"…la dottrina è infallibile, è a causa del fatto che essa è un’espressione della verità, la quale, in se stessa, è assolutamente indipendente dagli individui che la ricevono e che la comprendono. La garanzia della dottrina risiede in definitiva nel suo carattere «non-umano»". René Guénon, Considerazioni sull’iniziazione, cap. "Sull’infallibilità tradizionale"

sabato 7 febbraio 2015

René Guénon, Forme tradizionali e cicli cosmici - cap. Qabbalah

René Guénon
Forme tradizionali e cicli cosmici
 

Qabbalah[1]

La parola Qabbalah, in ebraico, non significa altro che «tradizione», nel senso più ampio; e per quanto il più delle volte, essa designi la tradizione esoterica o iniziatica, quando viene usata senza ulteriori specificazioni, si arriva perfino ad applicarla alla tradizione exoterica[2].
Questo termine, di per sé, è dunque suscettibile di designare qualsivoglia tradizione, ma, poiché appartiene alla lingua ebraica, è normale riservarlo, quando ci si serve di un’altra lingua ‑ come abbiamo già rilevato in altre occasioni ‑ alla sola tradizione ebraica, oppure, per esprimersi con maggior precisione, alla forma specificamente ebraica della tradizione.
Se insistiamo in proposito è perché abbiamo constatato in certuni una tendenza a dare un altro significato a questa parola, e a farne la denominazione di un genere speciale di conoscenze tradizionali, di qualsivoglia provenienza, e questo perché essi credono di scoprire nella parola ogni sorta di significati più o meno inverosimili, che d’altronde non le appartengono realmente. Non intendiamo certo perdere il nostro tempo ad annotare tutte queste interpretazioni fantasiose, essendo senz’altro più utile precisare l’autentico, originario significato del termine, ciò che basta ad annullare tutti gli altri; ed è questo che ci proponiamo di fare qui.
La radice QBL, in ebraico e in arabo[3], esprime essenzialmente il rapporto di due cose poste l’una di fronte all’altra; da qui procedono tutti i diversi significati delle parole derivate, come, ad esempio, quelli di incontro e anche di opposizione. Risulta da tale rapporto anche l’idea di un passaggio dall’uno all’altro dei termini contrapposti, per cui si hanno idee come quelle di ricevere, accogliere, accettare, che si esprimono nelle due lingue con il verbo qabal; e di là deriva direttamente qabbalah, che vuol dire propriamente «ciò che è ricevuto» o trasmesso (in latino traditum) dall’uno all’altro. Vediamo allora delinearsi, con l’idea di trasmissione, anche quella di successione; ma è bene rilevare che il senso primo della radice indica un rapporto che può essere tanto simultaneo che successivo, tanto spaziale che temporale. Questa considerazione spiega il duplice significato della preposizione qabal in ebraico e qabl in arabo, che vuol dire, contemporaneamente, «davanti» (cioè «di fronte» nello spazio) e «prima» (nel tempo); ed anche in francese la stretta parentela dei due termini devant e avant, dimostra che esiste tuttora una certa analogia fra queste due diverse modalità, l’una in simultaneità, l’altra in successione. Allo stesso modo, ciò consente di risolvere un’apparente contraddizione: benché l’idea più frequente, quando si tratta di un rapporto temporale, sia qui quella di anteriorità e pertanto si riferisca al passato, tuttavia capita anche che alcuni derivati della medesima radice designino l’avvenire (in arabo mustaqbal, cioè, letteralmente, ciò a cui si va incontro, da istaqbal, «andare incontro»); ma non si dice anche in francese che il passato è prima (avant) di noi e che l’avvenire è davanti (devant) a noi, con espressioni paragonabili a quelle appena menzionate? In definitiva, basta, in ogni caso, che uno dei due termini considerati sia «davanti» o «avanti» l’altro, si tratti poi di una relazione spaziale o di una relazione temporale.
Tutte queste considerazioni possono essere ulteriormente confermate dall’esame di un’altra radice, pure comune all’ebraico e all’arabo, che ha dei significati molto prossimi a quelli appena esaminati, anzi, si potrebbe dire, in gran parte identici, poiché, sebbene il punto di partenza sia nettamente differente, i significati derivati finiscono per ricongiungersi. Si tratta della radice QDM, che esprime in primo luogo l’idea di «precedere» (qadam), da cui tutto ciò che si riferisce non solo ad una anteriorità temporale, ma ad una priorità di qualsivoglia ordine. Così, per le parole derivanti da questa radice, si trovano, oltre ai significati di origine e di antichità (qedem in ebraico, qidm o qidam in arabo), quello di preminenza o di precedenza, ed anche quello di cammino, di progresso o di progressione (in arabo taqaddum)[4]; e anche qui la preposizione qadam in ebraico e qoddâm in arabo ha il duplice significato di «davanti» e di «prima». Ma il senso principale, in questo caso, designa ciò che è primo, sia gerarchicamente che cronologicamente; così, l’idea espressa con maggior frequenza è quella di origine o di primordialità e, per estensione, nell’ordine temporale, di antichità: pertanto, qadmôn in ebraico, qadîm in arabo hanno il significato di «antico» nell’uso corrente, ma, quando si riferiscono al dominio dei principi, devono essere, tradotte con «primordiale»[5].
Ancora a proposito di queste parole, è opportuno segnalare altre considerazioni non prive di interesse: in ebraico, i derivati della radice QDM servono anche a designare l’Oriente, vale a dire le regioni dell’«origine», quelle cioè dove appare il sole nascente (oriens da oriri, da cui discende anche origo in latino), il punto di partenza del cammino diurno del sole; e, nello stesso tempo, è anche il punto che si ha davanti quando ci si «orienta», volgendosi verso il levar del sole[6]. Così, qedem significa anche «Oriente» e qadmôn «orientale»; tuttavia non sarebbe lecito vedere in tali denominazioni l’affermazione della primordialità dell’Oriente, dal punto di vista della storia dell’umanità terrestre, poiché, come spesso abbiamo avuto occasione di dire, l’origine prima della tradizione è nordica, anzi «polare», quindi né orientale né occidentale; d’altronde, la spiegazione che abbiamo appena fornito ci pare esauriente. Aggiungeremo a questo proposito che le questioni di «orientamento» hanno generalmente una notevole importanza nel simbolismo tradizionale e nei riti che si basano su tale simbolismo; esse del resto sono più complesse di quanto si creda e possono dar luogo ad errori, perché esistono, in forme tradizionali diverse, parecchi modi di orientamento differenti. Quando ci si volge verso il sole nascente, come abbiamo appena detto, il Sud è designato come il «lato destro» (yamîn o yaman; vedi il sanscrito dakshina che ha il medesimo significato), e il Nord come il «lato sinistro» (shemôl in ebraico, shimâl in arabo); ma può anche darsi che l’orientamento sia fatto volgendosi verso il sole al meridiano, e allora il punto che si ha davanti non è più l’Oriente, ma il Sud: questo spiega perché, in arabo, il lato Sud, fra le altre denominazioni, ha anche quella di qiblah, e perché l’aggettivo qibli significa «meridionale». Questi ultimi termini ci riportano alla radice QBL; e si sa che la stessa parola qiblah, nell’Islam, designa anche l’orientamento rituale, ed è, in ogni caso, la direzione che si ha davanti. Un altro particolare piuttosto strano è che l’ortografia della parola qiblah è esattamente identica a quella dell’ebraico qabbalah.
A questo punto, ci si potrebbe chiedere: per quale motivo la tradizione, in ebraico, è designata con una parola derivante dalla radice QBL, e non dalla radice QDM? In proposito, si potrebbe esser tentati di dire che, costituendo la tradizione ebraica soltanto una forma secondaria e derivata, ad essa non potrebbe riferirsi una denominazione atta ad evocare l’idea di origine o di primordialità, questa ragione, tuttavia, non ci pare essenziale, poiché, direttamente o indirettamente, ogni tradizione si ricollega alle origini e procede dalla Tradizione primordiale e inoltre abbiamo visto altrove che ogni lingua sacra, compresi l’ebraico e l’arabo, viene considerata come rappresentazione di una certa modalità della lingua primitiva. Il vero motivo, a quanto pare, è che l’idea che qui si deve mettere particolarmente in rilievo è quella di una trasmissione regolare e ininterrotta, idea che, del resto, è anche quella espressa propriamente dalla parola stessa «tradizione», come accennammo all’inizio. Questa trasmissione costituisce la «catena» (shelsheleth in ebraico, silsilah in arabo) che congiunge il presente al passato e che deve perpetuarsi dal presente all’avvenire: è la «catena della tradizione» (shelsheleth ha-qabbalah) o la «catena iniziatica» di cui abbiamo avuto occasione di parlare recentemente. Inoltre essa determina una «direzione» (ritroviamo qui il senso dell’arabo qiblah) che, attraverso la successione dei tempi, orienta il ciclo verso la sua fine e lo ricongiunge all’origine, e che, prolungandosi anche al di là di questi due punti estremi, per il fatto che il suo principio è atemporale e «non umano», lo ricollega armonicamente agli altri cicli. In tal modo concorre a formare con questi una «catena» più estesa, denominata, in talune tradizioni orientali, «la catena dei mondi», dove finisce per integrarsi gradualmente tutto l’ordine della manifestazione universale.



[1] Articolo pubblicato su Le Voile d’Isis, maggio 1933. [N.d.C.]

[2] Quando ciò avviene, possono ingenerarsi equivoci ed errori: ad esempio, sappiamo che taluni hanno preteso di ricollegare il Talmud alla «Cabala», intesa in senso esoterico, mentre, di fatto, il Talmud appartiene si alla «tradizione», ma soltanto nel senso exoterico, religioso, legale.

[3] Richiamiamo l’attenzione sul fatto, di cui forse si sottovaluta l’importanza, che queste due lingue, che hanno in comune la maggior parte delle radici, sono spesso suscettibili di fornire chiarimenti l’una nei confronti dell’altra.

[4] È questa la provenienza della parola qadam, «piede», cioè lo strumento che serve al cammino.

[5] El-insânul-qadîm, cioè l’«Uomo primordiale», è, in arabo, una delle designazioni dell’«Uomo universale» (sinonimo di El-insânul-kâmil, che è, letteralmente, l’«Uomo perfetto» o totale, il quale corrisponde esattamente all’Adam Qadmôn ebraico.


[6] È curioso notare che il Cristo è talvolta chiamato Oriens; questa designazione può senz’altro ricondursi al simbolismo del sole nascente; ma, in virtù del duplice significato appena menzionato, essa può, anzi deve soprattutto accostarsi all’ebraico Elohi Qedem o all’espressione che designa il Verbo come il «Padre dei Giorni», cioè Colui che è prima dei giorni, vale a dire il Principio dei cicli della manifestazione, rappresentati simbolicamente come «giorni» in diverse tradizioni (i «giorni di Brahmâ» nella tradizione indù, i «giorni della creazione» nella Genesi ebraica).

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