"…la dottrina è infallibile, è a causa del fatto che essa è un’espressione della verità, la quale, in se stessa, è assolutamente indipendente dagli individui che la ricevono e che la comprendono. La garanzia della dottrina risiede in definitiva nel suo carattere «non-umano»". René Guénon, Considerazioni sull’iniziazione, cap. "Sull’infallibilità tradizionale"

sabato 2 maggio 2015

René Guénon, Introduzione generale allo studio delle dottrine indù - II. I modi generali del pensiero orientale - 3. Che cosa si deve intendere per tradizione

René Guénon
Introduzione generale allo studio delle dottrine indù

II. I modi generali del pensiero orientale
3. Che cosa si deve intendere per tradizione

In quel che precede, ci è capitato di parlare ad ogni istante di tradizione, di dottrine o concezioni tradizionali e anche di lingue tradizionali, ed è del resto impossibile fare altrimenti se si vuole dare un nome a ciò che costituisce realmente tutta l’essenza del pensiero orientale nei suoi differenti modi; ma che cos’è più precisamente la tradizione?
Diremo subito, per evitare una possibile confusione, che non intendiamo questa parola nel senso ristretto in cui il pensiero religioso dell’Occidente oppone talvolta «tradizione» e «scrittura», intendendo con il primo dei due termini, in modo esclusivo, ciò che è stato l’oggetto di una trasmissione orale.
Per noi al contrario, in un’accezione molto più generale, la tradizione può essere sia scritta sia orale, benché di solito, se non sempre, dovette essere principalmente orale all’origine, come abbiamo spiegato; ma, allo stato attuale delle cose, la parte scritta e la parte orale costituiscono dappertutto due rami complementari di una stessa tradizione, sia essa religiosa o altro, e noi non esitiamo a parlare di «scritture tradizionali», ciò che evidentemente sarebbe contraddittorio se attribuissimo alla parola «tradizione» soltanto il suo significato più specifico; d’altronde, secondo l’etimologia, la tradizione è semplicemente «ciò che si trasmette» in un modo o in un altro. Inoltre bisogna ancora comprendere nella tradizione, quali elementi secondari e derivati ma nondimeno importanti per averne una nozione completa, tutto l’insieme delle istituzioni di ordini diversi che hanno il loro principio nella dottrina tradizionale stessa.
Considerata in tal modo, la tradizione può sembrare confondersi con la civiltà medesima, che secondo certi sociologi è «l’insieme delle tecniche, delle istituzioni e delle credenze comuni a un gruppo di uomini per una certa durata di tempo»[1]; ma che valore ha, precisamente, quest’ultima definizione? Noi non crediamo, a dire il vero, che la civiltà possa generalmente caratterizzarsi in una formula di questo genere, la quale sarà sempre o troppo ampia o troppo stretta per certi versi, rischiando di escludere elementi comuni a ogni civiltà e di comprenderne invece altri che appartengono propriamente solo a qualche civiltà particolare. Così, la definizione precedente non tiene alcun conto di quel che in ogni civiltà esiste di essenzialmente intellettuale, trattandosi di qualcosa che non si può includere nelle cosiddette «tecniche», le quali sono, così ci viene detto, «degli insiemi di pratiche specialmente destinate a modificare l’ambiente fisico»; d’altra parte, quando si parla di «credenze», aggiungendo peraltro che tale parola dev’essere «intesa nel suo significato abituale», ci si riferisce a qualcosa che evidentemente suppone la presenza dell’elemento religioso, che in realtà è specifico di certe civiltà e non si trova nelle altre. È appunto per evitare ogni inconveniente di questo tipo che noi ci siamo limitati, all’inizio, a dire semplicemente che una civiltà è il prodotto e l’espressione di una certa mentalità comune a un gruppo più o meno esteso di uomini, riservando per ciascun caso particolare la determinazione precisa dei suoi elementi costitutivi.
Comunque sia, è altrettanto vero che, per quanto riguarda l’Oriente, identificare la tradizione con l’intera civiltà è in fondo giustificato: ogni civiltà orientale, considerata nel suo insieme, ci appare essenzialmente tradizionale, e questo risulta immediatamente dalle spiegazioni che abbiamo dato nel capitolo precedente. Quanto alla civiltà occidentale, abbiamo detto che al contrario è priva di ogni carattere tradizionale, ad eccezione del suo elemento religioso, il quale è il solo ad averlo conservato. Il fatto è che le istituzioni sociali, per potersi dire tradizionali, devono essere collegate effettivamente, come al loro principio, a una dottrina che è a sua volta tradizionale, sia essa metafisica o religiosa o di un altro genere adeguato. In altre parole, le istituzioni tradizionali che comunicano questo carattere a tutto l’insieme di una civiltà sono quelle che hanno la propria ragione d’essere profonda in una dipendenza, più o meno diretta ma sempre voluta e consapevole, da una dottrina la cui natura fondamentale è sempre e comunque di ordine intellettuale; ma l’intellettualità può esservi presente allo stato puro, e allora siamo in presenza di una dottrina propriamente metafisica, oppure vi si trova mescolata a diversi elementi eterogenei, originando così il modo religioso e gli altri modi di cui può essere suscettibile una dottrina tradizionale.
Nell’Islam, abbiamo detto, la tradizione presenta due aspetti distinti, di cui uno è religioso, e a questo si ricollega direttamente l’insieme delle istituzioni sociali, mentre l’altro, puramente orientale, è davvero metafisico. In una certa misura qualcosa del genere è esistito, nell’Europa medioevale, con la dottrina scolastica, sulla quale d’altronde si esercitò notevolmente l’influenza araba; ma bisogna aggiungere, per non eccedere con le analogie, che la metafisica non vi fu mai così nettamente svincolata, come dovrebbe, dalla teologia, vale a dire insomma dalla sua applicazione specifica al pensiero religioso, e altresì che quanto vi si trova di propriamente metafisico non è completo, soggiacendo a talune limitazioni che sembrano inerenti a tutta l’intellettualità occidentale; è fuori di dubbio che in queste imperfezioni bisogna vedere una conseguenza del duplice retaggio della mentalità ebraica e della mentalità greca.
Quanto all’India, si è in presenza di una tradizione che è puramente metafisica nella sua essenza, alla quale si aggiungono, come tanti annessi e prolungamenti, applicazioni diverse, sia in certi rami secondari della dottrina stessa, come quella ad esempio che si ricollega alla cosmologia, sia nell’ordine sociale, che è peraltro strettamente determinato dalla corrispondenza analogica che si stabilisce tra le rispettive forme dell’esistenza cosmica e dell’esistenza umana. Appare qui molto più chiaramente che nella tradizione islamica, soprattutto perché mancano il punto di vista religioso e i suoi impliciti elementi extraintellettuali, la totale subordinazione dei differenti ordini particolari alla metafisica, vale a dire al dominio dei principi universali.
In Cina la nettissima separazione di cui abbiamo detto rivela da un lato una tradizione metafisica e dall’altro una tradizione sociale, le quali possono apparire a prima vista non soltanto distinte, come in effetti sono, ma addirittura relativamente indipendenti l’una dall’altra, tanto più che la tradizione metafisica è sempre rimasta l’appannaggio quasi esclusivo di una élite intellettuale, mentre la tradizione sociale, per sua natura, s’impone a tutti ugualmente ed esige allo stesso grado la loro partecipazione effettiva. Sennonché, bisogna porre mente al fatto che la tradizione metafisica, quale è costituita nella forma del «taoismo», è lo sviluppo dei principi di una tradizione più primordiale contenuta specialmente nell’Yi-King, e che anzi da questa stessa tradizione primordiale discende interamente, quantunque in una maniera meno immediata e solo come applicazione a un ordine contingente, tutto l’insieme di istituzioni sociali che è abitualmente conosciuto con il nome di «confucianesimo». Si trova così ristabilita, con l’ordine dei loro rapporti reali, la continuità essenziale dei due principali aspetti della civiltà estremo-orientale, continuità che si rischierebbe di disconoscere quasi inevitabilmente se non si sapesse risalire alla loro fonte comune, vale a dire fino a questa tradizione primordiale la cui espressione ideografica, fissata sin dall’epoca di Fo-hi, si è mantenuta intatta per una durata di circa cinquanta secoli.
Dobbiamo ora, dopo questo sguardo d’assieme, caratterizzare in modo più preciso ciò che costituisce propriamente questa specifica forma tradizionale che noi chiamiamo la forma religiosa, quindi ciò che distingue il pensiero metafisico puro dal pensiero teologico, ossia dalle concezioni a carattere religioso, e anche, d’altra parte, ciò che lo distingue dal pensiero filosofico nel senso occidentale della parola. In queste distinzioni profonde troveremo veramente, in contrasto con i più importanti tipi di concezioni intellettuali, o piuttosto semi-intellettuali, consueti nel mondo occidentale, i caratteri precipui dei modi generali ed essenziali dell’intellettualità orientale.


[1] E. Doutté, Magie et religion dans l’Afrique du Nord, Introduzione, p. 5.

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