Lettere a Guido De Giorgio - 1
Parigi, 20
Novembre 1925
51, Rue St.
Louis-en-l’Ile (IVe)
Caro Signore,
Cominciavo ad essere preoccupato per non aver ricevuto nulla
da voi dopo la vostra cartolina di luglio e, temendo che foste ancora sofferente,
pensavo di scrivervi qualche parola per domandar vostre nuove, allorché m’è
giunta la vostra lettera. Da allora, rinvio da un giorno all’altro la risposta,
perché son sempre stato molto occupato dal mio ritorno qui, di modo che ora
sono io, a mia volta, ad essere davvero in ritardo con voi. Vi invio questa
lettera a Varazze, ove penso che, secondo quanto mi diceste, vi dovreste essere
reinstallato già da qualche tempo.
Grazie per il gentile pensiero che avete avuto d’invitarmi a
raggiungervi; sfortunatamente, purtroppo, i viaggi sono, al giorno d’oggi,
assai costosi; spero comunque che finiremo, un giorno, con l’incontrarci.
Quel che mi dite della Cabala di Vulliaud è molto giusto,
per quanto un po’ severo; in fondo, è pressappoco quel che ho scritto io in una
forma più attenuata. Ho parlato di quest’opera con diverse persone che l’hanno
letta; le loro considerazioni concordano con le nostre e sono assai poco
entusiaste. Non ho ancora avuto l’occasione di leggere il nuovo libro di
Vulliaud sul Cantico dei Cantici, che è apparso tre o quattro mesi fa; sembra
che contenga meno discussioni e critiche della Cabala, ma ancora troppe per
qualcuno.
Grazie del n° di “Bilychnis” che m’avete inviato; ho, in
ogni caso, ricevuto da Evola stesso un pacco d’altre riviste contenenti suoi
articoli. Avendogli, in occasione del ringraziamento per l’invio, fatto notare
che nutro delle riserve sul suo punto di vista, che mi pare soprattutto
filosofico, m’ha scritto una lettera lunghissima, piuttosto ingarbugliata,
nella quale protesta che la forma filosofica della quale si serve non è altro,
per lui, che un semplice modo per esprimersi che non intacca affatto la sua
dottrina stessa. Non ci credo per niente, e persisto a ritenere che è davvero
assai imbevuto di filosofia, e specialmente di filosofia tedesca. In un
articolo pubblicato dalla rivista “Ultra”, ha fatto allusione a me in una nota,
a proposito di “Oriente ed Occidente”[1], in
termini che dimostrano che non ha capito granché di quel che ho esposto; arriva
addirittura a qualificarmi come “razionalista”, cosa che è abbastanza ridicola
(tanto più che si tratta d’un libro nel quale ho espressamente affermato la
falsità del razionalismo!), e che mostra bene che egli è uno di quelli che non
arrivano a sbarazzarsi delle etichette filosofiche e sentono il bisogno di
applicarle, giusto o sbagliato che sia. Mi annuncia la sua intenzione di fare
un articolo su “L’uomo ed il suo divenire”; mi domando cosa ne potrà venire
fuori; dopotutto, si vedrà.
Dato che parliamo di Evola, bisogna ancora che vi dica che è
urtato dalle critiche che gli ha rivolto Reghini, per quanto in una forma
moderatissima. Dev’essere assai vanitoso, e non vorrebbe avere che elogi; è
anche vero che è molto giovane. Vulliaud, che non ha la stessa scusa, è quasi altrettanto
suscettibile; sembra anche che lui sia alquanto scontento del mio articolo;
s’immagina che solo lui conosca la Cabala e sia in grado di parlarne. V’è da
temere che Evola si comporti allo stesso modo per i Tantra, per i quali non è
comunque tanto qualificato da potersene occupare; legge tutto ciò alla luce
della sua filosofia, donde una specie di deformazione alla guisa tedesca;
l’autentica concezione della Shakti è tutt’altra cosa rispetto al
“volontarismo”.
Sono contento che gli articoli della “Gnose” vi abbiano
interessato; l’inferiorità dei primi numeri nasce dal fatto che non avevo,
allora, che una direzione nominale; ho anche durato qualche fatica, in séguito,
per sbarazzarmi di gente ingombrante; sarebbe troppo lungo da raccontarvi in
dettaglio.
Ma qual è questo libro recente che contiene dei frammenti
dello Zohar nella traduzione di Jean de Pauly? Non ne ho sentito parlare.
Ho fatto, ultimamente, la conoscenza di Massignon; parla
molto e v’è, in lui, una certa affettazione, che d’altra parte s’avverte anche
nel suo stile. È vero che le sue opere sono molto difficili da leggersi ma,
d’altra parte, se ha sicuramente compreso certe cose, non per questo ha
penetrato a fondo l’esoterismo musulmano. Quanto a Carra de Vaux, ne capisce
ancora molto di meno e, anche dal punto di vista dell’exoterismo, gli accade di
commettere errori grossissimi; è, soprattutto, un compilatore, e la principale
utilità dei suoi lavori consiste nel fatto che ha riunito informazioni che si
trovavano sparse un po’ dappertutto.
Per il Vedânta, fino a questo momento, non ci sono ancora
state recensioni nelle riviste: ciò richiede sempre tempi lunghissimi, e per di
più ci sono state le vacanze. Niente da Masson-Oursel; non so se ne parlerà né
quel che ne dirà, ma sarei stupito se migliorasse rispetto a quanto ha scritto
su di me in precedenza. C’è stata qualche annotazione nei giornali; accludo
alla mia lettera la copia dei principali; vedrete che non è tanto male. Il mese
scorso, c’è stato un lunghissimo articolo su di me, di Gonzague Truc, in
“Candide”; non ne possiedo, attualmente, che un solo esemplare, ma mi premurerò
di procurarmene un altro per inviarvelo.
Non tardate troppo, stavolta, a ridarmi vostre notizie, e
credete sempre, ve ne prego, ai miei cordialissimi sentimenti.
René Guénon
Paris-Soir:
“Si sa quanto l’Asia sia all’ordine del giorno e, più
generalmente, quanto attuale sia la questione delle grandi civiltà orientali
sin qui in sonno apparente, almeno in sonno politico, ma sempre adatte al
nutrimento interiore di milioni d’anime. Con il titolo “Oriente ed Occidente”,
Guénon ha esposto, l’anno scorso, in un piccolo libro incisivo, la revisione
dei valori che ci si imporrebbe se volessimo infine rendere giustizia
all’Oriente. Vi preconizzava la formazione d’un’élite capace di favorire un
avvicinamento, d’evitare una frizione terribile. Nessuno meglio di lui è
indicato per dare, a quest’élite, le direttive che permetteranno di vedere
l’Oriente per quello che è, e non quale vogliono i nostri paraocchi
occidentali.
Guénon non è soltanto il nostro unico metafisico indianista.
Ha, in qualche studio che ha sollevato dei clamori, denunciato l’“Errore dello
spiritismo” ed il “Teosofismo”. Rimprovera, a quest’occultismo di bassa lega,
la sua inaudita ignoranza delle grandi dottrine tradizionali, le sue frodi
scandalose, i pericoli della sua volgarizzazione. Proseguendo nell’esposizione
delle scienze sacre iniziata con il suo magistrale “Introduzione allo studio
delle dottrine indù”, Guénon ci dà, oggi, il fiore del Vedânta.
L’essere umano, secondo questi testi che solo un filosofo è
capace di capire, poiché tutto vi è simbolo, ed uno storico vi segue sùbito
delle false piste, ha una costituzione ben altrimenti complessa che non
l’immagini la psicologia occidentale. Noi non siamo altro che un essere di
carne in comunicazione solamente con i nostri simili, ci dicono; abbiamo, in
noi, delle antenne meravigliose, atte a captare altro che “fenomeni” ed a
collegarci con le potenze superiori. I capitoli più notevoli del libro sono, forse,
quelli nei quali l’autore ci parla successivamente dello stato di veglia, dello
stato di sogno e dello stato di sonno profondo. Ma quelli che attireranno di
più la curiosità sono quelli in cui si tratta dell’evoluzione dell’essere umano
dopo la morte.
René Guénon è agli antipodi di Maeterlinck. Non ci si
aspetti, quindi, nonostante titoli come “L’arteria coronale ed il raggio
solare”, o “Il viaggio divino”, di trovare degli abbellimenti immaginari, né un
pensiero incerto: ma la serietà proba e ferma d’uno spirito vigoroso e logico.
Gli accostamenti suggestivi alle altre tradizioni: biblica, araba, egizia,
taoista, aumentano singolarmente l’interesse di questo libro che segna una data
nella nostra conoscenza dell’Oriente”.
L’Intransigeant:
“D’assai ardua lettura, questo libro ricompensa quelli che
lo leggono pagina per pagina.
René Guénon proietta, sulle dottrine metafisiche indù, sulla
distinzione fra il sé e l’io, una luce chiarificante, ma il suo libro non può
assolutamente essere considerato come una “volgarizzazione”. D’altra parte, è
impossibile “volgarizzare” tali concezioni. René Guénon s’è accontentato
d’apportare delle precisazioni, di chiarire delle sfumature sin qui incomprese
persino dall’élite intellettuale, e di invitare quest’élite ad innalzarsi alla
comprensione della dottrina nella sua purezza integrale.
Il suo libro ha il valore d’un insegnamento dato da un
grande erudito; ne possiede, forse, anche un po’ d’aridità. Ma per chi ha
potuto arrivare all’ultimo capitolo, quale illuminazione! Leggete
Shankarâchârya nella traduzione che ne dà René Guénon.
Un libro da rileggere”.
Nel Journal des Débats,
articolo d’Abel Bonnard di cui ecco l’inizio:
“L’Asia, le sue dottrine, le sue arti, sono minacciate dalla
moda. Queste parole minacciose potrebbero apparire esagerate. Non lo sono.
Trattandosi di cose alte e nobili, la moda può fare molto, nel male. Essa
maschera quel che pretende di ricoprire; lo profana e spesso lo insozza
addirittura, e le idee che ne espande sono talmente comuni e snaturate che
veramente si rimpiangono i tempi in cui queste cose stavano, al riparo dal
pubblico, intatte e pure. Sfortunatamente, il nostro tempo non sembra per
niente capace d’altra cosa che la moda. Sollecitato da mille oggetti senza
considerarli, curioso senz’essere attento, avido e distratto insieme, sembra
condannato a misconoscere ogni cosa. Non v’è da dubitare che l’influenza
dell’Asia si estenda sino a noi. Ma v’è da temere fortemente che
quest’influenza resti superficiale, e che tutto ciò finisca in un buddhismo da
contrabbando e ad opera di ciarlatani.
È ancora più importante da segnalare al pubblico i libri che
possono dargli, di questa grande Asia, un’idea profonda e vera. Ne sono appena
apparsi due che meritano d’essere conosciuti, a questo titolo: Uno d’essi,
“L’uomo ed il suo divenire secondo il Vêdânta”, è l’opera di René Guénon. Tutti
quelli che sono seriamente interessati all’Oriente conoscono i libri di René
Guénon. Sono troppo pieni di pensiero perché si possa tentare di riassumerli in
poche parole. Diciamo, almeno, che la loro prima qualità è di cancellare, nel
lettore, tutte le idee preconcette e riportarlo al centro stesso del soggetto,
ossia al valore generale che mantengono per l’umanità le dottrine che l’Asia
conserva”.
Il séguito dell’articolo concerne la traduzione della “Vita
di Milarepa” a cura di J. Bacot.
Nell’Ere nouvelle,
un resoconto fatto assai abilmente, ma che non vi copio, poiché è composto
quasi interamente da frasi tratte dalla mia introduzione.
Nel Figaro, ci
sono due pezzi d’Etienne Fournol nei quali si parla di me, in termini
simpatici, ma in una foggia assai superficiale.
Infine, nel “Larousse Mensuel” di settembre, c’è un buon
articolo su “Oriente ed Occidente”; fatica a venir fuori, ma un po’ alla
volta...
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