Forme tradizionali e cicli cosmici
Qabbalah[1]
La parola Qabbalah, in ebraico, non significa altro che «tradizione»,
nel senso più ampio; e per quanto il più delle volte, essa designi la
tradizione esoterica o iniziatica, quando viene usata senza ulteriori
specificazioni, si arriva perfino ad applicarla alla tradizione exoterica[2].
Questo termine, di per sé, è dunque suscettibile di designare qualsivoglia tradizione, ma, poiché appartiene alla lingua ebraica, è normale riservarlo, quando ci si serve di un’altra lingua ‑ come abbiamo già rilevato in altre occasioni ‑ alla sola tradizione ebraica, oppure, per esprimersi con maggior precisione, alla forma specificamente ebraica della tradizione.
Se insistiamo in proposito
è perché abbiamo constatato in certuni una tendenza a dare un altro significato
a questa parola, e a farne la denominazione di un genere speciale di conoscenze
tradizionali, di qualsivoglia provenienza, e questo perché essi credono di
scoprire nella parola ogni sorta di significati più o meno inverosimili, che
d’altronde non le appartengono realmente. Non intendiamo certo perdere il
nostro tempo ad annotare tutte queste interpretazioni fantasiose, essendo
senz’altro più utile precisare l’autentico, originario significato del termine,
ciò che basta ad annullare tutti gli altri; ed è questo che ci proponiamo di
fare qui.Questo termine, di per sé, è dunque suscettibile di designare qualsivoglia tradizione, ma, poiché appartiene alla lingua ebraica, è normale riservarlo, quando ci si serve di un’altra lingua ‑ come abbiamo già rilevato in altre occasioni ‑ alla sola tradizione ebraica, oppure, per esprimersi con maggior precisione, alla forma specificamente ebraica della tradizione.
La radice QBL, in ebraico e in arabo[3], esprime essenzialmente il rapporto di due cose poste l’una
di fronte all’altra; da qui procedono tutti i diversi significati delle parole
derivate, come, ad esempio, quelli di incontro e anche di opposizione. Risulta da tale rapporto anche l’idea di un passaggio
dall’uno all’altro dei termini contrapposti, per cui si hanno idee come quelle
di ricevere, accogliere, accettare, che si esprimono nelle due lingue con il
verbo qabal; e di là deriva
direttamente qabbalah, che vuol dire
propriamente «ciò che è ricevuto» o trasmesso (in latino traditum) dall’uno all’altro. Vediamo allora delinearsi,
con l’idea di trasmissione, anche quella di successione; ma è bene rilevare che
il senso primo della radice indica un rapporto che può essere tanto simultaneo
che successivo, tanto spaziale che temporale. Questa considerazione spiega il
duplice significato della preposizione qabal
in ebraico e qabl in arabo, che vuol
dire, contemporaneamente, «davanti» (cioè «di fronte» nello spazio) e «prima»
(nel tempo); ed anche in francese la stretta parentela dei due termini devant e avant, dimostra che esiste tuttora una certa analogia fra queste
due diverse modalità, l’una in simultaneità, l’altra
in successione. Allo stesso modo, ciò consente di risolvere un’apparente
contraddizione: benché l’idea più frequente, quando si tratta di un rapporto
temporale, sia qui quella di anteriorità e pertanto si riferisca al passato, tuttavia capita anche che alcuni derivati della medesima
radice designino l’avvenire (in arabo mustaqbal,
cioè, letteralmente, ciò a cui si va incontro, da istaqbal, «andare incontro»); ma non si dice anche in francese che
il passato è prima (avant) di noi e
che l’avvenire è davanti (devant) a
noi, con espressioni paragonabili a quelle appena menzionate? In definitiva,
basta, in ogni caso, che uno dei due termini considerati sia «davanti» o «avanti» l’altro, si tratti poi di una relazione spaziale o
di una relazione temporale.
Tutte queste considerazioni possono essere ulteriormente
confermate dall’esame di un’altra radice, pure comune all’ebraico e all’arabo,
che ha dei significati molto prossimi a quelli appena esaminati, anzi, si
potrebbe dire, in gran parte identici, poiché, sebbene il punto di partenza sia
nettamente differente, i significati derivati finiscono per ricongiungersi. Si
tratta della radice QDM, che esprime in primo luogo l’idea di «precedere» (qadam), da cui tutto ciò che si
riferisce non solo ad una anteriorità temporale, ma ad
una priorità di qualsivoglia ordine. Così, per le parole derivanti da questa
radice, si trovano, oltre ai significati di origine e
di antichità (qedem in ebraico, qidm o qidam in arabo), quello di preminenza o di precedenza, ed anche
quello di cammino, di progresso o di progressione (in arabo taqaddum)[4]; e anche qui la preposizione qadam in ebraico e qoddâm
in arabo ha il duplice significato di «davanti» e di «prima». Ma il senso
principale, in questo caso, designa ciò che è primo, sia gerarchicamente che cronologicamente; così, l’idea espressa con maggior
frequenza è quella di origine o di primordialità e, per estensione, nell’ordine
temporale, di antichità: pertanto, qadmôn
in ebraico, qadîm in arabo hanno il
significato di «antico» nell’uso corrente, ma, quando si riferiscono al dominio
dei principi, devono essere, tradotte con «primordiale»[5].
Ancora a proposito di queste parole, è opportuno segnalare
altre considerazioni non prive di interesse: in
ebraico, i derivati della radice QDM servono anche a designare l’Oriente, vale
a dire le regioni dell’«origine», quelle cioè dove appare il sole nascente (oriens da oriri, da cui discende anche origo
in latino), il punto di partenza del cammino diurno del sole; e, nello stesso
tempo, è anche il punto che si ha davanti quando ci si «orienta», volgendosi
verso il levar del sole[6].
Così, qedem significa anche «Oriente»
e qadmôn «orientale»; tuttavia non
sarebbe lecito vedere in tali denominazioni l’affermazione della primordialità
dell’Oriente, dal punto di vista della storia dell’umanità
terrestre, poiché, come spesso abbiamo avuto occasione di dire, l’origine prima
della tradizione è nordica, anzi «polare», quindi né orientale né occidentale;
d’altronde, la spiegazione che abbiamo appena fornito ci pare esauriente.
Aggiungeremo a questo proposito che le questioni di «orientamento» hanno
generalmente una notevole importanza nel simbolismo tradizionale e nei riti che
si basano su tale simbolismo; esse del resto sono più complesse di quanto si
creda e possono dar luogo ad errori, perché esistono,
in forme tradizionali diverse, parecchi modi di orientamento differenti. Quando
ci si volge verso il sole nascente, come abbiamo appena detto, il Sud è
designato come il «lato destro» (yamîn
o yaman; vedi il sanscrito dakshina che ha il medesimo
significato), e il Nord come il «lato sinistro» (shemôl in ebraico, shimâl
in arabo); ma può anche darsi che l’orientamento sia fatto volgendosi verso il
sole al meridiano, e allora il punto che si ha davanti non è più l’Oriente, ma
il Sud: questo spiega perché, in arabo, il lato Sud, fra le altre
denominazioni, ha anche quella di qiblah,
e perché l’aggettivo qibli significa «meridionale». Questi ultimi termini ci riportano alla
radice QBL; e si sa che la stessa parola qiblah,
nell’Islam, designa anche l’orientamento rituale, ed è, in ogni caso, la
direzione che si ha davanti. Un altro particolare piuttosto strano è che
l’ortografia della parola qiblah
è esattamente identica a quella dell’ebraico qabbalah.
A questo punto, ci si potrebbe chiedere: per quale motivo la
tradizione, in ebraico, è designata con una parola derivante
dalla radice QBL, e non dalla radice QDM? In proposito, si potrebbe esser
tentati di dire che, costituendo la tradizione ebraica soltanto una forma
secondaria e derivata, ad essa non potrebbe riferirsi
una denominazione atta ad evocare l’idea di origine o di primordialità, questa
ragione, tuttavia, non ci pare essenziale, poiché, direttamente o
indirettamente, ogni tradizione si ricollega alle origini e procede dalla
Tradizione primordiale e inoltre abbiamo visto altrove che ogni lingua sacra,
compresi l’ebraico e l’arabo, viene considerata come rappresentazione di una
certa modalità della lingua primitiva. Il vero motivo, a quanto pare, è che
l’idea che qui si deve mettere particolarmente in rilievo
è quella di una trasmissione regolare e ininterrotta, idea che, del resto, è
anche quella espressa propriamente dalla parola stessa «tradizione», come
accennammo all’inizio. Questa trasmissione costituisce la «catena» (shelsheleth in ebraico, silsilah in arabo) che congiunge il
presente al passato e che deve perpetuarsi dal presente all’avvenire: è la
«catena della tradizione» (shelsheleth
ha-qabbalah) o la «catena iniziatica» di cui
abbiamo avuto occasione di parlare recentemente. Inoltre essa determina una
«direzione» (ritroviamo qui il senso dell’arabo qiblah) che, attraverso la successione dei tempi, orienta il ciclo
verso la sua fine e lo ricongiunge all’origine, e che, prolungandosi anche al di là di questi due punti estremi, per il fatto che il
suo principio è atemporale e «non umano», lo ricollega armonicamente agli altri
cicli. In tal modo concorre a formare con questi una «catena» più estesa,
denominata, in talune tradizioni orientali, «la catena
dei mondi», dove finisce per integrarsi gradualmente tutto l’ordine della
manifestazione universale.
[1] Articolo pubblicato su Le Voile d’Isis, maggio 1933. [N.d.C.]
[2] Quando ciò avviene, possono ingenerarsi equivoci ed
errori: ad esempio, sappiamo che taluni hanno preteso di ricollegare il Talmud alla «Cabala», intesa in senso
esoterico, mentre, di fatto, il Talmud
appartiene si alla «tradizione», ma soltanto nel senso
exoterico, religioso, legale.
[3] Richiamiamo l’attenzione sul fatto, di cui forse si
sottovaluta l’importanza, che queste due lingue, che hanno in comune la maggior
parte delle radici, sono spesso suscettibili di fornire chiarimenti l’una nei
confronti dell’altra.
[4] È questa la provenienza della parola qadam, «piede»,
cioè lo strumento che serve al cammino.
[5] El-insânul-qadîm,
cioè l’«Uomo primordiale», è, in arabo, una delle designazioni dell’«Uomo
universale» (sinonimo di El-insânul-kâmil,
che è, letteralmente, l’«Uomo perfetto» o totale, il quale corrisponde
esattamente all’Adam Qadmôn ebraico.
[6] È curioso notare che il Cristo è talvolta chiamato Oriens; questa designazione può
senz’altro ricondursi al simbolismo del sole nascente; ma, in virtù del duplice
significato appena menzionato, essa può, anzi deve soprattutto accostarsi
all’ebraico Elohi Qedem o
all’espressione che designa il Verbo come il «Padre dei Giorni», cioè Colui che è prima dei giorni, vale a dire il Principio dei
cicli della manifestazione, rappresentati simbolicamente come «giorni» in
diverse tradizioni (i «giorni di Brahmâ» nella tradizione indù, i «giorni della
creazione» nella Genesi ebraica).
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