Monoteismo e angelologia *
* Études Traditionnelles,
ottobre-novembre 1946. (Rivista di Studi Tradizionali n. 8)
Quanto abbiamo detto in altri nostri studi
permette di capire di quale natura sia l’errore che può dare origine al
politeismo: quest’ultimo, che non è dopo tutto se non il caso più spinto di
«associazione»[1], consiste
nell’ammettere una pluralità di principi considerati completamente
indipendenti, mentre invece non sono e non possono essere in realtà che aspetti
più o meno secondari del Principio supremo.
È evidente che non si può trattare
che della conseguenza di un’incomprensione di talune verità tradizionali, e
precisamente di quelle che si riferiscono agli aspetti, o attributi, divini:
simile incomprensione è sempre possibile in individui isolati e più o meno numerosi, ma la sua generalizzazione, che
corrisponde allo stato di degenerazione estrema di una forma tradizionale in
procinto di scomparire, è stata senza alcun dubbio molto più rara di quanto
abitualmente si crede. Comunque sia, nessuna tradizione può essere in se stessa
politeista; postulare un politeismo all’origine, secondo le prospettive «evoluzionistiche»
della maggioranza dei moderni, invece di vedervi semplicemente quella
deviazione di cui si tratta di fatto, significa
rovesciare ogni ordine normale. Qualunque vera tradizione è essenzialmente
monoteista; per usare un linguaggio più preciso, ogni tradizione afferma
innanzi tutto l’unità del Principio supremo[2], da cui tutto deriva e da cui tutto dipende integralmente,
ed è questa affermazione, nell’espressione che riveste specialmente nelle
tradizioni a forma religiosa, a costituire il monoteismo propriamente detto;
con la riserva di questa spiegazione, necessaria ad evitare ogni confusione di
prospettive, possiamo però di fatto estendere senza inconvenienti il
significato del termine monoteismo e applicarlo a ogni affermazione dell’unità
principiale. Ma si badi che quando diciamo che è necessariamente il monoteismo ad essere esistito all’origine, è per noi ovvio che ciò non
ha niente di comune con l’ipotesi d’una pretesa «semplicità primitiva» che non
è indubbiamente mai esistita[3]; a
evitare ogni equivoco in proposito, è sufficiente considerare che il monoteismo
può includere tutti i possibili sviluppi sulla molteplicità degli attributi
divini, e inoltre tener presente che l’angelologia, la quale è strettamente
legata alla considerazione degli attributi, come abbiamo detto in precedenza,
occupa effettivamente un posto importante nelle forme tradizionali in cui il
monoteismo si afferma nel modo più esplicito e rigoroso. Non sussiste dunque a
ciò nessuna incompatibilità, e la stessa invocazione degli angeli, a condizione
che essi siano tenuti unicamente in conto di «intermediari celesti», vale a
dire considerati come rappresentanti o esprimenti questo
o quell’aspetto divino nell’ordine della manifestazione informale, è
perfettamente legittima e normale nell’ambito del monoteismo più rigoroso.
A tal proposito dobbiamo segnalare alcuni abusi della
prospettiva «storica», o sedicente tale, così cara a tanti nostri
contemporanei; in primo luogo intendiamo riferirci alla teoria dei «prestiti»
di cui già ci toccò parlare in diverse altre
occasioni. Abbiamo effettivamente visto piuttosto sovente degli autori
sostenere, ad esempio, che gli Ebrei, non conoscendo l’angelologia prima della
cattività babilonese, dovettero averla semplicemente copiata dai Caldei; altri
ne conosciamo i quali sostengono che qualsiasi angelologia, dovunque s’incontri, trae invariabilmente le sue origini dal
Mazdeismo. È chiaro tuttavia che asserzioni di questo genere presuppongono
implicitamente che non si tratti d’altro che di semplici «idee», nel senso
moderno e psicologico della parola, o di concezioni senza alcun fondamento
reale, mentre per noi, come per chiunque si ponga da un angolo visuale
tradizionale, si tratta al contrario della conoscenza di un determinato ordine
di realtà; non si riesce assolutamente a capire perché tale conoscenza dovrebbe
essere stata «presa a prestito» da una all’altra dottrina, mentre è
perfettamente concepibile che essa sia, in modo uguale e con la stessa
validità, parte integrante sia dell’una che dell’altra,
entrambe essendo espressioni di una sola e medesima verità. Conoscenze
equivalenti possono, e anzi devono, ritrovarsi dappertutto; e per conoscenze
che si equivalgono noi intendiamo conoscenze identiche
nel fondo, ma presentate ed espresse in modi diversi per adattarsi alla
particolare costituzione di questa o di quella forma tradizionale[4]. In
questo senso si può dire che l’angelologia, o ciò che le è equivalente, quale
che sia il nome con cui verrà secondo i casi designato,
esiste in tutte le tradizioni; per fornire un esempio è sufficiente ricordare
che nella tradizione indù i Dêva sono
in realtà l’equivalente esatto degli angeli nelle tradizioni ebraica cristiana
e islamica. In ogni caso non sarà inutile ripetere che ciò di cui stiamo
trattando può venir definito come la parte di una
dottrina tradizionale che si riferisce agli stati non formali, o
superindividuali, della manifestazione, sia in modo esclusivamente teorico, sia
in previsione di una effettiva realizzazione di questi stati stessi[5]. È
evidente che si tratta di qualcosa che non ha, in sé, la minima relazione con qualsivoglia politeismo, anche se il politeismo, come
abbiamo detto, può essere il risultato della sua incomprensione; sennonché,
quando coloro che credono nell’esistenza di tradizioni politeiste parlano di
«prestiti», come quelli di cui abbiamo dato testé qualche esempio, sembrano
invece con ciò voler suggerire che l’angelologia non sarebbe che una
«contaminazione» del politeismo nel monoteismo stesso! Come dire che, giacché l’idolatria
può nascere da una incomprensione di certi simboli, il
simbolismo non è che una derivazione dell’idolatria; tutto sommato si
tratterebbe di un caso del tutto simile, e pensiamo che questo paragone sia
pienamente sufficiente a fare apparire l’assurdità intrinseca di un tal modo di
affrontare la questione.
A conclusione di queste osservazioni, destinate a completare
il presente studio, citeremo un passo di Jacob Boehme, il quale, nella
terminologia che gli è propria e in una forma forse un po’ oscura come spesso
gli capita, ci pare esprimere correttamente le relazioni degli angeli con gli
aspetti divini: «La creazione degli angeli ha un inizio, ma le forze dalle
quali essi furono creati non ha mai conosciuto inizio, bensì esse assistevano
alla nascita dall’eterno principio... Essi promanano dal Verbo rivelato, dalla
natura eterna, tenebrosa, ignea e luminosa, dal desiderio della rivelazione
divina, e furono trasformati in immagini “creaturate” (vale a dire scomposte in
creature isolate)»[6].
Sempre Boehme, altrove, dice: «Ogni principe angelico è una proprietà uscita
dalla voce di Dio, e porta il gran nome di Dio»[7]. A.K. Coomaraswamy, citando quest’ultima frase e accostandola
a diversi testi riferentisi agli Dei, tanto nella tradizione greca quanto nella
tradizione indù, aggiunge queste parole che si accordano completamente con
quanto stiamo esponendo: «Ci occorre appena dire che simile molteplicità di Dei
non è un politeismo, poiché essi tutti sono i sudditi angelici della Deità
suprema da cui traggono la loro origine e nel quale, come così spesso viene
ricordato, ritornano uno solo»[8].
[1] Vi è
«associazione» quando si ammette che qualche cosa all’infuori del Principio,
non importa di che genere, possieda una esistenza che
gli appartiene in proprio; ovviamente, però, da ciò al politeismo propriamente
detto possono esistere molteplici gradazioni.
[2]
Quando si tratta veramente del Principio supremo
occorrerebbe, a stretto rigore, parlare di «non dualità», giacché l’unità, che
ne è del resto un’immediata conseguenza, si situa soltanto al livello
dell’Essere; sennonché questa distinzione, pur avendo la più grande importanza
secondo la prospettiva metafisica, non intacca minimamente il valore di quanto
abbiamo qui espresso, e come possiamo generalizzare il senso del vocabolo
«monoteismo», così possiamo pure e in modo correlativo, a semplificazione del
linguaggio, parlare soltanto di unità del Principio.
[3] Cfr. Le
Règne de la Quantité et les Signes des Temps, cap. XI. È alquanto
difficile capire, inoltre, come qualcuno possa credere contemporaneamente in
una «semplicità primitiva» e nel politeismo
originario, e la cosa tuttavia succede; ecco un altro esempio caratteristico
delle innumerevoli contraddizioni della mentalità moderna.
[4]
Facemmo altrove allusione alla relazione che esiste tra l’angelologia e le
lingue sacre delle diverse tradizioni; si tratta di un esempio tipico
dell’adattamento di cui stiamo dicendo.
[5] Come
esempio del primo caso si può citare la parte della teologia cristiana che ha
attinenza con gli angeli (del resto, e più generalmente, l’exoterismo non può
ovviamente porsi, a questo proposito, che dal solo punto di visto teorico), e
come esempio del secondo, la «Cabbala pratica» nella
tradizione ebraica.
[6] Mysterium
Magnum, VIII, 1.
[7] De Signatura Rerum, XVI, 5. Quanto alla prima creazione o «uscita
dalla voce di Dio», confrontare Considerazioni
sulla Via iniziatica, cap. XLVII.
[8] «What
is Civilization?» in Albert
Schweitzer Festschrift. A.K. Coomaraswamy
ricorda anche al proposito l’identificazione fatta da Filone degli angeli con
le «Idee» intese nel senso platonico, vale a dire con le «Ragioni Eterne»
contenute nell’intelletto divino, o, secondo il linguaggio della teologia
cristiana, nel Verbo considerato quale «luogo dei possibili».
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