"…la dottrina è infallibile, è a causa del fatto che essa è un’espressione della verità, la quale, in se stessa, è assolutamente indipendente dagli individui che la ricevono e che la comprendono. La garanzia della dottrina risiede in definitiva nel suo carattere «non-umano»". René Guénon, Considerazioni sull’iniziazione, cap. "Sull’infallibilità tradizionale"

lunedì 16 febbraio 2015

René Guénon, Forme tradizionali e cicli cosmici - Recensioni II

René Guénon
Forme tradizionali e cicli cosmici
 

Recensioni II

Marcel Bulard: Le scorpion, symbole du peuple juif dans l’art religieux des XIVe, XVe, XVIe siècles, E. Boccard, Parigi.[1]
L’autore, partito dall’esame di alcune pitture della cappella di San Sebastiano di Lans-le-Villard, nella Savoia, ha messo insieme tutti i documenti similari che ha potuto scoprire, e ne ha fatto uno studio particolareggiato, corredato da numerose riproduzioni. Si tratta di raffigurazioni dello scorpione, sia sullo stendardo portato dalla Sinagoga personificata, sia, più frequentemente, nella rappresentazione di alcune scene della Passione; in quest’ultimo caso, lo stendardo con lo scorpione è generalmente associato a stendardi con altri emblemi e soprattutto con le lettere S P Q R, evidentemente per indicare la contemporanea partecipazione dei Giudei e quella dei Romani. Particolare curioso, che sembra essere sfuggito all’autore: le medesime lettere disposte in un diverso ordine (S Q R P) evocano foneticamente lo stesso nome dello scorpione. Quanto all’interpretazione di questo simbolo, l’autore, basandosi in parte sui Bestiari e in parte sulla poesia drammatica del Basso Medioevo, mostra che esso significa soprattutto falsità e perfidia; d’altronde mette giustamente in rilievo che, all’epoca in questione, il simbolismo, «dogmatico» in precedenza, era diventato principalmente «morale», il che vuol dire, in definitiva, che stava per degenerare in semplice «allegoria», conseguenza diretta e inevitabile dell’affievolirsi dello spirito tradizionale.
Comunque sia, è nostra opinione che, almeno originariamente, dietro questa simbologia dovesse esserci dell’altro, forse un’allusione al segno zodiacale dello Scorpione, al quale si collega l’idea della morte; d’altra parte, si rilevi che a questo proposito, senza tale allusione, lo stesso brano del Vangelo in cui lo scorpione viene contrapposto all’uovo (Luca, XI, 11-12) resterebbe del tutto incomprensibile. Un altro punto interessante ed enigmatico consiste nell’attribuzione di simboli comuni, precisamente lo scorpione e il basilisco, alla Sinagoga e alla Dialettica; al riguardo, ci sembrano davvero insufficienti a render conto di tale accostamento, alcune spiegazioni che si sono volute fornire, come quella della fama di abili dialettici, propria dei Giudei. Noi non possiamo fare a meno di pensare ad una tradizione secondo la quale le opere di Aristotele, considerato il Maestro della Dialettica, racchiuderebbero un significato nascosto, che potrà essere penetrato ed applicato soltanto dall’Anticristo, il quale, d’altra parte, si dice che debba essere di stirpe giudea; non sarebbe dunque il caso di volgere le ricerche in questa direzione?

Sir Charles Marston: La Bible a dit vrai, Librairie Plon, Parigi.[2]
Questo libro contiene innanzitutto, se è lecito esprimersi così, un’eccellente critica della «critica» biblica, mettendo perfettamente in risalto quanto c’è di parziale nei suoi metodi e di erroneo nelle sue conclusioni. D’altronde, sembra che la posizione di questa «critica», che si sentiva così sicura di se stessa, sia oggi seriamente compromessa agli occhi di molti, poiché tutte le scoperte archeologiche recenti non fanno che smentirla, ed è forse la prima volta che tali scoperte servono finalmente a qualcosa la cui portata superi quella della semplice erudizione… D’altro canto, va da sé che coloro i quali sanno veramente che cosa è la tradizione non hanno mai avuto bisogno di un tal genere di prove; ma si deve riconoscere che, basandosi su fatti in certo modo «materiali» e tangibili, esse sono particolarmente idonee a toccare lo spirito moderno, sensibile soltanto alle sollecitazioni di quest’ordine. In particolare, faremo notare che i risultati acquisiti si oppongono chiaramente a tutte le teorie «evoluzionistiche», dimostrando l’esistenza del «monoteismo» anche in origine, e non facendone soltanto il punto terminale di una lunga elaborazione, a partire da uno pseudo «animismo» primitivo.
Un altro punto interessante si riferisce alla prova dell’esistenza della scrittura alfabetica all’epoca di Mosè ed anche prima: alcuni testi pressoché contemporanei di quest’ultimo descrivono riti simili a quelli del Pentateuco, riti che secondo i «critici» sarebbero di istituzione «tardiva»; infine, parecchi fatti storici riferiti nella Bibbia, dei quali si contestava l’autenticità, da ora si trovano ad essere interamente confermati. Beninteso, accanto a questi, restano ancora molti punti più o meno dubbi. Il fatto è che, a parer nostro, ci si deve guardare dall’andar troppo oltre nel senso di un «letteralismo» stretto ed esclusivo, il quale, checché se ne dica, non ha assolutamente niente di tradizionale, nel vero senso della parola. È contestabile che si possa parlare di «cronologia biblica» quando si risale oltre Mosè; l’epoca di Abramo potrebbe essere più remota di quanto non si pensi; e, per quanto concerne il Diluvio, la data che gli si vuole assegnare indurrebbe a ridurne l’importanza a quella di una catastrofe locale e del tutto secondaria, paragonabile ai diluvi di Deucalione e di Ogigia. Quando poi si tratta delle origini dell’umanità, bisognerebbe guardarsi dall’ossessione del Caucaso e della Mesopotamia, che non ha nulla di tradizionale, e che è nata unicamente da interpretazioni formulate quando certe cose non erano ormai più comprese nel loro significato originario. Non possiamo certo soffermarci su alcuni argomenti particolari, tuttavia possiamo segnalare questo: una volta riconosciuto che «Melchisedek è ritenuto un personaggio misterioso» in tutta la tradizione, come si può sforzarsi di farne semplicemente il re di una qualsiasi cittadina, che d’altronde non si chiamava Salem, ma Jebus? E, ancora, se si vuol situare il paese di Madian. al di là del golfo di Akabah, come si considera la tradizione secondo la quale il luogo del Rovo ardente si trova nella cripta del monastero di Santa Caterina, proprio alle pendici del Sinai?
Ma, beninteso, tutto questo non sminuisce affatto il valore delle scoperte davvero importanti, che senza dubbio andranno moltiplicandosi, tanto più che il loro inizio risale a non più di una diecina d’anni[3]; da parte nostra, non possiamo che consigliare la lettura di questo libro chiaro e coscienzioso a tutti coloro che sono in cerca di argomenti contro la «critica» distruttiva e antitradizionale. Per finire, ci sentiamo soltanto in dovere di «mettere in guardia» i lettori, da un altro punto di vista: l’autore sembra fare affidamento sulla «metapsichica» moderna per spiegare o almeno far accettare i miracoli, il dono della profezia e, in generale, i rapporti con quella dimensione che malauguratamente chiama l’«Invisibile» (parola di cui gli occultisti di tutte le categorie hanno fatto eccessivo uso e abuso). D’altronde, egli non è il solo: noi stessi abbiamo rilevato di recente altri esempi di una simile tendenza, che racchiude una incresciosa illusione ed anche un pericolo, tanto più grande quanto meno se ne ha la consapevolezza; non si dovrebbe dimenticare che le «astuzie diaboliche» assumono tutte le forme, adattandosi , alle circostanze, palesando così risorse pressoché inesauribili!


[1] Recensione pubblicata su Études Traditionnelles, luglio 1936.
[2] Recensione pubblicata su Études Traditionnelles. dicembre 1936.
[3] [In rapporto a quando fu scritto il presente articolo, quindi negli Anni Venti – NA.R.]

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