Dio unica meta e ricompensa
1.
Signore,
se ti amo per timore di perdermi
Fammi
bruciare nel fuoco dell’inferno.
Signore,
se ti amo per avere il paradiso
Escludimi
dalla Tua presenza.
Ma se ti amo solo per Te
Non
respingermi dal Tuo volto
2.
Per la
potenza tua io non Ti ho servito
Desiderando
il Tuo paradiso.
Non è
questo lo scopo
A cui ho rivolto la mia vita
3.
O mio
Dio! Tutto il bene
che hai decretato per me in questo mondo
donalo ai tuoi nemici.
Tutto
quello che hai preparato per me in Paradiso
donalo ai tuoi amici.
Io
invece non cerco che Te solo
4.
Le domandarono: “O signora del mondo futuro, che cosa vuoi fare?
Rispose:
“Voglio incendiare il Paradiso e spegnere l’ Inferno, perché
tutti i credenti capiscano che l’amore di Dio è la ricompensa a se stessi”.
5.
Le fu
chiesto: “Hai mai compiuto una sola opera pensando che Dio la accogliesse?”
Rispose:
“Se c’è una cosa che può essergli gradita è il mio timore di esserne
ricompensata”
6.
Le fu
chiesto: “ Qual è la verità della tua fede?”
Rispose: “Non ho reso culto a Dio per timore del suo fuoco, né per
amore del suo paradiso. Sarei stata allora come
un cattivo servo che lavora per essere pagato. Gli ho reso culto invece per
amore e desiderio di Lui”
L’amore dell’innamorata di Dio
1.
Ti amo
di due amori: un amore di desiderio
e un amore perché tu sei degno di essere amato.
L'amore
di desiderio è che nel ricordo di te
io mi distolga da chi è altro da te.
L'amore
di cui tu sei degno
è che tu tolga i veli perché io ti veda.
Non
lode a me né nell'uno né nell'altro,
ma lode a te in questo come in quell' amore
2.
Nella
mia solitudine è la pace,
fratelli miei, perché il Diletto
sempre con me riposa.
Null’altro
trovo fuor che l’amor suo
Che mi
avvolge mostrando
La sua
bellezza ovunque.
O
medico dell’anima
Che
tormenti il cuor mio
D’un desiderio che è malattia
E cura
ad un tempo.
Tu sei
sorgente della vita mia,
Tu
gioia del mio spirito,
estasi che da tutte le creature
mi esclude per donarmi all’unione
che appaga il mio desiderio.
3.
Silente
è scivolata ormai la notte
E il
nuovo giorno risplende.
Che
gioia se sapessi
Che
questa notte mia l’hai accettata!
Ma se l’hai disdegnata a te sia lode.
Ancor
se dal Tuo regno mi cacciassi
Io non
mi allontanerei
Perché
di Te solo sono innamorata.
4.
O Dio,
mio Dio
La
somma dei tuoi desideri
È la
rimembranza in questa vita
E nell’altra la Tua dolce compagnia.
Però
in entrambe le vite
Il Tuo
volere si adempia
5
Le fu
detto: “Prega per guarire dalla tua malattia”.
Rispose:
Come puoi non sapere chi desidera che io soffra? Non è forse Dio che lo vuole? Perché
mi chiedi di chiedere. Il contrario di ciò che Lui
vuole? Non è bene opporsi al volere del proprio Amato.
6.
O
Diletto dei cuori
A cui solo si orienta l’essere mio,
sebbene irretito nella colpa
abbi misericordia mia speranza,
mia pace, mia delizia,
poiché null’altro che Te posso amare.
7.
L’amore
è un fuoco
Che
ogni cosa consuma
Nel
cuore dell’amante
Tranne
il volere dell’Amato.
8.
Tra
l’amante e l’Amato
In
verità non c’è separazione.
Ma descriver si può un desiderio,
o del palato un gusto raccontare?
Solo
se assaggi il cibo lo conosci,
udir la descrizione non ti giova.
Come
potrai rappresentare Lui
Se in
Sua presenza sei come annientato?
Nell’esistenza
Sua ti spegni,
nella contemplazione sei distrutto,
nella purezza Sua ebbro ti senti.
In
quell’immensità muta è la lingua
La
paura pietrifica il cuore
E lo
stupor previene ogni certezza.
La trascendenza nascosto Lo rende
Ad ogni sguardo della creatura.
La rinuncia al mondo creato
1.
O Dio
del cuore mio l’anelito
Tu ben
conosci: è la Tua compiacenza.
Sol al
servizio Tuo l’occhio mio
Brilla
di luce e gioia.
Se mi
fosse possibile
Non mi
allontanerei un solo istante
Dalla
dolce Tua conversazione.
Ma Tu mi assoggettasti
Ad una Tua creatura.
Ed
ecco che talvolta
Le
umane preoccupazioni
Mi
distolgono
Dalla
dolce Tua intimità
2.
O Dio, cosa vuoi da questa Tua serva?”
Una
Voce si fece udire:
“Se vuoi posso darti il mondo
ma dovrò strapparti dal cuore
L’amore
che nutri per Me
Che
non può coesistere
Con quello del mondo”
Strappai
allora dal mio cuore
Ogni
sguardo a creatura terrena
E ogni
attaccamento alle cose del mondo,
E non
ho mai pregato
Senza
dimenticare questa preghiera
Che
non mi sono mai stancata
Di dire
ripetutamente:
‘Mio
Dio fammi immergere nel Tuo amore
così
che nulla mi distolga da Te’
3.
Le fu
detto: “In che modo ami il Profeta”.
Rispose:
“Lo amo di amore grande, ma l’amore per il Creatore mi ha distolto dall’amore
per le creature”
4.
Le fu
chiesto:” Da dove sei venuta?”
“Dall’altro
mondo”
“E dove stai andando?”
“All’altro
mondo”
“ E
cosa fai i questo mondo”
“ Me
ne prendo gioco”
“ E in
che modo te ne prendi gioco”
“Mangio
del suo pane e compio l’opera dell’altro mondo”
5.
Le fu
chiesto: “Qual è il bene con cui il servo può avvicinarsi a Dio”
Rispose:
“Non possedere che Lui in questo mondo e nell’altro”.
6.
Le fu
chiesto: “Intendi prendere marito?”
Rispose:
“Contrarre matrimonio è possibile solo a chi può
scegliere. Per quello che mi riguarda non dispongo più
della mia volontà. Sono del mio Signore e vivo all’ombra dei suoi comandi. Io
non conto più nulla.
Le citazioni sono tratte da:
- Farid al-Attar – Tadhkirat al-awliya – Luni Editrice,1994
- I detti di Rabi’a, a cura di Caterina Valdrè – Adelphi Edizioni, 2001
- Caterina Greppi – Rabi’a la mistica – Jaca Book, 2003
- Franco Ometto – Rabi’a – Ed. Paoline, 2004
- Farid al-Attar – Tadhkirat al-awliya – Luni Editrice,1994
- I detti di Rabi’a, a cura di Caterina Valdrè – Adelphi Edizioni, 2001
- Caterina Greppi – Rabi’a la mistica – Jaca Book, 2003
- Franco Ometto – Rabi’a – Ed. Paoline, 2004
Post fazione di Renzo Guerci
Rabi’a al-Adawiyya,
Fedele d’Amore
Nel
percorso che, con la guida di Beatrice, lo porta dal Paradiso Terrestre
all’Empireo, Dante tratteggia, in un affresco prodigioso, la creazione del
mondo manifestato come emanazione dell’amore del Logos creatore, che si estrinseca in modo sia diretto che indiretto, attraverso le
gerarchie angeliche, che ancorché create, creano esse stesse ciò che è la parte
corruttibile del mondo. L’anima vegetativa e sensitiva – spiega Beatrice
– è il frutto di un atto di creazione delle ‘luci sante’ ( i cieli ), ma lo spirito vitale dell’umana natura deriva
direttamente da Dio e quindi è immortale. In una memorabile terzina Dante
scrive: “ma vostra vita sanza mezzo spira/ la Somma
Beninanza e l’innamora/ di sé sì che poi sempre la disira” (Par. VII, 142-144). Nel creare l’uomo quindi il Creatore ha ‘spirato’ in lui
un ‘amore reciproco’ un inestinguibile desiderio, un
‘amor che a nullo amato amar perdona’, che li attrae perpetuamente.
Nel
corso dei secoli questo amore, diversamente vissuto e
descritto, è stato il cuore dell’esperienza interiore di mistici e poeti, in
una sorta di fratellanza a cui Dante attribuisce il nome di Fedeli d’Amore.
Lungo le luci che costellano questo percorso ideale
incontriamo quella di Rabi’a al Adawiyya, mistica musulmana considerata da
molti come la capostipite del movimento sufi.
Uno
dei primi grandi nomi di sufi è quello di Hasan
al-Basri (642-728). Nato a Medina visse da bambino nella casa del Profeta e successivamente si stabilì a Bassora, dove fu in stretto
rapporto proprio con Rabi’a.
Farid al Attar, parlando di Hasan, scrive: “Una volta alla
settimana pronunciava un discorso in cui dava consigli e avvertimenti al
popolo, ma se Rabi’a non era presente scendeva dal seggio e non parlava”.
Hasan
divenne famoso per la sua profonda preparazione culturale e attrasse a sé molti
seguaci e studenti. Di lui è famosa tra le altre l’affermazione che ‘il mondo è
un ponte sul quale si passa, ma su cui non conviene costruire nulla’.
Rabi’a
è proprio l’esempio di un essere umano passato sul ponte del mondo senza aver
costruito nulla e ,se possibile, aver distrutto ogni
cosa che esso gli porgeva dinanzi.
Come
per altri sufi, la vita e gli insegnamenti di Rabi’a sono
pervenuti, attraverso i secoli, dal ricordo e dalle citazioni di alcuni autori,
taluni contemporanei a lei ed altri successivi, che hanno raccolto e tramandato
ciò che è giunto sino a noi.
Ai
giorni nostri Abdur Rahman Badawi, filosofo e poeta egiziano, ha raccolto e
pubblicato nel 1954 i detti di Rabi’a insieme a quelli
di altre mistiche.
Da
questa raccolta è possibile constatare che la più
estesa e completa biografia di Rabi’a è quella di Farid al-Attar, mistico e
poeta persiano vissuto a Nishapur tra il XII e il XIII secolo, autore di poemi
di profondo contenuto mistico che ebbero una grande influenza su mistici e
letterati del suo tempo tra cui Jalal al-Din Rumi che lo conobbe e che disse di
lui: “Attar fu l’anima del sufismo…Io non faccio che seguire le sue tracce”.
Attar
è anche autore di Tadhkirat al-Awliya (letteralmente ‘Memoriale degli Intimi’) ,una raccolta di massime di una
settantina di maestri sufi, tra cui Rabi’a. Nell’introdurre la biografia e i
detti di Rabi’a, Attar scrive:
“Questa
benvenuta alla corte di Allah che bruciò spiritualmente il fuoco dell’amore divino
e donandosi all’Altissimo si distaccò completamente dalle creature, colei che
penetrò tutti i misteri della Verità.
A chi obietta perché citiamo Rabi’a
tra gli uomini risponderemo che c’è un hadith del profeta che dice :”Non
badate all’apparenza di una persona ma badate alle sue buone azioni e alla sua
buona volontà”…
Inoltre
si noti che Hasan al Basri non pronunciò alcun sermone prima della nascita di
Rabi’a”
Gli
episodi della vitta di Rabi’a contenuti nlla biografia
di Attar contengono sovente la descrizione di eventi prodigiosi, sotto i quali
non è difficile rintracciare un percorso allegorico
Rabi’a
nacque a Bassora nel 713 secondo alcuni o nel 717
secondo altri, quarta figlia (Rabi’a significa appunto ‘quarta’ ) di una
famiglia molto povera. Il padre Ismail Adawi, uomo colmo di sapienza antica,
proveniva da una famiglia della tribù Atiq, discendente dal Profeta. Restò
presto orfana di entrambi i genitori e fu venduta come schiava ad un mercante che le impose lavori pesanti. Digiunava per
tutto il giorno, dedicando la notte alla preghiera. La sua devozione per Dio
era fortissima. Il suo padrone percepì la sua illuminazione vedendola pregare
una notte, avvolta di luce. Trasalì vedendo quella luce meravigliosa e restò a
pensare tutta la notte. La mattina dopo decise di
liberarla affinché perseguisse il suo percorso spirituale. Rabiʿa allora
si diresse nel profondo deserto dove iniziò la sua vita solitaria e ascetica.
Visse come reclusa, ma dalla sua misera capanna si diffuse dovunque
il suo insegnamento. I sapienti del suo tempo – tra cui appunto Hasan al
Basri - si consideravano privilegiati di parlare con lei dei misteri di Dio. Le sue preghiere, cui dedicava tutta la notte, non
furono tanto dedicate a chiedere intercessioni, quanto alla comunione con il
suo amore: fu soprattutto un’amante di Dio. Morì a Bassora nel
801.
I
‘detti di Rabi’a’ così come sono pervenuti sino a noi
sono rappresentati da preghiere rivolte a Dio o, più frequentemente, da
risposte a ciò che le veniva richiesto. Vengono riproposti
di seguito quelli più significativi, raggruppati intorno a tre temi tra loro
strettamente interdipendenti: la visione di Dio come unico bene, una meta e
ricompensa al di là di ogni possibile dualismo di tipo morale; l’amore assoluto
nei confronti di Dio e dela Sua volontà; la consapevolezza che l’amore verso
Dio elude ogni altro amore e quindi la rinuncia al mondo e alle creature.
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