solo può conoscere.
La coscienza universale diviene sempre più
fatalista. Da parecchio tempo si dice che «i popoli hanno i governanti
che si meritano». Un buon governo non può regnare su un popolo di
canaglie; se volesse conservare il potere, sarebbe obbligato a lasciarsi
corrompere. Ogni giorno che passa, si comprende meglio la grande verità
sulla logica degli avvenimenti: che l’uomo è sempre giudicato secondo
le sue proprie leggi, ossia secondo le leggi che impone agli esseri che
rientrano nell’ambito della sua influenza vitale. Esistono legami
sottili tra il boia e la vittima, poiché l’uno e l’altro sono i due
aspetti d’uno stesso fatto. Tutti comprendono che è colpa dei ricchi se
vi sono dei poveri; che è colpa dei sapienti se vi sono ignoranti; che
vi sono dei viziosi, perché i virtuosi lasciano troppo a desiderare.
Numerosi santi dell’Islam si sono lamentati d’aver ricevuto il dono
della seconda vista. Hanno visto troppe cose straordinarie nei minuti
fatti della vita quotidiana. Ingenui sono coloro che ricercano le
facoltà sovrumane al di fuori dell’ordine. Quando gli apprendisti
stregoni incorrono solo nella rovina intellettuale o morale, è perché
Dio è stato clemente con loro.
* * *
La legge della povertà universale (El-faqru) è dunque un principio islamico. Ciascuno di noi è un povero (faqîr). Siamo tutti dei poveri (foqarâ),
poiché tutti abbiamo bisogno del Creatore o della creazione, il più
sovente di entrambi. Siccome bisogna dare per ricevere, ne consegue che
la grande maledizione consiste nel non poter più fare del bene,
nell’aver perso i propri diritti a esercitare la carità. Quando si dà,
occorre dare con modestia maggiore di quella del mendicante che riceve
l’elemosina dalle vostre mani.
È soprattutto per la sua concezione della
realtà collettiva che l’Islam si particolarizza in modo definitivo fra
tutte le religioni, civiltà o filosofie. Tutti gli illuminati sanno che
la realtà collettiva è una finzione. Gli illuminati musulmani lo sanno
quanto gli altri, se non meglio. Tuttavia, nell’intento di seguire il
Profeta, non ci si ritira nel deserto, ma si finge di prendere il mondo
sul serio. Un hadîth dice che bisogna lavorare per questo mondo
come se pensassimo vivere mille anni, e che tuttavia bisogna lavorare
per l’altro mondo come se credessimo morire domani. La dottrina
dell’identità e dell’unità è più sviluppata nell’Islam che altrove. La
sua preziosa qualità d’essere esoterico ed exoterico proviene
soprattutto dalla sua concezione della realtà collettiva quale agente
indispensabile alla trasformazione della realtà personale
nell’Universalità umana o realtà profetica. Il Cristianesimo e il
Buddismo respingono con orrore o disprezzo la realtà collettiva per fare
l’Uomo universale in una piccola quiete. Sono diversi dall’Islam
qualitativamente e psicologicamente. L’Islam si distingue
quantitativamente dal Brahmanesimo esoterico, poiché è più esteso. Il
Brahmanesimo è solo locale, perlomeno dal punto di vista pratico, mentre
l’Islam è universale. Differisce dal positivismo anti-dottrinario dal
punto di vista formalista e metafisico. Esso è in opposizione diretta
alla filosofia tedesca, la quale, per aver confuso la feudalità con
l’aristocrazia, ha completamente falsato l’idea di governo. Dappertutto,
tranne che in Germania, la responsabilità è la misura della nobiltà:
più si è nobili, più si è responsabili, e viceversa. La Shariyah
giudica più severamente il crimine dell’uomo libero e del nobile che
quello dello schiavo o dell’ignorante. Sfortunatamente, la feudalità
cerca un po’ dappertutto d’assicurarsi l’impunità; ma almeno la si
distingue dalla nobiltà, mentre in Germania la feudalità è la sola
condizione d’aristocrazia. Il più forte non è tenuto a nulla nei
confronti di chi la sorte avversa ha messo in una condizione
d’inferiorità rispetto a lui.
D’altra parte, l’Islam presenta similitudini
e punti di contatto con la maggioranza delle forme religiose o
d’organizzazione sociale. Non è tuttavia né una religione mista, né una
religione nuova. Il Profeta dice espressamente di non aver inventato
nulla in fatto di dogmi o di leggi. Egli ha ripristinato la fede antica e
primitiva. Per questo motivo vi sono tante somiglianze tra il Taoismo e
l’Islam. Non sono io ad arrischiare tale affermazione, ma gli autori
celebri dell’Islamismo in Cina. Il Taoismo differisce dall’Islam solo
per il fatto d’essere esclusivamente esoterico, mentre l’Islam è
esoterico ed exoterico. Per questo l’uno può fare propaganda per le sue
dottrine, l’altro no. L’Islam conosce sia il neofitismo sia l’adeptato,
mentre il Tao non può riconoscere che la seconda di queste due forme
d’espansione.
* Abdul-Hâdî, L’Universalité en l’Islam, La Gnose,
nº 4, aprile 1911. La traduzione, forse poco scorrevole, è volutamente
letterale per cercare di riprodurre lo stile dell’autore [N.d.T.].
Tratto da: https://letteraespirito.wordpress.com/abdul-hadi-luniversalita-nellislam/
1. L’autore si riferisce al suo articolo Pages dédiées au soleil, Sahâïf Shamsiyah, La Gnose, nº 2, febbraio 1911, che prevediamo di pubblicare in uno dei prossimi numeri della rivista [N.d.T.].
2. Vedere Yi-King, interpretato da Philastre: vol. I, p. 138; il 6° Kua; Song, § 150.
«La parola destino designa la vera ragion
d’essere delle cose; mancare all’esatta ragion d’essere delle cose
costituisce quel che si dice “contrariare il destino”; anche la
sottomissione al destino è considerata come un ritorno. Contrariare, è
non conformarsi con sottomissione» (Commentario tradizionale di Tsheng).
«Il destino, o mandato celeste, è la vera e retta ragion d’essere d’ogni cosa» (Commentario intitolato: Senso primitivo).
Aggiungo che in cinese i Musulmani sono chiamati “Hweï-hweï”, coloro che ritornano, obbedienti, al loro destino. La tradizione islamica dice che Allah
richiama a Lui tutte le cose, affinché esse volenti o nolenti vengano.
Nulla può sfuggire a quest’appello. È per questa ragione che tutto, in
un senso generale, è musulmano. Gli esseri umani che vengono a Lui di
buon grado, si chiamano musulmani in un senso più stretto. Gli uomini
che non vengono a Lui, ossia coloro che non seguono il loro destino se
non per forza, loro malgrado, sono gli infedeli.
3. Vedere La Gnose, 2ª annata, nº 2, pag. 65.
4. Secondo un hadîth, la vita è organizzata secondo la legge del taglione.
5. La Gnose, nº 2, febbraio 1911, p. 64, e nº 3, p. 111 (errata del nº 2). – L’autore si riferisce al suo articolo Pages dédiées au soleil, Sahâïf Shamsiyah [N.d.T.].
6. Alif, Lam, Ha [N.d.T.].
7. 36 e 66 sono i rispettivi valori numerici [N.d.T.].
8. Non parlo della
tesi ibseniana: vivere la propria vita. Coloro che non osano, che
mercanteggiano il loro piacere, sono troppo impreparati per rivolgere
loro una parola esoterica. Ibsen, Tolstoj, Nietzsche, ecc., sono
rispettabilissime persone, non dico il contrario, ma non hanno alcun
valore tradizionale. Moralisti con influenza locale, non ci possono
interessare che come piccoli profeti di provincia.
9. Passo gergale “il a déjà son ciel à lui”, che rendiamo in modo letterale.
10. La tradizione
musulmana dice che gli animali selvatici cominciarono a fuggire l’uomo
solo dopo il fratricidio di Caino. Prima di questo avvenimento,
cercavano la sua prossimità per rassicurarsi e proteggersi nella grande
pace che emanava da lui.
11. Ogni crimine impersonale o anonimo è, a priori, un crimine collettivo.
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