"…la dottrina è infallibile, è a causa del fatto che essa è un’espressione della verità, la quale, in se stessa, è assolutamente indipendente dagli individui che la ricevono e che la comprendono. La garanzia della dottrina risiede in definitiva nel suo carattere «non-umano»". René Guénon, Considerazioni sull’iniziazione, cap. "Sull’infallibilità tradizionale"

domenica 15 febbraio 2015

Max Giraud, A proposito de «Le Livre noir de la psychanalyse»

Max Giraud
A proposito de «Le Livre noir de la psychanalyse»*

La recente pubblicazione di questo libro (sotto la direzione di Catherine Meyer, Éditions des Arènes, Parigi, 2005, 831 pagine) ci dà l’opportunità di ritornare su un soggetto che René Guénon ha affrontato nel suo insegnamento: quello dei “misfatti della psicanalisi” [1].
Quest’opera, quantitativamente imponente, è il frutto della collaborazione di quaranta autori presentati come parte, nei rispettivi campi, dei migliori specialisti al mondo: storici, filosofi, psicologi, medici, ricercatori. Sono stati utilizzati anche alcuni “pazienti”. Molti di loro hanno “creduto”, a un certo punto della loro vita, nella psicanalisi, e l’hanno talvolta applicata in modo professionale, il che significa che hanno personalmente subito un’analisi, in conformità alle regole generalmente osservate dalla professione. Si tratta quindi d’uno studio condotto in gran parte “dall’interno” e, anche quando non è il caso, non si può certo sospettare i suoi collaboratori di mancare d’informazioni sul soggetto trattato. Alcuni tuttavia non hanno mancato d’accusare gli autori d’appartenere a una “scuola” rivale della psicanalisi, il che rimetterebbe in discussione la loro imparzialità e disinteresse [2].
Il libro è stato accolto malissimo, in Francia almeno, dagli psicanalisti con un loro studio, che hanno sviluppato nei suoi confronti un’aggressività proporzionata al colpo loro inflitto. Questi ultimi erano appena riusciti a far ritirare, dal ministro della salute, un rapporto dell’INSERM (Istituto Nazionale della Salute e della Ricerca Medica) dal titolo: “Tre terapie valutate” (febbraio 2005), che era stato commissionato dai propri servizi, poi validato in un primo momento, e infine pubblicato sul sito del ministero [3]. Questa inchiesta metteva in discussione, in modo misurato, l’efficacia terapeutica del trattamento psicanalitico. Questo è stato sufficiente perché venisse nascosta alla conoscenza del pubblico, il che spinge a interrogarsi sul potere del “gruppo di pressione” psicanalitico [4]. In qualche modo, Le Livre noir de la psychanalyse risponde a quel che i suoi autori ritengono, non senza ragione, una “censura”, metodo che, si sa, produce raramente, soprattutto nel nostro tempo, gli effetti previsti.
Quest’opera, per le sue intenzioni, si situa molto lontana dalle preoccupazioni che avevano René Guénon e altri autori tradizionali [5] quando affrontarono la questione; tuttavia il suo interesse non è trascurabile sotto molti aspetti, poiché smantella in modo efficace i meccanismi d’una incredibile impresa di suggestione che è riuscita, a partire da teorie francamente grossolane, deboli e malsane, a conquistare tutti gli strati d’una società che si vuole “moderna”, “avveduta” e “evoluta”. Gli articoli ben documentati che lo costituiscono, sebbene spesso ispirati da una mentalità molto lontana dalla Tradizione, ci offrono tuttavia molti indizi che permettono di situare l’origine, i metodi e la finalità della psicanalisi. Possano altre opere contribuire ad abbattere altri “dogmi” intoccabili che costituiscono i “pilastri” delle “credenze” del mondo moderno! Detto questo, non ci facciamo troppe illusioni riguardo alle “dottrine” e “metodi” che prenderanno il posto di quelle che si potrebbe così distruggere. Ma, nel caso proprio della psicanalisi, vi è un particolare interesse a dissuadere coloro che, a volte per pura ignoranza, si lasciano intrappolare dalle sue attrattive e s’impegnano in questa via, poiché questa pratica rischia di segnarli con una “macchia indelebile” [6], e impedire loro di sviluppare certe possibilità spirituali nel corso della loro vita attuale [7].
Ci è parso interessante non limitarci a una recensione troppo succinta di quest’opera, ma piuttosto di presentarne una sintesi abbastanza lunga, che, speriamo, possa spingere altri a leggerlo interamente. Siccome è diviso in cinque parti, seguiremo questa suddivisione riprendendo i titoli delle sue parti.
La faccia nascosta della storia freudiana
I contributi raccolti sotto questo titolo (pp. 19-144) sollevano delle questioni fondamentali: gli elementi sperimentali dati da Freud per sostenere le sue teorie sono affidabili? Il fondatore di quella che fu presentata come una scienza rivoluzionaria all’epoca era onesto, sincero, probo e disinteressato come amano farlo credere i suoi sostenitori? Per rispondere col massimo di precisione a questi interrogativi, i relatori hanno attinto a una notevole quantità di documenti che sono stati accuratamente confrontati. Si tratta precisamente degli scritti ufficiali di Freud, della sua corrispondenza privata, alquanto varia e abbondante, delle lettere o scritti di coloro che hanno avuto a che fare, professionalmente o no, con il “Doktor” viennese. Si presentano, inoltre, i risultati d’indagini lunghe e difficili che hanno permesso, grazie a dei lavori degni dei “detective” più ostinati, di ritrovare e far parlare i primi pazienti di Freud i cui veri nomi sono stati, per quanto possibile, tenuti segreti.
La conclusione è inequivocabile: la psicanalisi è nata nella menzogna più spudorata, menzogna sulle reali motivazioni del fondatore, menzogna sull’elaborazione della sua teoria, menzogna sui risultati della sua pratica – che in questo caso sono strettamente legati alla teoria –, e menzogna dell’ambiente psicanalitico che, per tutta una serie di ragioni, ha “coperto”, attivamente o passivamente, una serie incredibile di frodi. Questo ambiente, che imperversa ancora, non merita neppure il beneficio del dubbio, giacché conosce da abbastanza tempo i rimproveri che sono stati rivolti a Freud e alla psicanalisi in generale, e non può non aver costatato l’esattezza della maggior parte delle critiche, sulla forma come sulla sostanza, nella pratica stessa di questa “disciplina”. Entriamo nei dettagli.
Si ricorda innanzitutto scientemente (cfr. pp. 21-24) che proprio all’inizio della sua pratica terapeutica, Freud, che aveva seguito a Parigi le lezioni di Jean-Martin Charcot, all’epoca «Gran Maestro dell’isteria e dell’ipnotismo», utilizzava un metodo detto “catartico” messo a punto da uno dei suoi amici, Josef Breuer. Egli pretendeva di guarire l’isteria con questo, facendo raccontare al paziente (talking cure), sotto ipnosi, gli incidenti traumatici supposti essere all’origine dei suoi problemi. Il semplice fatto di far così rivivere questi eventi “traumatici” e “rimossi”, di cui le crisi erano “reminiscenze inconsce”, avrebbe dovuto portare alla guarigione. Ben presto Breuer si separò dal suo collega poiché non apprezzava la piega sempre più solo “sessuale” che prendevano le interpretazioni di Freud. Quest’ultimo abbandonò poi l’ipnosi per mettersi ad ascoltare l’“inconscio” dei suoi pazienti sul famigerato “divano”. Fu sedotto – è il caso di dirlo! – dalla teoria della “seduzione” che consiste nell’affermare che i traumi mentali provengono spesso da violenze sessuali, soprattutto incestuose, nella prima infanzia. Il peggio è che con il nuovo metodo era riuscito a ottenere, dai pazienti soprattutto, delle confessioni che andavano in quella direzione. Purtroppo per lui, si verificò rapidamente che questi racconti erano infondati (cfr. p. 22)! [8]. Fu in quel momento ch’egli praticò questa famosa “autoanalisi” [9] dove, affermando il superamento delle proprie resistenze interne, ritenne di divenire consapevole d’avere avuto, nella sua infanzia, dei desideri inconfessati verso sua madre e gelosia verso suo padre. «Ed ecco perché anche tutti i suoi pazienti gli avevano raccontato queste inverosimili storie d’incesti: non si trattava di ricordi, ma di illusioni esprimenti un desiderio infantile d’essere sedotte dal loro padre. Freud, in una volta scopriva la sessualità infantile, il ruolo delle illusioni inconsce nella vita psichica dei nevrotici e l’universalità di quello che più tardi avrebbe chiamato il “complesso di Edipo”» (p. 23). Quando si parla qui d’“universalità”, va intesa in modo ironico, poiché è evidente che la psicanalisi nasce nella soggettività assoluta, riposando sull’esperienza del suo “inventore”: è effettivamente impossibile verificare l’autenticità e il contenuto d’una tale esperienza [10]. Delle ricerche condotte sulle pubblicazioni dell’epoca mostrano chiaramente che l’autoanalisi in questione è tanto il risultato delle letture e dei contatti di Freud quanto d’una esperienza vissuta (cfr. pp. 49-59) [11]. Anche ammettendo la veridicità dell’autoanalisi, questa, per essere diffusa e riconosciuta come “scientifica” [12] – cui aspirava Freud –, avrebbe richiesto la verifica sperimentale della teoria, mediante prove su un insieme significativo di casi. È qui che le cose si guastano! Dalle verifiche e ricerche che abbiamo evocato sopra, emerge che nessun paziente di Freud è stato guarito da alcunché, contrariamente a quel ch’egli affermava spudoratamente nelle sue pubblicazioni!
Non ci soffermeremo sui diversi studi ben documentati che hanno portato molti ricercatori a considerare Freud come un “bugiardo” [13], e a evocare addirittura l’espressione di «Grande Bugiardo» (cfr. p. 179), critica portata anche ad alcuni dei suoi emuli tra i più famosi [14]. Per contro ci interesseremo alla critica pertinente (cfr. pp. 114-120) che è stata fatta di un libro di Freud su Leonardo da Vinci [15], poiché è esemplare e può servire da modello per altri casi. Freud cita un breve racconto d’infanzia dell’artista: «Mi sembra che già in precedenza fossi destinato a occuparmi così a fondo dell’avvoltoio, giacché mi sovviene come un ricordo dei più precoci che ancora nella culla, un avvoltoio è sceso verso di me, m’ha aperto la bocca con la sua coda e, ripetutamente, ha colpito le mie labbra con la coda stessa». Freud, conoscendo una leggenda egiziana che ritiene che l’avvoltoio sia fecondato direttamente, senza un padre, dal vento, particolarità che è servita a certi Padri della Chiesa per spiegare la nascita del Cristo, ne ha tratto la conclusione che Leonardo da Vinci, che aveva indubbiamente letto questi Padri, con questo racconto ci indicasse chiaramente ch’era stato allevato solo dalla madre nei primi anni della sua vita; il suo amore esclusivo verso la madre avrebbe necessariamente fatto di lui un omosessuale, l’assenza del padre e della sua autorità favorendo, per di più, lo sviluppo di certe facoltà artistiche del bambino. Va notato bene che a parte il racconto fornito dallo stesso artista, i suoi biografi non hanno alcun tipo d’informazione seria che possa portare a tali conclusioni. Il problema è «che tutta la costruzione Freud si basava su un errore di traduzione» (p. 116)! L’uccello in questione era un nibbio, che non è altro che un “milan” (in francese). La traduzione tedesca era basata su un lavoro russo in cui la stessa parola korshun indica il nibbio o l’avvoltoio. Un’indagine approfondita (cfr. pp. 117-120) mostra che Freud era perfettamente consapevole dell’errore che aveva commesso e che, di conseguenza sapeva che la sua dimostrazione “simbolica” era completamente falsa, il che non gli ha affatto impedito di mantenere le sue affermazioni fantasiose. Ha dato prova della stessa testardaggine nel caso d’un celebre paziente che aveva visto in sogno degli huskies [16], e che Freud ha chiamato l’“Uomo-lupo”, «il che permetteva una lunga discussione sul ruolo del lupo nel fantasie umane» (p. 193)! Avremo occasione di tornare su questo soggetto.
L’ultimo articolo in questa prima parte, Freud, lucre et abus de faiblesse [Freud, lucro e abuso di debolezza] (pp. 127-144), rimette del tutto in discussione la “leggenda” d’un Freud onesto e disinteressato. Mostra come quest’ultimo prodigasse le sue “cure” solo ai ricchi, prendendo a pretesto cinicamente che il fatto di pagare facesse parte della terapia. Un certo numero di sue “confidenze”, ora rivelate pubblicamente, la dicono lunga sulla mentalità del “buon Doktor”. I suoi clienti, chiamati secondo le circostanze negri «che devono arrivare a proposito per placare l’appetito del leone» (p. 128), pesce d’oro «che ha abboccato all’amo» (p. 133), o rifiuti [17], «proprio adatti per spillar loro del denaro e prenderli come oggetto di studio» (p. 142), erano mantenuti il più a lungo possibile sotto il suo controllo. Considerava che il denaro fosse per lui «come un gas esilarante» (p. 134), e riteneva di buonissimo augurio la sua “penetrazione” negli Stati Uniti, poiché aveva imparato che «il Vecchio Mondo è governato dalla gerarchia mentre il Nuovo lo è dal dollaro» (p. 134). In questo articolo, vi sono prove sufficienti provenienti da Freud stesso da far vacillare le certezze dei più strenui difensori della sua probità. Questo è molto importante, poiché tutta la psicanalisi si basa sul valore del suo inventore, contrariamente alle discipline veramente “scientifiche” dove il valore personale di chi le pratica non ipoteca i risultati del suo lavoro, purché segua i protocolli stabiliti.
Perché la psicanalisi ha avuto così tanto successo?
Gli studi presentati nella seconda parte (pp. 145-299) offrono una varietà d’ipotesi sulle cause del rafforzamento della psicanalisi, e quelle della sua caduta. A ben vedere, tutte queste spiegazioni hanno un fondo di verità. Prima ci sono le tesi che tengono soprattutto conto dei fattori storici favorevoli: decadenza del “Vecchio Mondo” europeo che facilita l’emergere di nuove correnti in tutti i campi, reazioni contro i metodi psichiatrici “aggressivi”, regressione dell’influenza della religione. Come abbiamo detto sopra, Freud, sotto molti aspetti, appare come la “coagulazione” di tendenze dell’ambiente: questo è quello che mostra l’articolo Littérature, cinéma et psychanalyse: un jeu de miroirs [Letteratura, cinema e psicanalisi: un gioco di specchi] (pp. 184-196). La sua qualità di bravo scrittore [18], presentando spesso le sue “scoperte” come il risultato d’indagini degne di Sherlock Holmes [19] c’entra indubbiamente molto nel fatto che Freud sia stato “scelto” specialmente per diffondere in modo efficace queste teorie. Riguardo a quest’ultimo punto, un “dettaglio” simbolico appare come importante (cfr. p. 191): secondo una possibile interpretazione, il suo nome Sigmund [20], in tedesco, significherebbe “bocca vittoriosa”, il che è direttamente collegato alle sue teorie e la sua pratica. Aggiungiamo che è morto, curiosamente, per un cancro alla bocca (cfr. p. 448).
Un breve articolo, Une théorie zéro [Una teoria nulla] (pp. 178-183), pur ammettendo altre spiegazioni al successo della psicanalisi, fa rilevare che questa, in realtà, è una «teoria vuota», vale a dire che comporta una minima affermazione, quella «dell’inconscio, accoppiata alla pretesa degli psicanalisti d’interpretarne i messaggi», minimo che permette tutte le interpretazioni, e la possibilità «di prendere le svolte più inaspettate» (p. 180), e d’adattarsi via via alle circostanze. Questa caratteristica ha il vantaggio d’aiutare a rispondere incessantemente alle obiezioni, e «di far uscire un nuovo coniglio teorico dal cappello inesauribile dell’inconscio» (p. 181). In fondo, la psicanalisi diventa «propriamente irrefutabile giacché può dire ogni cosa e il suo contrario» (p. 181). «Ciò che è dato come un progresso-della-psicanalisi non è mai che l’interpretazione più recente, vale a dire la più accettabile in un dato contesto istituzionale, storico e culturale» (p. 181).
Un altro (pp. 198-214) reputa che l’ascesa della disciplina è dovuta, da una parte al fatto che la professione è “interessante” per i medici, poiché permette d’accumulare rapidamente notevoli profitti (cfr. p. 208), e d’altra parte al fatto che è attraente per i clienti, poiché offre loro un sistema d’interpretazione che permette di rispondere a tutte le loro questioni, al modo d’una religione. Questo metodo è, difatti, uscito dalle applicazioni terapeutiche per imporsi come modo d’“introspezione” [21] e di “conoscenza di sé”. Nel caso della “conoscenza di sé”, si “scimmiotta” peraltro l’insegnamento delle vie iniziatiche tradizionali, poiché il “sé” non è conosciuto che come «un essere – l’inconscio – nascosto dentro di noi e che ci manipola come se fossimo solo burattini» (p. 224). Grande è stata anche la seduzione di un nuovo linguaggio “in codice” riservato, inizialmente, a un’“élite d’iniziati”, e che alla fine è diventato popolare. Come non sorridere di fronte a una tabella che mette a confronto le normali espressioni del linguaggio alla loro traduzione psicanalitica (cfr. p 241):
“Luigi ha immaginato” diventa “Luigi ha fantasticato”;
“Proibizione d’un piacere” diventa “castrazione”;
“Simone ama la mamma” diventa “Simone fa il suo Edipo”;
“Simone disobbedisce al padre” diventa “Simone fa il suo Edipo”;
“Madre affettuosa” diventa “Madre fusionale”;
“Paolo s’arrabbia” diventa “Paolo esteriorizza la sua pulsione di morte”;
“Dimenticare, rinunciare” diventa “mettersi a lutto”;
“Mi chiedo” diventa “Ciò m’interroga o ciò mi riguarda da qualche parte”;
“Paolo beve troppo alcol” diventa “Ciò ha sete da qualche parte”, ecc.
Questo breve richiamo mostra l’estensione dell’influenza dell’espressione psicanalitica nel linguaggio d’oggi.
Diversi articoli (pp. 242-277) cercano di spiegare l’«eccezione francese», e mostrano «come la psicanalisi è salita al potere in Francia» (cfr. p. 243) grazie agli eventi del maggio 1968, e grazie alla bravura, in particolare, di Lacan che, presentendo che questa disciplina, nella sua forma puramente freudiana, avrebbe faticato a imporsi in questo paese, l’ha rivestita d’una forma pseudo-filosofica volutamente oscura (cfr. p. 269). Questo personaggio, la cui presunzione è pari solo al cinismo, riceve, giustamente, un “trattamento di favore” da parte di molti autori. Alcune delle sue “confessioni” pubbliche, scritte o orali – talvolta contraddittorie – avrebbero dovuto scoraggiare i suoi ammiratori ma, purtroppo, il potere dell’illusione è tale che questo non è sufficiente. Abbiamo annotato alcune delle sue “uscite”:
«La psicanalisi, come tutte le attività umane, partecipa incontestabilmente dell’abuso. Si fa come se si sapesse qualcosa» (p. 209).
«La nostra pratica è una truffa, ingannare, stupire le persone, abbagliarle con parole che sono delle vanterie. […] Dal punto di vista etico, la nostra professione è insostenibile; d’altronde è proprio per questo che ne sono malato» (p. 236).
«Credo che [Freud] abbia mancato il colpo. Come me, in pochissimo tempo, tutti se ne infischieranno della psicanalisi» (p. 236).
«È sempre lì, la psicanalisi: buona gamba, buona vista attraverso tutti i suoi imbonimenti e pure gode d’una condizione di salute piuttosto singolare, se si pensa appena a quel che sarebbero le esigenze dello spirito scientifico» (p. 252).
In tutto ciò Lacan aveva un illustre predecessore in Freud stesso che, nel 1937, verso la fine della sua vita (1939) dichiarava che la psicanalisi è “una professione impossibile” – come quella d’educatore o di dirigente –, vale a dire «si è certi in anticipo di risultati insoddisfacenti» (p. 200), parole ben lontane dalla pretesa degli inizi. Lacan, in ogni caso, merita il trattamento speciale a lui riservato, se non altro per le sue teorie sui giochi di parole significanti che sconfina nel più puro ridicolo [22].
Di tutti gli articoli che spiegano il successo della psicanalisi, uno in particolare (pp. 161-183) è suscettibile d’attirare l’attenzione dei lettori di René Guénon. Si presenta come una spiegazione più tecnica dell’espansione e del successo di questa “disciplina”: questa si sarebbe imposta «essenzialmente grazie all’efficacia del suo apparato istituzionale» (p. 163). L’autore ritiene che la psicanalisi non si sarebbe più diffusa di altre teorie, oggi dimenticate, se nel 1902 Freud non avesse avuto l’idea di costituire attorno a sé un gruppo di “discepoli”, «la Società Psicologica del Mercoledì» [23], per influenzare e controllare il movimento che s’internazionalizzò con il rinforzo di Jung e della “scuola” di Zurigo (cfr. p. 169), e con la creazione dell’«Associazione Psicanalitica Internazionale» al congresso a Norimberga nel 1910. Lo stesso Jung suggerì nel 1912 che ogni psicanalista dovesse essere psicanalizzato [24] per avere il diritto d’esercitare la professione, ciò che Freud approvò facilmente poiché ciò gli permetteva, da una parte di mantenere il dominio “dottrinale” sulla “disciplina”, e d’altra parte d’impedire che la “pratica” gli sfuggisse come stava accadendo con numerose iniziative “selvagge”. L’autoanalisi non era più accettata, salvo quella del fondatore, e di qualcuno … [25] Jung, più tardi, quando ruppe con Freud, non mancò di fargli rilevare questa “irregolarità”. Dopo i primi dissensi, Ernest Jones propose a Freud di formare un “Comitato segreto” garante, in qualche modo, dell’“ortodossia” psicanalitica. Questo fu fatto nel 1913. È grazie a questa organizzazione, ci viene detto, che la psicanalisi ha prosperato e ha potuto costituirsi in movimento di tipo settario. Questo soggetto merita alcuni sviluppi che porremo più avanti.
La psicanalisi di fronte ai suoi impasse
L’oggetto principale della terza parte (pp. 302-441) è di dimostrare che la psicanalisi non è né una scienza (nel senso moderno del termine), né una terapia, né uno strumento di conoscenza di sé. I meccanismi di difesa della psicanalisi sono d’altra parte sezionati, al fine di farne emergere il carattere tutto soggettivo; essi appaiono così come un “circolo vizioso”, quanto appropriata è quest’espressione!
Abbiamo già rilevato che la psicanalisi si è sempre presentata come una scienza, ciò cui non può pretendere in alcun modo: «è una pseudoscienza poiché è una teoria di cattiva fede» (p. 304). La malafede appare nelle menzogne del fondatore (cfr. prima parte), e in quelle dei suoi «cani da guardia» il cui «cinismo è disposto a giustificare tutto, anche l’ingiustificabile per preservare la” causa”» (p. 305). Gli argomenti “scientifici” portati al riguardo potrebbero essere riassunti così: mancanza d’obiettività delle teorie, e impossibilità assoluta di verificare i risultati qualunque sia l’obiettivo proposto, terapia o conoscenza di sé.
La teoria è soggettiva poiché dipende solo dall’individualità di colui che la formula: «Ancora prima dell’inizio della psicanalisi, Freud era convinto dell’influenza patogena della sessualità» (p. 326) [26]. Sebbene Le Livre noir sia rimasto cauto sul soggetto, occorre comunque rilevare che certi autori, talvolta psicanalisti, a partire da lettere di Freud abbastanza esplicite, o da contatti con lui, hanno dedotto che suo padre aveva avuto un comportamento particolarmente ignobile con i suoi figli: ne hanno concluso che le teorie freudiane erano il risultato naturale di questo “trauma”. Altri, sempre secondo delle corrispondenze di Freud, hanno fatto rilevare la coincidenza dell’apparizione della psicanalisi con un periodo in cui questi, che aveva appena avuto sei figli ravvicinati, fu costretto a ricorrere a una severa “astinenza” per prevenire ulteriori nascite. Sembrerebbe, in questi casi, come un malato mentale che abbia voluto imporre la sua visione distorta al mondo intero. Si tratta qui di teorie di cui rispondono solo gli autori, ma bisogna ammettere che, venendo da psicanalisti, pongono Freud e la sua “dottrina” in una situazione ambigua. Giusta ricompensa …
I risultati della “cura” psicanalitica, tanto nel dominio terapeutico che in quello della presunta conoscenza di sé, sono inverificabili a causa della suggestione, inevitabile da parte del medico, o dell’autosuggestione del paziente. Se quest’ultimo, sdraiato sul divano, si limitava a chiacchierare indefinitamente praticando la “libera associazione d’idee o di parole” [27], non succedeva niente! Per “guarire” le sue “nevrosi”, o “conoscersi”, occorre che prenda coscienza di certe cose, e quindi occorre che sia orientato direttamente o indirettamente verso queste cose. Nel caso di Freud stesso, sembra che nella pratica fosse «estremamente direttivo, per non dire intimidatorio» (p. 383), a dire dei suoi pazienti, e alla lettura dei suoi appunti personali. «Quando il paziente non era d’accordo con le sue costruzioni, la sua obiezione era interpretata come una resistenza, e, se aveva la sfortuna d’insistere, era puramente e semplicemente licenziato». Che il metodo sia brutale o no, ciò non cambia la situazione: qualunque cosa dica il paziente, lo psicanalista possiede, in anticipo, la griglia di lettura e l’interpretazione “giusta”, quindi la diagnosi che, all’occorrenza, s’identifica al trattamento! Se il paziente è d’accordo con lui, ciò dimostra che la teoria è buona, e se non è d’accordo, è perché ha dei “blocchi” e “rimozioni” che non è stato in grado di superare [28]! La teoria è così sempre verificata: «Testa vinco io, croce perdi tu!» (p. 303). Numerosi autori del Livre noir insistono su questo circolo vizioso che rende la psicanalisi una pseudoscienza ai loro occhi.
Il problema è che ogni “scuola” psicanalitica beneficia di questo gioco di prestigio. Così, ai nostri giorni, «ogni analista o psicoterapeuta produce dei fenomeni specifici alla scuola cui appartiene – dei “significanti” se è lacaniano, degli “auto-difetti” se è kohutiano, dei traumi se è neo-ferencziano, degli archetipi se è junghiano, ecc.» (p. 388) [29]. Per premunirsi contro le opinioni divergenti, Freud ha affermato «che il punto di vista erroneo di qualcuno è dovuto al fatto che non è stato sufficientemente psicanalizzato» [30], il che è una ben strana risposta da parte di qualcuno che non lo è mai stato secondo le regole da lui stesso emanate! Quanto ai criteri che permettono di concludere che una psicanalisi è stata completata, sono rimasti, ancora una volta, solo teorici poiché inverificabili e totalmente soggettivi (cfr. pp. 336-337).
Da parte dei “soggetti” studiati, non si può dire che la situazione sia migliore dal punto di vista dell’autosuggestione: «Questi, lungi dall’essere dei puri oggetti passivi, sono perfettamente consapevoli d’essere osservati, si domandano quel che cerca di dimostrare lo sperimentatore e – peggio ancora! – s’applicano consapevolmente a validare le sue ipotesi, così che non si può mai essere sicuri che i risultati ottenuti non siano degli artefatti del protocollo sperimentale» (p. 388). Freud che interroga, per la sua prima seduta, il famoso Uomo dei topi «sulle ragioni che lo spingono a porre in primo piano dei dati riguardanti la sua vita sessuale», si sente rispondere che «questo è quello che conosce delle [sue] teorie» (p. 390)! Al limite, un paziente appena informato, se conosce la scuola cui appartiene l’analista che intende consultare, può scegliere in anticipo la diagnosi e il trattamento delle sue “nevrosi”!
Le vittime della psicanalisi
Tra le vittime della psicanalisi menzionate nella quarta parte (pp. 443-637), vanno annoverati alcuni casi storici ben noti, ma anche la massa di coloro che sono stati tenuti per anni nella dipendenza di terapie interminabili. Vi sono anche tutti questi genitori colpevolizzati, persuasi che il loro comportamento fosse assolutamente decisivo per l’avvenire psichico dei loro figli, e che possono in ogni momento commettere l’irreparabile. Tra i gravi abusi della psicanalisi vi sono, inoltre, la sua pretesa piuttosto illegittima d’intervenire su patologie “pesanti” come l’autismo e la tossicodipendenza.
«La storia tragica e vera di Orazio Frink, manipolato ai fini della causa» (pp. 445-455) ci racconta la discesa agli inferi d’un giovane intellettuale americano che Freud ha scelto «perché non è ebreo, una particolarità che Freud, che lo è, trova importante per uscire dalla cerchia degl’intellettuali newyorkesi» (cfr. p. 446) [31]. In poche pagine, si passano in rassegna gli stratagemmi del “dottore” viennese per provocare divorzi (cfr. pp. 447-448), suggerire donazioni (cfr. p. 452), e spiegare alla vittima quando va molto male – allucinazioni, deliri, tentativi di suicidio (cfr. p. 450.) –, che ciò proviene da rimozioni e dalla sua resistenza alle diagnosi. Infine, il povero Frink, dopo alcuni internamenti e un secondo divorzio, finirà la sua vita nel rimpianto di aver lasciato la sua prima moglie (cfr. p. 453), e conservando un’idea poco lusinghiera del trattamento di Freud (cfr. p . 454).
La psicanalisi non miete vittime solo tra i pazienti, ma anche tra i medici: «Secondo i calcoli di Elke Mühlleitner, su 149 membri della Società Psicanalitica di Vienna tra il 1902 e il 1938, nove si suicidarono, ossia 1 persona su 17. Come Freud faceva notare a Jung dopo che anche l’assistente di questi, Jakob Honegger, si fu tolto la vita: «Sapete, credo che usiamo un sacco di gente» (p. 460).
Una delle più grandi calamità del nostro tempo è che la psicanalisi ha «fatto il suo debutto nell’ambito dell’educazione: come dobbiamo fare per “costruire” psichicamente, affettivamente, un pupo, un bambino luminoso, senza nevrosi? E, di conseguenza, si abbandona il discorso da esperto a esperto per un discorso destinato al grande pubblico. Lì è il pericolo: ciò che fino a quel momento erano solo delle affermazioni di specialisti comincia a essere ampiamente diffuso. Le idee che erano solo delle ipotesi emerse dalla psicopatologia vengono assestate come verità educative. L’evoluzione degli scritti e degl’interventi radiofonici di Françoise Dolto ne testimoniano» (p. 473). «Ogni attitudine genitoriale, ogni comportamento del bambino è “psicologizzato”, analizzato, decifrato. Finito il buon senso, la spontaneità, diventerà necessario comprendere, decifrare il “senso”» (p. 475). «Nella nostra cultura, quando il bambino “ha un problema”, è perché c’è già sotto qualcosa: gli insegnanti avvertono gli psicologi alla minima demotivazione scolare, i genitori corrono dallo specialista perché aiuti loro figlio ad alimentarsi meglio, ad andare a letto presto, a concentrarsi meglio sui suoi compiti … in breve, a palliare il loro non saper fare educativo» (p. 478). «Non è più il genitore che detiene un potere assoluto, è il bambino stesso che, col suo inconscio, filtra, integra, interpreta tutto quello che fate, un nuovo Grande Fratello è all’opera: l’inconscio del bambino sente tutto, vede tutto, rileva tutto, anche le cose più intime. L’inconscio del bambino alienerà la libertà individuale del genitore che non oserà più essere genitore ma ascolterà ben volentieri i consigli della psicanalisi per non nuocere la sua progenie» (p. 488). «Françoise Dolto non cessa di ripetere: “I genitori hanno tutti i doveri, e nessun diritto, nemmeno quello d’essere amati”» (p. 489). Si passa «dal bambino re al bambino tiranno» (p. 498). «Quante volte ho incontrato dei genitori contrariati per avere un figlio obbediente, un bambino che non pone problemi! “Ci hanno detto che questo è un brutto segno!” Mentre un bambino che grida, offensivo, disobbediente è segno di buona salute!» (p. 491).
Le madri sembrano particolarmente colpite dal biasimo psicanalitico; esse sono «necessariamente colpevoli» (p. 508). Si metteva già molto male per quelle che Freud considerava «come una copia triste dell’uomo»; tra i pochi meriti che riconosceva loro «in un sussulto di generosità [… c’era] l’invenzione della tessitura, attività essenzialmente femminile il cui unico scopo è di creare degli abiti e permettere loro di nascondere» … quello che loro manca per essere uomini, «causa della loro profonda disperazione» (p. 510). «A partire dagli anni 1950-1960, le madri furono considerate dalla psicanalisi come responsabili e colpevoli della schizofrenia o dell’autismo del bambino» (p. 515). L’autismo è peraltro il soggetto di fondo d’un articolo su Bettelheim (pp. 532-548). Questo “grande esperto” viennese, che abbiamo già ricordato a proposito della menzogna, si rivela soprattutto qui come un esperto di truffe di ogni genere: si commiserano le sue vittime che sono ancora e sempre i “cattivi” genitori «responsabili dell’autismo dei loro figli perché li rifiutano» (p. 543) [32].
Va anche detto che i moderni mezzi di comunicazione, che subiscono con una facilità sconcertante le più grossolane suggestioni, «veicolano le tesi freudiane come delle rivelazioni che non possono essere discusse» (p. 475) [33]. L’insegnamento non fa eccezione: «Dalla classe terminale (in filosofia e lettere) agli studi universitari, l’allievo non imparerà che una cosa: soltanto la psicanalisi guarisce i problemi psichici» (p. 478). È in nome di queste certezze che le « teorie psicanalitiche hanno bloccato il trattamento efficace dei tossicomani e contribuito alla morte di migliaia d’individui» (p. 616), il che è giustamente considerato come «una catastrofe sanitaria, ben peggiore di quella del sangue contaminato» (p. 635).
C’è una vita dopo Freud
Noi ci dilungheremo sull’ultima parte dell’opera (pp. 640-819), che contiene soprattutto un appello per delle scienze e trattamenti moderni considerati sostituire vantaggiosamente la psicanalisi: neuroscienze, farmacologie, psicoterapie. Tutto ciò che riguarda la critica della psicanalisi conserva tuttavia dell’interesse. Quanto al resto, ci sembra che vada considerato con la più grande cautela, anche se le soluzioni terapeutiche preconizzate danno l’impressione di presentare rischi inferiori a quelli della psicanalisi. Tuttavia, sembra pericoloso ammettere, almeno per le patologie “pesanti”, che i farmaci, anche se molto sofisticati, non provochino, in alcuni dei loro effetti, degli aspetti negativi difficile da controllare: più ci si allontana dalle risorse tradizionali o “naturali” della medicina, più dobbiamo aspettarci reazioni del mezzo trattato. È vero che essendo la medicina tradizionale diventata inaccessibile alla maggior parte dei malati [34], alcune soluzioni passano oggi per un male minore. Resta nondimeno che lo psichismo è spesso ridotto qui a degli aspetti molto quantitativi, dove la malattia è spesso concepita come la conseguenza d’una debolezza o d’un disturbo principalmente, se non unicamente, somatico.
Nei trattamenti d’ordine più direttamente “psicologico”, anche se sembra ci si orienti verso terapie più “logiche”, resta da vedere in che misura queste non restino influenzate, forse inconsapevolmente, non dalle interpretazioni della psicanalisi, ma dai suoi metodi. Certi articoli del libro, l’ultimo in particolare, non sono, a questo proposito, molto rassicuranti [35].
Alcune osservazioni a margine del libro
L’utilizzo dei concetti d’“inconscio” e di “subconscio” è più che problematico in tutto questo libro, e si vede bene che i relatori faticano alquanto a definirli un modo accettabile; questo non deve stupire, dal momento che ciò richiederebbe il ricorso a un organo di conoscenza trascendente che consente d’uscire dalla soggettività, dal circolo vizioso in cui la psiche analizza la psiche. Soltanto lo studio delle dottrine tradizionali, che sono molto più complesse sul soggetto di quanto lo credano i moderni, potrebbe portare degli elementi di risposta. Nel suo corso di filosofia, René Guénon ha provato l’impossibilità del presunto inconscio psicologico, «questo inconscio [essendo] veramente impensabile e contraddittorio; ora la logica impedisce di parlare di cose che non possiamo nemmeno pensare o concepire veramente, e ciò che implica contraddizione non può essere che un’impossibilità» [36]. Dopo aver affermato «che la coscienza chiara e distinta forse non è l’intera coscienza», continuava: «essa è lontana dal contenere tutto quel che gli psicologi che ammettono l’inconscio si credono in dovere di respingere in questo inconscio, che perderà ogni ragion d’essere se mostriamo che vi è, di fatto e logicamente, il subconscio. Il subconscio è ancora del conscio, sebbene sia fuori del dominio della coscienza chiara e distinta; è come sorta di prolungamento o d’estensione della coscienza». È dunque «la dimostrazione dell’esistenza di questo subconscio [che fa] svanire qualsiasi argomento a favore del presunto inconscio psicologico» [37]. Ne L’Erreur spirite, egli apporterà altre precisazioni riguardanti questa questione, segnatamente quando affermerà «che il “subconscio” corrisponde a una realtà; solo c’è di tutto là dentro, e gli psicologi, nel limite dei mezzi a loro disposizione, sarebbero alquanto imbarazzati di mettervi un poco d’ordine. Vi è inizialmente quel che può essere chiamata la “memoria latente”: nulla è dimenticato mai in modo assoluto. […] Ciascuno di noi può essere in relazione, attraverso questa parte oscura di se stesso, con degli esseri e delle cose di cui non ha mai avuto conoscenza nel senso corrente della parola, e si stabiliscono là innumerevoli ramificazioni cui è impossibile assegnare dei limiti definiti» [38]. Si farà riferimento anche al seguente passaggio de Les États multiples de l’être (cap. 7): «Si ammette abbastanza generalmente, è vero, che la coscienza attualmente chiara e distinta non è tutta la coscienza, che ne è solo una porzione più o meno rilevante, e che quel che lascia fuori d’essa può superarla di molto in estensione e in complessità; ma, se gli psicologi riconoscono volentieri l’esistenza di una “subcoscienza”, se pure a volte ne abusano come d’un modo di spiegazione troppo comodo, facendovi rientrare indiscriminatamente tutto ciò che non sanno dove collocare tra i fenomeni che studiando, essi hanno sempre dimenticato di considerare correlativamente una “supercoscienza”, come se la coscienza non potesse prolungarsi tanto in alto quanto in basso, per quanto queste nozioni di “alto” e di “basso” abbiano qui un senso qualunque, ed è verosimile che debbano averne uno, almeno, dal punto di vista speciale degli psicologi. Notiamo peraltro che “subcoscienza” e “supercoscienza” non sono in realtà, l’uno e l’altro, che meri prolungamenti della coscienza, che non ci fanno per niente uscire dal suo dominio integrale, e che, di conseguenza, non possono, in alcun modo, essere assimilati all’“inconscio”, vale a dire a ciò che è al di fuori della coscienza, ma devono al contrario essere inclusi nella nozione completa della coscienza individuale».
Un gran numero di collaboratori del Livre noir de la psychanalyse non riesce a evitare, nel trattare certi aspetti della materia, d’utilizzare un vocabolario proprio al dominio tradizionale, spesso più specificamente religioso, talvolta iniziatico. Si parla così di «tradizione agiografica» (p. 307) per qualificare le opere biografiche come quelle di G. Zilboorg o di Jones sul loro “maestro”. La psicanalisi ha «il bisogno di trovare un sostituto alle solide certezze della religione» (p. 179); ha la sua “dottrina dell’Unità” (p. 640) [39]. Il suo “ispiratore”, Freud, è paragonato talora a un «vero Mosè della cultura moderna», eroe deificato (cfr. p. 143), talora al Cristo assistito dagli Apostoli (cfr. p. 313) «dal fervore d’evangelisti» (p. 192). Il “Vangelo freudiano”, promosso dalla “Chiesa psicanalitica”, s’è posto «in cammino per conquistare lo Stato psichiatrico» (p. 245). Questa “Chiesa”, con la sua «fede» (p. 255), la sua dottrina e il suo «catechismo» (p. 248), professa che «fuori da essa, non c’è salvezza» (p. 248); sostituisce, grazie al suo «rituale» (p. 334), la confessione e l’esorcismo (p. 226). Ha i suoi “pellegrinaggi” a Vienna o a Londra (p. 279), il suo “Santo dei santi” (p. 238), il suo “simbolismo” (p. 229); si sostituisce ai vecchi proverbi (p. 234); i suoi “vescovi” distribuiscono «largamente l’acqua santa di Corte, nel suo migliore interesse» (p. 247). Il suo “dogma” (p. 287), e i suoi “miti” (p. 216) le permettono di resistere agli “eretici” e agli “scismi”, che sono in agguato; così si conserva «la fede degli spettatori» (p. 254). Essa ha anche il suo “gallicanismo”, rappresentato da Lacan (p. 249), ecc.
Inoltre, nel suo funzionamento “ideologico”, nei suoi metodi di trasmissione e d’applicazione delle conoscenze, d’espansione e di reclutamento, la psicanalisi è direttamente identificata a un’“iniziazione” di tipo “settario” (p. 64). Non insisteremo sull’ignoranza delle realtà iniziatiche da parte di autori che non hanno la competenza di parlarne; terremo tuttavia a mente che la psicanalisi è “avvertita” come un’“iniziazione”.
Queste costatazioni confermano, in modo indiretto, i giudizi espressi sullo stesso soggetto da René Guénon in un momento in cui, non va dimenticato, nessuno aveva la prospettiva degli osservatori attuali per stabilire la valutazione obiettiva della nocività di questo movimento: Freud è morto nel 1939, e Jung nel 1961. Ora, i principali testi di René Guénon datano al 1945 per Les méfaits de la psychanalyse [40], e al 1949 per l’articolo Tradition et “inconscient” [41], che confuta più precisamente le teorie di Jung. Segnaleremo anche la sua recensione, nell’ottobre 1926, dei Mécanismes subconscients. Notava allora che il suo autore, «M. Dwelshauvers si mostra nettamente avversario del freudismo, che non nomina, ma al quale fa un’allusione abbastanza chiara in queste righe la cui severità non ci sembra eccessiva: “Quando per distrazione o fatica sbaglio porta o scrivo una parola per un’altra, sarebbe fantasioso interpretare questa disattenzione come l’indice delle tendenze inconsce che mi spingerebbero ad agire a mia insaputa. Questo genere di psicologia mi sembra rispondere alla stessa mentalità di quelle delle misteriose persone che consultano la cartomante riguardo al loro avvenire”» [42].
Ricordiamo che René Guénon ha mostrato, fin dal 1938, che la psicanalisi è «una nuova tappa nello sviluppo, perfettamente logico, del piano seguendo il quale si compie la deviazione progressiva del mondo moderno» [43]. Alla negazione pura e semplice che rappresenta il materialismo, e che «è servito efficacemente a interdire all’uomo l’accesso alle possibilità d’ordine superiore», succede il periodo dello psichismo inferiore in cui si scatenano «le forze inferiori che sole possono portare a compimento l’opera di disordine e di dissoluzione». Questo periodo della psicanalisi «comporta una “pseudo-realizzazione”, diretta al contrario d’una vera realizzazione spirituale». Ha rilevato allora il “marchio” propriamente “contro-iniziatico” della psicanalisi: dapprima nel carattere generalmente ignobile, ripugnante e “satanico” delle sue interpretazioni [44]; poi nell’aspetto estremamente pericoloso della sua applicazione terapeutica, «per coloro che vi si sottomettono, e anche per coloro che la praticano», il suo uso lasciando nell’essere «una “macchia” indelebile»; infine nella sua parodia o “contraffazione” inquietante della trasmissione iniziatica, la psicanalisi presentando «da questo lato, una somiglianza piuttosto terrificante con certi “sacramenti del diavolo”». Così, la “dottrina” e il “metodo” della psicanalisi costituiscono «una “contro-tradizione” completa».
Quando abbiamo parlato della seconda parte del Livre noir, Pourquoi la psychanalyse a-t-elle eu un tel succès?, abbiamo lasciato in sospeso la questione del “Comitato segreto”; è tempo di ritornarvi. J. Lacan indica [45] che «l’idea [era] venuta a una sorta di giovane guardia, aspirante al veteranato, di vegliare al detto mantenimento [dell’autorità del pensiero di Freud] in seno all’I.P.A. [Associazione Psicanalitica Internazionale], non solo attraverso una solidarietà segreta ma con un’azione comune. […] È da Freud che l’azione del “Comitato” riceve il suo carattere con le sue consegne» [46]. Quello che Lacan non precisa, è che i membri di questo “Comitato”, in numero di sette nell’ottobre del 1919, tra cui Freud, avevano tutti ricevuto da quest’ultimo un intaglio, greco secondo Jones, proveniente dalla sua collezione personale, e ch’essi fecero immediatamente montare su un anello d’oro: da cui l’espressione approssimativa, presso Lacan, ripresa da Sachs, di «Comitato detto dei Sette Anelli». Gli intagli sono pietre dure, incise, spesso incastonate nel castone degli anelli per servire da “sigilli” o “timbri” certificanti l’autenticità di documenti; alcune di queste pietre incise, che servono come amuleti, rappresentato degli dei. Freud stesso portava da molto tempo un intaglio su anello sul quale figurava la testa di Giove. Il legame entro questa “élite”, dispersa per costituire nuovi centri di diffusione doveva, secondo Freud, mantenersi attraverso lo scambio di lettere circolari segrete (Rundbriefe) [47], che ciascuno avrebbe scritto nello stesso giorno. Lacan vede nell’attuazione di questa organizzazione segreta un “aneddoto” proprio del “romanticismo” di Freud. Non siamo affatto di questo avviso. Che si abbia qui a che fare, sia alla volontà cosciente di Freud e dei suoi “discepoli”, sia all’utilizzazione di questi stessi personaggi come strumenti inconsapevoli, l’“obiettivo” mirato consisteva nello “scimmiottare” la “struttura” fondamentale delle organizzazioni tradizionali al fine di poter diffondere efficacemente l’influenza psicanalitica. Nella prima ipotesi, si noterà che, sebbene Freud abbia sempre adottato un’attitudine materialista [48], e si sia sforzato di presentare la sua disciplina come scientifica, si ricorderà anche che oltre all’influenza della sua educazione “biblica” [49] e la sua passione per l’antichità, è stato intrigato, perfino “tentato”, da certi aspetti dell’occultismo.
A seguito della defezione dei primi discepoli “storici” [50], e dell’emergere di tensioni tra Freud e Jung, Ferenczi disse a Jones che desiderava costituire «un cerchio interno nell’Associazione (Verein)». Jones propose allora a Freud, a fine luglio 1912, la formazione d’un comitato segreto. Freud approvò in risposta l’esistenza d’«una tale associazione per vegliare sulla mia creazione» (sic! Si tratta beninteso della psicanalisi). Jones insistette perché il Comitato fosse organizzato «alla maniera dei paladini di Carlo Magno, per difendere il regno e la politica del loro maestro», pensando anche «alle numerose società segrete citate nella letteratura». Freud ritenne che avrebbe dovuto coinvolgere dei discepoli accuratamente analizzati da lui stesso, e inviati «a stabilirsi in diversi paesi e città». Un impegno – parodia del giuramento iniziatico – doveva impegnare tutti i suoi membri: se uno di loro avesse contestato uno dei principi fondamentali della psicanalisi, «come, ad esempio, i concetti di rimozione dell’inconscio, della sessualità infantile, ecc., prometteva di non farlo pubblicamente prima d’averne discusso la questione con gli altri». Freud riteneva che questo consiglio segreto, riunendo i migliori e più affidabili dei suoi amici, avrebbe avuto per missione di sorvegliare lo sviluppo futuro della psicanalisi dopo la sua scomparsa. Scrisse peraltro: «Confesso che vivere e morire mi diverrebbe più facile se sapessi che una tale associazione esiste per vegliare sulla mia opera». Insistette perché l’esistenza e l’azione di questo gruppo restassero «assolutamente segreti». Riteneva che avrebbe dovuto, quanto a lui, essere lasciato fuori dalle decisioni e impegni del Comitato. Quest’ultimo comprendeva, oltre a Freud, Jones, Ferenczi, Rank, Sachs, Abraham, ai quali s’aggiunse Eitingon, nell’ottobre 1919 [51].
Fu durante la prima riunione plenaria, a Vienna, il 25 maggio 1913, che Freud diede ai suoi «figli adottivi» (angenommene Kinder) i primi intagli, e soltanto sei anni dopo – vale a dire dopo i quattro anni di “sonno” del Comitato, a causa della guerra mondiale, e una volta ristabilite le relazioni internazionali –, che diede il settimo, “completando” così la costituzione di questo Comitato. Questa continuità nell’idea mostra chiaramente che il fondatore della psicanalisi attribuiva una grande importanza a questo tipo d’“investitura” data direttamente ed esclusivamente dal “maestro”, e permettendo al nuovo membro d’entrare in funzione. Dobbiamo anche ricordare che, tra i sette personaggi di questo “cerchio interno”, se Jones e Ferenczi sono stati analizzati, non sembra che gli altri lo fossero stati, contrariamente a quanto sembrava previsto [52]. Per inciso notiamo che Rank, a proposito del fatto che non era stato analizzato, scrisse a Freud: «Da quello che vedo degli altri analisti, posso solo dire che sono stato fortunato!» [53]. Ciò non gl’impedì, alla fine di quello stesso anno 1924, d’essere in analisi con Freud …
Ferenczi sembra aver avuto una relazione speciale con Freud che lo chiamava talvolta, nelle sue lettere: «Mio caro figlio». Fu anche qualificato come «Paladino e Gran Visir segreto» [54]. Rank, lui, era considerato «la colonna su cui poggia questo edificio» [55]. È vero anche che Jung, in precedenza, era stato «formalmente adottato come figlio maggiore, […] sacro successore e principe ereditario in partibus infidelium [nelle terre degli infedeli, dei non credenti]»! [56]. La descrizione che Jones fa dei membri del Comitato non è molto rassicurante quando confessa, ad esempio: «Abraham era certamente il più normale del gruppo», o ancora: «Il caso volle, in effetti, che nessun membro del Comitato fosse un bell’uomo». Era davvero un caso? Quanto a Eitingon, era balbuziente … Questa organizzazione «funzionò perfettamente per almeno dieci anni, fatto notevole per un’associazione così eterogenea. Successivamente, emersero delle difficoltà interne che l’indebolirono un po’». Fu sciolta il 10 aprile 1924, undici anni dopo che Freud ebbe consegnato i suoi primi intagli. Molti mesi più tardi, fu nuovamente istituito, su altre basi: si abbandonò progressivamente il suo aspetto “segreto”, per una sorta d’“esteriorizzazione”; si privilegiò d’altra parte la salvaguardia della psicanalisi “più pura”, la sola che fosse “legittima”. Anna Freud, la ragazza scelta dal padre a succedergli come custode dell’“ortodossia” psicanalitica, sostituì Rank nel dicembre 1925. Nel settembre 1927, il Comitato, composto da Freud, sua figlia Anna, Eitingon, Ferenczi , Jones e Van Ophuijsen, fu ridotto a sei membri, avendo “abbandonato” Sachs; «le Rundbriefe divennero le lettere d’informazione ufficiali». Il Comitato «non doveva conoscere una fine ben definita», e gl’intagli «che Freud offrì ulteriormente a Lou Andreas-Salomé, Marie Bonaparte, Katherine Jones e Ernst Simmel furono dei semplici pegni personali d’amicizia e gratitudine», precisa Grosskurth. Sembra sia lo stesso per quello che Gizella, la moglie di Ferenczi, avrebbe ricevuto dopo il suo matrimonio nel 1919.
Diremo infine qualche parola su Anton von Freund, considerato, nel 1918, come una sorta di membro aggiunto del Comitato. Questo fortunato birraio, analizzato da Freud nel 1917, aveva costituito a Budapest una fondazione riccamente dotata – Freud parlerà a Ferenczi del «tesoro dei Nibelunghi» [57] –. Prima d’entrare ufficialmente nel Comitato, ricevette da Freud (fine 1918-inizio 1919, a quanto pare) uno dei suoi intagli; ma, gravemente malato (muore all’inizio del 1920), Freud decise che Eitingon, anch’egli molto benestante, avrebbe occupato il posto riservato a von Freund. Quanto all’intaglio prematuramente ricevuto, non fu restituito dalla vedova. Avendo allora dato il suo – quello con la testa di Giove – a Eitingon, Freud, che «si concepiva come l’unico ed esclusivo donatore degli anelli simbolici», pose il suo veto, alla fine del 1920, al progetto dei «membri del Comitato [di offrirgli] un anello per sostituire quello aveva ceduto».
Ora, si osserva presso i primi psicanalisti un riferimento alla dottrina dei numeri [58], del tempo e dello spazio sacri, come si trova nella costituzione di autentiche organizzazioni iniziatiche. La Società Psicologica del Mercoledì, costituita nel 1902, fa immediatamente pensare, per la sua struttura numerica – Freud e quattro compagni –, ad esempio al Cristo e i quattro Evangelisti [59], o al Profeta dell’Islam circondato dai quattro Califfi. Che il giorno di Ermete-Mercurio, il mercoledì, sia stato scelto per le riunioni di questo gruppo non sembra fortuito: non sarebbe stato considerato favorevole, posto sotto il patrocinio di Ermete, il dio delle strade, dei confini, del sonno, dei sogni, e dell’interpretazione (l’ermeneutica) [60]? Come si può costatare, tutte queste funzioni coincidono con le pretese della psicanalisi a interpretare i sogni in particolare, e a “decodificare” ciò che ci arriva da oltre il confine della coscienza attuale.
Sette, la cui importanza in tutte le tradizioni non va più dimostrata, fu dunque il numero dei membri del Comitato segreto. È anche il numero di base di membri di certe organizzazioni iniziatiche perché dei riti particolari possano essere eseguiti con la maggiore efficacia. Nell’esoterismo islamico si riferisce, tra l’altro, ai sette Abdâl, sostituti del Polo nei sette “climi” o “regioni” del mondo. A questo proposito, ha funzione d’espansione nelle sei direzioni dello spazio per formare dei centri secondari a partire da un centro principale che “sorveglia” e “influenza” l’insieme. È proprio per questo motivo che il “Comitato segreto” fu istituito. È un peccato che non abbiamo sufficienti ragguagli sugl’intagli offerti da Freud ai suoi sei associati, giacché sarebbe stato possibile determinare le “funzioni” che attribuì loro, consapevolmente o meno, ripetiamolo. Nel suo caso, s’è visto che si riservava, logicamente, il posto di Giove, niente di meno di ciò! Riguardo al simbolismo spaziale, è chiaro che la psicanalisi, nella sua genesi, poi nella sua irradiazione, ha cercato d’“occupare” i luoghi che presentavano una grande importanza “strategica” per la diffusione efficace della sua influenza. Passando in rassegna i viaggi e installazioni temporanee o definitive dei membri del “Comitato segreto”, si notano i nomi di Parigi, Londra, Berlino, Budapest, e di numerose grandi città degli Stati Uniti. Freud stesso arrivò a collocare i suoi discepoli in tale o talaltra posizione. Dobbiamo escludere Vienna, che fu il primo centro della nascente psicanalisi, come ha fatto giustamente osservare un autore del Livre noir (p. 193), «sullo sfondo d’un Impero crepuscolare». C’è incontestabilmente una relazione tra la disintegrazione finale del vecchio Impero e la nascita del nuovo movimento [61].
Abbiamo già evocato la volontà della psicanalisi di radicarsi nella mitologia e nell’interpretazione simbolica. Questa tendenza, che Jung ha particolarmente sviluppato, è riuscita a condizionare un gran numero di scrittori, in modo diretto o indiretto. Così l’interpretazione psicanalitica è riuscita a infiltrarsi e insediarsi ufficialmente in molte opere “di riferimento” sul simbolismo, la mitologia, per non parlare della storia: oggigiorno, non c’è eroe o grande guerriero nel quale non si scopra, senza alcuna prova documentale, un’omosessualità accettata o rimossa [62], che non debba assumersi qualche complesso di Edipo, o sbarazzarsi d’una madre castrante! Gli argomenti presentati a sostenere queste “scoperte” rasentano spesso la stupidità, e sono al livello di quelli di Freud per Leonardo da Vinci. Poco importa, tutto avviene come se questo genere d’opere non fosse completo senza lasciare un posto a questo tipo d’interpretazione [63]. Il lettore di mentalità tradizionale è sempre sorpreso e deluso quando, in un’esposizione che sembra presentare correttamente le idee di Shankarâchârya, di Meister Eckhart, d’un maestro buddista o taoista, d’un trattato di Yoga, o d’uno studio sulla Massoneria ecc., scopre dei riferimenti a Freud o a Jung, che mostrano in maniera radicale come l’autore di quest’esposizione abbia, sia frainteso il fondo del soggetto che tratta, sia sottovalutato la differenza radicale tra il punto vista psicanalitico e quello tradizionale. C’è anche una nuova specie di scrittori che non esita a mescolare la dottrina d’espressione “guénoniana” alle teorie anti-tradizionali e contro-iniziatiche di Jung [64], con il pretesto che le interpretazioni di Jung dovrebbero essere accuratamente distinte da quelle di Freud [65]. In realtà, per tutte quelle persone, vedere l’edificio psicanalitico rovinato alla base potrebbe essere l’occasione per una salutare rimessa in discussione. Per questo, occorre comprendere che, nelle diverse forme di psicanalisi, segnatamente freudiana e junghiana, le basi teoriche e i metodi di partenza restano fondamentalmente gli stessi: abbiamo infatti sempre a che fare con della psicanalisi. Sarebbe utile intraprendere uno studio più completo sul caso di Jung, che appare effettivamente molto più ambiguo rispetto ad altri psicanalisti, per le sue pretese nell’ordine spirituale, e per il fatto che ha “presentito” dei legami tra la psiche individualizzata e una psiche più generale, rappresentante gli aspetti inferiori del mondo cosmico sottile nel quale si riflettono, distorti, gli archetipi informali. Nonostante ciò non sfugge alle accuse che s’applicano alla disciplina psicanalitica nel suo insieme. Inoltre, per chiudere definitivamente sul suo conto, i “guénoniani” “tentati” da Jung non hanno che d’applicare a questi i criteri di regolarità tradizionale inaggirabili così ben definiti da René Guénon, tanto nell’ordine exoterico ch’esoterico [66].
D’altra parte, si avanza spesso l’argomento secondo il quale si dovette attendere Freud perché l’importanza dell’“inconscio” fosse finalmente presa in considerazione per spiegare il comportamento psichico dell’essere umano negli stati di sogno e di veglia. Su questo punto, tutto riposa sull’esistenza o meno dell’“inconscio”; la realtà di quest’ultimo è stata radicalmente contestata da René Guénon, come si è ricordato sopra, e gli avversari attuali della psicanalisi sono arrivati pure a negarla. Se rimane, come possibile scienza della psiche, solo quella della coscienza e della subcoscienza, allora si può dire che l’unica “originalità” di Freud sarà stata di proporre una spiegazione di ogni comportamento umano con una sola causa: la sessualità, peraltro sotto l’aspetto inferiore che non esiteremo addirittura a definire “animale” [67]. Dal momento in cui si sa che l’inconscio psicologico non esiste, e che vi sono nell’anima come “strati” di coscienza più o meno chiari e distinti, ci si rivolgerà tanto più volentieri alle dottrine tradizionali che, esse, hanno trattato, spesso in dettaglio, tutto ciò che riguarda la struttura e il contenuto della psiche [68]. Ma i moderni non possono accedere a queste scienze, giacché sono orientate verso un fine che loro sfugge completamente non ci “credono” più: questo fine, è l’educazione dell’anima per un destino postumo favorevole, o per una realizzazione spirituale in questo mondo. Coloro che hanno capito questo non dubiteranno che, in questo dominio, la Tradizione offre delle conoscenze molto più esatte ed efficaci di tutta la psicologia attuale. In realtà, le dottrine tradizionali, quando non siano state ridotte nello stato di superstizioni, sono in grado di fornire tutti i dati per identificare, giudicare, spiegare, ed eventualmente trattare, tutti i fenomeni della psiche, in una prospettiva che non è rivolta verso l’io individuale, ma verso il Sé universale.
Se la psicanalisi non fosse rimasta che una teoria tra altre teorie, il male sarebbe stato certamente grande, ma i suoi effetti limitati; il pericolo è ch’essa trascina colui che la subisce come “pratica” a un’“oggettivazione” degli aspetti più inferiori del suo essere, ch’egli deve “assumere”, e ai quali gli si chiede d’identificarsi. Si è in presenza d’una vera parodia del Tat vam asi, “Quello, tu sei” dell’induismo, che esprime l’Identità suprema. Si può aggiungere che lo psicanalista, con le sue specifiche interpretazioni personali può, in principio, dare una “forma” precisa a ciò che, nei suoi pazienti, non appare che come un’energia ripiegata negli strati inferiori della sua anima. Vogliamo dire con questo che, come un abile mago, egli “struttura” delle forme, e loro “insuffla vita” traendole dal “vaso” della psiche. Dopo di che, il povero paziente può solo “coabitare” con i demoni che sono nati in lui, e arrangiarsi come può. Si pone allora la questione della natura dell’“ispirazione” che farà che questa forma prenda tale aspetto o talaltro, ad esempio, un’interpretazione perversa del mito di Edipo. I miti, nella forma in cui sono rivelati all’uomo dalla Tradizione, sono la formalizzazione d’idee universali e sono quindi, in un modo o nell’altro, contenuti nell’intelletto informale, al quale ciascuno partecipa con certi suoi stati. Essi sono poi riflessi, sempre perché sono universali, in tutti gli strati della psiche, dai più alti ai più bassi [69]. Le interpretazioni che ne sono date, e che sono indefinite, dipendono dalle conoscenze e dagli stati di colui che li propone. Da questo si può dedurre la “qualità” dello stato psichico degli psicanalisti quando propongono le loro spiegazioni …
Va inoltre ricordato che il simbolismo tradizionale, pur non essendo sistematico, è una scienza esatta [70]. Non si può, in questo dominio, dire qualsiasi cosa, e ogni interpretazione dev’essere basata su elementi ben identificati, nel quadro d’una dottrina riconosciuta, con un’intenzione spirituale e iniziatica chiara. In caso contrario, si rischia d’architettare una teoria che, per quanto attraente, non è in realtà che il risultato di congetture. Il caso del “nibbio” di Leonardo da Vinci è molto significativo in questo senso. Che dire dei deliri psicanalitici sulle parole, associazioni di parole o d’idee, sui lapsus, ecc.? È evidente che c’è qui un vero e proprio “scimmiottare” le tecniche d’interpretazione tradizionale, e diventa sempre più difficile convincere una persona impregnata di questi metodi che quest’ultimi non hanno nulla a che vedere con quelli della Cabala, del Nirukta, o le interpretazioni esoteriche del Sufismo. Anche se, in certe dottrine tradizionali, si stabiliscono dei rapporti basati sulle etimologie consonantiche o semplicemente fonetiche, che sembrano aberranti agli “specialisti”, ma pertinenti ai sostenitori della psicanalisi, non bisogna farsi illusioni circa la comprensione di quest’ultimi; l’intenzione che li anima è all’estremo opposto di un’intenzione spirituale autentica.
In fondo, si potrebbe qualificare l’errore psicanalitico come segue: si tratta del disconoscimento della struttura e del contenuto dell’insieme della psiche, dovuta a un’ignoranza dell’organo trascendente di conoscenza che è l’Intelletto; tutto questo è accompagnato a una deliberata volontà d’identificare l’uomo ai suoi aspetti più inferiori. Così, gli psicanalisti compiono senza sosta evoluzioni nella sfera della “soggettività” più totale; la poca “razionalità” di cui le loro teorie restano rivestite è solo una maschera che mal nasconde le potenze veramente “infraumane” ch’essi attirano, e che risalgono dall’abisso.

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Recensione a firma Max Giraud dell’opera Le Livre noir de la psychanalyse, a cura di Catherine Meyer, Éditions des Arènes, Paris, 2005, pubblicata in La Règle d’Abraham, nº 26, dicembre 2008.
Tratto da: https://letteraespirito.wordpress.com/a-proposito-de-le-livre-noir-de-la-psychanalyse/
1. Cfr. il capitolo 34 de Le Règne de la Quantité et les Signes des Temps, di cui abbiamo appena ripreso il titolo, e Tradizione e “inconscio”, capitolo 5 di Les Symboles fondamentaux de la Science sacrée.
2. Queste critiche, concentrandosi principalmente sulle nuove terapie (dette TCC: Terapie Cognitivo-Comportamentali), sono state raccolte in L’Anti Livre noir de la Psychanalyse, a cura di Jacques-Alain Miller, Éditions du Seuil, Paris, 2006.
3. Cfr. pp. 261-262, pp. 331-332, pp. 347 e 391. Per semplificare, a causa della molteplicità dei riferimenti interni di ogni capitolo, rimandiamo alle pagine del libro solamente.
4. Secondo gli autori (p. 7), la psicanalisi freudiana è diventata molto marginale in tutto il mondo, tranne che in alcuni paesi come la Francia e l’Argentina.
5. Cfr. segnatamente André Préau, Le Taoïsme sans Tao, Le Voile d’Isis, nº 136, aprile 1931; Titus Burckhardt, Cosmologie et Science moderne, Études Traditionnelles, nº 387-390 (questi due articoli confutano le teorie di Jung); Patrick Geay, Hermès Trahi, cap. 1 e 5, Parigi, 1996.
6. Secondo un’espressione di René Guénon tratta da Le Règne de la Quantité et les Signes des Temps, cap. 34. Altre false dottrine sulle quali poggia il mondo moderno, come ad esempio l’evoluzionismo – che ha indubbiamente preparato il terreno alla psicanalisi –, siccome non implicano, di fatto, una “pratica” che impegna lo psichismo degli esseri che vi aderiscono, possono quindi essere rimossi più facilmente dalla coscienza. Esse sono nondimeno ostacoli temibili che sviano coloro che potrebbero interessarsi alla Tradizione.
7. Non è raro incontrare persone che hanno avuto un’“attrazione” verso lo spirituale e sono state “contaminate” al momento sbagliato dalla psicanalisi; concluderne che “era il loro destino” non impedisce d’agire per evitare che altri cadano in questo “pantano”.
8. Certi freudiani considerano che il loro “maestro” avesse ragione nella sua prima analisi, e che avesse abbandonato la teoria della “seduzione” sotto la pressione dell’ambiente.
9. Questa autoanalisi è presentata come “eroica” dai difensori di Freud – derisi in ciò dai suoi avversari (cfr. p. 23.) –, per un motivo molto semplice: è necessario dare l’impressione che il loro “maestro” ha, in un modo o nell’altro, “trasceso” ogni soggettività psichica individuale o ogni autosuggestione, perché la sua dottrina possa rivendicare d’essere “universale”. Tutto è utilizzato per far apparire la nascita della psicanalisi come una sorta di “sacrificio”, seguito da un’intuizione folgorante di tipo quasi profetico.
10. Si potrebbe obiettare che la rivelazione d’una tradizione dipende anch’essa dall’“esperienza” del suo fondatore umano. A ciò si può rispondere che ogni tradizione autentica indica chiaramente che il fine della via spirituale trascende le individualità, quali che siano. È un argomento che un Freud, che si dice “scientifico” e “razionalista” non può in nessun caso avanzare.
11. La teoria dell’esperienza personale e quella delle influenze ambientali non sono realmente in contraddizione. Succede spesso che i “grandi uomini” siano, grazie a qualificazioni specifiche, come la “coagulazione” di tendenze diffuse nell’ambiente.
12. Le osservazioni e le conclusioni di questo libro sono condotte dal punto di vista cosiddetto “scientifico” che, ovviamente, non è il nostro. Se comunque le accettiamo è perché la psicanalisi pretende l’etichetta di “scientifica”: merita pertanto, per questo, d’essere giudicata con quel metodo.
13. Il titolo d’uno degli articoli (pp. 43-47) è Freud era un bugiardo? Cfr. anche, in questo numero de La Règle d’Abraham, la recensione di Patrick Geay dell’opera: Mensonges freudiens di Jacques Bénesteau (Éd. Mardaga, Sprimont, 2002).
14. Cfr. Pp. 533-548 dove Bettelheim è trattato come «impostore», come «dissimulatore cronico» che «mentiva in continuazione». In arabo, l’essere che manifesta questa particolarità è chiamato dajjâl: è uno dei nomi dell’Anticristo.
15. Eine Kindheitserinnerung des Leonardo da Vinci 1910, tradotto con il titolo: Un souvenir d’enfance de Léonard de Vinci (P.U.F., Paris, 1993).
16. [N.d.T.: cani da slitta]. Altre versioni dicono che si trattava di cani di razza spitz.
17. Gesindel: “canaglia”, “plebaglia”, “cattivo soggetto”.
18. Ha ricevuto il premio Goethe per la letteratura.
19. La parentela tra l’opera di Freud e quella di Conan Doyle, noto spiritista, è stata dimostrata (cfr, p. 192).
20. Egli in realtà si chiamava Sigismund Schlomo Freud; solo da adulto abbreviò il suo nome. Non fu il solo a cambiare la sua identità. Certi membri del “Comitato segreto”, di cui parleremo più avanti, hanno fatto lo stesso: così, Ferenczi e Rank non portavano i loro cognomi di nascita, che erano rispettivamente Fraenkel (o Fränkel) e Rosenfeld; Jones, da parte sua, voleva chiamarsi Beddow-Jones.
21. Secondo René Guénon, «l’“introspezione” dello psicologo non coglie essa stessa che dei fenomeni, ossia delle modificazioni esteriori e superficiali dell’essere: non v’è di veramente interiore e profondo che la parte superiore dell’intelligenza» (Orient et Occident, cap. dal titolo La superstition de la vie).
22. L’ambiguità di quest’autore presso certi intellettuali dipende dal modo in cui gioca con le parole, caricaturando certi processi d’interpretazione tradizionali; il problema è che, spesso, le sue “trovate” non “funzionano” che con il francese corrente, il che la dice lunga sui limiti di questa “tecnica” interpretativa.
23. Questa società era composta di cinque membri, quattro più Freud.
24. Tale regolamento entrò in vigore nel 1918, anche se ci sono eccezioni notevoli.
25. René Guénon, ne Le Règne de la Quantité et les Signes des Temps (cap. 34) ha posto questa famosa questione: «da dove i primi psicanalisti traggono i “poteri” che comunicano ai loro discepoli, e da chi essi stessi hanno potuto essere “psicanalizzati” all’inizio?».
26. Fliess, che incontrò Freud nel 1887, e con il quale strinse amicizia, si separò da lui nel 1900, «accusando Freud di proiettare le proprie idee nella psiche dei suoi pazienti» (Phyllis Grosskurth, Freud. L’anneau secret, p. X, P.U.F., Parigi, 1995).
27. La definizione di queste associazioni è che sono «libere da qualunque influenza» (p. 381).
28. Il “complesso di Edipo” è così sempre “verificato”: «Se un ragazzo ama sua madre e detesta suo padre, presenta un complesso di Edipo manifesto. Se un altro adora suo padre e si mostra aggressivo nei confronti di sua madre, le sue tendenze edipiche sono “rimosse”» (p. 421).
29. Sono questi solo alcuni esempi dello spaventoso “gergo” psicanalitico!
30. Ogni volta che psicanalisti di fama hanno preso le distanze da Freud, hanno avuto diritto a una psicanalisi pubblica gratuita; i freudiani hanno loro trovato tutti i complessi e rimozioni di cui disponevano! Naturalmente, i “dissidenti” non hanno mancato di restituire il favore ai loro colleghi.
31. Si pretende che Freud avesse progettato di fare di Jung il suo erede perché era brillante, ma anche perché la sua famiglia era cristiana. Temeva che la psicanalisi passasse per un prodotto esclusivamente ebraico, il che, secondo lui, poteva essere un handicap per la sua espansione.
32. Secondo recenti scoperte mediche, l’autismo sarebbe una malattia d’origine genetica; se questo fosse confermato, quali conclusioni ne trarranno gli psicanalisti?
33. Su questo soggetto, cfr. il libro molto istruttivo intitolato Propaganda. Comment manipuler l’opinion en démocratie (Éd. Zones / La Découverte, Parigi, 2007), scritto nel 1928 da un nipote di Freud, Edward Bernays.
34. Essa lo è diventata per diverse ragioni: l’oblio quasi completo delle dottrine corrispondenti, la perdita della pratica di queste scienze, e la mancanza di recettività del composto umano “adulterato” dalle manipolazioni della scienza e della vita moderne.
35. Cfr. pag. 804, dove ci viene detto che Freud e il suo discepolo Ferenczi «possono essere considerati come dei nonni delle TCC moderne”, il che curiosamente stona con altri lavori della stessa opera.
36. Psychologie, p. 69. Éd. Archè, Milano, 2001.
37. Ibid., pp. 65-66.
38. Cap. intitolato: L’explication des phénomènes. Cfr. anche quel che scrive nella stessa opera (cap. intitolato: Les limites de l’experimentation), ad esempio, riguardo alla “memoria ancestrale”, al “subconscio” e al campo della coscienza chiara e distinta, o a proposito degli elementi provenienti dalla disaggregazione delle individualità che ci hanno preceduto, ordinariamente “subconscie”, ma che possono apparire alla coscienza chiara e distinta, ecc.
39. «La psicanalisi è come il Dio del Vecchio Testamento, non ammette che vi sono altri dei», diceva Freud (p. 640).
40. Cap. 34 de Le Règne de la Quantité et les Signes des Temps. La pubblicazione di questo libro nel 1945 è stata ritardata dagli effetti della Seconda Guerra Mondiale. Si deve tuttavia tenere presente L’erreur du “psychologisme”, risalente al 1938 (Études Traditionnelles, nn. di gennaio e febbraio, ripreso in Articles et comptes rendus, tomo I, pp. 83-93), la cui parte essenziale sarà d’altronde integrata in Les méfaits de la psychanalyse.
I passaggi di Cosmologie et Science moderne di Titus Burckhardt, che sono specificamente una confutazione delle tesi di C.G. Jung, sono stati pubblicati in Études Traditionnelles del 1965. Il lavoro più vecchio della stessa natura sul soggetto è, come abbiamo già indicato, quello di André Préau nel 1931.
41. Ripreso come cap. 5 de Les Symboles fondamentaux de la Science sacrée.
42. Vient de Paraître. È principalmente tra il 1938 e il 1949 che René Guénon redigerà, per gli Études Traditionnelles, delle recensioni di libri e articoli che criticano la psicanalisi.
43. L’erreur du “psychologisme”, in Articles et comptes rendus, tomo I, p. 85. Le citazioni seguenti, e numerosi termini ed espressioni che utilizzeremo, sono tratti da questo stesso articolo.
44. Non è probabilmente inutile menzionare anche, al di fuori della psicanalisi, la teoria dell’“esperienza religiosa” di James, che «fa vedere nel “subconscio” il mezzo per l’uomo di mettersi in comunicazione effettiva con il Divino. […] Il “subconscio” contiene incontestabilmente tutto ciò che, nell’individualità umana, costituisce delle tracce o delle vestigia degli stati inferiori dell’essere, e ciò con cui mette il più sicuramente l’uomo in comunicazione, è tutto ciò che, nel nostro mondo, rappresenta questi stessi stati inferiori. Così, pretendere che quella sia una comunicazione con il Divino, significa realmente porre Dio negli stati inferiori dell’essere, in inferis nel senso letterale di questa espressione; si tratta quindi d’una dottrina propriamente “infernale”, un rovesciamento dell’ordine universale, ed è precisamente quello che noi chiamiamo “satanismo”; ma, siccome è chiaro che questo non è per nulla voluto e che coloro che formulano o che accettano tali teorie non si rendono conto della loro enormità, è solo del satanismo incosciente» (L’erreur spirite, cap. intitolato: La question du satanisme).
45. Écrits II, pp. 24-26, Seuil, Parigi, 1996.
46. Per le informazioni riguardanti il ”Comitato”, abbiamo utilizzato la versione francese di La vie et l’œuvre de Sigmund Freud, di Ernest Jones (specialmente il vol. 2, cap. 6, P.U.F., Parigi, 2006, traduzione di The life and work of Sigmund Freud, Basic Books, New York, 3 voll., 1953-1955-1957), così come il libro già citato di Phyllis Grosskurth, The Secret Ring. Freud’s inner circle and the politics of psychoanalysis (Londra, 1991), tradotto nel 1995 sotto il titolo Freud. L’Anneau secret (P.U.F., Parigi). Quest’ultima opera, che ripercorre in dettaglio le relazioni dei membri del “Comitato” rivela, in modo inequivocabile, un pasticcio di suscettibilità, meschinità, gelosie e rivalità d’ordine puramente individuale; tutte queste bizzarrie umane, spiegabili con la psicologia più banale, erano interpretate dagli interessati come dei “traumi”, “fantasmi”, “complessi” e altre “nevrosi” …
47. Nell’intestazione di queste lettere, la rappresentazione di Edipo davanti alla Sfinge … Questi Rundbriefe, che iniziarono il 20 settembre 1920, furono dapprima settimanali; divennero mensili nel 1923.
48. Freud descriveva gli psicanalisti come «incorreggibili meccanicisti e materialisti» (Œuvres complètes, vol. XVI, p. 103, P.U.F., Parigi, 1991).
49. Il fatto, ben noto, che ha rigettato la sua tradizione, non esclude che non sia stato influenzato da essa per “reazione” negativa.
50. Adler e i suoi partigiani, che rifiutavano «il controllo alquanto autocratico di Freud»: Freud trattava «da nemico» chiunque non pensasse assolutamente come lui!
51. Una fotografia del Comitato, scattata nel settembre 1922 a Berlino, è riprodotta nel libro di Phyllis Grosskurth.
52. Il che spiega l’uso del plurale nella domanda scomoda di René Guénon che abbiamo già citato: «da dove i primi psicanalisti detengono i poteri che comunicano ai loro discepoli, e da chi essi stessi sono stati “psicanalizzati” la prima volta?».
53. Lettera dell’8 settembre 1924.
54. Lettera di Freud a Ferenczi del 13 dicembre 1929.
55. Lettera di Freud a Jones del 28 luglio 1919.
56. Lettera di Freud a Jung del 16 aprile 1909.
57. Lettera del 7 ottobre 1919.
58. Freud era “ossessionato” da certi numeri “favorevoli” o “sfavorevoli”.
59. Stekel, uno dei quattro “discepoli”, affermerà: «Ero l’apostolo di Freud, che era il mio Cristo» (Peter Gay, Freud, un homme de notre temps, p. 199, Parigi, 1991).
60. Senza dimenticare il simbolismo “sessuale” degli hermæ, i “pilastri ermaici”.
61. Cfr. Denys Roman, Réflexions d’un Chrétiens sur la Franc-Maçonnerie, p. 264, Éditions Traditionnelles, Parigi, 1995. Quest’autore parla di «“utilizzo” dei “residui psichici” lasciati nel paese che fu così a lungo la sede della potenza materiale del Santo Impero»; in questa prospettiva egli menziona, a proposito di Vienna, e come proveniente dalle «profondità degli abissi», «la psicanalisi e il nazionalsocialismo».
62. Tra i casi più noti si possono menzionare Alessandro Magno e Siegfried. Va notato che spesso gli autori di tali affermazioni lavorano per il trionfo d’una “causa” che spesso è loro molto … personale.
63. Ad esempio, che bisogno c’era di ricorrere a uno psicoterapeuta nel Dictionnaire des Symboles di Chevalier e Gheerbrant, quando diversi collaboratori di questo libro sembrano essere stati scelti sulla base dell’influenza che gli scritti di René Guénon hanno esercitato su di loro, a un grado o a un altro?
64. Non è stato proposto recentemente lo studio di Jung come futuro della Massoneria! Va detto che l’autore che propone questo è persuaso che René Guénon, se fosse vissuto più a lungo, probabilmente avrebbe cambiato idea sulle teorie dello psicanalista. Non è d’altronde l’unico che, avendo scritto su René Guénon, ha deplorato l’«incomprensione» di quest’ultimo riguardo ai lavori di Jung!
65. Si separò da questi nel 1914.
66. Su questo soggetto, cfr. Patrick Geay, Hermès Trahi, Dervy, 1996, e dello stesso autore, La Règle d’Abraham, nº 10, p. 106.
67. Gli animali non possono avere, in realtà, un comportamento perverso; il Corano dice di certi uomini: «Quelli sono come bestiame e ne sono ancora più sviati!» (7, 179).
68. Questa struttura e questo contenuto sono d’altronde considerati in tutta la loro estensione che supera la mera considerazione dello stato umano attuale.
69. A rigor di logica, sono iscritti anche, in qualche modo, nella struttura corporea. Secondo Aurobindo, gli psicanalisti «guardano dal basso in alto e spiegano le luci superiori con le oscurità inferiori; ma il fondamento delle cose è in alto e non in basso, nel superconscio e non nel subconscio … Occorre conoscere il tutto prima di poter conoscere la parte, e il superiore prima di poter realmente comprendere l’inferiore» (Bases of Yoga, citato da Guénon in Études sur l’Hindouisme, p. 166).
70. Cfr. Symboles fondamentaux, cap. 4; Études sur la Franc-Maçonnerie, I, p. 218; Comptes rendus, p. 42.

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